giovedì 12 aprile 2012

Elizabeth von Wittelsbach: la vera storia (2° parte)

Elisabetta, penultima imperatrice d'Austria e regina di Boemia e d'Ungheria, aveva un carattere molto particolare, che emerge dai suoi diari e dalle testimonianze delle sue dame di compagnia.



Ogni mattina si faceva pettinare i suoi lunghissimi capelli, per i quali nutriva una vera e propria ossessione. Una delle dame di compagnia raccontò che l'operazione era molto delicata, anche perché Elisabetta, se trovava dei capelli morti nel pettine, andava su tutte le furie ed era capace di bacchettare le dita della dama con il ventaglio.
 Le occorrevano tre ore tutti i giorni per lavarsi, pettinarsi, vestirsi e truccarsi.

File:Empress Elisabeth of Austria, 1864.jpg
File:Kaiserin Elisabeth 1862.jpg
 La sola allacciatura del busto, utile a ottenere il suo famoso vitino da vespa, richiedeva spesso un'ora di sforzi. Il lavaggio dei capelli era eseguito  con una mistura di cognac e uova e richiedeva un'intera giornata, durante la quale l'Imperatrice non tollerava di essere disturbata. Altre tre ore erano dedicate ai capelli, che venivano intrecciati da Fanny Angerer, ex parrucchiera del Burgtheater di Vienna, di cui all'imperatrice erano piaciute le fantasiose acconciature delle attrici. Una delle sue creazioni più famose fu l'acconciatura a "corona", con grandi trecce raccolte sopra la nuca, divenuta il simbolo di riconoscimento dell'imperatrice, che fu imitata da molte donne aristocratiche del tempo.
Elisabetta era impegnata per il resto della giornata con la scherma, l'equitazione e la ginnastica (a tal scopo, aveva fatto allestire in tutti i palazzi in cui soggiornava delle palestre attrezzate con pesi, sbarra e anelli). Costringeva inoltre la propria dama di corte a seguirla durante interminabili e forsennate passeggiate quotidiane.
Per preservare la giovinezza della pelle, Elisabetta faceva uso di maschere notturne (a base di carne di vitello cruda o di fragole) e ricorreva a bagni caldi nell'olio d'oliva. Per conservare la snellezza, oltre a rispettare il rigoroso regime alimentare, dormiva con i fianchi avvolti in panni bagnati e beveva misture di albume d'uovo e sale. 
Francesco Giuseppe ed Elisabetta ebbero quattro figli:

File:Elisabetta e i figli.jpg

Elisabetta, di carattere creativo, fantasioso e sensibilissimo, aveva un grande senso estetico ed artistico.
Al contrario il marito era un pedante, molto noioso e conformista. Il matrimonio tra i due si rivelò un vero disastro, specialmente quando si trattò di dover educare i figli.

Sono noti i pessimi rapporti con la suocera, ma nei film la colpa viene tutta attribuita all'arciduchessa Sofia.
In realtà a dividere le due donne c'era, oltre al rifiuto di Elisabetta di rispettare le regole di corte, anche un problema molto più serio, e cioè il fatto che, come apprendiamo dai suoi diari, Elisabetta non era credente.
Non credeva in particolare nel giudizio e nella punizione delle anime dopo la morte, e al riguardo scrisse: "Non posso immaginare l'Inferno, perché non posso credere in un Dio che, dopo averci fatto soffrire l'inferno su questa terra, sia tanto crudele da farcelo soffrire anche dopo".

Elisabetta conobbe la  sofferenza. Dal 1860 in avanti la sua vita fu tutta un susseguirsi di disgrazie e problemi di salute.
La morte della primogenita Sofia fu un duro colpo, che causò una prima crisi depressiva all'imperatrice.

File:Horowitz portret van Keizerin Elisabeth met zwarte japon met waaier 1899.jpg

L'ossessione di Elisabetta per la linea e la magrezza, la spinsero, dopo le varie gravidanze, a delle diete durissime, al limite dell'anoressia. Era altra 1,72 m e pesava 50 kg.
 Il suo temperamento inoltre oscillava tra momenti di irascibilità e momenti di malinconia. La salute fisica non andava meglio: i polmoni soffrivano di un principio di tubercolosi, anche a causa del clima rigido di Vienna.
Tutto ciò contribuì ad un tracollo delle sue condizioni psicofisiche nel 1860, in seguito al quale si rese necessario un viaggio in zone calde.


Elisabetta decise di andare a Madeira, arcipelago portoghese in pieno oceano atlantico.

