Tra i tanti problemi di Francesco Monterovere c'era anche quello dell'invadenza di sua zia Anita, e questo perché Anita Monterovere, non avendo una vita propria, si era insinuata in quella dei suoi nipoti in maniera astuta e implacabile.
Nel caso di Francesco, poi, era stato molto facile.
La madre di lui, Giulia Lanni, soffriva di gravi problemi cardiaci, ed era costretta a vivere a letto, bombardata di farmaci che le abbattevano la pressione sanguigna e la sedavano pesantemente.
Anita quindi era divenuta una sorta di "madre surrogata" per Francesco, aiutata anche dalla sua cultura e dal suo indubbio carisma.
Viveva nel grande appartamento dei genitori, insieme alla vecchia madre Eleonora Bonaccorsi, nonna di Francesco, e ad alcuni cugini di quest'ultimo, rimasti orfani a causa della tubercolosi o della guerra.
Era una dimora signorile, che donna Eleonora e sua figlia Anita avevano acquistato grazie ai proventi che derivavano loro dall'essere socie dell'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, la quale aveva distribuito le quote anche per oscuri motivi di risparmio fiscale.
E quello era un motivo decisamente concreto per cui il padre di Francesco, l'inflessibile Romano Monterovere, aveva imposto d'autorità ai figli di recarsi ogni maledetta domenica a rendere omaggio alla nonna Eleonora e alla zia Anita, nonché ai cuginetti.
Il salotto della "signorina Monterovere" era molto grande e riccamente arredato, con uno stile tardo vittoriano che dava l'impressione di trovarsi all'interno di un castello neogotico inglese.
Essendo inoltre Anita una donna colta, l'unica dei nove fratelli Monterovere ad aver frequentato il Ginnasio e successivamente l'Istituto Magistrale, esercitando onorevolmente la professione per quarant'anni, ci teneva che il proprio salotto diventasse un centro di ritrovo per l'intellighenzia faentina, anche sfruttando le numerose amicizie di suo fratello Edoardo, la cui carriera politica era ormai consolidata.
Se c'era dunque una donna teoricamente in grado di poter apprezzare la futura suocera di suo nipote Francesco avrebbe dovuto essere proprio Anita Monterovere, e invece, come purtroppo accade di frequente, quelli che in teoria dovrebbero essere i nostri principali sostenitori, diventano al contrario, e per ragioni difficilmente comprensibili, i nostri più acerrimi nemici.
Quando infatti Francesco, vincendo la sua naturale ritrosia a parlare di questioni personali, soprattutto quelle che riguardavano i suoi sentimenti, si confidò con la zia Anita, quest'ultima reagì mostrando una freddezza mai vista prima.
E dire che all'epoca non c'era ancora nulla di concreto tra Francesco e Silvia!
Ma la zia mostrò uno sdegno che non avrebbe sfoderato nemmeno se il nipote le avesse dichiarato di aver commesso un omicidio.
Francesco ne fu sconvolto, ma attribuì tale reazione ai meri pregiudizi di suo padre nei confronti di Ettore Ricci, e questo fu il suo secondo errore, perché l'oggetto del risentimento di Anita era un altro.
La signorina Monterovere, infatti, aveva maturato, in segreto, un rancore del tutto irrazionale nei confronti della famosa Diana Orsini, diciottesima Contessa di Casemurate, la cui fama era giunta molto oltre i confini della Contea, arrivando fino a Faenza e dunque fino al salotto della zia Anita, la quale, ascoltando i miti che circolavano riguardo a quella donna leggendaria, si era subito schierata contro di lei, quasi ne avesse ricevuto un torto personale.
I meno informati avrebbero potuto liquidare la questione come una tipica rivalità tra primedonne, ma questa spiegazione sarebbe stata riduttiva e parziale, perché in fondo il rancore di Anita nacque ben prima di conoscere Diana di persona, e il suo anatema verso la figlia di quest'ultima fu del tutto immotivato e assurdamente esagerato, tanto da sfociare in una vera e propria faida, una sorta di Guerra delle Due Rose.
In questo caso, le radici di questo conflitto vanno ricercate molto in profondità, nella psicologia delle due donne che per i successivi quarant'anni si sfidarono in un duello senza esclusione di colpi.
Contrariamente a quel che si crede, le faide familiari non riguardano l'odio e nemmeno gli interessi materiali o le competizioni che possono, in origine, averle causate.
Le faide riguardano il dolore e hanno la loro vera origine nel dolore.
E' il dolore che le alimenta e le tiene in vita anche quando se n'è perso ogni plausibile significato.
Nel caso della faida che a partire dagli Anni Settanta si sviluppò tra Anita Monterovere e la suocera di suo nipote Francesco, Diana Orsini, c'erano da parte della prima le frustrazioni tipiche di una vecchia zitella inacidita e da parte della seconda la totale sfiducia nell'istituzione matrimoniale da parte di una nobildonna decaduta costretta a sposare, in giovane età, un contadino arricchito per evitare la rovina economica della propria dinastia.
Per capire come mai questi due dolori, vissuti da due donne intelligenti, seppur di carattere orgoglioso e permaloso, siano sfociati in un'ostilità così profonda da ripercuotersi su tutte e due le loro famiglie (il clan Monterovere e il clan Ricci-Orsini), è necessario partire da origini remote, che affondano le radici in profondità (perché come scrisse Tolkien: "le radici profonde non gelano").
Incominciamo dunque dalle origini.
