Il Ducato di Savoia nacque nel 1416 dall'elevazione a rango ducale della Contea di Savoia, Stato tenuto dall'omonima dinastia dei Savoia, e terminò, a seguito della fusione perfetta del 1847, con l'incorporazione nel Regno di Sardegna.
Il Ducato, oltre agli attuali dipartimenti francesi della Savoia, dell'Alta Savoia e delle Alpi Marittime, comprendeva anche la Moriana e numerosi possedimenti italiani in Valle d'Aosta (poi elevata anch'essa a ducato) e gran parte del Principato del Piemonte e della Contea di Nizza
Il Ducato di Aosta fu ufficialmente riconosciuto come feudo ducale nel 1536, sempre sotto la dinastia dei Savoia, e venne governato dal Conseil des Commis. Adottò il francese come lingua ufficiale tre anni prima della Francia che lo sostituì al latino solo nel 1539.
Il Ducato di Savoia rimase conteso tra varie potenze per gran parte della sua storia, riuscendo, infine, con Emanuele Filiberto, a imporsi con fermezza nella scena politica italiana, pur appoggiandosi prima alla corona di Spagna, poi al Regno di Francia e infine all'Impero austriaco. Al termine della Guerra di successione spagnola, grazie al Trattato di Utrecht, essendo tra i vincitori, i Savoia ottennero la corona del Regno di Sicilia e il conseguente titolo regio nel 1713. I Savoia mantennero la sovranità sulla Sicilia fino al 1720 quando, a causa delle pressioni internazionali, dovettero accettare lo scambio col Regno di Sardegna (che, nel 1861, sarebbe diventato il Regno d'Italia).
Ducato di Savoia e Regno di Sardegna
Dopo che Vittorio Amedeo II di Savoia fu incoronato Re di Sardegna, continuò comunque a mantenere il titolo di Duca di Savoia, mentre gli altri titoli furono riservati ai vari membri della famiglia reale: il Principe di Piemonte era considerato l'erede al trono, il Duca di Aosta era il terzo, come importanza. Seguivano poi i titolari della Contea di Nizza, del Marchesato di Saluzzo (poi incorporato nel Piemonte) e della Marca del Monferrato.
La prima preoccupazione, dopo la ridefinizione dei confini conseguente il trattato di Utrecht, fu quella di rafforzare il confine occidentale. All'uopo venne incaricato l'architetto Ignazio Bertola, figlio adottivo di Antonio, di rafforzare il Forte di Exilles. I lavori durarono oltre sei anni (furono terminati nel 1726) e alla fine il forte risultò un gioiello di arte militare.
Nel 1708 cominciarono i lavori di un altro forte, quello della Brunetta, posto su uno sperone di roccia sovrastante la città di Susa, sulla sinistra orografica della Dora Riparia. Il forte, un dedalo di gallerie e casematte considerato imprendibile, necessitò 30 anni di lavori per il suo completamento.
Nel 1730 Vittorio Amedeo II, dopo aver sposato morganaticamente Anna Canalis, contessa di Cumiana e successivamente marchesa di Spigno, abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele III e si ritirò con la Canalis a Chambéry. Rientrò tuttavia poco dopo a Torino con l'intento di riprendere il suo posto di Duca di Savoia e Re di Sardegna ma il figlio, d'accordo con il governo in carica, lo fece arrestare a Moncalieri, imponendogli il soggiorno coatto a Rivoli. Colpito da ictus nel febbraio del 1731, gli venne concesso il trasferimento a Moncalieri, ove spirò pochi mesi dopo.
Nel 1741 scoppiò la guerra di successione austriaca e il Regno di Sardegna, con il Ducato di Savoia, si schierò con gli stati che sostenevano Maria Teresa d'Austria e la validità della Prammatica sanzione (Asburgo, Gran Bretagna, Russia, ecc.). Truppe franco-spagnole, comandate dallo spagnolo don Filippo e dal francese principe di Borbone-Conti, occuparono nel 1744 Nizza e la Savoia, entrarono in Piemonte occupando il Monferrato e sconfissero le truppe sabaude a Madonna dell'Olmo, ma non riuscirono a conquistare Cuneo, il cui assedio venne tosto abbandonato dai franco-spagnoli. La guerra si sviluppò con alterne vicende: l'anno successivo i francesi tentarono l'invasione del ducato passando dal colle del Monginevro e attaccando il forte di Exilles ma furono respinti dalle cannonate provenienti dal forte.[9] Nel 1747 un analogo tentativo da parte francese, esperito dal comandante, generale Belle-Isle, facendo passare le truppe sulla cresta che separa la Val Chisone dall'Alta val di Susa al fine di aggirare l'ostacolo del forte di Exilles, culminò con una pesante sconfitta franco-spagnola sul pianoro del colle dell'Assietta. Questo fu l'ultimo episodio della guerra di successione austriaca che interessò direttamente il ducato. Tuttavia, con la pace di Aquisgrana, che il 18 ottobre 1748 chiudeva la guerra di successione austriaca, il Ducato/Regno acquisiva le contee di Angera, Vigevano, Voghera e Bobbio, portando i confini orientali al Ticino.
