Mancavano, naturalmente, il Visconte e sua nonna Clotilde, ma anche Francesco Monterovere, offeso dal fatto che l'altro capofamiglia avesse dato forfait.
Francesco aveva comunque promesso a Roberto che avrebbe fatto da anfitrione nella successiva cena presso la residenza cervese dei Monterovere.
Roberto non sapeva, all'epoca, che era stata sua madre, Silvia Ricci-Orsini Monterovere a sconsigliare al marito, notoriamente poco diplomatico, di rimandare la sua partecipazione, sentenziando, con autoironia:
"I Monterovere è meglio conoscerli uno alla volta, altrimenti si rischia un'intossicazione".
E così all'incontro furono presenti sette persone: la governante signora Rita, la contessa Diana, sua figlia Silvia, il nostro Roberto, la viscontessa Antonietta, la nostra Aurora e l'immancabile chauffeur Battista.
Purtroppo, la Legge di Murphy agì anche quella volta e si concretizzò nel fatto che il traffico della Cervese di Forlì (da non confondere con la più moderna e più ampia Cervese di Cesena) già solitamente congestionato a causa del fatto che la strada era una sorta di collo di bottiglia stretto e tortuoso (fin dai primordi, quando quelle zone erano, come già ricordato, tutte ricoperte da paludi e foreste), quel giorno era praticamente fermo per due fattori concomitanti: l'ennesimo incidente presso l'incrocio di Carpinello (all'epoca non c'erano ancora le rotonde) e un "esodo" verso Cervia da parte di tutti i Forlivesi, essendo l'inizio ufficiale della stagione balneare del 1992.
Il risultato fu che Antonietta e Aurora arrivarono con due ore e mezzo di ritardo.
Naturalmente non era colpa loro, perché anzi erano partite in anticipo, intorno alle 15.30, per poi rimanere imbottigliate nel traffico nella zona tra Carpinello e Pievequinta, (dove un tempo sorgeva "e bosk de Marlinon", un antico bosco di cui resta solo un'immensa quercia).
Il traffico era visibile anche da Villa Orsini, per cui Diana, Silvia e Roberto sapevano che il ritardo era più che giustificato.
Finalmente, alle 18.30, la BMW di Battista (che grazie al cielo aveva l'aria condizionata) fece il suo ingresso nel vialetto di Villa Orsini.
Ne uscirono le due nobildonne e il fedele autista, il quale teneva in mano un misterioso pacco.
La governante, felicissima che fossero riuscite ad arrivare prima dell'ora di cena, invitò tutti ad entrare, sorridendo con bonaria indulgenza.
Per quell'occasione solenne, Aurora aveva scelto un look che fosse nel contempo formale e speciale, ispirato allo stile floreale del Salotto Liberty. Già mesi prima, in vista di questo invito, aveva commissionato un vestito a giacca su misura, con pantaloni a palazzo (wide-leg pants, si dice nel mondo della moda), con una base color malva su cui era applicata una fitta "stampa" floreale con i contorni in indaco e i petali color lavanda in tutte le sue sfumature, in particolare il rosa, il blu pervinca e il magenta.
Sotto la giacca indossava una blusa di seta di un rosa chiarissimo, con maniche e polsini a sbuffo, ondulati con volant.
Il trucco, molto leggero, mostrava una prevalenza del rosa, i capelli erano sciolti e ancora più biondi del solito. Le scarpe erano nere, a punta, con tacco alto nascosto dai pantaloni svasati. Era favolosa!
Diana Orsini vestiva con abiti scuri, poiché era ancora in lutto per la morte di suo marito Ettore, l'anno precedente. Il lutto stretto, e quindi l'obbligo del nero, era terminato da alcuni mesi, nei quali, gradualmente Diana era passata al blu scuro nelle varianti indaco, notte, oltremare e zaffiro,
che per molto tempo rimasero le prime scelte del suo guardaroba.
La gente giudicava strana quell'insistenza nel portare colori scuri in memoria di un marito con cui non era mai andata d'accordo.
