mercoledì 15 maggio 2024

Medioevo: i motivi per cui il Papato non si chiamava Stato Pontificio e controllava solo il Patrimonium Petri.

 


Durante il Medioevo avvenne la trasformazione del Patrimonium Sancti Petri, ossia le proprietà della diocesi del pontefice di Roma (sede apostolica petrina che però ancora non deteneva un primato amministrativo sulle altre diocesi della Chiesa cattolica, ma solo un primato in termini di prestigio) in un'entità che i documenti chiamano Patrimonium Sanctae Romanae Ecclesiae (rivendicando il primato di Roma) e che gli storici medievisti chiamano Papato. 
Sarebbe infatti anacronistico usare il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa, in quanto lo stesso termine Stato designa un'entità centralistica che controlla politicamente e burocraticamente un territorio , cosa che nel Medioevo, almeno fino al Trecento, non esisteva.
Nel periodo medievale centrale il territorio poteva essere controllato da un regno, un principato o un repubblica che esercitava tale autorità in maniera indiretta e decentrata, per mezzo del sistema vassallatico-beneficiario, base del feudalesimo.

Il termine Stato, che prima significava solo "status Regni", ha iniziato ad avere l'accezione moderna dal XV secolo, e si è poi affermata attraverso l'uso che ne fa Niccolò Machiavelli nell'incipit della sua celebre opera Il principe (1513), in cui lo usa come termine analogo a dominio. Il mutamento che ha portato la parola "Stato" da un significato generico di situazione a uno specifico di condizione di possesso di un territorio (e di comando sui suoi cittadini) non è ancora stato ben chiarito. Il concetto di sovranità è invece stato introdotto da Jean Bodin (1586), che ha definito le caratteristiche dello Stato assoluto.

Una cosa è certa, fino al Rinascimento non si usò mai il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa. C'era il Patrimonium Petri, che coincideva, all'incirca, all'ex ducato romano di età bizantina, e poi c'erano altri patrimonia sui quali la Curia Romana avanzava diritti di proprietà o di signoria feudale.

In molti atlanti storici e manuali scolastici di Storia si commette un errore grossolano mostrando, negli anni successivi alla Promissio Carisiaca, o Donazione di Pipino (754) e alla Donazione di Carlo Magno (774), l'effettivo controllo, da parte del Papato di Roma, della Romagna, o Romandiola, in precedenza costituita dall'Esarcato bizantino di Ravenna poi conquistato dal Regno dei Longobardi sotto i re Liutprando, Astolfo e Desiderio e da parte della Pentapoli bizantina (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona), che ben presto fu spartita tra la Marca di Ancona e il Ducato di Spoleto.

Papa Adriano I, con molto senso della realtà, avanzò richieste solo su territori che confinavano con il Lazio. Fu così che ottenne da Carlo Magno una parte della Sabina (781); una serie di città da Soana a Populonia a nord e, a sud, Sora, Arpino, Arce e Aquino (787).

L'insieme dei territori cui la Sede Apostolica aspirò con Stefano II assomigliava molto all'Italia suburbicaria di romana memoria. Quello che ottenne effettivamente invece parve ricalcare il distretto giudiziario del Praefectus Urbis, che si estendeva sul Lazio per cento miglia romane sia nord che a sud dell'Urbe, cioè da Talamone, presso il Monte Argentario, fino a Minturno, sul fiume.

Va quindi ribadito chiaramente che le donazioni di Esarcato e Pentapoli in teoria le avrebbero rese feudi del Papa, ma in pratica, almeno fino ad Innocenzo III, questo vassallaggio fu solo nominale, mentre il potere reale venne detenuto dall'Arcivescovo di Ravenna, che all'epoca non riconosceva la supremazia apostolica del Papa di Roma, e dalle grandi famiglie franche, longobarde e italiche che poi divennero, sotto la dinastia imperiale sveva, il centro delle signorie ghibelline in Italia.

Intorno all'anno 1000, sotto il regno dell'imperatore Ottone III, il centro-nord dell'Italia, si presentava all'incirca come le mappe che vediamo qui sotto. Il Regnum Italiae comprendeva la Longobardia, la Romandiola (che coincide con la Romagna attuale, mentre l'Emilia era longobarda da secoli e poi inserita nei domini dei Franchi), la Pentapoli (da Rimini ad Ancona), la Marca di Toscana, il Ducato di Spoleto e naturalmente il Patrimonium Petri, signoria territoriale del Papa di Roma. 

In riferimento alle mappe sottostanti, va ricordato che la Longobardia Maior si era estesa fino a inglobare l'Esarcato, il quale soltanto in teoria fu donato alla Sede Romana, ma nella pratica la signoria papale era solo nominale e sistematicamente ignorata e anche apertamente contestata, persino dal Arcivescovo di Ravenna (la Diocesi ravennate, infatti, aspirava a diventare qualcosa di simile a ciò che erano i vescovi-conti nell'Impero degli Ottoni e della dinastia Salica).






