Per Roberto Monterovere gli esami del primo semestre non furono un'esperienza piacevole.
Le materie su cui vertevano tali esami semestrali erano:
1) Economia Aziendale
2) Economia Politica I (Microeconomia)
3) Istituzioni di Diritto Privato
4) Matematica I (Analisi I e Algebra lineare)
5) Informatica
6) Lingua Inglese I.
Non c'erano ancora i crediti formativi, per cui gli esami si dividevano in due categorie: le annualità e le semestralità.
In Bocconi, all'epoca, i corsi erano tutti semestrali, ma sarebbe più indicato dire che erano annualità compresse in metà tempo, il che significava che il numero degli esami per semestre era 6, ed il programma era vasto e lungo.
Se si voleva rimanere in pari, bisognava sostenere, in un anno, ben 12 esami.
Per completezza riferiamo anche gli esami del secondo semestre del primo anno e cioè:
7) Contabilità e Bilancio
8) Economia Politica II (Macroeconomia)
9) Istituzioni di Diritto Pubblico
10) Matematica II (Analisi II e Matematica finanziaria)
11) Seconda lingua straniera I (Tedesco o Spagnolo)
12) Terza lingua straniera I (a scelta tra Francese, Tedesco, Spagnolo, Arabo, Cinese, Giapponese e Russo)
All'inizio del I semestre, Roberto, ignaro di cosa lo aspettasse e scioccamente illuso che si trattasse di un programma impegnativo sì, ma fattibile, applicò lo stesso metodo di studio del Liceo, salvo poi accorgersi che quel metodo non bastava più per ottenere risultati ambiziosi in termini di voti e di numero degli esami dati.
Bisognava avere altri requisiti tra cui ottima memoria e nervi d'acciaio.
La mente del giovane Monterovere era stanca, la sua memoria meno efficiente, i suoi neuroni già compromessi dalla nevrosi, il suo apprendimento meno veloce e il suo interesse per quelle discipline si rivelò inferiore del previsto.
Economia Aziendale era, per il 30%, aria fritta, (composta da definizioni ampollose, ambigue e infarcite di acronimi e di anglismi sulle varie questioni gestionali, strategiche e organizzative); per un altro 30% era studio degli indici o quozienti di redditività, solidità patrimoniale e liquidità più altre questioni di finanza aziendale, come fusioni e acquisizioni, joint venture, venture capital, leverage e altre amenità; per il rimanente 40% era un'introduzione alla ragioneria, cioè alla contabilità e al bilancio, e quindi noia allo stato puro e denso, un piccolo assaggio per prepararsi al mattone del secondo semestre, ossia l'esame specifico di Contabilità e Bilancio.
Il manuale di Economia Aziendale, il famosissimo "Airoldi, Brunetti, Coda" (detto ABC), era un enorme ammasso di affermazioni arbitrarie e concetti sfuggenti o quantomeno discutibili a partire dalla definizione stessa di azienda. Secondo Airoldi e soci, "si definisce azienda l'ordine economico degli istituti" dove per "istituti" gli autori dell'ABC intendono: le famiglie, le imprese e gli enti
pubblici.
Perché dare una simile definizione quando il Codice Civile definisce l'azienda in un modo diverso e più convincente?
L'articolo 2555 ci dice che: l'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
Ogni matricola bocconiana si trovava dunque di fronte al dilemma filosofico in stile "sesso degli angeli": l'azienda è un "ordine" o è un complesso di beni?
L'ordine è un concetto vago e astratto, il complesso dei beni è un concetto chiaro, concreto, tangibile.
Perché complicare le cose creando rivalità tra aziendalisti e giuristi? Non si sa.
Ma la rivalità esisteva anche e soprattutto all'interno dei cattedratici aziendalisti: non si trovano due manuali che definiscano l'azienda allo stesso modo: per alcuni è un istituto economico, per altri un'attività economica, per altri ancora un insieme di persone oppure un'organizzazione di beni e persone.
Su questioni di lana caprina come queste si andava avanti all'infinito, perché poi ogni docente interpretava le definizioni a modo suo, o le formulava in maniera diversa, aumentando la confusione.
Perché gli aziendalisti non si limitavano a prendere atto della definizione del Codice Civile? Mistero.
A proposito di Codice Civile, il Diritto Privato si rivelò essere la materia più difficile, per Roberto, perché richiedeva la memorizzazione del Codice Civile e delle leggi ad esso collegate, cosa che può essere paragonata soltanto ad Anatomia umana, per il tipo di memoria da elefante che richiede.