File:LocationMadeira.png

Da quel momento, l'imperatrice passò la maggior parte del suo tempo in viaggio, il più lontano possibile da Vienna.
Ci si è chiesti se, oltre ai disaccordi col marito, alle crisi nervose e alla tubercolosi, ci fossero anche ragioni politiche a tenere distante Elisabetta dall'impero austro-ungarico.
Nel 1998 è stato pubblicato il diario poetico dell'Imperatrice, dal quale è emerso che Elisabetta non amasse affatto la sua condizione aristocratica né condividesse la politica degli Asburgo, tanto da augurarsi di morire "improvvisamente, rapidamente e se possibile all'estero"; in un certo senso dunque si può dire che il suo intimo desiderio di abbandonare la vita sia stato esaudito.
D'altro canto, dai suoi scritti emerge chiaramente la non condivisione delle condizioni sociali in cui versava la popolazione austriaca e ungherese, tanto da considerare i giovani a lei contemporanei come "oppressi dall'ordine stabilito"; a disagio e rattristata per la disparità socio-economica fra lei e la gente comune, detestando le ricchezze e i viaggi di piacere per l'Europa, Elisabetta arriva anche a maledire, nelle sue poesie, la dinastia asburgica.
Nella biografia dedicata all'Imperatrice, Brigitte Hamann descrive Elisabetta come una forte anti-clericale, libertaria e pre-comunista, insofferente alla vita di corte e all'etichetta di corte, tanto da desiderare che Francesco Giuseppe abdichi e vada a vivere con lei sulle rive del Lemano.



Dopo il suicidio del figlio Rodolfo a Mayerling, Elisabetta osservò un lutto strettissimo, e a parte qualche rarissima occasione in cui fu fotografata col marito, visse in una condizione di isolamento, continuando i suoi viaggi per l'Europa. Un duro colpo fu anche la morte del cugino Ludwig, re di Baviera, a cui era molto legata.
Per un incredibile paradosso, proprio lei che era di idee progressiste, morì uccisa dalle pugnalate di un anarchico, Luigi Lucheni, mentre si trovava a Ginevra.
Anche nella morte, fu coraggiosa: colpita ad un ventricolo, ebbe il tempo per rialzarsi e ricomporsi. La morte sopravvenne qualche minuto dopo per emorragia interna.
Era il mese di settembre del 1898.
Aveva 61 anni.

mercoledì 11 aprile 2012

Gothian. Capitolo 40. Ellis e Bial: l'addio.


Da quando era giunta alla Vedetta Lathearica, Ellis Eclionner aveva trascorso molti giorni in volontario isolamento e meditazione.


La Vedetta era una fortezza situata in riva all'Oceano Orientale, a sud della Grande Muraglia e ad est dela Sublime Porta, tra la pineta e il mare. 


Era una costruzione antichissima, di grande fascino.


Il silenzio della stanza personale di Ellis, profumata di incensi, venne interrotto da una implorazione:
«Maestà, vi prego tornate in voi!»
 La voce dell'eunuco Bial era roca, ed egli si passava nervosamente le mani tra i lunghi capelli neri, che sul suo corpo snello e androgino lo facevano apparire una triste odalisca.


«Ho già deciso»
Nelle parole di Ellis c’era la tranquilla fermezza di chi aveva preso una decisone irrevocabile.
Bial non capiva.
Ellis, perché lo fai?
Provò a ripetere per l'ennesima volta le solite obiezioni.
«Mia signora, al di là della Grande Muraglia troverete solo nemici! Da decenni covano il desiderio di vendetta contro l'Impero. Non ci hanno perdonato l'aggressione ad Elenna sul Dhain, nell'anno della Primavera di sangue.»
La sovrana pareva una statua, nella sua bellezza sovrumana: il suo collo alto e sottile era coperto di ricami neri, ed il suo volto dai tratti aristocratici era immobile, e non lasciava trasparire emozioni.


«Non entrerò come una conquistatrice, ma come una supplice. Come ultimo mio atto politico, offrirò le mie legioni per proteggere la Federazione Keltar dalla grave minaccia che viene da Nord, da Gothian...»
L'eunuco non era convinto. Secondo i Servizi Segreti che lui dirigeva da diciotto anni, i Keltar non avrebbero affatto gradito che quindici legioni di Lathear alle dipendenze di Ellis varcassero la Sublime Porta per giungere in loro "soccorso".
Espresse questo suo pensiero all'impeatrice madre, la quale non si scompose.
«Mio padre e mio fratello mi aiuteranno»
«E come? Sono loro che hanno partecipato alla spedizione di Elenna sul Dhain! Le loro legioni hanno violato il patto! Hanno sulla coscienza la Primavera di Sangue!»
«E allora li aiuterò a ripulirsi la coscienza! E' la loro ultima occasione per redimersi, ed anche la mia»
La sua voce calma era qualcosa a cui Bial si doveva abituare, ma non ne avrebbe avuto il tempo.
Nobile semplicità e serena grandezza: Ellis non è mai stata così bella.
Bial non credeva di poter provare attrazione per una donna, ma avrebbe ingannato se stesso se non avesse ammesso che in quegli ultimi mesi ciò che provava per lei era diventato un sentimento importante.
Sapeva che ogni suo discorso ormai era inutile, eppure continuava a ribattere:
«Lo Sciancato e l'Eremita non sono affidabili. Mi è giunta voce che potrebbero persino sostenere un candidato al trono diverso da Elner. Siamo vicini a scoprire un segreto che ci è stato abilmente nascosto per diciotto anni. Masrek potrebbe aver avuto altri figli, forse anche legittimi!»
Ellis scrollò le spalle, e con un secco gesto del capo spostò i cepelli che le erano scesi sulla fronte.
«Masrek si trova a Colonia Fluvia. Tra pochi giorni gli parlerò e chiariremo tutto! Ho atteso fin troppo questo momento!»

