Ferrara, marzo 2001
Era stato un inverno mite, tutto sommato, ma non abbastanza da farle sentire il disagio che l'accompagnava ad ogni cambio di stagione.
La primavera stava per tornare, ma Giulia non ne traeva alcun beneficio, per quanto le piacessero i fiori e tutto il resto.
Si fece aria con la posta appena ritirata,
mentre rientrava a passi lenti nell’atrio dell'anonimo condominio dove abitava ormai da molti anni.
Nell’attesa dell’ascensore, non poté fare a meno di
chiedersi dove fosse stato suo figlio la notte prima.
Era tornato come al
solito che era già mattina, con i postumi evidenti di una sbornia.
Almeno si fosse
degnato di ritirare tutta questa posta! E questo assurdo mazzo di fiori senza neanche un biglietto! Come se bastasse questo per farsi perdonare una vita intera di follie...
Al pianerottolo notò che i vasi delle
piante sembravano secchi…doveva ricordarsi di innaffiarli, anche se ormai non le importava più nulla di nulla.
Rientrare in casa, comunque, era un sollievo, come se fosse stata fuori
un’eternità.
E’ incredibile come invecchiando si diventi estranei al
mondo. Eccomi qui... io e il mio rifugio, e tutto il resto è frontiera…
Nella penombra della cucina, a persiane socchiuse, buttò la posta sul tavolo, dopo aver spazzato via con un gesto stizzoso le briciole del pasto consumato dal figlio prima di mettersi a letto, mise il mazzo di fiori in un vaso e finalmente poté lasciarsi sprofondare nella sua poltrona preferita.
Meritato riposo!
Inforcati gli occhiali, aggrottò le sopracciglia, nel
rivolgere l’attenzione alle buste e ai depliants.
Reclame di supermercati, pizzerie, palestre, corsi di nuoto,
buoni sconto fasulli, vincite di improbabili vacanze ai Caraibi divennero nelle
sue mani ossute un cartoccio che prese maldestramente la direzione del cestino,
mancandolo per poco. In compenso colpì senza volerlo il
gatto che si aggirava da quelle parti attirato dagli aromi residui della
colazione.
L’anziana (ma poi non così anziana! Ho appena compiuto 65
anni!) si avventurò poi con animo più timoroso nell’esame di alcune
minacciose buste bianche con scritte azzurrine o verdemare e vi riconobbe sigle
tristemente note: “Agenzia per le entrate – Ministero delle Finanze” ,
“Telecom”, “Consorzio di bonifica”,
“Geom. De Marchi – Studio Amministrazione di Condominio” …
Il suo sospiro risuonò vigorosamente, tanto da stupire il
felino domestico, che mise indietro le orecchie.
Questa volta non ce la facciamo ad arrivare alla fine del
mese…
C’era però una busta diversa, che si imponeva tra le altre
per un non so che di ufficiale, di pomposo…pareva quasi una partecipazione di
matrimonio o un invito al gran ballo delle debuttanti…ricordi di altri tempi…(arcana
felicità fingendo al viver mio).
L’indirizzo era scritto a mano, in una calligrafia
all’antica, tutta svolazzi e ghirigori, ma con qualche esitazione, qualche
tremolio, come se l’avesse vergata una mano debole, malferma.
“Gent.ma Signora Giulia Federici Ved. Bruni, Via dei
Martiri 17, Ferrara”.
L'indirizzo era corretto.
Fin troppo... via dei Martiri... mai nome fu più azzeccato... e per giunta al numero diciassette!
Era comunque incuriosita, perché forse quella lettera era collegata al mazzo di fiori.
Ma certo! Questa lettera era insieme ai fiori!
Chi si prende più la
briga di mandare fiori e scrivere una lettera a mano a una signora della mia età? Forse qualcuno che si ricorda ancora che in un tempo remoto ero una donna piacente ed ho persino frequentato quella che si faceva chiamare la "creme"... l'elite... l'alta società...
Il solo pensiero le provocava un senso di disgusto.