Il manuale era quello di Gianguido Scalfi, in quattro tomi, da aggiungere al classico e monumentale Torrente-Schlesinger, come supporto quando lo Scalfi si perdeva in oscure elucubrazioni e fumisterie metafisiche sulla filosofia del diritto.
La prima parte del corso era relativamente semplice, in quanto trattava le fonti del diritto, l'interpretazione del diritto, le distinzioni tra diritto pubblico e privato, tra diritto civile e penale, tra diritti personali e diritti reali, tra possesso e proprietà, tra impresa e azienda, tra persone fisiche e persone giuridiche, tra fatti e atti giuridici, tra colpa e dolo, per poi concludere trionfalmente l'introduzione disquisendo sul tema del danno ingiusto, del risarcimento del danno e della colpa grave.
Fino a qui si poteva quasi credere che quel corso fosse una specie di filosofia del diritto, complice il primo volume dello Scalfi.
Ma era un'illusione destinata a non durare.
La seconda parte del corso era infatti molto specifica, estremamente cavillosa e difficile da memorizzare.
Gli argomenti erano le obbligazioni e i contratti, (tutti quelli previsti dal Codice, e sono tanti), più le basi del diritto commerciale (imprese, società, azioni, titoli, cambiali, inadempimento del debito, cenni di diritto tributario, cenni di diritto fallimentare, cenni di diritto del lavoro). Il Diritto Commerciale sarebbe stato poi ripreso nei minimi particolari da un poderoso esame del secondo anno.
La terza parte del corso riguardava il diritto di famiglia e il diritto ereditario.
Gli articoli del codice dovevano essere conosciuti e ripetuti all'esaminatore comma per comma, parola per parola.
Mai a parlare di affitto, quello riguardava solo i terreni, ma per le abitazioni si parla di locazione!
Il docente, prof. Emanuele Lucchini-Guastalla, era, bisogna ammetterlo, un uomo colto e spiritoso e dunque brillante a lezione e spietato agli esami.
Un giorno, quando ancora si discettava della linea di demarcazione tra il civile e il penale, il prof se ne usci con una frase del tipo: "Certo il furto di un maiale è un reato efferato, per dirla tutta, ma il furto di due maiali, dico due maiali, rappresenta un violento attentato alla sacralità stessa della società umana"
Alcuni pensarono che parlasse sul serio, poi i più arguti capirono che era una battuta e infine scattò un applauso generale.
Meno felice fu l'esito di un'altra battuta, detta in tono serissimo:
<<Voi studiate economia e quindi farete tutti i commercialisti>>
Ci fu prima un attimo di sbigottimento, seguito da un mormorio sempre più intenso.
<<Perché reagite così? Cos'ho detto di male? Che altra professione seria potrebbe fare un laureato in economia?>>
Era l'autunno del 1994, e la magistratura, dopo aver azzerato la classe dirigente pubblica, tranne alcune eccezioni discutibili, aveva messo nel mirino la classe dirigente del settore privato, in particolare l'allora Presidente del Consiglio, il Cavaliere, che in Bocconi non godeva di particolare stima, nemmeno tra gli aziendalisti.
Il Cavaliere di Arcore aveva appena designato Monti come Commissario europeo, senza immaginare che così facendo si era scavato la fossa da solo, in quanto, molti anni dopo, il futuro senatore a vita gli avrebbe soffiato l'ambita poltrona di Presidente del Consiglio, su cui il prode Silvio aveva appoggiato le sue nobili terga per ben quattro governi.
A causa di questa nomina, il corso di Economia Politica I (o Microeconomia) fu tenuto da un suo associato, divenuto ordinario, di cui è cosa saggia tacere persino il nome, trattandosi di persona potente e molto permalosa.
Sulla carta gli argomenti del corso sembravano interessanti e, come in Diritto, la prima parte fu quasi filosofica: si partì dalla distinzione tra la Microeconomia e la Macroeconomia.
Fu subito chiaro che la prima, quella su cui verteva l'esame, era un'astrazione matematica piuttosto fine a se stessa, in quanto studiava il (presunto) comportamento dei singoli agenti economici, in sistemi con un numero limitato di agenti, che sostanzialmente si riduceva a tre: il soggetto offerente, che vendeva un bene in cambio di un prezzo; il soggetto acquirente (che costituisce "la domanda"), che è intenzionato ad acquistarlo ad un prezzo che sia però compatibile col proprio vincolo di bilancio e con l'utilità che attribuisce al bene stesso, e il terzo incomodo che è lo Stato che può imporre una tassazione.