L’eunuco scosse la testa: «Vi fidate troppo di Masrek. I tanti anni di eremitaggio potrebbero averlo cambiato. Se gli affidere il comando delle legioni, tutto il Continente sprofonderà nell’anarchia, e la Vedetta Lathearica brucerà come tutte le altre fortezze, fino alla stessa Lathena! »
Ellis annuì, con gli occhi lucidi: «Lathena… la città dai cieli di zaffiro… che io non vedrò mai più»


Quel tono così rassegnato e definitivo preoccupava l'eunuco più di ogni altra cosa.
«Voi potete vincere la guerra e tornare a Lathena da Imperatrice Regnante!»
La risposta di Ellis fu rapida e incontrovertibile:
«No! Lascerò ad altri il compito di vincere questa guerra, ammesso che vincere le guerre sia un merito. Ora io ora sono un’altra persona, ho altre speranze.  Devo porre rimedio a tutto il male che ho fatto. Ho commesso peccati imperdonabili, guidata solo dalla lussuria, dalla rabbia, dall’invidia, dalla superbia e dalla sete di potere! E ora cosa sono… Bial guardami mentre ti parlo! Guardami in faccia... non vedi i segni del male sul mio viso?»
Bial non li vedeva.
«Maestà, voi siete più bella che mai: non vedete che meraviglia vi restituisce il vostro specchio di argento?»
La donna scosse il capo: «Guarda meglio. Vedrai nel mio volto le ferite dell'anima»
Bial era sempre più sconvolto:
«Ma... se per caso Masrek non volesse collaborate? » si azzardò a chiedere, con un filo di voce.
Ellis pareva aver contemplato anche questa eventualità.
«Se lui non vuole, allora, per me, finisce qui» ebbe un attimo di smarrimento, poi: «Ti lascerò un testamento, ci saranno le mie ultime volontà, ed eredità per tutti, riconoscimenti e lasciti per ognuno di voi, e in particolare per te, amico mio. Io esco di scena, esco dalla Grande Storia, forse, ma non dalla storia di questa famiglia, gli Eclionner, che cercano un riscatto dopo mille anni di dispotismo e prevaricazione. Dobbiamo tutti pagare, ed io più di tutti gli altri!»
Parlava mantenendo gli occhi fissi, che non guardavano nulla, ma riflettevano la profondità del suo pensiero. Non c’erano più le pagliuzze violacee di rabbia, anzi, l’indaco degli Eclionner quella sera si era attenuato e addolcito in una sorta di color lavanda.
Bisognerebbe ritrarla ora, scolpirne ora l’effigie: rimarrebbe un’icona nei millenni.


«Non potete parlare sul serio, Maestà»
Ellis sorrise e gli accarezzò il volto: «Amico mio, qualunque cosa mi accada, racconta la mia vita ai posteri, fa’ che conoscano chi ero, nel bene e nel male, senza trascurare nulla. E’ l’ultimo mio desiderio, prima di iniziare questa avventura senza ritorno…»
Bial chinò il capo, per nascondere le lacrime che rigavano il suo ancor efebico viso da fanciulla: «Maestà… voi siete tutta la mia vita»
La sovrana finalmente lo guardò, e anche i suoi occhi blu si sciolsero in lacrime, ma continuò a sorridere nel pianto, e poi, abbracciò l’amico di sempre.
Si scambiarono, sussurrandole, parole dolcissime.
Poi Ellis abbandonò l’abbraccio e tornò ad essere statuaria e determinata:
 «Domattina mi guarderai per l’ultima volta mentre me ne andrò via. Ma non ti abbandonerò mai del tutto: entrerò nei tuoi pensieri, in una notte che non dormi, e mi sentirai vicina. Entrerò dentro ai tuoi sogni, quando sarà già mattino, e per quel giorno tu mi porterai con te...»


N.d.A.

