sabato 19 novembre 2016

Harry Potter's world. Alberi genealogici e altre curiosità

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter



Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Risultati immagini per veela harry potter

Mappa del mondo secondo Trump

Che cosa vuole, realmente, Angela Merkel, e perché sarà l'Italia a subirne le conseguenze

German Chancellor Angela Merkel  at a meeting of the Confederation of German Employers' Associations (BDA), Berlin, November 15, 2016 © John Macdougall



Angela Merkel si trova in una situazione analoga a quella di Adolf Hitler quando la sua Grande Germania si trovò schiacciata dall'alleanza tra gli anglo-americani da una parte e i sovietici dall'altra.
Ora infatti al posto del Terzo Reich abbiamo un'Unione Europea teutonica e germanocentrica, che si trova ormai assediata da forze avverse: la Gran Bretagna del dopo Brexit, gli Stati Uniti di Donald Trump e la Russia di Putin. 

L'Unione Europea germanocentrica è l'ultimo baluardo di un'ideologia totalitaria, il neoliberismo globalista, che è stato rifiutato in tutto il resto del mondo, impedendo la realizzazione di quello che, negli ultimi 25 anni, è stato considerato il Nuovo Ordine Mondiale.

La Merkel si è ritrovata ad esserne l'ultimo alfiere politico (a livello economico i banchieri sono ancora saldi sulle loro poltrone dorate) e di fronte a questa sorta di investitura ha deciso di ricandidarsi per la quarta volta.

Ma chi è, veramente, Angela Merkel? Quali sono le sue idee e le sue strategie?
Non è una domanda facile.
Dietro a quella faccia da mastino si nasconde un enigma avvolto nel mistero, per dirla con Churchill.
La Merkel vuole veramente diventare il capo politico di ciò che resta del Nuovo Ordine Mondiale, oppure vuole fare gli interessi della Germania?
Le due cose non vanno necessariamente d'accordo, come ha mostrato la questione dell'accoglienza degli immigrati, ben vista dall'elite finanziaria, che vuole nuovi schiavi, e mal vista dalla gente comune.
Su questo tema, come su altri argomenti, la Merkel si è mostrata ondivaga, oscillando tra le posizioni dei falchi tedeschi come Schauble e il presidente della Bundesbank e quelle dei tecnocrati europei, come Juncker, o dei grandi banchieri centrali, come Lagarde e Yellen.

Cerchiamo dunque di capire cosa ha in  mente Angela Merkel e quali rischi correrà l'Italia durante la campagna elettorale per la rielezione della Cancelliera.

Da Diariodelweb: http://esteri.diariodelweb.it/esteri/articolo/?nid=20161116_396184

L'establishment trema: Merkel incoronata «ultimo baluardo dell’ordine mondiale»

BERLINO - L'annuncio che in Europa tutti attendevano è arrivato: Angela Merkel si candiderà per il suo quarto mandato alle elezioni dell'autunno 2017. Ad annunciarlo, il vice presidente federale della Cdu, Norbert Roettgen, alla Cnn. Niente più esitazioni, insomma, per la Merkel, che aspira a diventare il Cancelliere più longevo della storia. Pur reduce da un vero e proprio periodaccio a livello politico: con l'estrema destra tedesca in costante crescita, un risultato deludente alle regionali, un serpeggiante malcontento popolare per la sua politica di accoglienza nei confronti dei rifugiati e la Grande Coalizione tra Cdu e Csu sull'orlo della rottura da mesi.

La spinta di Donald Trump
Ma a darle la «spinta» che le serviva per rimettersi ufficialmente in gioco sarebbe stata l'elezione a sorpresa di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. che pare aver destabilizzato la calma (apparente) che regnava, fino alla scorsa settimana, sulle cancellerie europee. «Calma» è decisamente una parola grossa: la Brexit è passata come un terremoto su Bruxelles, evidente segno dei tempi e avvertimento sullo stato dell'arte. Eppure, l'impressione era che i leader europei, decisamente restii a imparare la lezione, di quel terremoto si fossero già sostanzialmente dimenticati. E a risvegliarli, questa volta, è arrivato un vero e proprio ciclone da oltreoceano.

