domenica 3 febbraio 2013

Gli eredi di Gothian. Capitolo 25. Il conflitto interiore di Irulan Eclionner.



La principessa Irulan Eclionner si appoggiò alla base del pilastro, che gli antichi chiamavano "usùl".
Quel giorno la sua voglia di vivere si era ritratta come acqua sulla sabbia.
Un conflitto interiore la dilaniava.
Continuare a rifuggire la vita sociale, per proteggere la indole ipersensibile e la mia libertà, oppure accettare gli obblighi che il mio rango mi impone, diventando un piccolo ingranaggio in una grande macchina che stritolerà le mie emozioni e la mia creatività?
Posta così, la domanda era tendenziosa, ed Irulan lo sapeva benissimo.
Aveva comunque le sue ragioni a porre la questione in quei termini.
Gli altri mi fanno soffrire. Mi usano e abusano di me. Mi prosciugano tutte le energie, mi privano del tempo e della possibilità di dedicarmi a ciò che più mi interessa.
In quel momento una congiura di palazzo voleva sbarazzarsi dell'imperatore Elner XI e porre lei sul Trono del Sole, costringendola ad un matrimonio combinato con suo cugino Leto Fuscivarian.



Certo è un bel ragazzo, ma è talmente arrogante, sadico e violento, avido di potere e di donne, che farà di me la moglie più maltrattata, tradita e infelice della terra.
E poi c'era tutto quel diabolico meccanismo che voleva fare di lei un semplice ingranaggio, una pedina sacrificabile di un gioco che non le era mai interessato, il Gioco del Trono, quello in cui "si vince o si muore".
E lei si sentiva morire dentro.
Il dolore... il dolore sotto le costole, sotto al cuore... e il conflitto... il conflitto perenne tra ragione e sentimento, tra principio di realtà e principio del piacere.
Non riusciva a trovare un compromesso
La vita non è un romanzo di Jane Austen.
In realtà Irulan della vita sapeva ben poco.
Non era mai uscita dall'Acropoli e non le interessava nemmeno. Sapeva che i problemi se li sarebbe portati dietro.
"Licet traieceris vastum mare... sequentur te" scriveva Seneca.
Non troverai altro luogo, non troverai altro mare. La città ti verrà dietro.
Quello che aveva potuto sperimentale, nel suo angolo di mondo, era un surrogato di vita.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto, tu l'hai sciupata su tutta la terra.
Le parole di Kavafis suonavano come una condanna, e invece erano una giustificazione, e forse anche un alibi.
Ma c'erano altre questioni che la legavano al suo "angolo discreto".
Se andassi in giro sarebbe più difficile procurarmi segretamente l'oppio di cui ho bisogno.
La sua dipendenza era il massimo segreto della sua vita. Solo sua madre e sua sorella ne erano a conoscenza.
Come ho fatto a ridurmi così?
La prima risposta che le venne in mente fu una affermazione di Sartre: "L'inferno sono gli altri". Ma prima di scaricare le colpe sugli altri, Irulan aveva appreso una massima universale: "Ogni critica seria deve essere preceduta da una ancor più seria autocritica".
In realtà sono sempre stata così. 
Da bambina il suo temperamento scontroso e solitario era stato rilevato con molta precisione, e le era stato reso noto in tutti i modi, ma non c'era stato modo di correggerne gli eccessi, anzi, ogni volta che si faceva un tentativo di socializzazione, Irulan manifestava, dopo un periodo apparentemente tranquillo di "luna di miele", una crisi di rigetto che le provocava grande dolore e che accentuava sempre di più le asperità del suo carattere.
L'oppio è arrivato quando il dolore delle crisi si era fatto insopportabile.


All'inizio si era illusa di poterlo usare come rimedio temporaneo, ma ben presto ne era diventata dipendente.
Da quel momento aveva cominciato a pensare a se stessa come ad una persona malata, destinata ad una vita breve e ad un decadimento prematuro.



