domenica 2 marzo 2014

Ucraina, Crimea e Russia: geopolitica del Mar Nero



L’Ucraina è indipendente dal 1991, dopo aver fatto parte dell’URSS dalla Pace di Riga del 1921, che assegnò Galizia e Volinia alla Polonia di Pilsudski e lasciò il resto come Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina. La Crimea, una fondamentale penisola sul Mar Nero, è parte del territorio ucraino dal 1954, quando Nikita Krushev la donò all’Ucraina nonostante la sua prevalenza etnica russa, dando, de facto, alla Russia, l’autorità di lasciare la propria flotta nel porto di Sebastopoli, fondamentale dal punto di vista strategico. Non a caso, già nella Guerra di Crimea del 1853-1856, conclusasi con la Conferenza di Parigi che sancì la neutralizzazione degli stretti di Bosforo e Dardanelli e la perdita della Russia della regione della Bessarabia, la Crimea assumeva un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico e militare russo.
Attraverso le mappe fornite dal New York Times è possibile chiarire ulteriormente come queste vicende storiche si sono tradotte in una eterogenia pronunciata delle etnie che convivono nel paese.
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Con il colore arancione sono evidenziate le regioni di prevalenza ucraina, che stanno appoggiando la rivolta nel paese, con il blu quelle con prevalenza etnica russa, come appunto la Crimea ed altre regioni del sud est che, invece, appoggiano le fazioni al potere e l’influenza russa sul paese. Tale influenza è per lo più generata dalla fitta rete di gasdotti che, partendo da Russia e Bielorussia, attraversano il paese fornendo gas non solo a Kiev ma a molti paesi dell’Unione Europea, come mostra la mappa successiva.
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Cosa sta accadendo?
Il governo ucraino è presieduto da Serhiy Arbuzov dal 2010 e sostiene il Presidente ViktorYanukovych, esponente della matrice filo-russa del paese. Al partito al governo si oppongono tre partiti principali: Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma (40 seggi)  guidata dall’ex campione del mondo di pugilato Vitali Klitschko, Unione Pan-Ucraina “Libertà” (37 seggi) di matrice nazionalista e manifestamente anti-russo e Unione Pan-Ucraina “Patria” (101 seggi) della celebre Yulia Timoshenko, filo-euopesita. Questi hanno appoggiato le rivolte nel paese che, invece, sono state osteggiate da gruppi militari filo-governativi, che si dice finanziati direttamente da Mosca. Il movimento anti-governativo nasce dal malessere dell’opinione pubblica in merito al sistema clientelare messo in piedi dal governo che, in questo modo, ha capillarizzato il suo controllo sul territorio avvalendosi di una politica estrema e radicale di Spoil System nella gestione di appalti e nomine nel settore amministrativo. Attualmente il paese, dunque, si trova spaccato tra filo-russi, che intendono mantenere il controllo del paese o sono comunque spaventati dall’eventualità di emarginazione dal settore pubblico, e dei filo-europeisti che intendono staccarsi dal controllo russo, fondamentale dal punto di vista energetico e in considerazione della popolazione mista del paese, dove anche la minoranza dei Tartari contrasta Mosca, memore delle deportazioni staliniane. In questo contesto fondamentale è la Crimea che, come visto, è prevalentemente abitata da russi ed è attualmente sede di uno dei maggiori distaccamenti dellaflotta russa con circa 60 navi d’istanza a Sabastopoli, con un permesso attualmente prorogato dal 2017 al 2042.  Dopo l’avallo del Senato alla proposta di Putin di occupare la regione, sono stati inviati da Mosca circa 6000 soldati che, secondo fonti indipendenti non altrettanto attendibili, potrebbero aver raggiunto, invece, già il numero di oltre 25.000 unità. Il Consiglio di Sicurezzadelle Nazioni Unite si è riunito sabato, senza giungere ad alcuna conclusione decisiva in merito alla delicata questione. Come sottolineato dal Ministro degli Esteri inglese, dal portavoce della diplomazia dell’Unione Europea e dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, l’azione consiste in una chiara violazione della sovranità territoriale ucraina, se non in un atto di aggressione ai sensi dell’art.2 par.4 della Carta dell’ONU. La Crimea ha autoproclamato un incremento del suo regime di autonomia e le Camere di Mosca stanno valutando la previsione di un trattato di annessione (assolutamente nulla dal punto di vista del diritto internazionale). L’Ucraina detiene un debito di oltre 1.55 miliardi $ con la sola Gazprom e la questione è da sempre uno dei punti chiave delle frizioni russo-ucraine. Nel 2006, infatti, proprio a causa di un ritardo nei pagamenti delle forniture di gas, Mosca decise di “chiudere i rubinetti” verso Kiev, con devastanti effetti per le forniture di molti paesi europei, tra cui l’Italia, che hanno dipendenza fondamentale dallo stream ucraino.
Putin, dunque, sembra sfruttare i disordini per favorire la riapertura di una questione mai rimarginatasi sul territorio ucraino come quella della secessione della Crimea, al fine di mantenere salda la sua morsa sull’Europa che ha proprio nella pedina ucraina uno dei punti fondamentali dello scacchiere, a causa delle questioni energetiche appena accennate. D’altro canto, l’Europa, a braccetto con gli USA, difende la posizione dell’etnia ucraina, chiaramente attratta dalle forme di tutela dei diritti umani e dalle libertà economiche offerte dall’eventuale adesione all’UE. Sarà guerra? Probabilmente no ( o meglio ci auguriamo non sia effettivamente auspicabile), ma in ogni caso, la questione mette in luce l’antico problema russo della costante ricerca di uno sbocco sui “mari caldi” per fini commerciali, l’attuale insufficienza europea dal punto di vista energetico e la rivalità mai cessata tra l’occidentalismo delle libertà civili e del liberismo e il suo riflesso speculare dell’ex Unione Sovietica.
l’Ucraina è una pedina di un gioco più grande: per i russi è una irrinunciabile componente della sua identità e del progetto di Unione Euroasiatica. Per gli Usa è stata probabilmente una buona occasione per mettere in imbarazzo sia Putin (reduce da un 2013 pieno di successi diplomatici, a partire dalla Siria, e che sia apprestava a celebrare il suo trionfo alle Olimpiadi di Sochi), sia l’Unione Europea. Come già in passato gli Usa avevano caldeggiato l’adesione della Turchia alla UE, con l’obiettivo di espanderla e di diluirla, così oggi potrebbero vedere nell’Ucraina - povera, controversa, concorrenziale in agricoltura, ma enorme e troppo grossa da infrastrutturare - il candidato ideale per indebolire definitivamente il progetto europeo.

