mercoledì 18 gennaio 2017

Sant'Elena, al secolo Giulia Flavia Elena Augusta, Imperatrice Romana e madre di Costantino



Giulia Flavia Elena Augusta (latinoFlavia Iulia Helena AugustaElenopoli248 circa – Treviri329) è stata augusta dell'Impero romanoconcubina (o forse moglie) dell'imperatore Costanzo Cloro e madre dell'imperatore Costantino I. I cattolici la venerano come sant'Elena Imperatrice.

Biografia

Origini e matrimonio con Costanzo

I dati biografici di questo personaggio sono piuttosto scarsi.[1] Sembra sia nata a Drepanum in Bitinia nel golfo di Nicomedia (attuale Turchia); suo figlio Costantino rinominò infatti la città in Helenopolis ("città di Elena") in suo onore, cosa che ha condotto successive interpretazioni ad indicare Drepanum come luogo di nascita di Elena.[2]

Statua di Elena ai Musei Capitolini a Roma.
Il vescovo e storico Eusebio di Cesarea, autore di una Vita di Costantino, afferma che Elena aveva circa 80 anni dopo il suo ritorno dalla Palestina,[3] riferendosi ad un viaggio avvenuto nel 326/328; Elena nacque dunque nel 248 o nel 250. Le fonti del IV secolo, che seguono il Breviarium ab Urbe condita di Eutropio, affermano che era di bassa condizione sociale. Aurelio Ambrogio è il primo a chiamarla stabularia, un termine traducibile come "ragazza addetta alle stalle" o come "locandiera"; nell'uso di Ambrogio si tratta di una virtù, in quanto il vescovo di Milano la definisce una bona stabularia, "buona locandiera".[1][4] Altre fonti, specie quelle scritte dopo l'elevazione al trono imperiale di Costantino, ignorano la sua condizione sociale.[1]
Non è noto quando Elena incontrò il suo futuro compagno, Costanzo Cloro.[5] Lo storico Timothy Barnes ha suggerito che l'incontro ebbe luogo quando Costanzo, all'epoca al servizio dell'imperatore Aureliano, era stazionato in Asia minore per la campagna contro il Regno di Palmira; Barnes pone l'attenzione su di un epitaffio ritrovato a Nicomedia e riguardante uno dei protectores dell'imperatore, un possibile indizio della presenza di Aureliano in Bitinia poco dopo il 270.[6]
L'esatta natura legale del loro legame è sconosciuta. Le fonti non sono concordi su questo punto, alle volte chiamando Elena "moglie" di Costanzo e alle volte riferendosi a lei come "concubina".[5] Girolamo, forse confuso dalla terminologia vaga delle sue fonti, si riferisce a lei in entrambi i modi.[7] Alcuni studiosi sostengono che i due genitori di Costantino fossero legati da un matrimonio de facto, non riconosciuto dalla legge,[8] altri affermano si trattasse di un matrimonio in piena regola, in quanto le fonti che sostengono questo tipo di relazione sono le più affidabili.[9]
Elena diede alla luce Costantino nel 274. Nel 293 Costanzo dovette lasciare Elena per volere di Diocleziano e sposare la figliastra dell'imperatore MassimianoTeodora, allo scopo di cementare con un matrimonio dinastico l'elevazione di Costanzo a cesare di Massimiano all'interno della tetrarchia.

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Elena Augusta


Il presunto cranio di Elena nella cripta della cattedrale di Treviri.
Elena non si risposò, e visse lontano dalle corti imperiali, sebbene fosse vicina a Costantino, che per lei aveva un affetto particolare. Costantino fu proclamato imperatore nel 306, dopo la morte di Costanzo. È probabile che in questo periodo Elena abbia seguito il figlio. Inizialmente Costanzo pose la sua capitale a Treviri: qui si trova il palazzo imperiale con un affresco in cui forse è raffigurata Elena; inoltre esiste una tradizione medioevale su Elena nella zona intorno all'antica capitale romana.[10] Successivamente Costantino si stabilì a Roma: qui la presenza di Elena è legata al fundus Lauretus,[11] nella zona sud-orientale della città antica, dove sorse il palatium Sessorianum, la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro a lei riconducibile,[12] con l'annesso mausoleo di Elena in cui fu poi sepolta. Elena godette dell'ascesa al potere del figlio, che nel 324 la onorò del titolo di augusta; in suo nome furono coniate pure molte monete, in cui Elena era la personificazione della Securitas ("sicurezza") dello stato.