La Macroeconomia invece era più utile e molto più interessante, perché studiava l'economia a livello aggregato: (e quindi tutti gli investitori, lavoratori, venditori, consumatori, ed enti pubblici e i rispettivi profitti, salari, tassi di interesse, tasse dirette o indirette, monete, bilanci, crediti e debiti) e dunque si occupava della struttura economica generale, dell'occupazione, dell'inflazione, del tasso di crescita della produzione e della performance economico-finanziari di interi Stati o di entità sovranazionali.
Ma tutto questo era rinviato al secondo semestre, perché nel primo si studiava solo la micro.
Il manuale di Hal R. Varian era un altro mattone di quelli molto pesanti, diviso in tre parti.
Nella prima parte vennero introdotti i concetti base degli economisti classici e neoclassici di matrice liberista: Mercato, Domanda, Offerta, Utilità, Vincolo di Bilancio, Teoria del Consumatore Razionale, Massimizzazione dell'Utilità
Nella seconda parte gli "attori" e i contesti cambiarono: si passò alla Teoria della Produzione e ai concetti di Impresa, Industria (intesa come settore industriale), Efficienza, Minimizzazione dei Costi, Ottimizzazione dei profitti, Principio di Pareto (e "ottimo paretiano"), Monopolio, Oligopolio, Mercato del Lavoro e dei Fattori di Produzione, Teoria dei Giochi , e infine all'Equilibrio economico generale.
Nella terza parte si introdussero concetti e teoremi relativi alla Scienza delle Finanze Pubbliche, e cioè: Fallimenti del Mercato (Esternalità, Selezione Avversa, Asimmetrie Informative, Azzardo Morale), Beni Pubblici, Teorema di Coase, Economia del Benessere (Welfare Economics), Teorema di Arrow.
Tutto meraviglioso a parole, ma ogni discorso si traduceva in modelli matematici, e le loro rappresentazioni in termini di geometria analitica, curve, intersezioni, rette tangenti, con rispettive equazioni, funzioni e derivate.
Tutte cose che Roberto conosceva bene, ma non aveva tenuto conto dell'effetto soporifero del docente, che si limitava a proiettare dei lucidi pieni di dimostrazioni matematiche e a leggerli con voce e cadenza così monotona da generare negli studenti uno stato di ipnosi.
Roberto ci ha giurato di non ricordare quasi nulla di ciò che veniva detto, perché era in una condizione di trance.
Il resto delle lezioni fu un susseguirsi di esercizi sui modelli presentati, variando le altre ipotesi di fondo relative al regime di libero scambio, alla concorrenza perfetta, al monopolio, al duopolio e all'oligopolio. Tali esercizi avevano l'effetto di due compresse di Tavor da 2,5 mg.
In fin dei conti, comunque, quegli esercizi erano banali dal punto di vista matematico e di per sé, quindi, non costituivano un problema.
Anzi, paradossalmente, l'unico esame per cui non ebbe bisogno di studiare fu Matematica I, perché negli ultimi tre anni aveva fatto praticamente solo quello, per far fronte alle continue interrogazioni di Amelio Sarpenti.
Lingua Inglese I invece fu un trauma: il professore, un anziano lombardo-oxoniense, tale Cantarelli, che aveva insegnato, da italiano, Lingua Inglese sia ad Oxford che a Eton e pretendeva che la perfezione grammaticale e la pronuncia degli studenti bocconiani fosse migliore di quella degli oxoniensi e degli etoniani.
Una delle sue più grandi ossessioni era la Duration Form, su cui Roberto aveva sempre avuto delle difficoltà.
Ovviamente parlava solo in inglese e interloquiva in continuazione con gli studenti così velocemente e con termini così desueti, che faticavano a capire cosa aveva chiesto e anche se lo avessero capito, non avevano la minima idea di come formulare una risposta decente. Tutti tranne Aurora, di cui il vecchio Cantarelli si innamorò perdutamente.
Ma Informatica fu il peggio del peggio, in quanto, la prima parte del corso si basò sul sistema operativo antidiluviano dell'MS-DOS.
Temiamo che i nostri lettori non siano sufficientemente attempati per ricordarsi cosa fosse il DOS della Microsoft, che precedette il Windows nelle sue infinite versioni.