Anita Monterovere e Diana Orsini erano coetanee, entrambe nate nel 1913, alla fine della Belle Epoque, di cui sembravano essere l'ultima sopravvivenza esistente sulla faccia della Terra, in particolare quelle rare volte in cui si sarebbero trovate ad essere "compagne di merende" nei loro rispettivi salotti: quello neogotico della prima e quello liberty della seconda.
Ma le similitudini non finivano qui.
Sia Anita che Diana erano venute al mondo in famiglie che, pur essendo state un tempo ricche e importanti, attraversavano una fase di profonda crisi finanziaria, e dunque, nonostante avessero ricevuto un'educazione di prima classe (studi ginnasiali, diploma magistrale, lezioni di pianoforte, canto, francese, equitazione e danza classica) erano ben consapevoli che soltanto un matrimonio con un uomo ricco avrebbe potuto salvarle dagli usurai.
Come ben sappiamo, Diana fu costretta dai genitori a sposare Ettore Ricci, il figlio dell'usuraio Giorgio Ricci detto "Zuarz",
Sappiamo inoltre (per quanto sia ora opportuno ritornare sull'argomento) che Anita Monterovere non si sposò mai, pur essendo più bella di Marlene Dietrich (a cui assomigliava in modo sorprendente), a causa del suo carattere acido e irascibile, che metteva in fuga anche i pretendenti più determinati.
Lei stessa ne parlava con disprezzo, chiamandoli "i miei sette fidanzati di gomma", alludendo anche alle loro scadenti prestazioni sessuali.
Pur ostentando disprezzo verso i suoi ex, Anita invidiava profondamente tutte le donne sposate, in particolare quelle che avevano sposato un uomo ricco, mentre Diana invidiava tutte le donne nubili, perché non erano state costrette a sposare un uomo che non amavano, come era invece successo a lei.
La questione economica era un'altro motivo di rancore.
Anita Monterovere, che in gioventù avrebbe tanto desiderato farsi mantenere dalla famiglia o da un marito o un amante, dovette invece lavorare come maestra elementare nella lontana città di Fiume (che all'epoca era ancora italiana) per sopravvivere negli anni in cui la sua famiglia stava cercando di risollevarsi dalla crisi creando l'Azienda Escavatrice e Idraulica di cui si è detto sopra.
Diana Orsini invece, che avrebbe desiderato più di ogni altra cosa di diventare insegnante, fu costretta dal marito a occuparsi delle questioni domestiche, subendo peraltro le insolenze della governante Ida Braghiri, la donna più perfida e astuta della sua generazione, che poteva contare sulla cieca fiducia della famiglia Ricci.
Ma arriviamo a questioni più vicine agli argomenti e agli eventi che furono alla base della faida.
Anita invidiava tutte le donne che avevano figli e pertanto, quando (miracolosamente scampata alle foibe titine) tornò da Fiume a Faenza nel '44, fece di tutto per insinuarsi nella vita familiare dei suoi fratelli e, approfittando del carattere fragile o della salute cagionevole delle sue tisiche e cardiopatiche cognate, riuscì a fare da madre ai suoi nipoti, in particolare a quelli maschi, tra cui il nostro Francesco, futuro genero di Diana Orsini.
L'appartamento di Anita Monterovere a Faenza divenne quasi l'abitazione principale dei figli dei suoi fratelli, così come il suo salotto si trasformò, come lungamente auspicato, in un ritrovo intellettuale.
Ma Anita sapeva che avere dei nipoti, per quanto assoggettati, non era la stessa cosa che avere dei figli.
Lo sapeva bene anche Diana, che invece aveva vissuto le sue tre gravidanze come un'ulteriore sciagura capitatale durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione tedesca, seguita poi dalle vendette partigiane, e in più si era sentita rimproverare dal marito perché aveva partorito solo figlie femmine.
E dal momento che Diana non era il tipo da sopportare in silenzio le critiche, rispose ai rimproveri del marito con un vero e proprio "sciopero sessuale", impedendo ad Ettore di toccarla fino a quando una fortunatamente prematura menopausa svincolò entrambi i coniugi dal dovere matrimoniale della riproduzione.
Per Anita tutto questo era scandaloso e disdicevole, ma in fondo era sempre l'invidia a muovere il suo apparente disprezzo verso Diana.
Ma la colpa principale di quest'ultima era aver generato una figlia che, senza nemmeno rendersene conto, stava strappando ad Anita il suo nipote preferito, Francesco, per il quale aveva già, nelle sue fantasie, scelto la moglie ideale, ossia una certa Ivana, maestra elementare che era stata sua allieva e poi giovane collega.
Era semplicemente inconcepibile, per Anita, che Francesco potesse aver messo gli occhi su un'altra donna non scelta da lei, e men che meno proprio sulla figlia di Diana Orsini.
Per questa ragione, quando Francesco, ingenuamente, confidò alla zia di essersi innamorato di Silvia Ricci-Orsini, la signorina Monterovere considerò questo fatto come un gravissimo affronto personale e un imperdonabile atto di lesa maestà.
E come un pontefice del Medioevo, Anita, dopo una lunga e severissima requisitoria, degradò il nipote a "pecora nera della famiglia" e scagliò contro Silvia e sua madre Diana il proprio inappellabile anatema, a cui tenne fede con implacabile determinazione, dedicando il resto della sua purtroppo lunga vita a rovinare la vita stessa delle altre due donne, che all'epoca non avevano mai neppure sentito parlare di lei.