Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
sabato 11 novembre 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 87. La faida tra Anita Monterovere e Diana Orsini
Contrariamente a quel che si crede, le faide familiari non riguardano l'odio e nemmeno gli interessi materiali o le competizioni che possono, in origine, averle causate.
Le faide riguardano il dolore e hanno la loro vera origine nel dolore.
E' il dolore che le alimenta e le tiene in vita anche quando se n'è perso ogni plausibile significato.
Nel caso della faida che nacque tra Anita Monterovere e la suocera di suo nipote Francesco, Diana Orsini, c'erano le frustrazioni di una vecchia zitella acida e le preoccupazioni di una anziana madre che vedeva sua figlia, Silvia, non completamente accettata e valorizzata dalla famiglia del marito.
Per capire come mai questi due dolori, vissuti da due donne intelligenti, seppur di carattere orgoglioso e permaloso, siano sfociati in un'ostilità così profonda da ripercuotersi su tutte e due le loro famiglie (il clan Monterovere e il clan Ricci-Orsini), è necessario partire da origini remote, che affondano le radici in profondità (perché come scrisse Tolkien: "le radici profonde non gelano").
Incominciamo dunque dalle origini.
Anita Monterovere e Diana Orsini erano coetanee, entrambe nate nel 1913, alla fine della Belle Epoque, di cui sembravano essere l'ultima sopravvivenza esistente sulla faccia della Terra, in particolare quelle rare volte in cui erano state "compagne di merende" nel leggendario Salotto Liberty di Villa Orsini.
Ma le similitudini non finivano qui.
Sia Anita che Diana erano venute al mondo in famiglie che, pur essendo state un tempo ricche e importanti, attraversavano una fase di profonda crisi finanziaria, e dunque, nonostante avessero ricevuto un'educazione di prima classe (studi ginnasiali, diploma magistrale, lezioni di pianoforte, canto, francese, equitazione e danza classica) erano ben consapevoli che soltanto un matrimonio con un uomo ricco avrebbe potuto salvarle dagli usurai.
Come ben sappiamo, Diana fu costretta dai genitori a sposare Ettore Ricci, il figlio dell'usuraio Giorgio Ricci detto "Zuarz",
Sappiamo inoltre (per quanto sia ora opportuno ritornare sull'argomento) che Anita Monterovere non si sposò mai, pur essendo più bella di Marlene Dietrich (a cui assomigliava in modo sorprendente), a causa del suo carattere acido e irascibile, che metteva in fuga anche i pretendenti più determinati.
Questa prima differenza tra Anita e Diana fu una delle radici del loro profondo disaccordo: Anita infatti invidiava tutte le donne sposate, in particolare quelle che avevano sposato un uomo ricco, mentre Diana invidiava tutte le donne nubili, perché non erano state costrette a sposare un uomo che non amavano, come era invece successo a lei.
Anita Monterovere, che avrebbe tanto desiderato farsi mantenere dalla famiglia o da un marito o un amante, dovette invece lavorare come maestra elementare nella lontana città di Fiume (che all'epoca era ancora italiana) per sopravvivere negli anni in cui la sua famiglia stava cercando di risollevarsi dalla crisi creando l'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere.
Diana Orsini invece, che avrebbe desiderato più di ogni altra cosa di diventare insegnante, fu costretta dal marito a occuparsi delle questioni domestiche, subendo peraltro le insolenze della governante Ida Braghiri, la donna più perfida e astuta della sua generazione, che poteva contare sul ferreo appoggio del vecchio Giorgio "Zuarz" Ricci.
Ma arriviamo a questioni più vicine agli argomenti e agli eventi che furono alla base della faida.
Anita invidiava tutte le donne che avevano figli e pertanto, quando (miracolosamente scampata alle foibe titine) tornò da Fiume a Faenza nel '44, fece di tutto per insinuarsi nella vita familiare dei suoi fratelli e, approfittando del carattere fragile o della salute cagionevole delle sue tisiche cognate, riuscì a fare da madre ai suoi nipoti, in particolare a quelli maschi, tra cui il nostro Francesco, futuro genero di Diana Orsini.
L'appartamento di Anita Monterovere a Faenza divenne quasi l'abitazione principale dei figli dei suoi fratelli, così come il suo salotto si trasformò in un ritrovo intellettuale.
Diana invece aveva vissuto le sue tre gravidanze come un'ulteriore sciagura capitatale durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e dell'occupazione tedesca, seguita poi dalle vendette partigiane, e in più si era sentita rimproverare dal marito perché aveva partorito solo figlie femmine.
E dal momento che Diana non era il tipo da sopportare in silenzio le critiche, rispose ai rimproveri del marito con un vero e proprio "sciopero sessuale", impedendo ad Ettore di toccarla fino a quando una fortunatamente prematura menopausa svincolò entrambi i coniugi dal dovere matrimoniale della riproduzione.
Il nipote preferito di Anita era Francesco, per il quale aveva già, nelle sue fantasie, scelto la moglie ideale, ossia una certa Ivana, maestra elementare collega della stessa Anita.