Per darne un'idea, facciamo uno scherzetto a Bill Gates, andando su Google, suo nemico, e facciamo un bel copia e incolla da Wikipedia: "MS-DOS era un sistema operativo di Microsoft, attualmente non più in produzione, dedicato ai personal computer con microprocessore x86. Commercializzato dal 1982 al 2000, fu il principale esponente della famiglia di sistemi operativi DOS utilizzata nei PC IBM e compatibili, che negli anni ottanta arrivarono a rappresentare l'80% del mercato mondiale. Fino all'avvento di Windows 95, uscito nel 1995, è stato il sistema operativo per computer più diffuso al mondo"
Pensate un po' che sfiga era toccata a Roberto: il 1994/95 fu l'ultimo anno accademico in cui venne richiesta, nell'esame di Informatica, la conoscenza del DOS, che oggi apparirebbe tale e quale a un dinosauro, ed egualmente ingombrante e soprattutto inutile.
Sei mesi di tortura per imparare qualcosa che non sarebbe mai più servito a niente: questa era la grande efficienza bocconiana!
Per tutti questi insegnamenti erano previsti degli esami scritti nella seconda settimana di gennaio seguiti da esami orali nella prima settimana di febbraio.
Il primo scritto fu quello di Matematica e lì Roberto andò bene ed ebbe 29.
Poi ci fu lo scritto di Microeconomia e andò un po' meno bene, ma comunque bene: 27.
Il terzo fu quello di Economia Aziendale e non andò gran che bene, almeno per i suoi standard: 24.
Poi ci fu quello di Diritto Privato e andò ancora peggio: 21
Ma la mazzata furono gli esiti degli altri due esami:
Inglese: "insufficiente";
Informatica : "insufficiente".
Roberto, che nei momenti normali era ansioso, nelle crisi diventava stranamente calmo.
Accolse i risultati degli scritti con freddo pragmatismo, mettendosi subito a pianificare una strategia per limitare i danni.
Avrebbe sostenuto gli orali di Matematica, Microeconomia ed Economia Aziendale a febbraio.
Rifiutò il voto dello scritto di Diritto Privato, rimandandolo a dopo l'estate, insieme ad Inglese ed Informatica.
La sua fidanzata, Aurora Visconti, ebbe 29 in tutti questi scritti, e Roberto si complimentò con lei, ma fu irremovibile sulle proprie decisioni.
La lasciò libera di andare a festeggiare dove voleva e con chi le pareva e si ritirò per tre settimane in clausura volontaria nel monolocale del quinto piano, facendo voto di silenzio e di castità.
Applicò a se stesso una regola più severa di quella di San Bernardo di Chiaravalle, e poi, come un Crociato, si presentò agli orali pronto al martirio.
Matematica si risolse come previso con un 30 e lode in meno di un minuto.
In Microeconomia riuscì a spuntare un 29 mostrando un simulato entusiasmo per l'Equazione di Slutsky, la Legge di Walras, le Allocazioni Pareto-efficienti e il classico dei classici, ossia l'Equilibrio di Nash.
Si trattava di quello stesso John Nash che, dopo aver trascorso metà della sua vita rinchiuso in una clinica psichiatrica con la diagnosi di schizofrenia paranoide, aveva ottenuto, proprio nel 1994, in virtù del suo teorema che fu alla base della Teoria dei Giochi, il Premio Nobel per l'Economia.
Dalla sua esperienza fu tratto il film "A beautiful Mind", con un improbabile Russell Crowe nei panni di John Nash.
Quei due bei voti tamponarono l'emorragia di autostima che gli era piombata sulla testa a gennaio.
Roberto però non si faceva illusioni: il suo punto debole erano gli esami dove la memoria contava di più del ragionamento.
E infatti in Economia Aziendale ci furono problemi fin dalla prima domanda.
Esaminatrice era la prof. Dubini, che a lezione era tanto spiritosa, ma agli esami era terribile, per quella famosa regola che abbiamo già enunciato: i professori più spiritosi si rivelano quasi sempre i più pericolosi.
Ecco in sintesi come si svolse l'orale.