Solo pochissimi riuscivano a capire che Diana Orsini portava il lutto per tutti i suoi cari, quelli morti anzitempo (due fratelli, due sorelle e il padre), quelli che aveva amato di più (Federico Traversari) e quelli che erano venuti meno negli ultimi anni, e cioè la madre Emilia, animatrice del Salotto Liberty e naturalmente Ettore Ricci, che era stato, nel bene e nel male, la colonna della casa e della famiglia.
Ma più in generale questo lutto si estendeva alla sua casa fatiscente e alla sua Contea sconfitta. le cui secolari tradizioni si stavano perdendo.
Roberto era in tenuta da Piccolo Lord di campagna, pettinatura compresa, una mise che si portava dietro dall'infanzia e che, con coraggioso sprezzo del ridicolo ed olimpica indifferenza nei confronti di ogni commento sarcastico, continuò a portarsi dietro, salvo rare e brevi eccezioni, per il resto della sua esistenza mortale. In fondo era ancora e sarebbe sempre rimasto ciò che era stato nella sua età più felice: il bambino della campagna.
Diana si fece avanti, porgendo la mano alla viscontessa Antonietta, la quale sussurrò <<Vostra Grazia>> e, accennando persino a una riverenza, le baciò l'anello di ametista che gli Orsini di Casemurate si tramandavano di generazione in generazione dal remoto giorno in cui papa Niccolò III concesse l'investitura comitale ai suoi nipoti Bertoldo e Bernardo.
La Contessa sorrise e disse: <<Suvvia, mia cara, non sono ancora una "santa reliquia">>, che era una delle sue battute preferite, specie in tarda età e poi aggiunse <<Lei è davvero incantevole, viscontessa, e ha trasmesso tutto il suo charme a sua figlia Aurora>>
Quest'ultima si esibì in riverenza e baciamano ancor meglio della madre, al che Diana, non potendo più avvalersi della sua battuta precedente, sfoggiò un sorriso ancora più benevolo:
<<Sei davvero uno splendore, Aurora, e che eleganza! Il tuo stile è divino e devo dire che coglie perfettamente l'atmosfera del mio salotto, che evidentemente mio nipote ti ha descritto>> e poi sospirò, chiedendosi, come tutti e come sempre, cosa mai avesse spinto una fanciulla tanto perfetta a mettersi con un personaggio eccentrico, sbadato e scontroso come Roberto.
Fu poi la volta di Silvia, che senza tante cerimonie abbracciò Antonietta come se fosse la sua migliore amica nell'universo, e poi ripeté l'abbraccio con Aurora, accompagnandolo però con il tipico sguardo inquisitorio e scettico che hanno le madri di figli maschi quando conoscono l'aspirante fidanzata del loro "pargolo", che continuano a difendere con la determinazione di una chioccia che vede minacciato il suo pulcino.
Del resto Silvia aveva capito subito che, nel rapporto tra Aurora e Roberto, era la ragazza che comandava, come del resto Silvia stessa, a sua volta, comandava ogni aspetto domestico della vita del povero Francesco Monterovere.
Subito la viscontessa si sentì in dovere di scusarsi:
<<Vostra Grazia, sono desolata per questo terribile ritardo. Non avevamo mai visto un ingorgo del genere. Oltre tutto, per l'emozione, mi sono dimenticata il mio Motorola MicroTac Platinum a casa... sì, il telefono cellulare, voi non l'avete? Se io l'avessi avuto con me, avrei subito chiamato per avvertire del ritardo e porre a tutti voi le mie scuse>>
Diana, con un cenno, indicò che non era necessaria alcuna scusa, e aggiunse:
<<Il traffico era bloccato anche a Casemurate, per cui non c'è nulla di cui dobbiate scusarvi.
Piuttosto, dopo un viaggio così disagevole, se volete rinfrescarvi, la signora Rita vi indicherà la stanza da bagno>>
La viscontessa Antonietta, sollevata, ringraziò e accettò subito la cortesia, e dopo di lei fu il turno di Battista, che, per precauzione, si portò dietro pure il misterioso pacco.