Ma ogni tanto mi illudo di essere come gli altri e persino meglio di loro,  e di poter fare quello che loro hanno imparato a fare fin dalla più tenera età.
Sapeva per esperienza che quelli erano i periodi più pericolosi, perché abbassava la guardia, si lasciava andare, accumulava impegni sociali che non riusciva a sostenere nel medio-lungo periodo e questo avviava, spesso per futili motivi, una successiva crisi di rigetto.
E ora vorrebbero fare di me una imperatrice? Come posso essere il capo di uno stato se non riesco nemmeno a governare me stessa?
Certo ci sarebbero stati validi collaboratori, ma alla fine la sua inidoneità sarebbe stata riconosciuta.
Molti Eclionner sono morti assassinati per questa ragione. E mio fratello è stato uno di loro.
Lei aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo dallo sposare Ellis, ma lui ne era realmente innamorato.
Il bisogno di essere amati e stimati è ciò che conduce le persone come me o mio fratello alla rovina.
Irulan aveva conosciuto molte persone "come lei" ed inizialmente c'era stata stima e amicizia, a volte persino amore. Poi però quella stessa somiglianza che aveva favorito il nascere di una infatuazione, divampata spesso come un fuoco di paglia, era la causa dell'incrinatura, spesso traumatica e irrecuperabile, dei rapporti stessi con la persona e il gruppo intero che ci stava dietro.
Eppure alcuni considerano l'ipersensibilità come il "talento degli Eclionner".
Sotto molti aspetti poteva essere utile: gli Eclionner avevano come un sesto senso, che permetteva di percepire un altro mondo, ovunque, intorno a loro. La capacità sensoriale e percettiva degli Eclionner faceva sì che notassero molti più dettagli che agli altri sfuggivano completamente. In certi momenti questo poteva creare un vantaggio, in quanto ne derivavano intuizioni e informazioni tali da ottenere vittorie considerevoli.
Vincere la guerra e perdere la pace.
La capacità di notare i dettagli, di sentire più intensamente, di ricordare in moto accurato, si ritorceva poi contro chi se ne era avvalso per vincere. Nell'ordinaria amministrazione, infatti, gli Eclionner fallivano sistematicamente perché finivano per trovare difetti ovunque, specie nelle persone più vicine a loro, e incominciavano a covare un'avversione che spesso diventava rancore. Potevano riuscire a nascondere questo rancore anche per mesi, o per anni interi, ma prima o poi arrivava il momento in cui quello che inizialmente era stato il "favorito" finiva per "cadere in disgrazia". Questo portava gli Eclionner ad espellere dalla loro vita quasi tutti i loro più stretti collaboratori, con grave danno alle attività di governo.
Ma il "talento" degli Eclionner  ha una sua particolarità: la premonizione.



Normalmente si trattava di questioni trascurabili e del tutto inutili. A volte però c'era un salto di qualità, come era successo a Marvin. Era anche quella un'arma a doppio taglio, perché vedere il futuro senza sapere la catena di cause ed effetti che lo aveva generato era come scoprire diagnosticare una malattia senza conoscerne le cure.
Io so quali catastrofi arriveranno, ma non so né quando, né come, né perché.




Cast

Virginia Madsen (Irulan Corrino) - principessa Irulan Eclionner
James McAvoy (Leto II Atreides) - Leto Fuscivarian (Fujiwara)

Foto

Opium - Eau de parfume - Yves Saint Loren
Papavero da coltivazione di oppio.
Quadro di Salvador Dalì - Premonizione della guerra civile.















Gli eredi di Gothian. Capitolo 24. Ellis e Marvin.



Ellis Eclionner arrivò a Caemlyn intorno alla mezzanotte, senza farsi annunciare, per questo fu molto sorpresa di trovare suo nipote Marvin Vorkidian ad attenderla nel parco tra le mura intermedie della città.