«Tu non sei andata alla deriva»
In mezzo a tante turbolenze, il «sistema» sembra già aver trovato il proprio ultimo baluardo, l'estrema roccaforte cui aggrapparsi per non essere definitivamente spazzato via: Angela Merkel. La quale, non a caso, mentre gli americani consegnavano il proprio Paese a Donald Trump, veniva insignita di un illustre riconoscimento dal Rabbino Arthur Schneier, sopravvissuto dell'Olocausto, presso la Sinagoga di Munich: «Molte nazioni si stanno scontrando con instabilità,turbolenza, e stanno andando alla deriva nel mare dei conflitti», ha detto Schneier.  "Tu non sei andata alla deriva», ha sentenziato.

La stampa internazionale la incorona a nuova leader del mondo libero e liberale
Un'analisi unanimamente condivisa dalla stampa mainstream internazionale. Diversi analisti vedono la cancelliera come l'unica «leader del mondo libero» rimasta, l'ultimo pilastro dell'attuale ordine mondiale. «Merkel...è all'improvviso diventata il leader più importante del mondo libero, democratico e liberale», sottolinea il quotidiano di sinistra Ttedesco az. Lo storico ed editorialista Timothy Garton Ash è apparso sulla stessa lunghezza d'onda dalle colonne del Guardian: «Sono tentato di dire che adesso il leader del mondo libero è Angela Merkel». Addirittura, molti analisti considerano la visita di oggi di Barack Obama a Berlino un vero e proprio passaggio di testimone alla Merkel. Prima della visita, proprio Obama ha ricordato che la cancelliera tedesca «è probabilmente stato il mio alleato internazionale più stretto in questi ultimi otto anni». In effetti, sui principali dossier internazionali - Ucraina, Siria, rapporti con la Russia in primis, Obama e Merkel sono sempre stati allineati.

Ma la Merkel ha molte preoccupazioni
Il trionfalismo della stampa internazionale, che in coro acclama Merkel a novella regina non solo d'Europa, ma di tutto il «mondo libero», non può nascondere le giustificatissime preoccupazioni che serpeggiano nei corridoi della Cancelleria berlinese. Preoccupazioni che emergono, quasi paradossalmente, dal risolutissimo e non formale messaggio di congratulazioni inviato da Merkel a Trump dopo la vittoria di quest'ultimo. La cancelliera ha infatti sottolineato che ogni «stretta cooperazione» deve essere sulla base dei «valori della democrazia, della libertà, del rispetto dello stato di diritto e della dignità umana, a prescindere dall'origine, dal colore della pelle, dalla religione, dall'orientamento sessuale o dal credo politico».

Quando Trump definiva «folli» le sue politiche sui migranti
Ad Angela devono cioè essere passati per la mente in un baleno i possibili contraccolpi che una presidenza Trump potrà avere sulla sua Germania, sull'Europa così come lei l'ha costruita, e sul suo stesso destino politico. Trump ha caratterizzato la Merkel come la rovina dell'Europa, descrivendo le sue politiche sui rifugiati come «folli» e «catastrofiche», e l’ha più volte paragonata a Hillary Clinton, chiedendo provocatoriamente agli americani: «Non vorrete mica un'altra Merkel alla guida degli Stati Uniti?».

Come salvare l'Europa teutonica dopo Trump?
Ma non sono state mere boutade elettorali. Il nuovo presidente Usa incarna esplicitamente tutte le istanze contro cui la Merkel ha strenuamente combattuto in patria da più di un anno a questa parte, e che per la prima volta da un decennio hanno reso traballante il suo trono. Come riuscire a sostenere quelle politiche di accoglienza in Germania e, ancora di più, in un’Europa sempre più divisa, con l’ingombrante presenza di Trump dall’altra parte dell’oceano? E ancora, come salvaguardare l’integrazione europea modellata sul progetto tedesco, dopo che è diventato presidente degli Stati Uniti colui che ha definito Bruxelles «un buco infernale»?