Guardò di nuovo l'indirizzo, perché aveva colto in esso una nota stonata.
Le pareva di riconoscere la grafia: le suscitava un ricordo
antico, rimosso, perduto nella nebbia.
La curiosità prevalse comunque sul timore.
Afferrò il
tagliacarte d’argento, quello buono, che avevano regalato al
suo defunto marito quando era andato in pensione…anche se poi non se l'era potuto godere per molto, pace all'anima sua.
Recisa con un gesto secco e quasi rabbioso la busta, ne estrasse un foglio giallognolo zigrinato
che pareva carta da parati.
Era piegato e sigillato con ceralacca rossa, come si usava
una volta.
Un sigillo? Ma chi li usa più...
Fu allora che il ricordo rimosso tornò inesorabilmente a galla.
Oh mio Dio!
Distolse lo sguardo come se avesse visto qualcosa di orribile, e per un po' i suoi occhi fissarono il vuoto, e tutta la sua vita parve contrarsi e galleggiare in un limbo da cui non avrebbe voluto riscuotersi.
Ma non si poteva fuggire in eterno dal proprio passato.
Sapeva che prima o poi il passato si sarebbe ricordato di lei.
Inutile girarci attorno: aveva riconosciuto il marchio del sigillo, un simbolo che aveva amato intensamente, e poi odiato ancora di più: lo stemma
dei conti Ozzani di Fossalta.
Le mancò il respiro e le si serrò lo stomaco.
E' lei... è Virginia...
In un tempo molto, molto lontano, quella donna era stata parte della sua vita.
Prima che succedesse tutto il male... prima che tutto andasse a rotoli...
Sospirò.
Guardò la lettera di sbieco, con un misto di paura e di rabbia e, facendo appello alle poche forze residue, si costrinse a leggere qualcosa che sicuramente avrebbe sconvolto quella parvenza di equilibrio che era riuscita, nonostante tutto, a ricostruirsi nell'arco dei decenni.
“Mia carissima Giulia,
sono passati tanti anni dall’ultima volta che ci siamo viste, ma
posso immaginare che per te, come per me, non sia stato possibile dimenticare il legame che ci ha unite quando eravamo giovani e tutto ciò che avvenne all’epoca dei fatti che hanno segnato i nostri destini.
Ammetto fin d’ora, completamente, le mie colpe, per come sono andate a finire le cose.
Colpe per le quali provo rimorso e vergogna, e so di non meritare il tuo perdono, ma ti
prego, anzi, ti supplico di leggere fino in fondo questo mio importantissimo messaggio”
Giulia rimase per qualche istante incerta, col cuore che le pulsava
veloce.
Virginia, perché vuoi tornare a tormentarmi?
Si fece forza:
“Spero che il tempo sia riuscito a rimarginare almeno
in parte le ferite del passato, ma se così non fosse, questa potrebbe essere l’ultima
occasione che ci è concessa per chiarire tutto ciò che è rimasto per troppo
tempo in sospeso. Tu penserai che sia tardi per rimediare agli errori miei e della mia
famiglia, ma le circostanze sono molto cambiate, per tutti. Se c’è anche una
sola possibilità che quegli antichi torti possano essere riparati, questo va fatto ora, perché sono malata, gravemente malata…”
Giulia corrugò le sopracciglia.
“…e mi resta ormai poco tempo per fare tutto ciò che posso e che devo, per risarcire il
danno causato a te e alla tua famiglia.
Le mie decisioni e il
mio comportamento di allora furono gravi, ed io non ho scuse. Certo non posso restituirti la vita che avresti potuto
avere con Alessio…»
Un profondo sospiro di Giulia irritò nuovamente il gatto,
che questa volta si limitò a muovere all’indietro una sola orecchia.
«…
e questo dolore mi tormenta più della mia malattia, ma ci sono alcune cose della massima importanza che devi sapere. Anche se non ci crederai, io non ho mai smesso di provare per te lo stesso affetto che nacque quando ci conoscemmo sui banchi del ginnasio, e per quanto possa sembrare assurdo, è stato anche per questo che ho fatto ciò che non mai avrei dovuto fare”
Giulia provò un senso di nausea che la costrinse a sospendere per alcuni minuti la lettura, mentre cercava invano di scacciare l'ombra di un sospetto che l'aveva tormentata per tutta la vita.