Sarcofago in porfido rosso di Elena, dal suo mausoleo e ora ai Musei Vaticani. Per le scene militari presenti sui lati, si ritiene fosse stato scolpito per il figlio Costantino I.
Esiste una tradizione, legata all'Actus Sylvestri, che la vuole ebrea, ma si tratta di una versione non condivisa dagli storici moderni.[10] Dopo l'avvicinamento di Costantino al cristianesimo, anche Elena si convertì alla religione orientale: secondo Eusebio fu Costantino stesso a convertirla.[13] È possibile che fosse vicina alle posizioni dell'arianesimo.[10]
Nel 327-328 Elena partì per un viaggio nelle province orientali dell'impero. Questo viaggio è descritto da Eusebio, il quale ne fa un pellegrinaggio in Terra Santa sui luoghi della passione di Gesù, con atti di pietà cristiana da parte dell'augusta e costruzione di chiese.[14] È però possibile che vi fosse anche un significato politico, assieme a quello religioso, in quanto la conversione di Costantino al cristianesimo, le sue riforme religiose anti-pagane, la sostituzione di ufficiali pagani con altri cristiani, nonché, probabilmente, la morte del figlio Crispo e della moglie Fausta ordinate dall'imperatore, gli avevano fatto perdere il favore delle popolazioni orientali.[10]
Nel tardo 328 o nel 329 Elena morì,[15] con Costantino al suo fianco.[16] Fu sepolta nel mausoleo di Elena, collegato alla chiesa dei Santi Marcellino e Pietro, al di fuori delle mura di Roma; il suo sarcofago in porfido è conservato ai Musei Vaticani e, per le tematiche militari che vi sono raffigurate, si ritiene fosse inizialmente stato preparato per Massenzio o per il figlio Costantino.

Agiografia e culto

Sant'Elena Imperatrice
Icona ortodossa bulgara con la santa e suo figlio Costantino il Grande e la "vera croce".
Icona ortodossa bulgara con la santa e suo figlio Costantino il Grande e la "vera croce".
Nascita248
Morte329
Venerata daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Ricorrenza18 agosto (Chiesa cattolica);
21 maggio (Chiese ortodosse e luterana);
19 maggio (altre Chiese riformate)
AttributiCroce
Patrona diarcheologiconvertitimatrimoni difficili, divorziatiimperatrici
È festeggiata dalla Chiesa cattolica il 18 agosto, ed il 21 maggio dalla Chiesa ortodossa, come sant'Elena Imperatrice.

Ritrovamento della croce[modifica | modifica wikitesto]


Ritrovamento della vera croceJan van Eyck.
Elena è legata, nella tradizione cristiana, al suo presunto ritrovamento della "vera croce", il patibolo su cui morì Gesù, in occasione del suo viaggio in Palestina. Probabilmente non fu lei ad effettuare la scoperta, ma il fatto che Eusebio di Cesarea abbia descritto il suo viaggio in Oriente come un pellegrinaggio, e quindi abbia attestato la presenza di Elena a Gerusalemme, fece probabilmente collegare la madre del primo imperatore romano cristiano al ritrovamento della reliquia.[10]
Poiché vi sono diverse attestazioni del culto della croce nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme nel secondo quarto del IV secolo,[17]la leggenda del suo ritrovamento da parte di Elena dovette nascere in quel periodo e diffondersi molto rapidamente. Sono infatti tre le versioni del ritrovamento della reliquia: una in cui la scoperta è da attribuirsi alla sola Elena,[18] una in cui il ritrovamento fu effettuato da una presunta imperatrice del I secolo, Protonike, e una in cui Elena avrebbe ricevuto aiuto dall'ebreo Giuda, poi convertitosi e battezzato Ciriaco (Kyriakos). Fu quest'ultima versione ad avere maggior successo, probabilmente per la sua vena anti-giudaica.[10]
Nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, costruita sul palatium Sessorianum appartenuto ad Elena, sono custodite delle reliquie che sarebbero state portate da Elena dalla Palestina, secondo la tradizione; oltre alla croce, infatti, Elena avrebbe trovato la croce di uno dei due ladroni, la spugna imbevuta d'aceto, parte della corona di spine, un chiodo della croce nonché il titulus crucis.