Ellis Eclionner è ritratta in questo capitolo come una Dark Lady o una Dark Queen, una regina delle tenebre. Nei capitoli successivi sarà invece interpretata da Eva Green nel ruolo della fata Morgana di Avalon in "Camelot".
La Vedetta Lathearica è ispirata come posizione nella mappa alla città alta di Ancona e come roccaforte al Castello Aragonese di Ischia, che compare anche nella foto.
Lathena ha "i cieli di zaffiro" così come Bandalong, la capitale del pianeta Tleilax nell'universo di Dune di Frank Herbert, ha "i cieli carneliani" cioè del colore della corniola.
Il tema dell'espiazione delle colpe non solo proprie, ma anche degli antenati, avvicina Ellis Eclionner alla figura di Ermengarda, nell'Adelchi: "tu della rea progenie degli oppressor discesa... te collocò la provvida sventura infra gli oppressi / muori compianta e placida, scendi a dormir con essi / alle incolpate ceneri nessuno insulterà".
Le due righe finali del capitolo sono state ispirate dalla canzone "Non è mai un errore" di Raf.



martedì 10 aprile 2012

Elizabeth von Wittelsbach: la vera storia (1° parte)

Elisabetta Amalia von Wittelsbach (Monaco di Baviera24 dicembre 1837 – Ginevra10 settembre 1898) nata duchessa in Baviera, fu imperatrice d'Austria e regina di Boemia e d'Ungheria, come consorte di Francesco Giuseppe d'Asburgo-Lorena (1830-1916).



Figlia del duca Massimiliano Giuseppe di Baviera, trascorse la sua infanzia serenamente a Monaco nel palazzo di famiglia, mentre i mesi estivi erano trascorsi nel castello di Possenhofen, una residenza a cui la giovane, molto amante della natura, era profondamente legata. Di animo sensibile, non amava i formalismi di corte, e preferiva occuparsi di iniziative di sostegno ai poveri e agli infermi, piuttosto che prendere parte alla vita mondana.



Nell'inverno 1853 erano in corso alcune trattative fra la madre di Elisabetta, Ludovica, e sua sorella, l'arciduchessa Sofia, per far sposare la figlia della prima, Elena, col figlio della seconda, Francesco Giuseppe, divenuto imperatore d'Austria nel 1848 a soli 18 anni. L'incontro  tra le due famiglie avvenne il 16 agosto 1853.  Fin da quel primo e formale incontro, fu evidente ai presenti che Francesco Giuseppe si era infatuato non di Elena, ma della più giovane e "acerba" sorella Elisabetta (quindicenne). L'arciduchessa Sofia scrisse in merito: «La cara piccina non aveva la minima idea dell'impressione da lei destata in Franzi. Fino all'istante in cui la madre le parlò apertamente, Sissi era solo intimidita e intimorita dalla gente che stava intorno».
 File:Empress Elisabeth of Austria3.jpg


Il giorno dopo Francesco Giuseppe disse alla madre che la sua scelta era caduta su Elisabetta, nonostante l'arciduchessa Sofia preferisse Elena. Nel ricevimento dato quella sera, l'imperatore ballò il cotillon con Elisabetta, un chiaro segno per tutti. Anche durante la cena del 18 agosto, compleanno di Francesco Giuseppe, Elisabetta fu fatta sedere accanto a lui. Il giorno seguente Ludovica, per conto dell'imperatore, chiese a Elisabetta se era condiscendente alle nozze e ottenuto il consenso, lo comunicò per iscritto alla sorella Sofia. Da quel momento fino al 31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme e si mostrò pubblicamente.

Francesco Giuseppe ed Elisabetta (1854).
Intanto iniziarono le trattative con la Santa Sede per ottenere la necessaria dispensa papale, poiché gli sposi erano primi cugini. Questa stretta parentela, come di consueto per quel tempo, non fu tenuta di conto, nonostante diversi membri della famiglia Wittelsbach avessero già mostrato le tare ereditarie della loro dinastia.
Francesco Giuseppe era dunque infatuato di Elisabetta, ma non ci sono fonti che dicano cosa provasse lei per il giovane imperatore. Le storie d'amore dei film e delle fiction che sono state create riguardo a Sissi, sono completamente inventate.

File:KaiserFranzjosef1853-1-.jpg

 Le nozze furono celebrate con grande sfarzo il 24 aprile 1854, di sera, nella Chiesa degli Agostiniani


Fine prima parte.

lunedì 9 aprile 2012

Gothian. Capitolo 39. Alienor, Lilieth e il Pirata proseguono il viaggio

Alienor si trovava sulla prora, intenta ad osservare il paesaggio. Dopo giorni di navigazione, infatti, erano giunti alla confluenza.
Nel punto in cui il fiume Tadnius sfociava nel grande fiume Amnis, le acque blu scure del primo rimanevano per un lungo tratto separate da quelle gialle e torbide del secondo.



