Nel memorabile incipit del più famoso passo di "The Vision of Sir Launfal", il poeta romantico americano James Russell Lowell si pone, in maniera retorica e quasi paradossale, un quesito sorprendente: "And what is so rare as a day in June?" .
L'interpretazione letterale ci rimanda ad un topos poetico. Il poeta si riferisce al fatto che in giugno si trovano le giornate più lunghe dell'anno (intese come ore solari) e la natura raggiunge il suo massimo rigoglio, così come per metafora durante la giovinezza la vita delle persone è al suo apice, e la felicità sembra essere a portata di mano. Questa la spiegazione, di per sé, è limitata, perché consiste in un luogo comune a cui si ricorre fin troppo spesso in poesia.
A nostro parere Lowell ci dice molto di più : nel senso che, se il poeta insiste tanto nell'associare la felicità a questa fase dell'anno e al momento culminante della giovinezza, allora la probabilità di essere felici viene circoscritta ad un periodo breve, e di conseguenza raro, e quindi la domanda che Lowell si pone è molto più generale e inquietante, ossia: "Che cosa c'è di più raro della felicità?"
E' questo il senso : è la felicità ad essere rara, non i giorni di giugno.
In maggio, però, è tutto un altro discorso, almeno secondo Roberto Monterovere.
In quel famoso Anno della Falsa Primavera, la felicità lo raggiunse di sorpresa, in un sabato di maggio, e poi lo riempì e lo travolse a tal punto da fargli credere che fosse possibile riuscire a sapere e a capire davvero i sentimenti e i pensieri della persona amata. Ma non è così. Certe cose, anche importanti, non le sapremo mai e non le capiremo mai.
Noi non amiamo la persona, ma l'idea che ci siamo fatti di quella persona: solo se si è consapevoli di questo, si può dare solidità ad un rapporto, senza restare delusi quando l'idealizzazione viene meno e coloro che abbiamo messo su un piedistallo ci si mostrano in tutte le loro infinite sfaccettature.
"Era de maggio...", dunque, come recita una meravigliosa canzone napoletana che vorrei facesse da introduzione sonora a quanto stiamo per raccontare.
Quel giorno era destinato a rimanere impresso nella mente di Roberto, in ogni singolo dettaglio, per tutta una serie di circostanze che fece coincidere una fase felice della sua vita con un evento tragico della storia nazionale italiana, ossia la strage di Capaci, nella quale persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Era, per la precisione, il 23 maggio 1992, e la vita politica italiana si trovava in una fase di sconvolgimento, per tutta una serie di eventi ben noti che provocarono la crisi dei partiti tradizionali e l'emergere di nuove forze politiche.
Normalmente Roberto seguiva la politica, anche se non aveva in merito le idee molto chiare.
In quel periodo, il suo innamoramento per Aurora gli aveva fatto perdere di vista tutto il resto (tranne i suoi doveri di studente), e in quei giorni, in particolare, vedeva tutto con gli occhiali rosa dell'amore,
Era un sabato, e approfittando del fatto che il resto della famiglia era nella villa di collina, Aurora aveva invitato Roberto a casa sua, per un pomeriggio rilassante di musica e di confidenze.
Certo era strano che i Visconti-Ordelaffi lasciassero la loro unica figlia da sola nel grande palazzo, ma in fondo era presente il personale domestico, per cui non erano davvero soli.
Quando Roberto arrivò, Aurora era ancor più bella del solito, e volle fargli vedere le varie stanze del piano nobile, per poi arrivare, inevitabilmente, alla sua camera.
Intendiamoci, nessuno dei due aveva in mente nulla di erotico: si trattava semplicemente di trascorrere il tempo ascoltando canzoni romantiche e condividendo le proprie emozioni.
La stanza di Aurora era molto ampia, ma diversa da come Roberto se l'era immaginata.
Era in stile contemporaneo, geometrico e minimalista. Le pareti erano rosa, mentre i mobili erano in parte color fucsia e in parte color lavanda.
Da un lato c'era un ampio guardaroba, in un armadio a muro che occupava quasi due pareti (angolo compreso). Dall'altro c'era una finestra, un mobile di frassino che poteva essere adibito sia a libreria che a vano portaoggetti. Poi, sempre di frassino, c'era una scrivania con computer, cancelleria e cassetti fucsia e lavanda con maniglie a forma di cuore.
Addossati alla parete di fondo c'erano un comodino, un comò a cassettoni (sempre fuscia e lavanda con maniglie a cuore) sopra il quale troneggiava una specchiera con vari oggetti di cosmetica.
In mezzo a tutto questo, si trovava un tappeto enorme, pulito, molto spesso e morbido, con alcuni peluches sparsi e poi, naturalmente, accostato al muro, un letto a una piazza e mezzo, con lenzuola floreali e vari cuscinetti colorati. Subito dietro c'era un rivestimento in pelle bianca, foderato e sormontato da un pannello rosa su cui erano inserite alcune cartoline, foto di famiglia e di amici, più gli idoli di Aurora, in particolare Claudio Baglioni (il suo preferito) e Lucio Battisti (il numero due).