Quasi non lo riconobbe. Era vestito di nero e il suo sguardo era diventato duro e cupo.
<<Marvin, come facevi a sapere che io...>>
Lui troncò malamente la frase:
<<Ti avevo ordinato di rimanere a Gothian!>>
Il suo tono era talmente adirato e sdegnato che Ellis ne fu profondamente turbata e ferita:
<<Il potere ti ha dato alla testa. Mi ricordi come ero io negli anni peggiori>>
Marvin rimase impassibile:
<<C'è ancora la legge marziale in vigore. Ti potrei far processare per diserzione, ma per questa volta ti concederò la mia clemenza. Ora dì quel devi dire, e poi sarai esonerata da ogni carica nei miei regni. Potrai tornare da tuo figlio, ma dubito che ti riserverà un'accoglienza migliore della mia>>
Ellis era sconvolta dal cambiamento riscontrato in Marvin.
Allora aveva ragione Marigold! Sta veramente impazzendo...
Improvvisamente sentì una profonda compassione per lui.



<<Marvin, sei in pericolo. Sono venuta a conoscenza di una ampia cospirazione contro di te. Vogliono farti passare per pazzo. Il druido Bendeigind userà ogni suo potere per togliere lucidità alla tua mente>>
Lui osservò gli occhi commossi di Ellis e per la prima volta vide sua zia come una donna fragile e vulnerabile:
<<Ne sono al corrente. So bene quanto siate tutti delusi dalle mie scelte>>
Ellis vide in lui qualcosa che non aveva mai notato prima: la sua somiglianza con Masrek.
Assomiglia così tanto a suo padre. 
Aveva la sua stessa espressione malinconica e rassegnata, come se presagisse eventi luttuosi.
<<Io non sono delusa, sono preoccupata per te! Cosa ti sta succedendo?>>
Marvin dovette lottare contro un istintivo e assurdo desiderio di abbracciarla:
<<Se te lo rivelassi, metterei in pericolo la tua stessa vita>>
Lei scosse il capo:
<<La mia vita? Dopo la morte di tuo padre, la mia vita ha perso ogni valore. Ti prego, Marvin, non mandarmi via>>
A lui parve di aver rivissuto quella scena almeno un milione di volte.
<<Puoi ancora rifarti una vita, Ellis>>
La sua voce era remota, come se parlasse da distanza siderali.
<<In nome di quella parte di Masrek che ancora vive in te, consentimi di restare al tuo fianco, per vivere o morire, a seconda di quello che la sorte ha in serbo per noi>>
Marvin sentiva la catastrofe avvicinarsi verso di loro come una tempesta.Come poteva dirle che la sorte era mutevole per chi poteva vederla, e che implicava scelte assurde e incomprensibili dagli altri per essere evitata. Se fosse stato freddamente razionale avrebbe potuto e dovuto compiere delle scelte radicali. Ma nonostante l'espressione dura e severa del suo volto, sentiva il cuore esplodergli dentro.
<<Un giorno mi odierai per aver ceduto alle tue richieste. Ed io dovrò chiederti perdono per averlo fatto>>
Ellis ebbe per un attimo l'intuizione di ciò che Marvin aveva visto e sentì la stretta morsa gelida che ghermiva il suo cuore.




Era come il tocco di uno spettro, o forse quello della morte. La maledizione di Orazio le risuonò nella memoria: "Et inquietis adsidens praecordiis, pavore somnos auferam" : e pesando sui vostri cuori inquieti, nel terrore vi ruberò il sonno. La traduzione di quei versi si insinuò dalla mente fino al cuore.
Era dunque questo che Marvin aveva visto?
La traduzione del quinto epodo di Orazio pareva riassumere quella vaga intuizione in termini pieni di angoscia. "Vos turba vicatim hinc et hinc saxis petens contundet".
Nei villaggi da ogni parte la folla vi lapiderà... e avvoltoi e lupi sull'Esquilino lapideranno le vostre membra insepolte.
La profondità di quella consapevolezza le si dipinse sul viso, ed incontrò gli occhi gli Marvin.
<<Un giorno verrà la morte e avrà i tuoi occhi>>




Al sentire il richiamo luttuoso dei versi estremi che una lucida angoscia aveva dettato a Pavese nella parte finale della propria vita, Marvin si rese conto che lei aveva visto il rischio che correvano, lo aveva ponderato nel suo cuore, e lo aveva accettato. Una lacrima scese dal volto del giovane mentre le rispondeva con la prosecuzione della stessa poesia:
<<Questa morte che ci accompagna dal mattino a sera, insonne, sorda come un vecchio rimorso.... oh cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla>>