 Il fiume era immenso. 
Alienor lo contemplava con stupore. Nemmeno il Dhain era così largo.
«Prendi un altro po’ di chinino» le disse Lilieth porgendole una boccetta «Voi Alfar non siete vaccinati contro le febbri trasmesse dalle zanzare e dai miasmi di questo luogo»
La principessa bevve l’amara pozione, continuando a fissare le acque dei due fiumi.
«Lo sai come chiamano questo posto?» chiese Vyghar il Pirata: «Le Porte degli Inferi! Il rischio è lasciarsi inghiottire dalle correnti, e sprofondare nelle acque scure. Solo navigatori esperti come me possono attraversare l'Amnis in questo punto maledetto!»
Alienor era sempre irritata dalle vanterie di Vyghar, anche se in fondo ormai incominciava a trovarlo interessante: «Da noi invece, a nord, il fiume Dhain non presenta simili pericoli. Gli Alfar sono molto precisi nelle loro vie di comunicazione, e l'estuario del Dhain è un luogo sicuro»
Vyghar non perse l'occasione per una battuta: «Un luogo sicuro? Che strano, mi pare di ricordare che è proprio lì che vi ho rapita! Ah ah!»


Lilieth intervenne per evitare l'ennesimo battibecco tra i due:
«La sicurezza non è una caratteristica della Federazione Keltar da molto tempo! Nessun luogo è sicuro, in questa pianura, tranne la Contea di Keltar-Senia e la casa di Lady Arriellyn, mia madre, che è il luogo dove faremo la nostra prima tappa»
Alienor si illuminò:
«Ho sentito molto parlare della Contessa di Keltar-Senia. Dicono che nasconda grandi segreti»
Lilieth dovette ammettere che era così.
Alienor capiva che c'erano molte cose da dire al riguardo, ma Lilieth non era pronta.
Ancora non vuole sbilanciarsi...
Vyghar cercò di sdrammatizzare la situazione:
«Mia cara Lilieth, a tua madre prenderà un colpo quando ti vedrà arrivare dopo quasi diciotto anni! Crederà di vedere un fantasma!»
Non poterono fare a meno di sorridere.
Poi Lilieth e Vyghar si allontanarono per confabulare tra loro.
Alienor invece rimase a contemplare il paesaggio.
Le piacevano quelle zone.
Il mio viaggio verso il Sud riprende, ma questa volta senza obblighi di matrimonio.
Sarà tutto molto più interessante…
Ormai il sole era riuscito a scacciare le ultime nebbie ed Alienor vide finalmente la grande Pianura Amnisiana estendersi a perdita d'occhio.



Quando la luce del sole divenne troppo luminosa e calda, Alienor andò a sedersi all’ombra dell'albero maestro.
Continuò ad osservare i paesaggi della Federazione Keltar.
Il fiume era solcato da molte barche e navi.
Vide anche una città portuale, in lontananza.
Il vicecomandante Lorran Plum, che osservava con attenzione il porto, le disse che era la città di Tadnia.



«Non rischiamo di farci scoprire dai Keltar? Se ci identificano come pirati è finita!» disse Alienor, meravigliandosi poi del fatto di stare dalla parte dei pirati che l'avevano rapita, e di non desiderare affatto di essere "liberata".
«Qui la gente ha imparato a farsi gli affari suoi! E' una terra di mercanti e di contadini, che difendono i propri affari e non vogliono guai!»
La risposta di Lorran era sensata, ma Alienor non poté fare a meno di pensare alla storia di quel popolo.
«Un tempo i Keltar erano un popolo di guerrieri temuti in tutto il continente » 
Lorran sollevò una mano e la fece roteare in aria, come a dire che di tempo ne era passato molto da quei tempi, e moltissima acqua sotto i ponti.
«Dai tempi di re Vorkidex sono passati mille anni! I Keltar non sono più un popolo, sono gente sperduta sulla terra... non hanno più nemmeno il ricordo di una patria, e forse non è un male, questo, perché in fondo sono gente libera, non hanno padroni...  »
Alienor annuì. 
«Ma non sono nemmeno dei Barbari. In fondo la Federazione è composta di Ducati ed è presieduta da un Arciduca!»
Lorran rise:
«L'Arciduca di Floriana non conta niente! I Keltar non hanno difese militari degne di questo nome. No, il vero potere, da queste parti, è un altro...» e guardò Alienor per vedere se la principessa indovinava.
Il sole le faceva brillare i biondi capelli, sparsi dal vento in mille dolci nodi.