Certe cose non andavano dette! Era meglio tacere, meglio far finta di non aver capito.
Perché Virginia voleva riesumare qualcosa che avrebbe dovuto rimanere sepolto per sempre?
“
Ma poiché chi semina vento raccoglie tempesta, ciò che ho fatto ha generato solo infelicità per per me, per lui, per sua moglie e per tutta
la nostra famiglia. Come avrai saputo, tra lui ed Esther le cose non hanno mai funzionato. Per ironia della sorte, o forse per una giusta punizione divina, colei era stata prescelta come salvatrice e continuatrice della nostra nobile stirpe non è stata in grado di portare a termine neanche una gravidanza. E così anche la sua unica vera dote, e cioè quel maledetto denaro che doveva
salvare l’onore degli Ozzani di Fossalta dall’onta del fallimento, si è rivelato alla fine del tutto inutile. Esther ha
portato con sé solo problemi e un dolore che tu non puoi
neanche immaginare, perché certe scomode verità sono rimaste sempre nascosta nel privato di
queste mura…”
Ma che sta dicendo?
Esther non aveva avuto figli, ma ufficialmente era apparsa una moglie irreprensibile per Alessio.
“…e tutto per una questione di “decoro” che ora mi appare così futile. Quanti errori! Ma lo sa il Cielo se li ho scontati tutti, in termini di dolore e di sacrificio, perché anche io, in fondo, ho dovuto
rinunciare a tutto…»
Quella era un'esagerazione insopportabile, eppure, se si voleva leggere tra le righe, poteva esserci qualcosa di vero.
«…e per tutta la vita, ogni giorno, ogni singolo istante, ho scontato la
condanna per le decisioni sbagliate prese nell’età dell’incoscienza…»
Giulia annuì.
L’età dell’incoscienza! Anche per me…
«…e sempre, negli anni successivi, avrei
desiderato cambiare gli eventi che ci hanno diviso.
Spero almeno che la tua vita sia stata felice e che il tuo matrimonio
ti abbia procurato le gioie…»
Un sorriso amaro le fece sentire il sale di una lacrima scesa
sulla guancia sinistra, infossandosi tra le pieghe della pelle avvizzita.
Le gioie!
Scosse il capo.
«…che meritavi, dopo aver tanto sofferto per causa nostra. So
che hai un figlio adulto e che vivi con lui: sapessi quanto ti
invidio! Il mio rimpianto più grande è di non aver avuto figli…»
Il sorriso di Giulia divenne una smorfia.
La mano le tremò lievemente.
I figli…
Che ne sai tu dei figli? Di cosa si prova quando ti accusano di tutto ciò che è andato storto nella loro vita, e ti rinfacciano persino il fatto averli messi al mondo!
«…e questo senso profondo di mancanza e solitudine si è fatto sentire
maggiormente quando Alessio ed Esther sono morti in quel terribile incidente. La gloriosa famiglia dei conti Ozzani di Fossalta si è quasi estinta…”
Giulia ebbe un brivido.
Quasi.
Una parola piena di implicazioni tali da schiacciare una vita umana.
“… ed io sono rimasta sola. Mi pare di risentire nella memoria l'eco di una delle tue citazioni preferite, a scuola,
(come andavi bene in letteratura!) quando scherzavi sulle mie origini
aristocratiche : “Tu della rea progenie degli oppressor discesa…” e poi non mi
ricordo più, ma so ch non era uno sfoggio di cultura: tu volevi dirmi che la
famiglia conta per l’amore che sa dare, non per il suo sangue blu, e tanto meno per il suo “buon nome”. Ed ora, mentre io non ho più nessuno, tu hai
l’amore e il calore che solo un figlio…»
Questo era troppo!
Basta!
Scagliò la lettera per terra, furiosa.