Leggenda


Paolo VeroneseVisione di sant'Elena
Nel folklore del Regno Unito esiste una leggenda tarda, menzionata da Enrico di Huntingdon ma resa famosa da Goffredo di Monmouth, secondo la quale Elena era la figlia del re della BritanniaCoel Hen di Camulodunum, il quale si sarebbe alleato con Costanzo Cloro per evitare ulteriori guerre tra i Britanni e i Romani. Goffredo aggiunge che Elena fu educata come una regina, in quanto non aveva fratelli che potessero ereditare il trono di Britannia.
La fonte di Enrico e Goffredo potrebbe essere stato Sozomeno, il quale, però, non afferma che Elena fosse una britanna, sebbene affermi nella sua Storia ecclesiastica che suo figlio Costantino I si convertì al cristianesimo sull'isola.[19]
Non vi sono altre prove di un legame tra Elena e la Gran Bretagna; la leggenda potrebbe essere nata da una confusione con un'altra sant'Elena della tradizione celtica e britanna, Elen Lwyddog, moglie di un usurpatore romano successivo, Magno Massimo.
La leggenda che vuole Elena di origini e di natale britannici, ha offerto lo spunto per le vicende narrate da Marion Zimmer Bradley in collaborazione con Diana L. Paxson dal titolo La sacerdotessa di Avalon (2000), quarto romanzo del Ciclo di Avalon.
La stessa Elen figlia di re Cel, moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino è la protagonista del romanzo "L'albero della vita" di Louis de Wohl.

Note

  1. ^ a b c Harbus, p. 13.
  2. ^ Harbus, p. 12. Secondo altre interpretazioni, Costantino rinforzò Drepanum allo scopo di rinvigorire la rete stradale attorno alla nuova capitale, Costantinopoli, e in questa occasione la dedicò alla madre, senza che questo indichi il luogo di nascita di Elena (Mango, Cyril, "The Empress Helena, Helenopolis, Pylae", Travaux et Mémoires 12 (1994): pp. 143–58, citato in Harbus, p. 12). Esisteva inoltre un'altra Helenopolis, in Palestina, anch'essa dedicata ad Elena, ma di posizione sconosciuta (Hunt, E.D., Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire: A.D. 312–460. Oxford: Clarendon Press, 1982, p. 49, citato in Harbus, p. 12).
  3. ^ Eusebio, Vita Constantini, iii.46 (annum aetatis agens circiter octogesimum).
  4. ^ Aurelio Ambrogio, De obitu Theodosii, xlii.
  5. ^ a b Lieu e Montserrat, p. 49.
  6. ^ Inscriptiones Latinae Selectae 2775, citata in Barnes, (1982), pp. 36.
  7. ^ Girolamo, Cronacas.a. 292 e s.a. 306, citato in Lieu e Montserrat, p. 49.
  8. ^ Drijvers (1992), pp. 17–19.
  9. ^ Barnes, (1982), pp. 36.
  10. ^ a b c d e f Drijvers (1997).
  11. ^ CIL VI, 1134CIL VI, 1135CIL VI, 1136.
  12. ^ Liber Pontificalis, i, 183.
  13. ^ Eusebio, iii.47.
  14. ^ Eusebio, iii.42-47.
  15. ^ La coniazione delle monete recanti la sua effigie termina nell'estate 329 (Drijvers).
  16. ^ Eusebio, iii.46.
  17. ^ Si vedano i sermoni del vescovo di Gerusalemme Cirillo alla fine degli anni 340 e la sua lettera del 7 maggio 351 all'imperatore Costanzo II con la quale testimonia il ritrovamento durante il regno di Costantino I.
  18. ^ RufinoStoria ecclesiastica, x.7-8; Socrate ScolasticoStoria ecclesiastica, i.17; SozomenoStoria ecclesiastica, ii.1-2; TeodoretoStoria ecclesiastica, i.18, Aurelio AmbrogioDe obitu Theodosii, 40-49; Paolino da NolaLettere, xxxi.4-5; Sulpicio SeveroCronaca, ii.22-34.
  19. ^ (ENSocrates and Sozomenus Ecclesiastical Histories, Christian Classics Ethereal Library. URL consultato il 28 marzo 2008.