Dubini: <<Ho qui il suo scritto. Si vede che lei ha studiato, però in alcune risposte lei è andato fuori tema. Per esempio, qui le chiedevamo cosa sono il ROE, il ROA e il ROI e poi volevamo un esempio di applicazione di questi indici e lei è andato a tirar fuori il Teorema di Modigliani-Miller... Allora, mi ripeta le definizioni e poi mi dica perché ha divagato, menando il can per l'aia, invece di entrare nel merito>>
Roberto (imperturbabile) : <<Il ROE, acronimo di return on equity, è il rendimento del capitale proprio dell'azienda, mentre il ROA, return on asset, è il rendimento dell'attivo netto e il ROI, return on investment. Sono tre quozienti, con al numeratore il reddito netto e al denominatore rispettivamente il capitale proprio, l'attivo netto e il capitale investito. Ho scelto come esempio di applicazione di questi indici il Teorema di Modigliani-Miller perché utilizza tali quozienti per dimostrare che in determinate condizioni la struttura del capitale investito è ininfluente sul valore dell'impresa>>
Dubini: <<Sì, ma lei ha frainteso la domanda. Noi chiedevamo un esempio concreto, non un teorema! Mi faccia un esempio concreto>>
Roberto (fingendo una sicurezza che non aveva): <<L'esempio concreto più evidente è quello del Gruppo Ferruzzi. Negli anni tra l'89 e il '93 hanno usato la Leva finanziaria in maniera, a mio parere, spregiudicata. E quando i tassi di interesse si sono alzati, il gruppo si è trovato in una condizione di insolvenza>>
Dubini: <<Sì, ma lei deve spiegare come i quozienti di redditività sono collegati al concetto di leverage e solo dopo può trarre le conclusioni in termini di solidità patrimoniale e liquidità. Quindi, per prima cosa mi definisca per bene il concetto di Leva finanziaria>>
Risposta di Roberto: <<La Leva finanziaria è l'effetto moltiplicativo sulla redditività operativa, che si ottiene investendo capitali presi a prestito da terzi, in aggiunta al capitale proprio: nel caso ci siano redditività positive, si aumentano i guadagni, nel caso ci siano redditività operative negative si aumentano le perdite>>
Dubini: <<Sì, però l'ha detto un po' così, con i piedi>>
Roberto: <<Con i piedi?>>
Dubini: <<E' un modo di dire! La sua definizione è troppo contorta e nello stesso tempo trascura alcuni aspetti terminologici appropriati.>>
Roberto: <<Ho ripetuto le parole dell'Airoldi, tali e quali. Pagina 234, ho il libro nello zaino, può verificare>>
Dubini: <<Non ho bisogno di verificare. Lei ha trascurato una parte della definizione>>
Roberto: <<Ma solo perché è implicita nella definizione. Comunque è chiaro che l'effetto leva dipede dall'indice di indebitamento, ossia il rapporto tra il capitale investito e il capitale proprio (quello dei titolari dell'azienda). Se si investono capitali presi a prestito, allora il capitale investito è maggiore del capitale proprio. Questo risulta conveniente quando si ottengono tassi di profitto più alti dei tassi di interesse da pagare ai creditori. Però poi quando i tassi di interesse si si alzano, l'esposizione debitoria può diventare insostenibile, in casi di abuso della leva finanziaria, e si fa la fine del Gruppo Ferruzzi>>
Dubini: <<E' molto severo nei confronti di Arturo Ferruzzi e Carlo Sama. E in generale lei descrive la Leva finanziaria facendola sembrare un reato da speculatori senza scrupoli, mente in periodi di crescita economica è un grande strumento di ripresa, per le aziende>>
Roberto: <<Sì, mai poi quando i tassi di interesse si alzano, oppure quando il tasso di crescita economica diminuisce...>>
Dubini: <<Ma cosa sta dicendo? La crescita diminuisce? Cos'è, uno scherzo?>>
Roberto: <<No, è il tasso che diminuisce>>
Dubini: <<Si tolga la pistola dalla tempia>>
Roberto: <<Ma non ho detto una cosa errata. Il tasso è una percentuale e le percentuali possono diminuire. Parlavo del tasso di crescita, perché è collegato col tasso di rendimento del capitale investito. Se il rendimento è più basso degli interessi che l'azienda deve pagare ai creditori, è la leva ad essere una pistola alla tempia>>
Dubini (sorridendo malignamente): <<Ah, ecco, lei è il classico aspirante economista o finanziere che vuol far sembrare noi aziendalisti come dei sempliciotti che non sanno fare neanche le divisioni>>
Roberto (impassibile): <<Non ho ancora deciso cosa scegliere, come specializzazione>>
Dubini: <<Scelga Economia Politica. Lei è il classico teorico con la testa tra le nuvole, troverà tanti altri come lei, tra gli economisti. Le sconsiglio Finanza perché non ha il fegato dell'investitore che si assume il rischio, e non è sufficientemente astuto per fare lo strozzino.