Si tolse gli occhiali, scattò in piedi, ma subito barcollò e si appoggiò in un angolo, in preda all'angoscia.
L’amore e il calore! Se bastasse l’amore di una madre per rendere felice un
figlio!
L’amore!
Questa parola di cui tutti si riempivano la bocca
senza chiedersi cosa fosse realmente... questo vocabolo ambiguo, che voleva dire tutto
e niente, che saturava i teleromanzi più dozzinali come le prediche più
seriose…questo passepartout col quale si credeva di poter accedere ad una scorciatoia per la felicità o acquistare crediti per il Paradiso, come se la vita,
terrena o eterna, fosse una “partita doppia” in cui tutto l’amore che tu dai
poi ti torna indietro…
mentre l’amore è soprattutto sacrificio, rinuncia…senza
chiedere nulla in cambio, mai…
L’amore e il calore! Come se le due cose si equivalessero!
Ma ci
sono delle volte in cui l’amore è freddo, è angoscia…
Come un tempo le notti in bianco ad attendere che il marito
tornasse dopo esser stato con l’amante di turno, e come ora, quando il figlio
tornava ubriaco da chissà dove, dopo aver gozzovigliato con chissà chi, e se
lei osava dire qualcosa, sbraitava e la insultava e poi, dopo…
le
mattine passate a cercare di consolarlo perché si sentiva in colpa…anche questo
era amore!
Ma non era abbastanza.
L'amore può essere molto, a volte persino troppo, ma da solo non è sufficiente per far funzionare una relazione, di qualsiasi tipo essa sia. Non è sufficiente...
Certe volte si chiedeva se fosse umanamente
possibile sopportare tanta sofferenza, trascinare la vita così, ancora, alla
sua età, con tutto il peso sulle spalle di una situazione come quella…
I suoi occhi verdi, un tempo tanto brillanti e ora
irrimediabilmente opachi, fissarono con disgusto la lettera, che giaceva sul
pavimento.
Il gatto la stava annusando con meticolosa attenzione.
Fu tentata di strapparla in mille pezzi, e aveva già teso la
mano con uno scatto nervoso, quando un impulso proveniente dal profondo la
indusse a trattenersi.
Rimase per un po’ come inebetita ad osservare il micio che
si sdraiava e si rotolava sulla lettera e le venne persino da sorridere,
controvoglia, di fronte all’assurdità di quella scena.
Alla fine raccolse il foglio…pareva pesasse come piombo…era
la debolezza dei vecchi tendini…quelli
dell’anima…
«
…il calore che solo un figlio può dare, soprattutto alla
nostra età. Sono sola,
ma non nel senso fisico: ci sono
qui in casa mia fin troppi “avvoltoi” che mi girano intorno aspettando che
passi a miglior vita per mettere le grinfie sulla mia eredità, che è poi tutto
ciò che si è salvato della maledetta dote di Esther, causa di tutti i nostri
guai.
No, la mia solitudine è morale: ho capito troppo tardi che
se anteponi astratti principi, per quanto nobili e legittimi tu li consideri,
al calore umano e all’amore, alla fine avrai intorno a te solo il deserto. Me lo merito, lo so, ed ora non posso pretendere che qualcuno mi dia affetto, che riscaldi
il gelo che sento intorno al cuore. Avevi ragione tu quando dicevi che un grande amore ricambiato è la
cosa più bella e più importante della vita…»
Giulia scosse il capo.
Davvero ho detto tutte queste sciocchezze?
Sentì il bisogno di accarezzare il micio, che si era
accoccolato nella cesta dei giornali vecchi.
«…e che non lo si può comprare con il denaro o con il prestigio
di un cognome, fosse anche quello dei conti Ozzani di Fossalta!
Ma non è questo il punto, non lo è più, o meglio: non lo è mai
stato. Se tu sapessi che altro c’era dietro, quali segreti nascosti nella mia famiglia e nella mia coscienza!