Al contrario, Aurora rispose che era a posto così.
Roberto non ne era convinto: conosceva ormai certe stravaganti abitudini delle sua ragazza e anche i veri motivi che c'erano dietro. Era stata lei stessa a rivelargli tutto, la prima sera che erano usciti insieme, mentre erano al cinema.
Aveva sperato che, almeno per un giorno, Aurora avrebbe cercato di contrastare alcune ossessioni feticistiche sviluppate in seguito a traumi infantili.
Ma purtroppo, sperare che lei cambiasse tali masochistiche erotizzazioni senza l'aiuto di un terapeuta era un po' come la speranza dei Bretoni nel ritorno di re Artù da Avalon: una speranza vana.
Nel frattempo, Diana Orsini mostrò alcuni ritratti dei precedenti Conti di Casemurate, fino ad arrivare al proprio:
<<Io sono la diciottesima, come la Duchessa d'Alba, nelle cui vene scorre il sangue degli Stuart.
Ma le generazioni che mi separano dal primo Conte, Bernardo Orsini, sono molte di più: il fatto è che spesso, purtroppo, i figli sono morti prima dei genitori.
Tra l'altro, anche nella nostra famiglia, l'erede del Conte in carica porta un altro titolo, e cioè Visconte di San Zaccaria... certo non è il massimo, ma da queste parti bisogna sapersi accontentare>>
Subito Aurora intervenne con entusiasmo:
<<Ah, quindi siete dei visconti anche voi! E chi detiene il titolo adesso?>>
Diana sorrise:
<<Dunque, è un discorso che faccio fatica a comprendere persino io.
Teoricamente spetterebbe al figlio primogenito maschio, ma io non ho figli maschi, come il mio defunto marito non perdeva occasione di ricordarmi.
Tuttavia, Ettore era riuscito, appena in tempo, ad ottenere dalla Consulta Araldica, la successione del cognome Orsini (senza però il cognome Paulucci, che mia madre mi trasmise perché i Calboli, dopo la morte di suo fratello Fulcieri, avevano ottenuto dalla stessa Consulta la trasmissione per via femminile del cognome).
Così le mie figlie sono diventate le tre considerevoli sorelle Ricci-Orsini.
Riguardo ai titoli, il discorso è più complicato.
Ci sono delle regole della Consulta, che pur essendo stata formalmente abrogata dalla Repubblica, è arbitra in queste materie.
Quando morì il conte Achille, mio padre, la Consulta espresse una sentenza in mio favore, per cui, almeno agli occhi dei Pari, ho ereditato tutti i titoli di mio padre e li posso trasmettere alle mie figlie, seguendo la linea di successione.
Ora, la mia primogenita Margherita, essendo già, iure uxoris, Marchesa Spreti di Serachieda, ha rinunciato a favore della mia secondogenita Silvia, qui presente, la quale dopo molti tentennamenti si è degnata di accettare questo titolo di viscontessa di San Zaccaria, che le spetta suo iure, ma non lo usa, perché il suo Salotto Intellettuale è frequentato da personaggi di estrema sinistra che se lo sapessero le taglierebbero la testa...>>
Silvia intevenne:
<<Mamma, non incominciare con i tuoi sermoni altrimenti non ne usciamo vivi...>>
Ad Aurora brillavano gli occhi dalla gioia:
<<Quindi lei, signora Monterovere, potrebbe diventare la prossima Contessa?>>
Silvia fece un gesto vago con le mani, come se questi discorsi fossero per lei privi di qualunque rilevanza:
<<Mah, non lo so, forse ci vorrebbe un'altra sentenza, non è ben chiaro.
Però, sinceramente, io preferirei mantenere un profilo basso, a differenza di mia madre e di mio figlio, che starebbero a parlare all'infinito di genealogie, araldica, stemmi, cavalieri e feudi, inserendo anche aneddoti, dettagli, curiosità e via dicendo sulle "gloriose" imprese dei nostri antenati, sorvolando sul fatto che erano pieni di debiti.