Il controllo effettivamente esercitato dal Papa sul territorio si estese soltanto gradualmente, a partire dal Tardo Medioevo fino all'inizio dell'Età Moderna.
Negli atlanti e nei manuali non viene spiegata, né rappresentata la lenta gradualità della costruzione dello Stato Pontificio, che, fino alle "recuperationes" di Innocenzo III e successivamente del cardinale Egidio Albornoz, nwi nei confronti della Marca di Ancona, della Marca di Fermo e della Romandiola si limitava esclusivamente al Patrimonium Sancti Petri, il Patrimonio di San Pietro, che in linea di massima, tendeva a coincidere con l'attuale territorio della regione del Lazio, tranne le zone che erano ancora sotto il Ducato di Spoleto (il reatino e il ternano).




Le Constituziones Egidiane del cardinale Albornoz rappresentano la prima fase del passaggio della Signoria Papale all'entità che poi, in Età Moderna, sarebbe diventata lo Stato Pontificio.
Tale documento, redatto a metà del Trecento, durante il periodo avignonese, rivendicava la proprietà o il vassallaggio dei territori donati in base ai seguenti trattati:

Ducato romano (754) donato da Pipino il Breve
Sabina (dal Tevere fino a Farfa, 781) donato da Carlo Magno
(Queste prime due entità costituirono il Patrimonium Petri)

Benevento (1052) donato da Roberto I d'Altavilla, re normanno di Sicilia.
Avignone e Contado Venassino (1229) donati dal re di Francia, Luigi IX il Santo.

Provincia Romandiolæ (1278) ceduta dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo (in cambio dell'incoronazione imperiale che però non ebbe mai luogo, perché Rodolfo a stento riusciva a controllare i feudi tedeschi)
Marca Anconitana e Ducato di Spoleto (1278) ceduti da Rodolfo I d'Asburgo e rinconquistati dal cardinale Egidio Albornoz.

Le successive annessioni furono:

Umbria (1424)
Città di Ancona (1532)
Ducato di Castro (1649)
Ducato di Ferrara, divenuto legazione (1598)
Ducato di Urbino, divenuto legazione (1631)








Bibliografia

Girolamo Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino, UTET Libreria, 1987, ISBN 88-7750-141-3.

^ A. Cortonesi "Il Medioevo: profilo di un millennio", Roma: Carocci Editore 2008, pp. 70-73

^ Stefano II, in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000.

^ E. Ewig, L'appello romano ai Franchi e l'origine dello Stato Pontificio, in H. Jedin (a cura di), Storia della Chiesa, IV, pag. 32.

^ Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno [1937], Laterza, Roma-Bari 1984, pag. 217.





giovedì 2 maggio 2024

La Quarta Era. Capitolo 4. La principessa Silmarien accoglie i delegati della Contea e del Mark di Rohan.

 


La capitale del Regno di Gondor era tornata ad essere Osgiliath, ma alcune grandi cerimonie si tenevano ancora nella capitale precedente, la roccaforte di Minas Tirith.
Il giorno del banchetto che seguì i funerali del Re, a fare gli onori di casa fu la principessa Silmarien, la figlia più giovane di Arwen e Aragorn e l'unica che ancora non era sposata (non certo perché le mancassero i corteggiatori, ma perché tra essi non vi era stato nessuno in grado di conquistare il suo cuore).
Posso permettermi di aspettare a lungo l'anima gemella, poiché il sangue elfico che scorre nelle mie vene è garanzia di lunga vita e di una sconfinata giovinezza.
Le era stato dato un nome nobile, quello della fondatrice della Casata di Andunie, da cui erano discesi i re di Numenor.
Silmarien, che in alto elfico quenya significava "Ghirlanda di luce".
Era stata sempre la preferita di suo padre, forse per il suo carattere dolce e gentile, per l'entusiasmo solare con cui affrontava la vita e per il suo amore per tutto ciò che nel mondo era fonte di bellezza e di serenità.
Mio padre vorrebbe che anche oggi io conservassi la mia luce e non lo deluderò. 
Qualcuno deve pur infondere un motivo di speranza in tutti coloro che oggi si sentono smarriti.
A differenza della maggior parte dei presenti, che indossavano abiti scuri e tetri, Silmarien aveva rispettato la volontà di suo padre, che desiderava essere ricordato con gioia e mai con dolore, e aveva scelto un abito lungo di colore azzurro e dorato, con un velo grigio argento.
I capelli castani e ondulati erano raccolti dietro la nuca e scendevano in morbidi riccioli sulle sue spalle candide. Una collana di zaffiri le ornava il collo e il petto e due bracciali dorati le cingevano i polsi.
I suoi occhi erano di un colore particolare, cangiante, che mutava a seconda della luce del sole: a volte parevano verdi, a volte di un tenue color nocciola venato di grigio, altre volte ancora cerulei.
Aragorn era solito dire che in lei rivedeva i tratti luminosi di Gilraen "Raggio di stella", la madre che lui tanto aveva amato.
Arwen però riconosceva in lei anche molti tratti della bella Celebrian, la sposa di Elrond, figlia di Galadriel e Celeborn.