Se solo io avessi avuto la forza di dirtelo, forse avrei
evitato a te, a me stessa e ai nostri cari una sofferenza indicibile. Ma ormai è troppo tardi. Ho raccolto le mie ultime forze per scriverti il messaggio che adesso hai tra le mani ed ho incaricato una persona della massima fiducia affinché lo portasse
personalmente al tuo indirizzo…»
In effetti la lettera non era timbrata dall’ufficio postale,
per quanto fosse affrancata.
Mah…
Era tutto così assurdo.
Virginia, perché lo hai fatto? Proprio ora che mi illudevo di aver dimenticato...
«…e di imbucarlo questa sera stessa. Se, come sono certa, la tua forza
d’animo e il tuo grande cuore ti hanno permesso di arrivare a questo punto
della lettura, adesso sai come stanno le cose.
E siccome sono certa che sei rimasta la persona di valore che ho
conosciuto, confido nel fatto che tu comprenda che sarebbe per me un sollievo immenso poterti rivedere un’ultima volta
e poter avere l’opportunità di rimediare per quanto mi è possibile e con ogni
mezzo, anche economico, al male che ti ho fatto.
Con tutto il cuore ti porgo i miei più cari saluti e ti
abbraccio.
Per sempre tua
Virginia »
La nobile Virginia Ozzani, Contessa di Fossalta! La cara Virginia,
amica del cuore!
La perfida Virginia…
Con che coraggio,
dopo una vita di arroganza, di
ipocrisia e di intrighi, credeva che bastasse pentirsi sul letto di morte per ottenere il perdono e la compagnia delle persone a cui si era fatto tanto male.
Ma c'erano anche stati momenti
belli.
La loro era stata davvero una grande amicizia, intensa, di
quelle così forti e appassionate come solo nell’adolescenza possono nascere.
Rivide come in una sequenza di fotogrammi le immagini di due
ragazze che si rincorrevano su un prato, nel giardino di una
antica villa, e poi di due giovani donne che passeggiavano a braccetto nel
corso, salutando i conoscenti, ammiccando maliziosamente ai sorrisi degli
spasimanti.
Una dolcezza incredibile per un attimo la trasportò nella parte più radiosa del suo passato: se chiudeva gli occhi poteva
rivedere lo sguardo intenso di Virginia,
il suo profilo aquilino e aristocratico, i suoi lunghi capelli raccolti
sulla nuca candida.
Virginia Ozzani di Fossalta.
Così bella, così fredda, come un mattino di pallida primavera ancora legato al gelo dell'inverno.
Il buio calò di nuovo nei suoi pensieri.
Non poteva fare a meno di notare il fatto che Virginia avesse sottolineato una frase che era nel contempo giusta e volgare, doverosa e oscena, equa e ripugnante.
L’opportunità “di rimediare con ogni mezzo, anche economico”!
Che faccia tosta!
Come se si potesse comprare il perdono con
la vaga promessa di un’eredità! Tanto più con i soldi della dote di Esther!
Scagliò di nuovo il foglio per terra.
Non voleva i suoi soldi. E neppure le sue scuse tardive. Non
aveva mai voluto niente di questo da nessuno di loro.
Potevano andare tutti al diavolo, i nobili conti Ozzani di Fossalta!
E tuttavia l’odio che provava in quel momento era
esattamente proporzionale all’amore che c’era stato prima, anzi, era esso
stesso l'estremo segno di un amore che non aveva mai avuto fine.
E Virginia lo sapeva.
Sapeva che avrei letto fino in
fondo, che non avrei stracciato subito la lettera…
E sapeva anche che Giulia aveva un disperato bisogno di denaro.
Virginia sapeva sempre
tutto.
In questo era stata la più degna erede dell'antica astuzia degli Ozzani di Fossalta.
Se fosse per me potrei anche mandarla al diavolo…ma devo pensare a mio figlio... si tratta dei suoi diritti... non posso decidere per lui.
Le sue labbra si
strinsero.
Maledizione a te Virginia! Dopo tanti anni riesci ancora a manovrarmi!
Raccolse il foglio, e seppe di non avere scelta.