E ovviamente la invito, per il suo bene, a stare alla larga da Economia Aziendale.
Ma tornando al caso Ferruzzi e all'intervento di Mediobanca: ha descritto il tutto come se fosse una questione personale. Lei è forse un parente di Enrico Cuccia?>>
Roberto: <<Eh, magari fossi parente di Cuccia! No, è chiaro che Cuccia ha pugnalato Arturo Ferruzzi alla schiena, però aveva le sue ragioni. Insomma, Arturo Ferruzzi non era all'altezza della situazione. Non ha accettato nessun compromesso con Mediobanca, che rivoleva indietro i soldi prestati. Arturo non aveva l'intuito di suo padre. Serafino Ferruzzi era un grande! Lui rischiava, ma sapeva investire nel settore giusto e nel momento giusto>>
Dubini: <<Ah, ma allora lei dev'essere di Ravenna! Sentivo la parlata romagnola. Sicuramente lei conosceva i Ferruzzi...>>
Roberto: <<Ehm, io sono di Forlì, ma mio nonno conosceva Serafino Ferruzzi. Era uno dei fornitori principali di barbabietole da zucchero per l'Eridania, che alla fine è l'unica azienda rimasta in piedi>>
Dubini: <<Uhm, quindi suo nonno aveva un'azienda agricola>>
Roberto: <<Sì, ora la gestiscono i miei zii>>
Dubini (sogghignano): <<Meglio così. Spero che non la voglia gestire lei. Andrebbe in malora nel giro di sei mesi, glielo garantisco>>
Roberto (serissimo): <<Mio nonno la pensava diversamente>>
Dubini (gelida): <<La ultima domanda è questa: lei che voto si darebbe?>>
Roberto (bluffando): <<28>>
Dubini (ridendo): <<Ah, ah! Ma neanche per sogno! Il massimo che le posso dare è 26>>
Roberto (sempre bluffando): <<Io credo di meritare come minimo un 27>>
Dubini (serissima) : <<E' la sua ultima parola?>>
Roberto (senza battere ciglio): <<Sì>>
Dubini (compiaciuta): <<Aggiudicato! Le do 27 perché almeno sa contrattare! Noi qui formiamo la classe dirigente del futuro, e valutiamo non solo le nozioni, ma anche le attitudini.
E le va riconosciuta la capacità di saper gestire una contrattazione anche in condizioni di stress.
Forse suo nonno non aveva tutti i torti, ma io resto dell'opinione che lei sia decisamente più portato per le questioni teoriche.
Mi creda, lei potrebbe anche diventare un economista con qualche incarico prestigioso, come il nostro Rettore, ma non un aziendalista, non un direttore generale e nemmeno un finanziare, se ne faccia una ragione>>
Roberto annuì solennemente, firmò verbale e statino, mentre la prof. scriveva il voto nel libretto.
Poi uscì da quell'aula, consapevole di essere riuscito ad evitare la catastrofe, ma non la sostanziale sconfitta.
Incrociò Aurora, che aveva sostenuto l'esame con un assistente, un maschio molto sensibile alla bellezza femminile, che le aveva dato 30 e lode.
Insomma, Aurora, dopo gli orali, aveva avuto 29 in Matematica, 29 in Economia Politica, 30 in Diritto Privato, 30 e lode in Inglese, 29 in Informatica e 30 e lode in Economia Aziendale.
Roberto si congratulò con lei.
Dentro di sé, però, era furibondo per quell'ingiustizia.
Obiettivamente, lui aveva studiato molto, quell'ultimo mese, mentre Aurora era andata sempre in giro a sperperare denaro che non le apparteneva nemmeno, e alla fine lei era in pari con gli esami e aveva una media vicina al 30, laddove invece Roberto aveva dato solo tre esami su sei, con una media decisamente minore.
Sentì che gli mancava il terreno da sotto i piedi, gli sembrava di sprofondare.
Vista così, la sessione invernale degli esami diventava molto più seria: non era una semplice sconfitta, era una disfatta!
Per la prima volta nella sua vita sentì il bisogno di bere alcolici non per degustarli, ma per ubriacarsi sul serio, cosa che non aveva mai sperimentato.
I Prefetti del Quinto Piano lo capirono subito e trascinarono Roberto, da solo, in un rinomato pub della zona dei navigli, per una cameratesca serata senza le rispettive fidanzate.
E quella sera, come vedremo nel prossimo capitolo, il giovane Monterovere ebbe modo di farsi un'idea più completa della Milano by night.