Adesso poi Roberto ha trovato un nuovo complice, mio cognato Lorenzo, che è fissato con un certo castello, non so dove...
In ogni caso è del tutto prematuro parlare della successione di Diana Orsini, che come potete vedere è un'ottantenne in forma smagliante e potrebbe anche campare più di me!>>
Nel frattempo, la viscontessa Antonietta aveva fatto ritorno, fresca come una rosa, e aveva rivolto un cenno all'autista factotum.
A quel punto Battista si profuse in un grande inchino immotivato, per poi dichiarare solennemente:
<<Vostra Grazia, mi permetta di consegnarle questo presente come pensiero da parte dei Visconti di Bertinoro>>
L'attenzione di tutti si concentrò dunque sul pacco, che era piatto, rettangolare e molto grande.
Si capiva subito che era un quadro, ma nessun membro del clan Ricci-Orsini pensava si trattasse proprio di quel quadro.
E invece sì, era proprio lui...
Fu Antonietta a darle la felice comunicazione:
<<In verità, più che un presente, è una restituzione di qualcosa che avrebbe dovuto essere vostro.
E' un dipinto del 1912, intitolato Rêverie, realizzato da un pittore dell'età edoardiana, avente come soggetto qualcuno che forse Vostra Grazia potrebbe riconoscere>>
Diana era così ansiosa di verificare se fosse davvero ciò che lei pensava, che quasi lo strappò dalle mani di Battista, il quale osò perfino ricordarle che si trattava di un "oggetto delicato e di valore".
Rita era già pronta con le forbici per tagliare i lacci, la scatola e i cartoni vari.
Nel giro di meno di un minuto, Diana poté constatare che finalmente, dopo ottant'anni, poteva osservare con i suoi occhi quel dipinto di cui aveva tanto sentito parlare.
E a quel punto, tutta la sua usuale compostezza lasciò il posto ad una strana energia, quasi euforica, che le derivava dalla possibilità di chiudere un conto in sospeso da una vita.
<<Non ci posso credere! E' il ritratto di mia madre a ventidue anni. E sapete perché era così triste? Perché era incinta della sottoscritta, e Achille Orsini, mio padre, non l'aveva ancora sposata.
Non avete idea di che scandalo fu, quando io nacqui dopo soli quattro mesi dalla cerimonia nuziale.
Ma forse donna Clotilde ve ne avrà parlato, perché poi è anche il motivo per cui il quadro è rimasto alla famiglia di mia madre, i Paulucci di Calboli, che vi hanno venduto il palazzo.
Mio nonno materno, il conte Raniero, non sapeva nulla delle condizioni di mia madre, quando commissionò il quadro, e lei, pace all'anima sua, non aveva il coraggio di dirglielo. All'epoca una cosa del genere era uno scandalo intollerabile, specie in una cittadina di provincia.
E infatti dopo che il conte Orsini fu costretto a sposare mia madre Emilia, senza ricevere nemmeno un centesimo di dote, i Calboli non vollero avere più nulla a che fare con noi, e si tennero pure il quadro.
E lo nascosero in soffitta!
Come quello di Dorian Gray, e magari è proprio per questo che mia madre è vissuta così a lungo e in buona salute fisica, pur avendo abitudini non del tutto salutari.
Vi sembrerà assurdo, ma per anni non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che fosse il ritratto ad invecchiare al posto suo!>>
Tutti sorrisero, perché in effetti il paragone con Dorian Gray aveva un suo fondamento,
La storia della lunga vita di donna Emilia Orsini Paulucci di Calboli, contessa iure uxoris di Casemurate, era risaputa, anzi, era diventata una leggenda, una delle tante che costellavano la Contea, il Feudo Orsini, il Maniero e soprattutto l'oasi felina di Confluentia Turriculae et Bevanus, considerata sede del culto pagano delle sacerdotesse della Vallis Padusa sive Candiana.
Diana era commossa:
<<Cara Antonietta, lei mi ha donato ciò che io ho pregato per anni di poter vedere almeno una volta nella vita.
Mia madre me ne parlava sempre, specie quando era depressa o ubriaca.