Come proseguire con il pugno duro con Putin?
Non solo. Perché c’è chi – come il quotidiano Die Welt –, nell’apologia della Cancelliera, definita «leader del reale», le ha dato atto addirittura di essere «la donna che sta contrastando uomini come il presidente russo Vladimir Putin o il presidente turco Recep Tayyip Erdogan». Come poter conservare il pugno duro con il capo del Cremlino, ora che a occupare lo Studio Ovale c’è colui che ha promesso uno storico reset con Mosca? Senza contare, poi, che tutti i dossier su cui Merkel ha lavorato duramente con Obama – come quello sul cambiamento climatico, sul nucleare iraniano o sul TTIP – sono oggetto della retorica incendiaria di Trump.

Se Trump abbatterà il baluardo Merkel
Al quadro si aggiunga che la Merkel sta attraversando probabilmente il momento politico più difficile di tutta la sua carriera, e la sua base di consenso in Germania e in Europa si è notevolmente ridotta. E se il pragmatismo che caratterizza la realpolitik imporrà una sostanziale conservazione della partnership strategica tra Washington e Berlino, è però innegabile che non sarà così semplice per la Cancelliera assumersi il ruolo di leader globale che i media di tutto il mondo le stanno affibbiando in queste ore. Perché ciò che la stampa non sta considerando è l’altro scenario, molto meno trionfalistico per la Merkel: e cioè che il ciclone Trump si unisca a tutti i venti contrari che ultimamente spirano contro l’«ultimo baluardo dell’ordine internazionale liberale». E che anche quest'ultimo, per usare le parole del rabbino Schneier, finisca per andare alla deriva.

L’effetto Trump e la Germania  http://www.occhidellaguerra.it/leffetto-trump-e-la-germania/

La Cancelliera si ricandida. Ormai quello di Angela Merkel è un destino manifesto. Come si è visto anche ieri nel tour europeo di Barack Obama che l’ha riempita di elogi. Una ricandidatura che secondo molti analisti rappresenta la risposta di certo mondo alla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti.

La Merkel e la sua Germania, infatti, rappresenterebbero l’ultimo baluardo d’Occidente alle forze ostative al fondamentalismo liberista, che ha nell’attuale forma di globalizzazione il suo compimento.

Un ordine del mondo messo in discussione dalla Brexit e, in maniera ancor più radicale, dalla vittoria di Trump, almeno a stare al programma che il nuovo presidente ha enunciato nella sua vittoriosa campagna elettorale.

Non si tratta, certo, di porre fine alla globalizzazione, che ormai appartiene al destino, ma di porvi dei correttivi. Il problema è che la forma di liberismo imperante, per la sua natura fondamentalista (non è un caso che si sia sviluppata in parallelo ad altri fondamentalismi, ad esempio quello islamico), vede in ogni possibile correttivo una minaccia esistenziale.

Da qui la necessità di una resistenza, della quale la ricandidatura della Merkel sarebbe passo necessario. Ciò perché l’Unione europea è uno dei pilastri dell’attuale forma di globalizzazione. In particolare da quando il Vecchio continente ha mutato la sua fisionomia: da comunità creata per associare i destini dei popoli del Vecchio continente a una unione di Stati legati da soli vincoli finanziari sotto la rigida tutela tedesca.

Un mutamento radicale che ha visto in parallelo la consegna del continente ai nuovi padroni del mondo globalizzato: non più i rappresentanti dei popoli, ma i funzionari (e/o delegati) delle banche e della grande finanza.

Si va alla resistenza, quindi. Sotto la guida non disinteressata di Angela Merkel, il cui successo politico è stato costruito proprio su tale assetto dell’Europa e del mondo.

E però c’è da segnalare un particolare non secondario di questa nuova avventura della Cancelliera. Essa infatti ha inizio con il suo endorsement a Frank-Walter Steinmeier per la presidenza della Repubblica Federale di Germania, avvenuto dopo non poche perplessità e in parallelo alla vittoria di Trump.

Non si tratta di un’indicazione che nasce solo da un’esigenza di stabilità interna legata al perdurare del compromesso tra socialdemocratici e cristiano democratici sul quale la Merkel ha fondato la sua permanenza al potere.