«I druidi! Sono loro ciò che tiene uniti i Keltar! Mio padre diceva che attendono un Profeta, è così?»
Lorran annuì:
«Così dicono le loro profezie. Qualcuno verrà, e li guiderà alla vittoria. Così fu promesso loro  dagli Dei, nel giorno dell'antico Patto. E da allora essi attendono questo Profeta, e lo chiamano in molti modi: il Principe Promesso, il Figlio dei Cento Re...»
Alienor ascoltava interessata.
«Io credo che Lilieth sia convinta che suo figlio sia il Principe Promesso»
Lorran si strinse le spalle:
«Questo è tutto da dimostrare!» sbottò «non è né necessario, né sufficiente essere discendenti di re, per compiere grandi imprese! Per ora Marvin Vorkidian è solo un diplomatico, e per quanto ne so, non sa nemmeno sollevare una spada!»
La principessa sorrise, perché aveva colto una nota di gelosia nella voce del giovane pirata:
«Lorran…. » gli disse abbassando la voce «Secondo te tra Vyghar e Lilieth c'è qualcosa? Prometto che non le dirò niente!» 
Lui rise:
«Mia principessa, qui non siamo a corte... non si fanno pettegolezzi sulle navi, dicono che porti male!»
Alienor, imbarazzata, arrossì, ma volle lo stesso rispondere a tono:
 «Porta male anche dimenticarsi dei sentimenti, pirata!»
E decise di chiudere lì il discorso raggiungendo Lilieth, rimasta sola sulla prua.
Indossava un diadema regale. Era un dono di Vyghar, una corona identica a quella indossata dalla moglie di Vorkidex, la bella Ygerne, ultima regina del Keltar.
Era il massimo segno della regalità.
«Come mai hai deciso di indossare il diadema proprio oggi?» le chiese Alienor.
Lilieth la guardò con dolcezza, e le accarezzò i capelli.
«Perché sono tornata nella mia terra. Dopo quasi diciotto anni, finalmente rivedo le praterie sconfinate, dove corrono mandrie di armenti, liberi nei vasti spazi. Sempre una pianura, sempre una campagna, questo luogo mi ride al cuore, o piange...»
I suoi occhi erano lucidi, e verdi come le praterie che stava osservando.


Alienor non poté fare a meno di notare il portamento nobile di Lilieth, e la sua compostezza, anche in quel momento così commovente.
«Stai pensando a tuo figlio, vero?»
Lilieth sorrise ed annuì:
«Avrei tanto voluto vederlo... ma sento che le nostre strade si sfioreranno soltanto. Lui sta andando incontro al suo destino, e noi al nostro. Nemmeno i discendenti dei re possono scegliersi la loro sorte, anzi. Noi abbiamo dei doveri in più, Alienor. I privilegi del passato, si devono scontare con le responsabilità del presente e del futuro: a noi è richiesto un sacrificio. Per salvare i nostri popoli, dobbiamo rinunciare a tutto ciò che abbiamo di più caro e sacro...»
Alienor si ricordò che suo padre le aveva detto qualcosa di simile, nel loro ultimo incontro.
Ricorda chi sei, e cosa rappresenti!
Erano passati pochi mesi da allora, eppure in quel momento sentì di essere profondamente cambiata.
«Solo adesso me ne rendo conto, Lilieth... guardando te, vedendo il tuo esempio... tu non hai avuto alcun privilegio dalla tua stirpe, ma soltanto dolore, eppure quando ti guardo io vedo una regina... quello che una vera regina dovrebbe essere... pronta ad esserlo fino in fondo, fino al sacrificio di sé»
Lilieth annuì:
«Il destino mi ha sottratto un figlio, ma mi ha donato una figlia. Non avere paura Alienor, io ti proteggerò. Ci faremo forza insieme, nei tempi difficili che verranno. Sopravviveremo, e contribuiremo a fondare un mondo migliore. Noi, che abbiamo rinunciato ai privilegi, che non abbiamo comandato, che non abbiamo desiderato il potere, noi che non abbiamo mai avuto un regno, un giorno, la Storia ci chiamerà regine!»


N.d.A.

La prima foto, nella realtà, mostra la confluenza del Rio Negro nel Rio delle Amazzoni presso la località di Manaus in Brasile.
Lord Vyghar di Linthael è interpretato da Johnny Depp nel ruolo di Jack Sparrow.
Sir Lorran Plum è interpretato da Orlando Bloom nel ruolo di Will Turner.
La principessa Alienor di Alfarian è interpretata da Isabel Lucas e la sua descrizione è ispirata a quella di Laura nel Canzoniere di Petrarca: "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi / che 'n mille dolci nodi gli avolgea / e  'l vago lume oltra misura ardea / di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi".
Gli attributi con cui viene nominato Marvin Vorkidian sono ispirati da diverse opere: il termine "Figlio di Cento Re" appartiene al ciclo fantasy di Avalon, capolavoro di Marion Zimmer Bradley, completato da Diana L. Paxton. Il termine "Il Profeta dei Keltar" (che era il titolo iniziale del mio manoscritto) era una rimodulazione del titolo del romanzo "Messia di Dune" di Frank Herbert, che più volte ho indicato come una delle mie principali fonti di ispirazione. Il termine "Principe promesso" è tratto dai romanzi di George Martin, con riferimento ad una profezia interna alla dinastia Targaryen, che assieme ai Lannister ha ispirato la dinastia Eclionner in questo mio romanzo. L'identità del Principe Promesso pare riferirsi ad un figlio di Rhaegar Targaryen.
Ygerne è il nome celtico di Igraine Pendragon, madre di re Artù di Camelot.
Lilieth Vorkidian è interpretata da Claire Forlani, nel ruolo di Igraine di Cornovaglia.