Del resto, la crisi ucraina ha già dimostrato la debolezza e l’inconsistenza della cosiddetta politica estera comune europea. L’intera faccenda dell’accordo di associazione è stata appaltata agli Stati membri che per le ragioni dette sopra avevano maggiori legami con l’Ucraina (Polonia, Svezia e Lituania), mentre l’accordo tra Yanukovich e l’opposizione è stato mediato dai ministri degli esteri di Germania, Francia e Polonia, scavalcando la poco apprezzata baronessa Ashton, nominalmente ministro degli Esteri dell’Unione Europea, che comunque a Kiev ha avuto finalmente un minuto di gloria (“la nuova Caterina la Grande” è stata definita dai quotidiani locali, con notevole esagerazione).

L'Italia - che è il secondo partner commerciale dell'Ucraina, il primo importatore nell'Europa Occidentale, che ha legami storici con il paese (in Crimea sono le grandi fortezze veneziane e genovesi, e un'antica comunità italiana), che ospita una comunità ucraina di 300 mila persone - come al solito era assente dalla scena.

L’Europa, a voler essere benevoli, ha dimostrato una forte confusione quanto agli obiettivi da raggiungere, scarsa conoscenza del terreno e della storia (per esempio identificando in Julja Timoshenko un leader credibile e unificante), contraddittorietà nelle sue molteplici espressioni, tanto che il vicesegretario di Stato Usa Viktoria Nuland è stata intercettata dai russi mentre commentava “fuck the Eu!”.

Sostanzialmente la Ue ha la grave colpa di aver destabilizzato il paese senza avere una exit strategy e senza aver calcolato la particolare suscettibilità russa. In un mondo ancora dominato dall’hard power, gli europei hanno confidato troppo nel linguaggio del soft power, fatto di democrazia e rule of law, ma senza offrire mai la prospettiva della full membership. L’Unione Europea, del resto, già con 28 Stati membri è ingestibile, e il referendum svizzero ha segnalato una enlargement fatigue derivante da una politica di frontiere troppo aperte - un sentimento che probabilmente sarebbe condiviso anche dagli altri cittadini europei, se solo fossero lasciati liberi di esprimersi.

Solo la Russia finora si era offerta di pagare il debito pubblico ucraino - che è stato appena declassato da Standards and Poor’s a CCC, ben al di sotto di quello greco, ed è quindi pericolosamente sull’orlo del default. Questo nonostante il pil del paese cresca all’invidiabile tasso del 2% annuo.

Insomma, l’Ucraina è in mezzo ad attori che non sanno esattamente cosa farne, e che non vogliono pagarne il conto.