Quelle immagini erano gli unici indizi che potevano far pensare che la camera fosse abitata da una diciassettenne.
Per il resto sembrava più la camera di una bambina di prima media molto diligente e rispettosa delle regole.
Roberto ebbe la vaga impressione che ci fosse qualcosa di strano.
E' davvero questa la stanza della Principessa dei miei sogni? O c'è anche un'altra stanza, segreta, dove lei nasconde le prove di una personalità diversa da quella che la famiglia ha tentato di plasmare?
Per il momento preferì non pensarci: in fondo quel giorno era il loro primo vero incontro in cui potessero parlare liberamente per molte ore.
Aurora esordì dicendo:
<<Ma ti ricordi che una volta mi chiamavi per cognome?>>
Lui non se lo ricordava, ma cercò di giustificarsi:
<<Era solo per scherzare>>
Lei non ci credette:
<<No, no, all'epoca proprio non ti interessavo per niente. Per punizione adesso, come avevamo già preventivato, ti farò ascoltare tutte le mie canzoni preferite, partendo ovviamente da quelle di Baglioni, che tra l'altro ti assomiglia un po'>>
Per lui non c'era alcuna somiglianza:
<<Abbiamo in comune solo il naso>>
Lei rise:
<<Che scemo! Io mi riferivo agli occhi, al sorriso, ai capelli lunghi, soprattutto nelle foto di lui da ragazzo, in cui aveva poco più della nostra età. E lo sguardo, vedi, ha l'aria di un sognatore con la testa tra le nuvole>>
Roberto osservò i poster, risalenti agli Anni '70 :
<<Sì, forse qualcosa... vagamente... ma solo se preso dal profilo giusto. Comunque mi sono fatto crescere i capelli solo perché me l'hai chiesto tu. I miei familiari disapprovano, tranne Diana, naturalmente>>
Aurora sorrise:
<<Spero che tu me la faccia conoscere. Mia madre mi ha parlato tanto di lei>>
Lui annuì:
<<D'accordo, organizzerò un incontro, anche se temo che tuo padre e la tua bisnonna non ne saranno felici, per non parlare della famiglia Porcu>>
Lei scrollò le spalle, come se si trattasse di una questione trascurabile:
<<E' mia madre che conta, e lei stravede per te>>
Poi tornò alla carica su Baglioni:
<<Era un figlio dei fiori, un hippy, ma non si è mai schierato politicamente con la sinistra>>
Roberto sorrise:
<<Le cose stanno cambiando. Dagli tempo. Prima o poi approderà anche lui al lido dei radical-chic. E tu, politicamente, a chi ti senti vicina?>>
La risposta fu più che eloquente:
<<Io e i miei genitori siamo liberali conservatori, i miei votano il PLI. I miei nonni e i miei zii sono di destra, votano il MSI. La bisnonna Clotilde è monarchica e ogni volta deve cercare di capire in che partito sono finiti i monarchici>> rise <<E tu?>>
Lui, come sempre, non aveva le idee chiare:
<<Io non ho certezze, forse perché i miei genitori hanno idee diverse tra loro, anche in ambito politico, così come le loro famiglie. I Monterovere sono progressisti e i Ricci-Orsini sono conservatori.
Io potrei definirmi come un laico di centro, a metà strada tra i liberaldemocratici e i socialdemocratici... qualcosa del genere>>
Lei annuì:
<<Può andar bene, sia a me che ai miei. E il resto della famiglia dovrà farsene una ragione.
Ma adesso passiamo alla musica.
Ho qui una compilation del meglio di Baglioni. Prima però vorrei fare una premessa, contro quelli che dicono che fa venire il latte alle ginocchia. Lo dicono perché non lo conoscono bene: le sue canzoni, oltre che essere musicalmente molto valide e cantate con grande perizia, non sono affatto banali, nemmeno quelle che sembrano dei tormentoni dal titolo ammiccante. Questo piccolo grande amore, per fare l'esempio più noto, affronta un tema che secondo me è profondo: a volte noi non sappiamo riconoscere ciò che stiamo cercando, nemmeno quando ce l'abbiamo davanti, e quando alla fine ce ne rendiamo conto, ormai è troppo tardi: abbiamo allontanato la nostra fortuna, e abbiamo provocato solo dolore, prima agli altri, e poi a noi stessi.
Lei lo ama sul serio, ma lui ha paura di mettersi in gioco, di prendere un impegno>>
E questo era proprio ciò che Roberto realmente pensava:
<<Forse credeva che lei meritasse di meglio>>
Aurora scosse il capo:
<<Ma lei lo amava davvero, e lui continuava a svicolare, a non capire che lei era la sua anima gemella. La canzone è molto chiara su questo punto: "Ed io, io non ho mai capito niente, visto che oramai non me lo levo dalla mente, che lei...". Perché voi uomini non riuscite a sintonizzarvi con i messaggi che le donne vi mandano?
Non riuscite nemmeno ad accorgervi delle cause del vostro stesso dolore: il non aver capito in tempo, il non avere avuto il coraggio di essere chiari e sinceri, il non aver trovato mai le parole appropriate e i comportamenti coerenti.