Essa, infatti, non può prescindere dal profilo dell’uomo designato alla presidenza, da sempre fautore del dialogo tra Berlino e Mosca, linea che ha portato avanti anche nei momenti di maggiore attrito tra Oriente e Occidente, attirandosi le relative critiche.

Così tale designazione può avere anche un altro livello di lettura, ovvero quello di un possibile riposizionamento della Germania nel solco di una nuova distensione tra Occidente e Russia, prospettiva questa indicata da Trump nel corso della sua campagna elettorale.

banner_cristiani

D’altronde da quando è crollato il Muro, la Germania vede nell’Europa dell’Est un’area privilegiata per la sua proiezione internazionale. E nella Russia un interlocutore più che prezioso.

Così la nomina di Steinmeier alla più alta carica dello Stato appare un modo per indicare e blindare tale prospettiva. Se si tiene conto che una stretta partnership tra Russia e Germania, associando le risorse russe alla tecnologia e alla finanza tedesche, può dar vita al polo produttivo forse più importante del mondo, si comprende la portata della posta in gioco.

Una partita ancora tutta da dipanare, e che certo troverà contrasto internazionale (sul punto vedi anche Piccolenote.it). Ma che la Germania si prepara a giocare potendo contare su una nuova e più decisa presa sull’Unione, dal momento che il nuovo corso americano, votato (sembra) all’isolazionismo, renderà gli Stati europei orfani e quindi necessitati a una nuova copertura globale.

Ma che potrebbe giocare anche in proprio, se la spinta anti-globalizzazione provocata dalla vittoria di Trump dovesse, come sembra, favorire le forze centripete del Vecchio Continente, con conseguente dissoluzione degli attuali vincoli associativi. In quest’ultimo caso, la Germania sembra aver già pronto un piano B, non ancora all’orizzonte degli altri Stati membri della Ue.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2016 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/17/germania-contro-draghi-il-governo-merkel-volta-le-spalle-al-piu-prussiano-degli-italiani-per-ragioni-politiche/3189311/

" da Berlino cominciano a partire gli attacchi a Draghi dalla stessa maggioranza di governo. Parlamentari della Csu lo definiscono un “falsario“, reo di stampare carta moneta e alimentare l’inflazione. Anche la Bundesbank, principale azionista di riferimento della Bce, si mette di traverso. La convivenza si fa sempre più difficile e cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su presunti dissidi nel board dell’Eurotower. Da allora, esternazioni e critiche diventano una costante, puntuali a ogni giro di vite verso il basso dei tassi d’interesse. Una scelta obbligata secondo Draghi, per scongiurare il rischio di deflazione e rimettere in moto l’economia nella zona euro; una misura, invece, dannosa e penalizzante per i risparmiatori tedeschi, agli occhi di Berlino.
Poi, nell’aprile scorso, con i tassi ormai allo zero, gli attacchi superano il livello di guardia. “La politica di Mario Draghi ha fatto perdere credibilità alla Bce”, dichiara il vicecapogruppo della Cdu-Csu. Berlino invoca un cambio della guardia. “Dopo la fine del suo mandato (ottobre 2019, ndr) il prossimo presidente dovrà essere un tedesco, fedele alla tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Altre voci, stessa lunghezza d’onda, sempre nelle file della Csu: “Un altro come lui non possiamo permettercelo. In futuro avremo bisogno di un esperto di finanza tedesco”. Ma il nemico numero uno di Mario Draghi è molto più in alto. Si chiama Wolfgang Schäuble. Sullo Spiegel esce la notizia che il ministro delle finanze di Angela Merkel starebbe pensando di procedere per vie legali contro il presidente della Bce e la sua “disinvolta” politica monetaria.
Il vento ormai è cambiato e Berlino sembra aver voltato definitivamente le spalle al presidente della Bce. Gli attacchi non sono più voci del sen fuggite, ma un orientamento che chiama in causa la stessa cancelliera. Il governo di Angela Merkel è molto meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle prossime elezioni per il Bundestag, che si terranno nel 2017, in uno scenario politico insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento. In alcuni Länder dove si è votato di recente il partito della Merkel è sceso al di sotto del venti per cento – vedi BerlinoAmburgo e il caso del MecklenburgVorpommern. E se non bastasse, a rendere ancora più incerto il futuro politico della cancelliera è la concorrenza che viene da destra. Ormai la Cdu deve fare i conti con la crescita dei “populisti” di Alternativa per la Germania (AfD), presenti su tutto il territorio nazionale e con risultati in alcuni Länder che superano il venti per cento.
Neanche a dirlo, i due temi rispetto ai quali la cancelliera è maggiormente sotto attacco dell’opposizione alla sua destra sono l’immigrazione e l’Europa, intrecciati in maniera indissolubile l’uno all’altro. Se l’apertura delle frontiere nei mesi scorsi ha consentito ai populisti di intercettare paure e inquietudini nell’elettorato, il battage contro le politiche dell’Ue che strozzano contribuenti e risparmiatori tedeschi ha fatto il resto. Su questa linea l’imputato numero uno è naturalmente lui, Draghi, simbolo di un’Europa che fagocita i popoli in nome della finanza. L’AfD soffia sul fuoco e mette sotto accusa la Bce, ritenuta colpevole di voler trasferire alla Germania il debito pubblico dei paesi inaffidabili del sud Europa acquistandone i titoli di stato. Anche il taglio dei tassi d’interesse è percepito come una politica anti-germanica che erode il risparmio privato e la redditività delle banche tedesche. Questo mentre la crescita economica rallenta: stando ai dati diffusi il 15 novembre dall’Ufficio federale di Statistica, nel terzo trimestre di quest’anno il pil della Germania ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,4% del secondo.
Ma non è solo l’AfD a inneggiare nel proprio programma alla “fine delle politiche di salvataggio dell’euro” e all’uscita dalla moneta unica. L’antieuropeismo è ormai penetrato in profondità nell’opinione pubblica tedesca. Negli ultimi tempi gli elettori hanno dimostrato di essere sensibili ad argomenti del genere. Il prossimo anno si voterà per il Bundestag e non è detto che la cancelliera potrà permettersi di rimanere impassibile di fronte a questa realtà. Trascinare Draghi sul banco degli imputati può rappresentare una carta in extremis per arginare la crescita di consensi alla propria destra"