domenica 8 aprile 2012

Giovanna la Pazza, regina di Castiglia

Giovanna di Trastàmara, detta la Pazza, (Toledo6 novembre 1479 – Tordesillas12 aprile 1555), figlia di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d'Aragona fu:
- Duchessa di Borgogna e delle Fiandre dal 1496 al 1506, in seguito al matrimonio con Filippo I d'Asburgo.
- Principessa delle Asturie dal 1498 al 1504 (titolo che spetta all'erede presuntivo), in seguito alla morte del fratello Juan e della sorella Isabella.
- Regina di Castiglia e di Leon dal 1504 al 1555, in seguito alla morte della madre Isabella
- Regina di Aragona e di Navarra dal 1516 al 1555, in seguito alla morte del padre Ferdinando

File:Meister der Magdalenenlegende 002.jpgDal 1506 al 1555, i suoi titoli furono solo nominali, essendo stata giudicata malata di mente e rinchiusa a vita nella fortezza di Tordesillas.

Il potere effettivo fu esercitato dal padre Ferdinando d'Aragona fino al 1516 e poi dal figlio Carlo, primo re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero.

Giovanna era la terza figlia dei Re Cattolici, e divenne loro erede dopo che la sorella maggiore e il fratello maggiore morirono.

All'epoca era già sposata con Filippo d'Asburgo, figlio dell'imperatore Massimiliano I, arciduca d'Austria, e di Maria di Borgogna, duchessa delle Fiandre, a cui ho dedicato un post alcuni mesi fa.

Di temperamento ribelle e anticonformista, Giovanna era entrata in conflitto con i genitori e con la Chiesa cattolica, criticando i metodi dell'Inquisizione e la persecuzione degli Ebrei e dei musulmani.



Nessuno si aspettava che la regina Isabella avesse fatto testamento a favore di Giovanna, considerati i pessimi rapporti che intercorrevano tra madre e figlia. Forse Isabella sperava che l'influenza di Filippo, marito di Giovanna, avrebbe permesso a quest'ultima di assumere atteggiamenti più conformisti alla politica religiosa dei Re Cattolici.

E così, alla morte di Isabella, nel 1504, Filippo e Giovanna furono incoronati Re e Regina di Castiglia, contro la volontà di Ferdinando d'Aragona, che in questo modo perdeva l'influenza esercitata per trent'anni sulla Castiglia, in quanto marito della defunta Isabella.

File:PhillippeJeanne.jpg

Giovanna e Filippo, come si è detto, ebbero sei figli:



Giovanna era innamoratissima del marito Filippo, detto "il Bello", che però la tradiva.


I tradimenti del marito provocavano violente scene di gelosia da parte di Giovanna, che fin da bambina aveva mostrato un carattere che alternava momenti di irascibilità a momenti di grande malinconia, sintomi inquadrabili nell'ambito di una depressione bipolare, un disturbo dell'umore che però non ha niente a che vedere con la pazzia.


Filippo morì giovanissimo nel 1506, colto da malore dopo un esercizio sportivo.
Da quel momento, tutte le azioni di Giovanna vennero strumentalizzate dal padre di lei, Ferdinando il Cattolico, re d'Aragona, al fine di dimostrarne la pazzia per ottenere la reggenza sulla Castiglia.

Cosa accadde veramente a Giovanna? Possiamo tentare una ricostruzione per punti.

1) Giovanna sicuramente aveva un temperamento ribelle, anticonformista e irascibile, ma non era pazza.

2) Giovanna soffriva di crisi depressive, legate alle gravidanze, ai tradimenti del marito e poi alla morte del marito stesso, ma era comunque perfettamente lucida e capace di intendere e di volere.