Verso la fine della prima metà del secolo XVIII, la Savoia, parte del territorio dell'omonimo ducato, venne suddivisa in sei province:
- la provincia di Savoia, vera e propria
- la val Moriana
- la Tarantasia
- il Chiablese
- il Genevese
- il Faucigny
Occupazione francese del Piemonte e trasferimento dei Savoia a Cagliari
Nel 1799, dopo che le armate napoleoniche si erano impossessate dell'Italia settentrionale, Carlo Emanuele IV e un'ampia parte della sua corte dovettero riparare a Cagliari. Qui essi restarono per qualche mese, trasferendosi poi di nuovo nella penisola, dopo aver nominato Carlo Felice viceré dell'isola. Vittorio Emanuele I vi fece ritorno nel 1806. Il soggiorno della famiglia reale in Sardegna durò fino al 1814 per Vittorio Emanuele I, sino al 1815 per la moglie Maria Teresa d'Asburgo Este e le loro figlie, sino al 1816 per Carlo Felice e sua moglie Maria Cristina di Borbone Napoli.
I reali a Cagliari si stabilirono nel palazzo regio[56], edificio risalente al XIV secolo situato nel quartiere di Castello, già residenza dei vicerè di Sardegna dal 1337 fino al 1847
Le spese di mantenimento della corte e dei funzionari statali gravarono certo sulla casse del regno, ma, nello stesso tempo, la trasformazione in palazzo regio del palazzo vice-regio e lo stabilirsi di una corte ebbe conseguenze importanti per lo sviluppo dell'isola. Per la prima volta si assistette allo nascita di artisti di corte sardi, che la Corona inviò a formarsi sul continente (in particolare a Roma). Inoltre la nobiltà e la borghesia sarda ebbero modo di stabilire rapporti assai stretti con i vari esponenti di Casa Savoia e alla Restaurazione ottennero a Torino incarichi che sarebbero stati impensabili nel corso dei decenni precedenti.
La Restaurazione e le riforme
Con la fine dell'epopea napoleonica e il Congresso di Vienna, i Savoia, rientrati a Torino, ottennero la Repubblica di Genova, senza un plebiscito che sancisse tale annessione[57]. Gli interessi della casa regnante erano sempre più rivolti alla Lombardia e all'Italia settentrionale, ma ancora senza collegamenti con le nascenti richieste di liberazione e di unità nazionale italiana. Benché avversa a qualsiasi innovazione radicale delle istituzioni, nel periodo della Restaurazione la casa regnante promosse un certo rinnovamento legislativo.[58][59][60] Nel 1820 in Sardegna venne emanato dal re Vittorio Emanuele I un editto che consentiva a chiunque di diventare proprietario di un pezzo di terra che fosse riuscito a cingere: era il cosiddetto Editto delle Chiudende[61]. Nel 1827 il re Carlo Felice estese alla Sardegna il nuovo codice civile, abrogando così l'antica Carta de Logu, legge di riferimento generale per tutta l'isola sin dai tempi di Eleonora d'Arborea, mantenuta in vigore da Catalani e Spagnoli. Tra il 1836 e il 1838, il re Carlo Alberto infine abolì il sistema feudale.
Il riscatto monetario dei territori sottratti all'aristocrazia e all'alto clero fu fatto gravare, sotto forma di tributi, sulle popolazioni.[non chiaro] Col ricavato, molte famiglie aristocratiche poterono addirittura ricomprare in proprietà piena una larga parte dei terreni feudali. Questa serie di misure legislative, apparentemente volta a favorire il progresso economico dell'agricoltura e quindi dell'intera economia sarda, si rivelò in buona parte controproducente, perché le nuove proprietà fondiarie, non più destinate agli usi comunitari, furono destinate all'affitto per il pascolo, meno costoso e più remunerativo della messa a coltura, favorendo la rendita passiva rispetto alle attività produttive. Mentre sui possedimenti sabaudi del continente si avviava il decisivo processo di modernizzazione, in Sardegna crescevano gli squilibri sociali ed economici e le risorse dell'isola (miniere, legname, saline, produzione lattiero-casearia) venivano appaltate e date in concessione per lo più a stranieri, in un ciclo economico di stampo coloniale. La situazione sarda rimase dunque stagnante, con periodiche ribellioni popolari e alimento dell'atavico banditismo[62].
Il processo di riforma si concluse nel 1847, su pressione della borghesia sassarese e cagliaritana, con la concessione da parte del re Carlo Alberto dell'Unione o Fusione Perfetta con gli stati di Terraferma. La Sardegna perse ogni forma residuale di sovranità e di autonomia statuale; Claudio Gabriele de Launay fu l'ultimo vicerè dell'isola e questa confluì in uno Stato più grande, il cui baricentro risultava sul continente. L'obiettivo degli unionisti sardi, a detta di Pietro Martini, era il «trapiantamento in Sardegna, senza riserve ed ostacoli, della civiltà e coltura continentale, la formazione d’una sola famiglia civile sotto un solo Padre meglio che Re, il Grande Carlo Alberto»[63]; purtuttavia, l'Unione Perfetta non apportò i vantaggi auspicati all'isola, dal punto di vista economico, politico, sociale e culturale. Tale esito, ben chiaro sin dai primi anni dopo l'avvenuta fusione istituzionale, diede adito alla cosiddetta "Questione Sarda" con la prima stagione del pensiero autonomista sardo (Giorgio Asproni, Giovanni Battista Tuveri, ecc.). Ad ogni modo, durante l'intero periodo di governo Sabaudo (1720-1861), la popolazione della Sardegna crebbe dai 312.000 del 1728 ai 609.000 del 1861 con un incremento del 95 %, segno di un lento ma graduale miglioramento della struttura economica e delle condizioni sanitarie.