E infatti aveva incominciato a soffrire di crisi depressive proprio in quel periodo.
Reverie... "fantasticheria"... Ah, se quel povero pittore avesse saputo a cosa stava pensando realmente mia madre!
Eppure l'avrebbe dovuto capire, perché fu lei a scegliere quella posa strana, col cuscino, non solo per stare più comoda, ma perché il cuscino le coprisse un'eccessiva rotondità del ventre.
Dopo la mia nascita le venne pure l'esaurimento nervoso post partum, e fu da allora che iniziò a bere il Cabernet-Sauvignon al ritmo di una bottiglia al giorno.
Certo, c'erano anche altri problemi, più materiali, a cui poi si aggiunse tutta una serie di lutti, ma voi dovete capire che io sono cresciuta con il costante senso di colpa di aver causato la rovina di mia madre, cosa che lei peraltro provvedeva sempre a ricordarmi.
Ma io poi l'ho ripagata con la stessa moneta, perché non le ho mai perdonato il fatto di avermi costretta a sposare Ettore Ricci affinché pagasse tutti i debiti contratti da mio padre>>
A quel punto Silvia Ricci-Orsini Monterovere intervenne a gamba tesa:
<<Mamma, capisco l'emozione, ma c'è il tè in salotto che si raffredda. Facciamo entrare, insieme ai nostri ospiti, il ritratto perduto di nonna Emilia in quella che è stata la sua stanza preferita, il suo regno, il Salotto Liberty.
Venire, care... è stato un pensiero così gentile da parte vostra, ringraziate anche il Visconte e la cara donna Clotilde, che è la gentilezza fatta persona>>
Naturalmente era un elogio ironico, perché tutti sapevano che i Ricci-Orsini detestavano, ricambiati, quella vecchia arpia di donna Clotilde Visconti-Ordelaffi
Entrarono dunque, e collocarono temporaneamente il ritratto proprio sulla poltrona preferita della defunta contessa Emilia, il cui spirito non aveva mai abbandonato il Salotto, tanto che la governante, nelle notti di luna piena, lasciava sempre sul tavolino un calice di Cabernet-Savignon, che alla mattina trovava miracolosamente vuoto.
Chi lo bevesse, in memoria della buon'anima, non si seppe mai, anche se molti, in paese, evocavano i nomi di certe streghe che si nascondevano presso la confluenza della Torricchia nel Bevano.
Antonietta ed Aurora si sedettero sul divano floreale, che aveva ispirato l'intera scelta dei colori e dell'arredo di tutto il Salotto Liberty e di conseguenza anche del look della ragazza amata da Roberto.
<<Io invidio molto Roberto per avere una famiglia così anticonvenzionale. Nel senso buono del termine, voglio dire...>> precisò dopo aver notato che le labbra di Silvia si erano leggermente arricciate <<...è una storia da romanzo! Una bisnonna che arriva a novantotto anni bevendo una bottiglia di vino al giorno... è qualcosa di veramente leggendario.
E poi tutta la concatenazione degli eventi: il quadro, la gravidanza, il matrimonio, e poi di nuovo per la generazione successiva, il matrimonio combinato, le tre figlie, la guerra, i tradimenti, le morti misteriose, i nemici, gli scandali, le streghe, i processi, altri lutti, e poi tutto ricomincia per la terza e la quarta generazione... ma nemmeno "Via col vento" si sogna di avere una trama così avventurosa...>>
Antonietta si riscosse e diede un'occhiataccia alla figlia, che si interruppe subito.
Ma Diana sorrise:
<<Hai proprio ragione, Aurora. Io ho voluto raccontare tutto a Roberto, perché a volte, quando ci ripenso, mi chiedo io stessa come abbiamo fatto a sopravvivere. Ogni volta che tentavamo di rialzarci, ecco che ci cadeva un tegola in testa.
Ma sai qual è la nostra forza?
L'essere sempre e comunque orgogliosi di far parte di questa famiglia. E' un sentimento spontaneo, una specie di "mistica partecipatoria".