Bibliografia

Fonti primarie
Fonti secondarie
  • Barnes, Timothy D. The New Empire of Diocletian and Constantine. Cambridge, MA: Harvard University Press, 1982.
  • Drijvers, Jan Willem. Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great and her Finding of the True Cross. Leiden & New York: Brill, 1992.
  • Drijvers, Jan Willelm. "Helena Augusta (248/249-328/329 A.D.)"De Imperatoribus Romanis. 1997.
  • Harbus, Antonia. Helena of Britain in Medieval Legend. Rochester, NY: D.S. Brewer, 2002.
  • Lieu, Samuel N. C., e Dominic MontserratFrom Constantine to Julian: Pagan and Byzantine Views. New York: Routledge, 1996.
  • Edgarda Ferri, Imperatrix, Elena, Costantino e la Croce, Mondadori, 2010.
  • Calandra, Elena, Elena. All'ombra del potere, Electa, Milano, 2012.
Romanzi

Voci correlate

Mappa della Battaglia di Deir ez-Zor tra Isis e Siria

Deir ez-Zor clashes (2011-present).svg

   Controlled by the Syrian Armed Forces

   Controlled by the Islamic State of Iraq and the Levant 

   The disputed frontline between the forces

La città di Deir ez-Zor è un'enclave siriana all'interno del califfato terrorista Isis, che la tiene sotto assedio da anni.
Il 14 gennaio 2017 l'Isis ha sferrato un'offensiva contro la città assediata e il 16 ha spezzato in due l'enclave occupando la strada che la collegava all'aeroporto e la zona del cimitero.

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La controffensiva siriana e russa è partita il 17, con lo scopo di proteggere la popolazione siriana di Deir ez-Zor dal rischio di cadere nelle mani della brutale e barbara teocrazia  terroristica dei fondamentalisti islamici dell'Isis.

Mappa dell'Isis a gennaio 2017



Syrian, Iraqi, and Lebanese insurgencies.png



   Controlled by the Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL, ISIS, IS, Daesh) 

   Controlled by al-Nusra (Al-Qaeda in Syria)

   Controlled by the Syrian opposition 

   Controlled by the Syrian government

   Controlled by the Iraqi government 

   Controlled by the Lebanese Government

   Controlled by Hezbollah 

   Controlled by Syrian Kurdistan

   Controlled by Iraqi Kurdistan 

   Disputed territory

I Mandei

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mandei (dal termine manda, "gnosi, saggezza"), in lingua mandea מנדעניאMandaʾnāye, in araboالصابئة المندائيون‎, al-Ṣābiʾa al-Mandāʾiyūn, detti anche Cristiani di San Giovanni, sono gli appartenenti all'unica comunità religiosa di origine gnostica tuttora esistente. Tracce della loro esistenza si trovano in documenti risalenti al III secolo.
Oggi si stima che i mandei siano dai 60.000[1] a 70.000[2].
La loro lingua liturgica è il mandaico, una varietà dell'aramaico affine all'aramaico-ebraico del Ghemara[3]. Esiste anche una forma moderna di mandeo, che è parlata solo dai mandei della provincia iraniana del Khūzestān.

La storia

Alcuni studiosi suppongono che i mandei derivino da una setta, i Nazareni, originaria del Vicino Oriente. A causa delle persecuzioni romane del I secolo i mandei abbandonarono la Palestina; alcuni si trasferirono nelle terre dei Parti e in Persia sotto il regno dei Sasanidi, altri si stabilirono nella città di Harran. Questi ultimi si scontrarono con i primi cristiani e dovettero lasciare la regione per rifugiarsi nella Babilonia meridionale.
Altri studiosi, invece, pensano che i mandei siano originari della Mesopotamia, la fertile regione sita tra i fiumi Tigri ed Eufrate. Altri ancora arrivano a supporre che la setta fu fondata da Giovanni Battista o, quantomeno, dagli Esseni. Questo dubbio sulle loro origini divide gli studiosi sulla loro collocazione, infatti alcuni pensano che il Mandeismo sia una eresia cristiana dei primi secoli, altri pensano che sia una gnosi pre-cristiana, ed un terzo partito è convinto che il loro sistema si fondi su un sincretismo tra elementi cristiani, giudei e manichei.
La religione mandea prende il nome dal proprio fondatore Mani, figlio di un'importante famiglia della Mesopotamia del II-III secolo d.C. I testi sacri più antichi risalgono a quel periodo[4] e sono scritti in una lingua, l'aramaico, molto simile a quella usati dagli Ebrei in fuga da Gerusalemme dopo la distruzione del secondo tempio ad opera dei Romani nel 70 d.C. I fuggiaschi probabilmente si unirono agli Ebrei rimasti a Babilonia dopo l'esilio del VI secolo a.C.[5]
È storicamente accertato, invece, che, con l'arrivo degli Arabi in Mesopotamia nel 636, ai mandei fu inizialmente riconosciuta una certa autonomia, in quanto identificati con i misteriosi Sabei, citati dal Corano; ma poi, poiché per la maggioranza dei musulmani i mandei non facevano parte delle "religioni del libro" (ebrei, cristiani, musulmani), essi non furono più tutelati e per poter sopravvivere, dovettero emigrare nella regione paludosa dello Shatt al-'Arab, dove sono sopravvissuti fino ad oggi.
L'ascesa al potere di Saddam Hussein nel 1979 inaugurò un nuovo periodo di repressione verso i mandei, che culminò dopo la Prima Guerra del Golfo. Tra il 1991 ed il 1993 il regime baathista iracheno soffocò nel sangue le ribellioni delle popolazioni sciite dell'Iraq meridionale. Con l'occasione il dittatore colpì anche la comunità mandea, disperdendola e distruggendone le abitazioni.
Dopo l'abbattimento del regime di Saddam Hussein la persecuzione violenta da parte di integralisti islamici sta minacciando seriamente la sopravvivenza dei mandei in Iraq. Molti si sono rifugiati nelle terre del Nord Iraq, dove le popolazioni di etnia curda, predominanti, mostrano maggiore tolleranza verso le altre religioni. Altri (parecchie migliaia) sono stati costretti a lasciare il paese.