Si avvicinò alla delegazione degli Hobbit, che se ne stavano in disparte, timorosi e in soggezione di fronte a tutta quella "gente alta" che non conoscevano.
Rivolse loro un luminoso sorriso:
<<Siate i benvenuti! Posso conoscere i vostri nomi?>>
Rincuorati dalla gentilezza della principessa, gli Hobbit si fecero avanti uno alla volta.
<<Io sono Isengrim Tuc, e i miei compagni di viaggio sono Faradas Brandibuck e Harding Gamgee. Vi porgiamo il nostro cordoglio per la scomparsa del grande re vostro padre>>
Silmarien sorrise:
<<Vi ringrazio per essere qui. I vostri nonni hanno fatto la Storia, ed erano grandi amici di mio padre, tanto che le loro spoglie riposano ormai accanto al sepolcro di Aragorn Elessar e ricevono insieme a lui l'omaggio del nostro popolo>>
Eppure mancava qualcosa, o meglio qualcuno.
Nessun erede dei Baggins. Possibile che Bilbo e Frodo non avessero qualche cugino col loro stesso cognome?
Stava quasi per chiederlo, quando vide che la delegazione di Rohan si stava avvicinando, capeggiata dal re Aelfwine, successore di Eomer, giovane nel suo aspetto, anche grazie al sangue numenoreano di sua madre Lothiriel di Dol Amroth.

<<A nome del popolo di Rohan, vi esprimo le mie condoglianze per la grave perdita del vostro amato padre e nostro supremo sovrano. Con lui se ne va il più glorioso e forte difensore dell'Occidente e dei Popoli Liberi!>>
La principessa annuì:
<<Porgete i miei ringraziamenti al vostro popolo, il cui eroismo ci ha sempre salvati nel momento del bisogno. Senza i prodi cavalieri di Rohan, la gloria di Gondor sarebbe svanita nel nulla>>
Dopo quello scambio di formalità, il tono si fece più colloquiale:
<<Come state, cugina? Nonostante il dolore, vi vedo più splendente che mai!>>
Silmarien sorrise:
<<Mio padre riposa in pace, dopo una vita lunga e utile. Il suo ricordo è vivo dentro di me. Oggi mi è di conforto e mi rallegra la vostra presenza, che porta con sé il riflesso delle grandi praterie dove corrono i cavalli bianchi del Riddermark. 
L'inverno del nostro cordoglio si è fatto fulgida estate ai raggi di questo sole di Rohan>>
Aelwine si inchinò e le baciò la mano;
<<La vostra cortesia riesce sempre a sorprendermi, come una luminosa mattina di settembre, che porta ancora con sé lo splendore e la gloria dell'estate>>
Avrebbero potuto trascorrere giornate intere a scambiarsi cortesie. Era sempre stato così tra loro,
Ecco un uomo che potrei amare, se solo avesse il coraggio di farsi avanti. Ma c'è qualcosa che lo trattiene, qualcosa che lo rende insicuro e che lo fa sentire indegno di me. Eppure in tanti anni non sono ancora riuscita a scoprire di cosa si tratti. 
Ora però che lui era qui, era decisa a fare chiarezza una volta per tutte, e a scoprire quale fosse il mistero che aleggiava intorno alla persona di re Aelfwine di Rohan e che lo aveva reso restio a sposarsi, nonostante avesse da tempo raggiunto e superato l'età giusta, e non gli fossero mancate le occasioni.
Nella mente di Silmarien da molto tempo c'era il sogno di sposare Aelfwine, anche se c'erano molte altre pretendenti, tra le bionde fanciulle nobili di Rohan, che avrebbero potuto consolidare la stirpe reale e accontentare il popolo dei Rohirrim, che non vedeva di buon occhio i matrimoni donne straniere.




C'erano ancora troppi pregiudizi nella Terra di Mezzo, e invece di calare, crescevano.
A volte si chiedeva a cosa fossero serviti tutti gli anni in cui suo padre aveva incentivato il dialogo tra i popoli, e di quanto lei stessa si fosse spesa per quella causa.
A volte mi sembra di essere vissuta invano.
La generazione precedente aveva compiuto grandi gesta, in gloria, senza macchia, che sarebbero state narrate e cantate fino alla fine dei tempi. Eppure qualcosa era stato tralasciato.
Abbiamo sconfitto il nemico che era fuori di noi, ma non quello che è dentro di noi. 
Un'Ombra alberga in ognuno di noi, e non tutti sono in grado di tenerla a bada.
Se lasciamo che le rivalità prevalgano, che le divisioni prendano piede e che la pace sia distrutta perché nessuno vuole cedere nulla, allora i nostri padri hanno combattuto invano.
Se non saremo in grado di preservare gli ideali che sorreggono la nostra convivenza civile con gli altri popoli, allora diventeremo come la parte peggiore di quelli a cui ci opporremo.