Non le passava nemmeno per l'anticamera del cervello che Francesco potesse aver messo gli occhi su un'altra donna.
Per questa ragione, quando Francesco annunciò ad Anita la sua intenzione di fidanzarsi con Silvia Ricci-Orsini, la zia considerò questo fatto come un imperdonabile delitto di lesa maestà.
Ma anche la futura suocera di Francesco nutriva perplessità riguardo a quelle nozze.
Diana riteneva infatti pericoloso che sua figlia Silvia sposasse proprio uno dei membri di una famiglia che aveva interessi economici contrari a quelli del Feudo Orsini (non dimentichiamo infatti che l'Azienda Fratelli Monterovere partecipava alla costruzione del Canale Emiliano Romagnolo nei territori appena confiscati alla Società in Accomandita per Azioni "Orsini Ricci Spreti e Zanetti").
Insomma, sia per Anita che per Diana quel matrimonio non s'aveva da fare.
Usarono tutta la loro influenza per impedire ai fidanzati di giungere all'altare, in quella fredda mattina di dicembre del 1974.
Francesco e Silvia non erano né Romeo e Giulietta, né Renzo e Lucia, ma potevano comunque contare, oltre che su un reciproco amore, anche su un'intelligenza non comune, e si sa che per le menti creative non esistono vicoli ciechi.
Fu così che quando i promessi sposi finalmente convolarono a nozze, Anita Monterovere e Diana Orsini dovettero necessariamente incontrarsi e cercare, almeno all'inizio, di fingere d'andar d'accordo.
Fin dal primo incontro, un mese prima della cerimonia, le due signore avevano sviluppato, per le ragioni di cui si è detto sopra, una reciproca antipatia, tenuta a freno soltanto da quel che rimaneva di un antico galateo a cui erano state educate da ragazze.
Le loro conversazioni erano come un costante duello, anzi, per meglio dire, una sorta di interminabile partita di scherma, con un continuo incrociare le lame a colpi di tagliente ironia.
Avremo modo, nei prossimi capitoli, di esemplificare alcune delle loro più famose conversazioni in cui riuscirono a demolirsi reciprocamente senza violare tuttavia le regole ipocrite del bon ton.
In questo passo ci limiteremo ad accennare al fatto che le antipatie e le punzecchiature si trasformarono, col passare degli anni, in una guerra fredda in cui la posta in gioco era il ruolo di "Matriarca della Famiglia", specialmente dopo la morte di Giulia Lanni Monterovere (la madre di Francesco) e delle tre nonne degli sposi (Eleonora Bonaccorsi Monterovere, Clara Monicelli Ricci ed Emilia Paolucci de' Calboli, vedova Orsini Balducci, contessa di Casemurate).
Era inevitabile che in questa contesa avrebbe pesato anche la rivalità economica tra Romano Monterovere, l'austero e rancoroso fratello di Anita, e il vulcanico e sanguigno Ettore Ricci, marito di Diana.
Ed altrettanto inevitabile fu il fatto che, in quel pericoloso tritacarne, sarebbe finito, come "trofeo di caccia", l'unico figlio di Francesco e Silvia, e cioè Riccardo Monterovere.
Sappiamo da fonti certissime che il nostro Riccardo non ebbe mai il minimo dubbio riguardo al "da che parte schierarsi" nella faida tra l'acida prozia Anita e l'adorata nonna Diana.
Diana era stata per lui come una seconda madre, perché lo aveva cresciuto nei primi fondamentali tre anni di vita, quando lui aveva trascorso la maggior parte del tempo nelle campagne di Casemurate, presso la Villa Orsini.
Fin da allora Riccardo aveva imparato a distinguere tra i salamelecchi ipocriti della prozia Anita e l'affetto sincero e profondissimo che la nonna Diana nutriva per lui.
Col passare del tempo, questa impressione si era sempre più consolidata.
C'è forse anche una spiegazione "freudiana" in tutto questo, perché se un figlio maschio in età prepuberale sviluppa verso la madre un complesso di Edipo, allora non è del tutto fuori luogo dedurne che nei confronti della nonna materna, la "madre della madre", egli possa sviluppare, specie se quest'ultima è bella e affettuosa, un "Edipo al quadrato".
Questa premessa è fondamentale per capire poi le ragioni per le quali, negli anni in cui Riccardo, ormai maggiorenne, si trovava a Milano a studiare economia in un tempio della finanza laica, si sarebbe ferocemente inasprita la faida tra Anita, ormai sofferente di una serie di problemi di salute (in quanto accanita fumatrice) e pertanto determinata a ottenere la sua vendetta prima di tirare le cuoia, e Diana, rimasta vedova e sola in una casa diroccata, con l'unica compagnia della perfida Ida Braghiri e dell'eterno stuolo di creditori che battevano cassa dopo la morte di Ettore Ricci in pieno processo penale e la disastrosa gestione del commissario pro tempore imposto dai tribunali.
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