3) Alcuni suoi comportamenti dopo la morte di Filippo vennero ingigantiti dai suoi nemici politici.
- Fu criticata la scelta di far imbalsamare il corpo di Filippo, ma all'epoca si ricorreva di frequente a questa procedura quando la distanza dal luogo del decesso (Burgos) a quello di sepoltura (Granada) era molto lunga, e la salma rischiava di danneggiarsi.
- Fu criticato il fatto che il corteo funebre sia stato molto lungo e si sia tenuto di notte. Riguardo alla lunghezza, Giovanna scelse Granada come luogo di sepoltura in quanto lì già era stata sepolta la regina Isabella, ed era dunque un atto di omaggio alla madre. Il fatto che si fosse tenuto di notte era dovuto al fatto, ovvio, che la salma di giorno avrebbe subìto un deterioramento maggiore a causa delle più alte temperature.

4) Subito dopo i funerali di Filippo, con un vero e proprio colpo di stato, Ferdinando d'Aragona, con l'appoggio dell'Inquisizione, fece arrestare Giovanna con l'accusa di "pazzia", e la fece rinchiudere nella fortezza di Tordesillas, nella quale la regina rimase "ospite" per i successivi 50 anni della sua lunga vita.


La prigionia di Giovanna a Tordesillas fu estremamente dura e resa ancora più difficile sia dal rigoroso isolamento a cui fu sottoposta, sia dai tentativi di costringerla a pratiche religiose, come la confessione, che ella ostinatamente rifiutava.
Alla morte di Ferdinando, Giovanna ereditò solo formalmente la corona aragonese, ma il testamento del re stabiliva che tutta la Spagna sarebbe stata governata dal primo figlio maschio di Giovanna, Carlo d'Asburgo, che non vedeva la madre da dieci anni e che desiderava diventare subito re.
Carlo confermò dunque la "pazzia" della madre, e nominò suo carceriere un suo fedelissimo, il marchese di Denia. Costui manifestò uno zelo esemplare nella sua funzione di carceriere-aguzzino, come dimostra la corrispondenza intrattenuta con Carlo, nella quale a volte gli ricordava che prima dei sentimenti filiali dovevano venire gli interessi politici: a volte suggeriva di applicare alla Regina la tortura perché questa sarebbe stata utile alla sua salvezza spirituale. Il marchese allontanava persino quei frati che, messi vicino alla Regina nel tentativo di convertirla, ne divenivano, invece, amici e difensori, come accadde per frate Juan di Avila. Di tutto veniva sempre informato il figlio Carlo.


Nel maggio 1520 scoppiò la cosiddetta rivolta dei Comuneros, un movimento politico che mirava a rovesciare il regime di Carlo V e a sovvertire l'ordine costituito. Nell'agosto dello stesso anno i rivoltosi occuparono Tordesillas, allontanarono il Denia e chiesero a Giovanna il suo sostegno.
 Giovanna apparve a tutti perfettamente lucida e consapevole della situazione. Ricevette diverse volte i rappresentanti degli insorti, ma non accettò di mettersi in guerra contro il figlio e rifiutò di firmare qualsiasi documento che legittimasse la ribellione.
Tutte le testimonianze concordano nel riferire che la regina Giovanna era perfettamente sana, a livello sia fisico che mentale.
 Lo stesso vescovo di Tolosa, raccolte le testimonianze alcuni religiosi, comunicava a Carlo che tutti concordavano nell'affermare la sanità mentale di Giovanna precisandogli anche che: «…vostra altezza ha usurpato il titolo reale e ha tenuto prigioniera a forza la regina, che è del tutto assennata, sotto il pretesto che sia folle…»
Carlo, ormai divenuto anche imperatore del Sacro Romano Impero e signore delle Americhe centro-meridionali, (famosa la sua frase "nel mio impero il sole non tramonta", in quanto se tramontava in Europa, risorgeva poi in America e viceversa), dopo il 1520 fu ancora più spietato con la madre.
Giovanna fu ricacciata in una seconda prigionia, ancora più dura e crudele della precedente, sempre sotto la custodia del marchese di Denia.
Per ironia della sorte, nonostante le dure vessazioni, Giovanna visse molto a lungo, al 
contrario dei suoi figli. Carlo V attese per decenni la morte della madre, ma mentre la 
salute fisica di Giovanna meravigliava tutta l'Europa, le condizioni fisiche 
dell'imperatore declinarono a causa di un tumore alla prostata.
Giovanna morì venerdì 12 aprile 1555, a 75 anni, dopo avere rifiutato per l'ennesima volta la confessione, assistita da Francisco de Borja, che testimoniò la sua lucidità. Il suo corpo uscì finalmente da Tordesillas, in quanto Giovanna aveva fatto richiesta di essere sepolta nella Cappella Reale della cattedrale di Granada, insieme all'amato marito Filippo e ai genitori, i Re Cattolici.
Nemmeno un anno dopo, Carlo V dovette abdicare, perché l'ipertrofia prostatica, all'epoca inoperabile, gli causava atroci sofferenze, e si ritirò nel convento di Yuste, nella desolata regione dell'Estremadura, dove morì nel 1558.