Diffusione

A causa delle persecuzioni subite, negli ultimi decenni il loro numero si è drasticamente ridotto da circa 150.000 a 60.000[1] - 70.000[2], di cui 10.000 nel l'Iran meridionale[6] e un numero di poco inferiore nella provincia iraniana del Khūzestān[7].
Comunità di mandei si sono rifugiate in Europa occidentale (di cui 8.500 in Svezia[8]), AustraliaStati UnitiCanada e Nuova Zelanda, mentre alcune migliaia vivono come profughi in Siria ed in Giordania[9].

La dottrina

Il Mandeismo è una religione monoteista. Il suo è un sistema basato sostanzialmente sul dualismo gnostico: la contrapposizione tra un dio supremo del Mondo del Bene e della Luce (Malka d-nhura), circondato da angeli (Uthrê), dei quali il più importante è Manda d-Haiyê (Gnosi di Vita), e il mondo del Male e delle tenebre, abitato da demoni, il cui capo è Ruha, lo spirito malvagio.
L'uomo vive nel mondo delle tenebre, che però abbandona nel momento della morte. Dopo la morte, ogni anima passa attraverso degli stadi intermedi fino ad arrivare al regno della luce. Secondo la tradizione mandea, arriverà un messaggero che traghetterà le anime dal mondo dell'oscurità al regno della luce e questo sarà il segnale per la fine del mondo delle tenebre. Al termine esisterà solo il regno della luce e il tempo della sofferenza si sarà esaurito.
I mandei hanno per esempio in comune con l'ebraismo le figure di Adamo ed Eva, ma per loro Eva non nacque da una costola di Adamo, bensì fu un regalo del dio del regno della Luce per Adamo. Similmente ai cristiani, i mandei celebrano la domenica, ma soprattutto il battesimo (Masbütä). Inoltre, come in quasi tutte le sette gnostiche, separano il Gesù terreno (Ishu Mshiha), considerato un impostore e smascherato dall'angelo Anosh Uthrà, dal Cristo spirituale, il Manda d-Haiyê, battezzato la prima volta da Iuhana Masbana (Giovanni Battista) nel Giordano.
I testi sacri dei mandei sono il "Grande Tesoro" (Ginza Rabba) o "Libro di Adamo", "Il libro di Giovanni Battista" (Drashia d-Yahia) e il "libro canonico delle preghiere". Il "Ginza Iamina" è stato tradotto nel 1925 dallo studioso di religioni tedesco Mark Lidzbarski.
Le loro cerimonie più importanti sono il funerale, la festa dei morti e il battesimo. I mandei non hanno monumenti di culto, il loro unico tempio naturale sono le acque del fiume Tigri.
Non esiste alcuna norma che proibisca ai credenti di convertirsi ad un'altra religione o che impedisca o imponga a credenti di altre religioni la conversione al Mandeismo. Un mandeo, però, perde l'appartenenza alla propria comunità religiosa attraverso il matrimonio.
Altri importanti pilastri della religione mandea sono la preghiera, il digiuno e il prendersi cura degli altri.
Credono in una netta divisione tra il Bene ed il Male in continuo conflitto tra loro. Di ciò è sintomo l'alternarsi continuo di giorno e notte. Da questa visione del mondo in bianco o nero nasce l'aggettivo "manicheo"
Il mandeismo conobbe una precoce diffusione nel mondo romano. È noto che Sant'Agostino fu attratto dalla religione di Mani e dalla divisione netta del mondo in bene e male da lui propugnata[10].
"Dal momento che adorano un solo Dio, praticano il battesimo, celebrano la domenica come giorno festivo e riveriscono un profeta di nome Giovanni, i Mandei erano stati scambiati dai missionari europei del sedicesimo secolo per una delle molte e diverse sette cristiane della regione. In realtà, la loro religione è affatto distinta dal cristianesimo. Credono in un paradiso, ma lo chiamano il Mondo della Luce; credono in uno spirito maligno, che però, contrariamente a Satana, è femminile e si chiama Ruha; e credono nel battesimo come condizione necessaria per entrare nel Regno della Luce, benché per loro debba essere impartito con acqua corrente, mentre i bambini che muoiono senza battesimo trovano eterno conforto su alberi i cui frutti hanno le forme delle mammelle delle loro madri. Il loro Giovanni è il Battista, non l'Evangelista, e sebbene il Battista compaia nei testi cristiani come seguace di Gesù, i Mandei lo considerano un profeta maggiore."[11]