Gli eventi di questi giorni si susseguono concitati, ed è difficile dire che cosa succederà. Anche se Yanukovich (che mentre scrivo ha abbandonato la capitale) si dimettesse, non si può ignorare che egli rappresenta una parte importante del paese che non ha minimamente partecipato agli scontri. Yanukovich non è un dittatore, ma un presidente eletto, anche se con parecchi brogli. Finito lui, la sua constituency e gli oligarchi troveranno qualcun altro.

Personalmente non credo allo scenario estremo, quello di una completa scissione del paese. Meno improbabile è il distacco di alcune parti, come la Repubblica autonoma di Crimea, che è in Ucraina solo perché regalata da Chruščëv, che è unita al resto dell’Ucraina da uno stretto istmo (e potrebbe invece essere facilmente unita alla Russia da un ponte sopra lo stretto di Kerch) e che ha un’importanza fondamentale per la Russia, ospitando la grande base della flotta meridionale a Sebastopoli. Uno scenario molto simile a quello delle vicine repubbliche caucasiche dell’Abhazia (molto vicina alla sede olimpica di Sochi) e dell’Ossezia, resesi indipendenti dalla Georgia, sotto protettorato militare russo.

L’Ucraina intanto rischia di diventare preda delle potenze emergenti. Il paese è sostanzialmente un'enorme pianura agricola, percorsa da fiumi grandissimi, con un terzo del miglior terreno fertile del mondo, del tutto sottoutilizzato (non ho mai visto moderni macchinari agricoli). Già 100 mila ettari sono diventati l’anno scorsoproprietà di una corporation cinese e dovrebbero diventare nei prossimi anni 3 milioni: si tratta del 5% del territorio dell’intero paese. Non a caso Yanukovich dopo la Russia ha visitato anche la Cina.

La Cina (ed altri paesi che hanno abbondanza di valuta e poco terreno coltivabile e acqua, come i paesi arabi) è interessata a investire in acquisizioni territoriali, anche per esportarvi manodopera in eccedenza. È il fenomeno del cosiddetto “land grabbing”, che finora ha riguardato l’Africa. Agli occhi dell’attuale oligarchia ucraina, il pregio della politica estera cinese è di non mettere mai in discussione i regimi politici con cui commercia. Un atteggiamento ben più conciliante rispetto alle pesanticonditionalities che pone l’Unione Europea.

Insomma, mentre Russia e Occidente ripetono vecchi scenari figli della guerra fredda, il terzo incomodo fa buoni affari e mette un piede alle porte dell’Europa.


Articolo originariamente pubblicato su MagnificaMente!
(24/02/2014)

Cosa indossavano le attrici che hanno vinto l’Oscar



Da Janet Gaynor a Jennifer Lawrence. Così si vestono le regine del cinema.

l 2 Marzo si tiene l’86esima edizione della cerimonia degli Oscar. Per chi proprio non lo sapesse, si tratta di un premio che rappresenta il maggior riconoscimento cinematografico a livello mondiale, nonché il più antico. Viene infatti assegnato dal 1929 dall’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, un’organizzazione onoraria fondata nel 1927 in California per sostenere lo sviluppo dell’industria cinematografica nazionale.
A essere premiati sono i film usciti nell’anno solare precedente, e tra questi vengono assegnate 29 statuette più due premi speciali. Ciò che però caratterizza più di tutto la notte degli Oscar è il fatto che per gli ospiti questa serata rappresenta una vetrina utile a sfoggiare gli abiti creati dai migliori stilisti al mondo. Tra i premi più interessanti c’è quello della Migliore Attrice protagonista, che quest’anno verra conferito ad una tra: Sandra Bullock (Gravity), Judi Dench (Philomena), Amy Adams (American Hustle), Meryl Streep (I segreti di Osage County) e Cate Blanchett (Blue Jasmine). Qui di seguito vi mostriamo una curiosa infografica in cui vengono mostrati tutti i modelli degli abiti che indossavano le attrici vincitrici e i nomi degli stilisti che li hanno realizzati.  

La fiamma di Atar. Capitolo 1. Luca Bosco



La sua indole era sempre stata simile a quella di un gatto.
Era capace di empatia e simpatia,  e conosceva bene le regole del gioco, ma non era stato mai realmente addomesticabile.