C'è una frase de "Il Marchese del Grillo", un film che rivedrei all'infinito, in cui il Marchese fa capire chiaramente il concetto. A tutti quelli che gli sparlano dietro e gli domandano chi si crede di essere per comportarsi in quel modo scandaloso, lui risponde: "Perché io so' io e voi nun siete un..." >> Si fermò in tempo: aveva reso l'idea.
Tutti risero, ma Aurora più degli altri.
La ragazza rideva proprio a crepapelle e Roberto si mise subito in allerta e con grande prontezza di spirito ed elegante nonchalance, le si recò vicino e le disse:
<<Vieni, amore, ti faccio vedere il resto della casa>>
Poi le porse la mano, l'aiutò ad alzarsi e con galante fermezza la condusse fuori dal salotto e poi, constatando di aver visto giusto. la scortò gentilmente e rapidamente in direzione del bagno,
Arrivarono appena in tempo, un istante prima che la diga di Assuan cedesse e un'alluvione inondasse il costosissimo abito floreale su misura, per non parlare di tutto il resto.
Dopo due minuti ininterrotti di Diluvio Universale, alla fine le fonti del Nilo si esaurirono e Aurora, secondo un copione antico, ma reso più eccitante dalla presenza del suo garçon, passò dall'estasi para-orgasmica alla vergogna, e il suo viso assunse lo sguardo compunto dell'infante che sa di aver combinato una marachella.
Roberto, che avrebbe voluto e dovuto porre un argine a tutto questo, ne era invece diventato complice. Aurora aveva sviluppato alcune malsane abitudini a partire dalla prima infanzia, quando, tra le altre cose, era stata costretta a fare "la damigella in interminabili matrimoni di illustri sconosciuti" o a presenziare per ore e ore, senza pause, ad altri simili eventi e cerimonie, come se fosse una Principessa del Sangue Reale che deve apprendere certe abilità. Era stata donna Clotilde a imporre quelle regole, con l'approvazione del Visconte e degli istitutori di vario genere che si erano presi cura di lei e di suo cugino. In seguito, durante l'adolescenza, in correlazione a tutto questo e la "scoperta di come si può stimolare il punto G in maniera alternativa" [testuali parole di lei], aveva sviluppato un delirante rituale con effetto incredibilmente e incomprensibilmente auto-erotico. Intendiamoci, non era l'unico segreto che Aurora nascondeva, ma forse il più strano,
E la cosa peggiore era che poteva danneggiare sia se stessa che gli altri che si trovano coinvolti, loro malgrado, in quelle follie.
Roberto avrebbe avuto il dovere di avvertirla, invece si era vincolato al rispetto della "Promessa del Cinema Astoria", che tra loro aveva ormai la stessa importanza del Giuramento di Strasburgo tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico.
Ma quella era solo una mezza verità.
L'altra mezza era che Roberto aveva accettato senza riserve il ruolo di "cavalier servente" di Aurora, completamente soggiogato dalla bellezza e dalla personalità di lei, e disposto a compiacerla in tutti i modi, pur di stare insieme a lei.
E le richieste della donzella si facevano di giorno in giorno più esigenti, in modo tale da invischiare il suo innamorato nelle sue stesse ossessioni, inoculando virus di depravazione nel candore ingenuo che Roberto era riuscito a mantenere puro per i suoi primi diciassette anni di vita.
Molti anni dopo, ripensando retrospettivamente alla follia a cui quell'amore l'aveva condotto, e alle conseguenze che ne erano derivate, Roberto trovò un nome appropriato per questo tipo di dinamica di coppia, e cioè il "Morbo di Windsor". La motivazione è ovvia: tutti sanno che i componenti maschili della dinastia hanno mostrato la tendenza ad essere soggiogati da donne forti come Wallis Simpson, Camilla Parker-Bowles, Meghan Markle, ma anche, seppur in maniera più costruttiva, la compianta Elizabeth Bowes-Lyon, che era la colonna a cui Giorgio VI si era appoggiato per trovare quella sicurezza che i genitori non gli avevano trasmesso.