Il battesimo

Per i mandei, Giovanni Battista fu l'ultimo dei profeti e come tale battezzò il Cristo spirituale, pertanto la cerimonia del battesimo si ispira ai battesimi da lui celebrati. Ogni mandeo viene battezzato più volte, ma l'ottimo sarebbe ricevere il battesimo ogni domenica poiché, secondo la concezione mandea, durante la cerimonia del Masbütä ci si avvicina al regno della luce sempre di più. Grazie alla tripla immersione rituale, il battezzato viene purificato dai peccati commessi ed entra in contatto col mondo della luce permettendo la guarigione dalle malattie e la cacciata dei demoni.
Il battesimo mandeo viene celebrato presso acque correnti, sempre chiamate Giordano (Yardna). Il candidato, vestito con un abito bianco formato da sette pezzi viene guidato in acqua dal sacerdote ed immerso per tre volte. Durante il rito, la vita si ferma per un istante e, dopo il battesimo, riprende a scorrere con nuovo vigore.

Simboli

il Darfesh è il simbolo della religione Mandea. Si tratta di un bastone a forma di croce sul quale è posato un drappo bianco. È simbolo del battesimo nel Tigri. Apparve sulla terra al momento del battesimo di Giovanni Battista nel Giordano[12].

Note

  1. ^ a b Who Cares for the MANDAEANS?, Australian Islamist Monitor
  2. ^ a b Iraqi minority group needs U.S. attention, Kai Thaler,Yale Daily News, March 9, 2007.
  3. ^ Delle due componenti del Talmud babilonese la Mishnah è scritta in ebraico mishnaico e la Ghemara è scritta, con solo qualche eccezione, in un particolare dialetto noto come aramaico-ebraico babilonese (cfr. Judaic Treasures of the Library of Congress: The Talmud, American-Israeli Cooperative Enterprise.
  4. ^ Opinione della storica Jorunn Buckley.
  5. ^ Sacra Bibbia.
  6. ^ http://www.ipsnews.net/2014/11/disciples-of-john-the-baptist-also-flee-isis/
  7. ^ Russell Contrera, Saving the people, killing the faith – Holland, MI, The Holland Sentinel. URL consultato il 17 dicembre 2011.
  8. ^ Ekman, Ivar: An exodus to Sweden from Iraq for ethnic Mandaeans
  9. ^ Gerald Russel, Regni dimenticati, Milano, Adelphi, 2016.
  10. ^ Sant'Agostino da Ippona, Le Confessioni.
  11. ^ Gerald Russel, Regni dimenticati, Milano, Adelphi, 2016, p. 27.
  12. ^ Drasa d-Yahya "Libro di Giovanni".

Bibliografia

  • Edmondo Lupieri, I mandei. Gli ultimi gnostici, Brescia, Paideia, 1993, ISBN 88-394-0488-0
  • Gerald Russell, Regni dimenticati. Viaggio nelle religioni minacciate del Medio Oriente, Milano, Adelphi, 2016. ISBN 978-88-459-3091-1
  • Ibn al-NadimThe Fihrist: A 10th Century Ad Survey of Islamic Culture, New York, Columbia University Press 1970.