La Stampa, 17 novembre 2016: http://www.lastampa.it/2016/11/17/economia/merkel-irritata-e-pronta-a-sfidare-roma-attacco-sui-rifugiati-per-vincere-nel-BWaa4aPt2M38b0pBBvW23M/pagina.html

a Berlino valutano concretamente la possibilità di una manovra una che dia la colpa all’Italia. Non un attacco frontale, però ci vuole poco a diffondere una cattiva reputazione e a giocarci su. Il governo tedesco sta cercando alternative per risolvere l’emergenza migranti - considera anche lo stop in Tunisia con la trasformazione del paese nordafricano in centro di smistamento -, soprattutto perché gli strumenti ti europei di redistribuzione non funzionano e, soprattutto, scadono nel settembre 2017, proprio in coincidenza col voto federale. Se, come scontato, non si arrivasse ai 160 mila programmati, il Consiglio Ue dovrebbe discutere una proroga delle fallimentari quote in piena campagna elettorale. Pericolo! 

I consiglieri politici della cancelliera sono pertanto tentati dalla suggestione che un attacco all’Italia potrebbe funzionare per gestire l’opinione pubblica. Costruiscono la strategia sull’irritazione per il rapporto del premier col progetto europeo - «ondivago» - e non meno per il vociare contro le regole di bilancio che vedono Roma non rispettarle anche se Bruxelles le ha rese flessibili come mai. E’ un elemento. Poi ci sono i rifugiati.  

