Sostiene una nota canzone "primaverile" che per innamorarsi basta un'ora.
Non fu così per Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini.
Non ci fu il cosiddetto "colpo di fulmine" in stile petrarchesco, con lui che viene trafitto dalla freccia di Cupido non appena la vede, il venerdì santo del 1327, e benedice quel giorno e quel luogo in uno dei suoi più famosi sonetti.
Niente di tutto questo.
O per lo meno, se proprio deve esserci uno sfondo idilliaco, con tanto di "chiare, fresche et dolci acque", si trattò, al massimo, di quelle del Canale Emiliano Romagnolo.
E questo perché la realtà è tremendamente prosaica, a dispetto di tutte le romanticherie immaginarie che si ripetono di generazione in generazione, dai grandi esempi letterari fino alle loro vulgate cinematografiche, fatte di film con Audrey Hepburn o Julia Roberts, via via decadendo, fino alle serie tv per adolescenti, tipo Riverdale, dove le coppie e gli amori sono falsi come l'ottone, per esprimersi con un'espressione che Ettore Ricci usava di frequente.
Ma torniamo ai nostri "anti-eroi" per ricostruire i loro primi dialoghi, tenendo conto che essi avvennero all'inizio degli Anni Settanta.
Innanzitutto va detto che il prof. Giovannelli, richiesto da Silvia di descrivere il collega Monterovere, non fu particolarmente generoso nei suoi confronti:
<<Mah, è un tipo strano. Dicono che venga dai monti. Ha dei modi bruschi, si mangia le parole, divora i cibi come un selvaggio, si sbriciola tutto. E poi come si esprime! Sembra dislessico...
E come insegnante non ne parliamo! E' pieno di controsensi: è laureato in matematica e non sa fare i conti, in compenso però ha messo in programma delle cose assurde, inaudite : la logica, gli insiemi, le relazioni... sta dei mesi a parlare di quella roba. E niente algebra, niente geometria! E poi è un fanatico di quelle cose strane di elettronica... non so cosa siano, li chiama calcolatori, ma non servono per fare i conti... sono delle macchine assurde, enormi, totalmente inutili... sai, la classica americanata... lui le chiama anche con un nome in inglese che non mi ricordo nemmeno, tanto si capisce subito che non hanno futuro...
Lui poi è una testa calda, un anticonformista, uno che ci tiene a épater le bourgeois...
Però, nonostante tutto, ho deciso di invitarlo per la gita a Parigi perché sono sicuro che ci farà ridere, senza volerlo, naturalmente>>
Questa dunque, la presentazione,
Ma cerchiamo di ricostruire insieme quello che accadde nel giorno in cui "il club di Piero" (ossia la cerchia eletta del prof. Giovannelli) si ritrovò sul treno che li avrebbe portati a Parigi.
Silvia non era molto alta di statura, ma nascondeva astutamente questo fatto avvalendosi della moda degli Anni Settanta: i pantaloni svasati, a zampa o a palazzo, le permettevano di indossare tacchi vertiginosi senza dare scandalo.
In quel fatidico giorno, Silvia vide avvicinarsi Francesco e lo osservò con attenzione: era molto alto, aveva capelli folti e castani, occhi nocciola screziati di verde, lo sguardo distratto, che sembrava sempre guardare altrove, in qualche dimensione parallela.
Quando però riconobbe Silvia, fu lui a farsi avanti e dopo le presentazioni e i convenevoli, iniziò subito a sondare il terreno:
<<Mi hanno detto che sei una letterata d'eccezione e una latinista insuperabile>>
<<Oh, che esagerazioni! Sono solo una che ha studiato molto>>
<<Ma per essere bravi in latino bisogna essere anche molto intelligenti. E' una materia logica>>
<<Be', sì...>>
<<E poi... ehm... ho sentito dire anche altre cose. Che i tuoi genitori hanno un feudo addirittura, e conoscenze nell'alta società>>
Lei sorrise per quella descrizione bambinesca, ma cercò di minimizzare, col suo solito undestatement:
<<Mah, a dire il vero mio padre è un semplice contadino che ha fatto fortuna e mia madre appartiene a una famiglia nobile decaduta. Hanno delle terre, ma il nome "Feudo Orsini", che hanno voluto mantenere in onore di mia madre, è fuorviante: è più che altro un'azienda agricola. E riguardo alla cosiddetta "alta società", che dire? Abbiamo qualche parente che ha fatto carriera, ma io non ho mai voluto favori. Quello che ho fatto, l'ho fatto con le mie forze. Non dare retta a tutte le chiacchiere di Piero>>
Lui la squadrò con attenzione:
<<Non è stato solo lui a parlarmi della tua famiglia. Hai presente i lavori per il Canale Emiliano-Romagnolo?>>
<<Sì, certo. Dovrà proprio passare per le terre di mio padre. Lui teme un esproprio da parte della Province di Ravenna e di Forlì. E' arrabbiatissimo per questa storia: sai, le giunte sono di sinistra e mio padre è sempre stato di destra, per cui è certo che non gli daranno gran che, come indennizzo>>
Francesco sorrise:
<<Ecco, tu pensa che i lavori per il tratto della Romagna Centrale sono stati affidati all'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, che è attualmente diretta da mio padre.
E nella famosa giunta "di sinistra" di Ravenna, l'assessore alle opere pubbliche è mio zio Edoardo, un comunista della prima ora.
E' lui che ha preso informazioni sul Feudo Ricci-Orsini>>
Silvia rimase di sasso:
<<Ma guarda che scherzo del destino! Mi ritrovo come collega e compagno di viaggio il figlio di un nemico di mio padre... Neanche in un romanzo d'appendice da quattro soldi si potrebbe trovare una trama così stereotipata>>
Francesco esitò qualche istante, poi disse:
<<Ad essere sinceri, mi pare che la storia dei Ricci-Orsini assomigli più che altro ad un romanzo giallo, un thriller, forse persino un noir con venature horror.
Mio padre mi ha raccontato delle storie veramente strane su certi episodi del vostro passato, si parla di delitti irrisolti, di alcune morti sospette...>>
Silvia si rabbuiò:
<<Tutte sciocchezze! Sono solo dicerie senza fondamento. Vaneggiamenti! E spero bene che tu non dia alcun credito a queste chiacchiere. Noi siamo gente per bene. Non dimenticarlo!>>
Detto questo, Silvia tirò dritto per il corridoio del treno, alla ricerca dello scompartimento di Piero e dei suoi eletti, facendo ticchettare i suoi tacchi alti, mentre Francesco la fissava con interesse accresciuto, perché gli piacevano le donne battagliere, specie quelle che sapevano combattere, per così dire, "in punta di tacco"...
In ogni caso, il ghiaccio era stato rotto.
La gita a Parigi permise a Francesco Monterovere di stringere amicizia con tutti i componenti del "club di Piero", compreso lo stesso Piero, il quale ebbe modo di apprezzare due qualità del nuovo "adepto" ossia l'indubbia intelligenza e la capacità di ascoltare senza mai pretendere di diventare il protagonista, ruolo che era "de iure" destinato al prof. Giovannelli.
Anche Silvia ebbe modo di rendersi conto che in fondo il Monterovere era un uomo interessante, che la faceva sentire a suo agio e la cui compagnia aveva il raro dono di rallegrarla, tanto che, in quella gita a Parigi, ella sentì alleviarsi, dopo tanto, tanto tempo, il peso della propria coscienza.