Non era né leader, né gregario, né ribelle, né emarginato: era libero, e nessuno mai era riuscito a possedere interamente le chiavi del suo cuore.
Aveva imparato a camminare sul crinale sottile tra la contemplazione e il desiderio, apprezzando i doni della quiete, senza disdegnare quelli della passione, una fiamma che era sempre rimasta accesa in lui, anche nei momenti più oscuri.
Non era un uomo di mondo, ma nemmeno un asceta.
Era nato sapendo che c'è un tempo per tutte le cose, e questa era stata sempre la sua salvezza.
Elegante e buffo a seconda delle circostanze, aveva il dono dell'ironia e la capacità di non prendersi mai troppo sul serio.
Cercava di godersi quello che la vita gli offriva, concentrandosi sul momento presente.
Le sue armi erano l'intuizione e la parola, unite però ad una diffidenza di fondo verso l'intero universo.
Dire che fosse cinico sarebbe stata una un'esagerazione. 
Il suo era più che altro un giustificato disincanto, che non aveva nulla a che vedere con i piagnistei dei pessimisti o l'acidità dei frustrati, e si teneva a distanza di sicurezza dalla velleitaria ingenuità degli utopisti e dei fanatici.
Non approvava chi generava illusioni, ma non voleva nemmeno essere lui a disilludere gli altri, ricordando l'ammonimento di Arturo Graf: "Badate, volendo estirpare un'illusione, di non uccidere un'anima".
Vicino alla soglia dei quarant'anni, senza aver combinato nulla di particolarmente significativo, Luca Bosco, aveva siglato col mondo, con la vita (e con la propria coscienza) una specie di tregua, o di armistizio.
Era giunto alla conclusione che i pilastri della saggezza e della salute mentale consistevano nel concentrarsi sul presente, nel fare pace con il passato e nel non preoccuparsi troppo per il futuro.
Facile a dirsi, potrebbero obiettare alcuni, e avrebbero ragione.
Quel tipo di saggezza non è una conquista facile, né mai del tutto definitiva, ma era di sicuro una forma mentis che aiutava a vedere le cose in una prospettiva meno angosciosa, e questa era una attitudine di non poco conto per un uomo costretto a vivere in un contesto dove le sue doti non erano considerate particolarmente utili.
Il contesto, già.
L'Italia degli anni '10 del XXI secolo non era quel che si direbbe un contesto particolarmente esaltate.
Lo stesso concetto di Italia era qualcosa di piuttosto vago.
Conteneva in sé realtà così diverse e contraddittorie da apparire sostanzialmente indefinibile.
E questo il nostro anti-eroe lo sapeva sufficientemente bene.
Era un italiano, qualunque cosa volesse dire questo termine, ma era anche un italianista.
Per i non addetti ai lavori, basti sapere che l'italianistica è lo studio della lingua, della letteratura e più in generale della cultura italiana, ivi compresa la sua storia, la sua geografia e tutte quelle peculiarità che possono essere utili per cercare di definire cosa sia questa fantomatica realtà che ha nome Italia.
C'era stato un tempo, prima che la frenesia del riformismo permanente demolisse quel poco di certezze che ancora rimanevano in quell'angolo di mondo dalla storia plurimillenaria, in cui la laurea in italianistica era chiamata Lettere moderne, per distinguerla da quella in Lettere classiche.
Per tutta una serie di vicissitudini che il nostro anti-eroe si guardava bene dal rivelare, egli era approdato alla laurea magistralis in italianistica pur avendo un'età che gli avrebbe permesso, se la sua vita non  fosse stata così poco lineare, di approdare molti anni prima ad una tradizionale laurea in lettere moderne.
Tirava a campare con un lavoretto part-time sottopagato in una delle tante biblioteche universitarie della Città dai Portici Antichi. Abitava in un umido monolocale al piano terra di un cadente palazzo del centro storico, in zona universitaria. Era di sua proprietà, almeno, (l'unica eredità lasciatagli dai suoi) e lui ne aveva fatto la sua tana, come se fosse una specie di caverna hobbit, cosa di cui era perfettamente consapevole.
A soli dieci anni aveva già letto tutti i romanzi di Tolkien, e senza dubbio al professore di Oxford andava il merito, e forse anche la colpa, di aver fatto amare a Luca Bosco la lettura più di qualsiasi altra cosa al mondo. In particolare la lettura di romanzi fantasy oppure di genere fantastico, che contenessero cioè almeno un piccolo elemento di sovrannaturale.
Il suo interesse per il sovrannaturale andava oltre la letteratura e l'arte. La sua cultura infatti comprendeva buona parte della storia delle religioni, con particolare interesse per l'animismo, i politeismi, i culti misterici, lo gnosticismo, le eresie, l'esoterismo, fino alle sue propaggini novecentesche.
Era lontano, almeno mentalmente, dalle religioni ufficiali e dalla loro ortodossia.
Non accettava l'idea che Dio potesse essere nel contempo buono e onnipotente.
Amava quindi il dualismo zoroastriano e manicheo e le sue sopravvivenze nello gnosticismo e in tutta la letteratura che ne era derivata, così come alle religioni orientali.
Era molto interessato inoltre alla mitologia.
Si trattava di un desiderio di evasione dalla realtà o, come dicevano i critici letterari, di "escapismo", accusa a cui Tolkien stesso aveva risposto con valida efficacia: "Non è la fuga del disertore, ma l'evasione del prigioniero verso la libertà".
Era nata così la simbiosi tra lui e i libri e, giunto ormai "nel mezzo del cammin di nostra vita", riteneva che quella simbiosi gli avesse quantomeno garantito un'esistenza tranquilla, lontana dai pericoli e da quelle spiacevoli complicazioni e avventure che, per dirla con Bilbo Baggins, "facevano far tardi a cena".
Si sbagliava.
Non aveva la minima idea di quanto si stesse sbagliando.