Osservata anche la situazione complessa del Bel Paese, hanno ritenuto necessario chiedere una proroga della chiusura delle frontiere Schengen perché immaginano che il tappo italico possa saltare. Troppa gente a Milano, troppi nel Nord che potrebbero migrare senza essere richiesti. Perché, e questo va ricordato, la Merkel s’è impegnata a prendere 500 migranti al mese dall’Italia e lo sta facendo. 
Le possibilità che non si arrivi alla contesa sono legate al fatto Berlino e Roma sono le capitali più esposte alla tempesta migratoria. Alla solidarietà fra solidali. «I numeri sono dalla nostra parte», assicurano a Roma. Solo in ottobre sono sbarcati in 27.500, il record di sempre, il doppio di settembre. Renzi ha ragione quando dice che in casa Ue troppi non hanno mantenuto gli impegni, ridistribuzione in testa. Eppure, alla fine della fiera, quando il governo tedesco dovrà ragionare su come difendersi, dare la colpa agli italiani potrebbe anche sembrargli una buona idea. A Berlino dicono che è sul tavolo e dopo il referendum potrebbe prendere a girare. In campagna elettorale, come si diceva un tempo per l’amore, tutto è permesso. Colpi bassi inclusi. 

Tutte le guerre del Nobel per la Pace, Barack Obama







Sette anni fa l’investitura di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti. Da allora il presidente, insignito del Premio Nobel per la Pace, ha bombardato sette paesi, ha rafforzato lo stato islamico e ha causato conflitti militari in diversi paesi.
Eppure gli Stati Uniti è dal 1942 che non dichiarano nessuna guerra, ciò non ha impedito ad Obama di attaccare e invadere altri paesi.
Afghanistan
Nel dicembre 2009, appena due mesi dopo essere diventato Premio Nobel per la Pace, Obama ha ordinato di rafforzare la presenza degli Stati Uniti in Afghanistan con 30.000 soldati.
Attacchi dei droni senza autorizzazione delle Nazioni Unite
Pur se lanciati dal suo predecessore George W. Bush, con l’arrivo di Obama sono stati intensificato gli attacchi dei droni Usa in Yemen, in Pakistan e Somalia.
Secondo i dati medi forniti da tre ONG, Obama ha autorizzato 506 attacchi in questi paesi, lasciando più di 3.000 vittime, tra cui 400 civili.
Libia
Gli Stati Uniti d’America durante i mandato di Obama hanno lasciando una scia di distruzione in Libia, dove nel marzo 2011 hanno partecipato a un’operazione militare per rovesciare Muammar Gheddafi.
Di conseguenza, il leader libico è stato ucciso sotto gli slogan democratici, che hanno inaugurato in un periodo di instabilità e di lotta armata per il potere in Libia e hanno portato alla effettiva disintegrazione del Paese e alla diffusione ed al rafforzamento del terrorismo.
Iraq e Siria
Durante la campagna elettorale dell’ottobre 2011, Obama ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq.
Tuttavia, i tentativi di Obama per rovesciare il leader siriano Bashar al-Assad, motivo per il quale gli Stati Uniti hanno armato l’opposizione siriana, hanno permesso l’espansione e il rafforzamento dello Stato Islamico. Ora questi gruppi radicali terrorizzano la popolazione di Siria e Iraq.
Ad agosto 2014 Obama ha autorizzato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’ISIS in Iraq e nel settembre dello stesso anno Stati Uniti hanno iniziato a bombardare la Siria, senza il consenso della Siria, paese sovrano.
La strategia di Obama per combattere l’Isis non ha dato i suoi frutti, qualcosa che ha rimesso in discussione i veri obiettivi degli Stati Uniti
Ucraina
Durante le proteste scoppiate a Kiev nel novembre 2013, i paesi occidentali hanno rafforzato la loro retorica a sostegno dell’opposizione ucraina, al fine di rovesciare il governo democraticamente eletto di Viktor Yanukovich.
Nel febbraio 2014 ci fu un colpo di stato quando l’opposizione sollevò dal potere il legittimo Presidente dell’Ucraina, indicendo elezioni anticipate, sciogliendo la Corte costituzionale e revocando la legge che concede alla lingua russa lo status di lingua ufficiale in Crimea e in altre regioni.
Prima e dopo le elezioni presidenziali in Ucraina, Obama ha dato il suo sostegno morale per l’attuale presidente dell’Ucraina, Pyotr Poroshenko.
Inoltre, il leader statunitense ha approvato la fornitura di armi letali a Kiev per utilizzarle nel offensiva nella parte orientale del paese, in base a una serie di documenti trapelati da parte del Dipartimento di Stato USA