Ma nel 1992, Roberto e Aurora erano disposti ad accettare, ironicamente, un'unica similitudine "reale" e cioè quella con Filippo I d'Asburgo, detto il Bello e Giovanna di Castiglia, detta la la Pazza.
In particolare Roberto, pur sapendo bene che Filippo I, Duca di Borgona, era morto giovanissimo, probabilmente avvelenato per ordine del suocero Ferdinando d'Aragona o del suo primo ministro cardinale Cisneros, pochi giorni dopo essere stato riconosciuto Re d Castiglia iure uxoris et suo iure, lo aveva preso a modello di riferimento, sia a livello estetico che a livello di politica matrimoniale.
Nel frattempo, ritrovata l'abituale compostezza, Aurora ringraziò Roberto:
<<Grazie, Rob, mi hai salvato la vita. Se avessi profanato il Salotto Liberty mia madre mi avrebbe scuoiata viva, e temo che lo avresti fatto anche tu.
E' che proprio non pensavo che avrei riso tanto. Voglio dire, tua nonna è molto più simpatica di quanto mi aspettassi in base ai racconti di mia madre. Tu me l'avevi descritta come una persona quasi sempre malinconica e triste, per cui non ero preparata ad una battuta come quella del Marchese del Grillo>>
Roberto le rispose con una considerazione che riteneva molto importante:
<<Si può essere allegri e tristi nello stesso momento. A me succede spesso.
E' un modo con cui le persone tendenzialmente malinconiche reagiscono alla propria stessa malinconia: più sono tristi e più vogliono scherzare e ridere.
Diana è così, la sua vita è sempre stata sospesa tra l'elegia e l'ironia, tra l'umorismo e la tragedia>>
Aurora annuì:
<<Credo che questa cosa dell'essere tristi e allegri insieme valga anche per me. Con in più il fatto che il conflitto tra la maschera e il mio "io" segreto diventa sempre più ingestibile>>
Lui la abbracciò;
<<Non preoccuparti. Puoi sempre contare su di me, come ti ho promesso l'altra sera al cinema.
Io ti amerò sempre e per sempre>>
Lei sorrise, sollevata:
<<Anch'io>>
Dopo un tenero bacio, Roberto disse:
<<E poi volevo dirti grazie per il quadro. Credo che Diana sia riuscita ad esorcizzare un senso di colpa infondato. Ha visto che in fondo quel quadro, per quanto di gran valore economico, come ci assicura il fido Battista, è comunque solo un quadro.
Forse soltanto oggi è riuscita a seppellire definitivamente sua madre.
Credo che fosse in vena di battute perché si sentiva finalmente libera dai fantasmi del passato.
E questo incontro è stato così spassoso, che il ghiaccio si è rotto subito, e nel momento in cui ridevamo, gli altri erano così presi dal discorso che non si sono accorti di nulla, riguardo al tuo problema idrico>>
Lei sorrise e poi lo abbracciò.
<<Come sei buono con me! Solo tu riesci a capire i traumi che ti ho descritto e quel che ne è derivato.
Ora ti dico una cosa di cui presto o tardi ti saresti accorto comunque.
Mio cugino Felix non solo sa tutto di queste cose, ma le sente, le prova e le vive anche lui, perché siamo cresciuti come gemelli, e abbiamo condiviso tutto.
Ma adesso io ho te, ti terrò stretto, e Felix dovrà farsene una ragione, come anche mio padre.
Temo però che tua madre abbia già capito che ho qualche rotella fuori posto, e non mi sembra di esserle particolarmente simpatica>>
Roberto minimizzò:
<<Mia madre ha un carattere diverso da Diana, è più simile ad Ettore e alla madre di lui, la severa maestra Clara Ricci, dal ferreo contegno, che ha scritto anche una fondamentale "Storia di Casemurate", pubblicata presso "Il Ponte Vecchio" di Cesena.
Però, mia madre è molto meno severa. E' molto affettuosa anche. Lei vuole vedermi felice ed io con te sono felice. Sempre>>
Ma "sempre" è una parola che non si dovrebbe dire mai.