Le ragioni per cui l'Ucraina sud orientale è un territorio russo



Storicamente l'Ucraina non è mai esistita, anzi si può dire che la Russia sia nata a Kiev molto prima che Mosca venisse fondata. Solo in seguito alle invasioni dei Mongoli e dei Turchi i russi di Kiev persero influenza rispetto a quelli del nord, di Novgorod e successivamente della Moscovia.



Nel 1954 il leader sovietico Nikita Krusciov trasferì la provincia di Crimea alla «repubblica sovietica» dell’Ucraina, togliendola alla Russia. Il gesto era solo simbolico perché il territorio restava comunque nell’Urss.
Nel 1991, tuttavia, con il crollo dell’Unione sovietica, la Crimea diventa parte dell’Ucraina


Gli eretici di Gothian. Capitolo 3. I sopravvissuti.




Più che un battesimo, sembrava un funerale.
La Dinastia imperiale Eclionner Vorkidian e le grandi famiglie imparentate, i Fujiwara e gli Alfarian, erano ancora provate dai lutti e dalle defezioni, ed i sopravvissuti non avevano voglia di festeggiare.



Osservavano il neonato, Marvin II, principe della Corona, figlio del defunto principe Arthur e nipote dell'imperatore Marvin I, con uno sguardo dal quale traspariva pietà, più che gioia.
In che oscura e triste famiglia ti è toccato di nascere, piccolo mio.
Questo era il pensiero di Lilieth Vorkidian, bisnonna paterna del neonato e imperatrice madre.
Le assenze si notano di più delle presenze.
L'imperatore era rimasto a Gothian, e così pure la sua seconda moglie, Alice de Bors d'Alfarian, al sesto mese di gravidanza.



I morti sono quelli che si notano di più. Soprattutto quelli che sono morti male. 
Arthur Vorkidian e Mordred Eclionner, che si erano uccisi a vicenda, per non parlare di Elner XI, di Sephir Eclionner, del senatore Sibelius Fujiwara (o Fuscivarian, secondo la dizione successiva al Grande Cataclisma), e di quelli che erano morti prima ancora dell'anno della Primavera di Sangue.
E prima di loro, mia madre lady Ariellyn e mio marito Masrek Eclionner. 
Il suo Masrek... quanti anni erano passati dal giorno in cui l'aveva perduto...
Ma tra i morti ce ne sono alcuni che non sono morti del tutto.
Marigold di Gothian, suo marito il conte Fenrik, i suoi eredi Daemon e Daenerys: chi poteva sapere se erano  definitivamente usciti dai giochi?
Coloro che erano legati in un modo o nell'altro al castello di Gothian, non morivano mai del tutto.



Poi ci sono i vari esiliati...
Ellis e suo nipote Faykan a Seila, nel Continente Occidentale; Irulan a Yuste, in compagnia dell'ex Prefetto del Pretorio e dei suoi fedelissimi.
E infine gli assenti giustificati.
Anakin e sua moglie Helena, i Reggenti dell'Impero Lathear.
Chi rimane dunque? Pochi. Noi pochi. Noi felici pochi, noi manipolo di fratelli...
Oltre a lei e ad Alienor, c'erano la madre del neonato, Eleanor d'Alfarian, regina madre e Reggente del Regno dei Keltar, il suo primo ministro Gwydion l'Arcidruido, fidatissimo amico di Marvin e naturalmente la prima moglie di quest'ultimo, nonna del neonato, la regina Igraine Canmore di Logres, arciduchessa delle Highlands.
Dovremo vegliare sul piccolo Marvin II... 
Era sempre così, nei momenti difficili.
Qualcuno deve vegliare. Qualcuno deve essere presente.