Perché la presa di coscienza di tutto questo arriva sempre, inesorabilmente, in ritardo?
E qui si arriva al finale della canzone, al momento in cui lui si rende conto dell'errore e del dolore causato a lei e a se stesso, e del fatto che, per molto tempo, tutto questo è stato come rimosso dalla coscienza: "E io, io non lo so quant'è che ho pianto / Solamente adesso me ne sto rendendo conto"... e a quel punto mi commuovo sempre... forse perché ho paura che succeda anche a me, e ho bisogno di avere al mio fianco qualcuno che sia capace di rassicurarmi e di infondermi coraggio.
Del resto, non è forse quello che desideriamo tutti?>>
Roberto, che non era sicuro di nulla, neppure della propria esistenza, si sentì inadeguato nel ruolo di colui che rassicura e protegge. Lui era il filosofo eretico, destinato a problematizzare l'ovvio e ad abolire l'idolatria del fatto compiuto. Come poteva infondere sicurezza?
Se fosse stato veramente onesto, avrebbe dovuto dire tutto questo.
Ma l'amore ci fa credere di poter diventare ciò di cui la persona che amiamo ha bisogno.
Decise di nascondere la propria insicurezza e di manifestare i propri sentimenti.
Ma occorreva farlo con estrema delicatezza e tenerezza.
Erano seduti sul morbido tappeto. Prima le sfiorò dolcemente la mano, mentre con l'altra le accarezzò una ciocca di capelli, dorata e preziosa come seta.
Lei era bellissima. Era la persona più bella che avesse mai visto in vita sua, ed ora lui, che non si sentiva degno di lucidarle le scarpe, le si era proposto come compagno.
Aspettò trepidante la reazione di lei.
Aurora gli strinse la mano e con l'altra gli spettinò i capelli, sorridendo, e poi entrambi si avvicinarono e si scambiarono un bacio molto casto, e rimasero abbracciati per un po'.
Lui era al settimo cielo, lei gli si stringeva forte al petto, proprio come nella canzone.
Roberto sentì il cuore di lei palpitare forte, all'unisono col suo.
Aurora gli sorrise e gli disse:
<<Ho bisogno di te, Roberto. Promettimi che starai al mio fianco, e che non mi abbandonerai>>
Lui, tornando a guardarla in viso e asciugandole le lacrime di commozione, rispose:
<<Aurora, io ti amo. Per quale motivo dovrei abbandonarti?>>
Lei gli sussurrò:
<<Ci sono cose che non sai, ma che presto io ti rivelerò. Non oggi... oggi è solo per noi>>
Lo abbracciò di nuovo, e poi si baciarono, e quella volta fu un vero bacio, appassionato.
Con una mano lei riaccese il mangianastri e rincominciò la musica.
Il tempo trascorreva senza che loro se ne rendessero conto.
Rimasero abbracciati, a baciarsi e ad accarezzarsi con dolcezza e grande rispetto reciproco, senza permettere che gli istinti prevalessero sul loro bisogno di romanticismo e di affetto.
Per lui era vero amore, ma per lei? Forse neppure lei avrebbe saputo rispondere.
Nel frattempo le canzoni si susseguivano ("E tu..." "Strada facendo", "Tu come stai?", "Porta portese", "Viva l'Inghilterra", "Avrai", "Io me ne andrei"), ma una su tutte rimase impressa nella mente di Roberto, e cioè Mille giorni di te e di me.
Non potevano immaginare che sarebbe stata quella la "loro canzone".
Era bellissima, certo, ma non era una canzone felice, anzi, era la rappresentazione della fine di un grande amore, terminato per una scelta ben precisa: lui lascia lei per evitare che un dolore più grande la colpisca.
"Ti ho fatto male per non farlo alla tua vita".
Quella frase straordinaria e terribile, in quel momento sembrava solo un modo per dire che a volte amare significa anche lasciar andare chi si ama.
Nessuno di loro due poteva immaginare che, dopo meno di mille giorni, quella frase sarebbe stata l'epitaffio della loro storia.
Gli amori felici non sono letterariamente interessanti : la letteratura ha sempre privilegiato gli amori contrastati, se non addirittura impossibili. Non occorre citare gli esempi, li conosciamo tutti a memoria.
A volte gli ostacoli sono di tipo familiare, sociale, ambientale, situazionale; altre volte sono di tipo psicologico, personale, individuale.
A distanza di trent'anni dagli eventi narrati, risulta ancora difficile capire quali di quegli ostacoli furono più rilevanti nel rovinare il rapporto tra Aurora e Roberto, anche perché nessuno dei due, in tutto quel tempo, disse o fece mai nulla per chiarire la natura stessa di questo rapporto.
L'unica cosa che sappiamo è che, in quel sabato pomeriggio, sia lei che lui erano stati semplicemente due adolescenti sensibili, pieni di sogni e di paure, due anime che si erano confortate a vicenda, e avevano condiviso un sogno romantico e una innocente tenerezza.
Niente di più, quel giorno, ma anche niente di meno.