lunedì 25 ottobre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 165. La memorabile Prolusione del Rettore.

 


La lezione introduttiva dell'insegnamento di Istituzioni di Economia politica fu tenuta dal Rettore in persona, professor Mario Monti.
Già allora, nel '94, Monti poteva vantare un curriculum vitae straordinario, il che aveva generato nelle matricole bocconiane aspettative elevatissime, specialmente da parte di Roberto Monterovere, non foss'altro che per l'assonanza e consonanza dei loro cognomi.
Quella lezione era destinata a rimanere un "unicum", (un po' come la famosa Prolusione del Foscolo all'Università di Pavia), perché poco dopo Monti fu designato Commissario europeo dal primo Governo Berlusconi, insieme ad Emma Bonino, un'altra bocconiana "di lunga pezza", laureatasi nella notte dei tempi, quando "in Bocconi" c'erano ancora i corsi autonomi in lingue straniere.
Eppure quella sorta di Prolusione bastò per far capire a Roberto com'era, come docente, colui che era destinato a diventare, anni dopo, Senatore a vita e Presidente del Consiglio. 

I lettori che hanno seguito le vicende politiche dell'ultimo decennio, ricorderanno un Monti un po' soporifero, tecnicistico e gesticolante, (chi ha degli immobili lo ricorderà anche come la massima iattura della propria vita), ma il Monti che racconteremo qui, sulla base dei ricordi di Roberto, era più maldestro e incerto, come oratore, di ciò che in seguito è diventato.

Il giovane Monterovere ci disse che, in quella memorabile lezione, chi riuscì a non addormentarsi, ebbe il privilegio di apprezzare alcune doti del Professore, tra cui, per esempio l'involontaria comicità, caratteristica peraltro molto diffusa tra i docenti di ogni ordine e grado.

Ecco dunque la cronaca di quell'indimenticabile Prolusione.
Come ogni grande star, si fece attendere un po': "in Bocconi" il quarto d'ora accademico non esiste e se l'orario dice 8.30, devono essere le 8.30.

Monti entrò in aula alle 9, con aria spaesata, i capelli dritti, un sorriso incerto e la giacca tutta spiegazzata. Non era accompagnato da nessuno, il che diede adito ai dubbi: era davvero Monti?
Perché se quello era il Rettore, e se il buon giorno si vede dal mattino, le cose si mettevano male.
Dopo essersi guardato intorno con espressione sbalordita, come se non avesse mai visto un'aula universitaria in vita sua, il Professore incominciò a parlare a bassa voce e senza il microfono, con lo sguardo rivolto al pavimento.
Ora, questa tecnica, avrebbe forse potuto funzionare se lui si fosse chiamato Luigi Guerra e avesse avuto davanti quattro tremebondi novellini del Tfa, ma non aveva alcuna speranza di fronte a 300 neo-bocconiani assetati di sangue.

Naturalmente, dopo pochi secondi da quell'esordio surreale, si incominciarono a udire i primi: "Voce!" dalla piccionaia.
A quel punto Monti tornò a guardarsi intorno, disorientato, a bocca semiaperta, ma sempre con quel sorriso strambo e l'aria di chi sembra essere capitato lì per caso.

Alla fine, preso in mano il microfono, ricominciò a parlare, ma ancora una volta non si sentiva niente, perché si era dimenticato di accenderlo.
E quindi, dalla piccionaia, fioccarono i "Voce! Voce!".

Lui allora rimase spiazzato, confuso, si tolse gli occhiali, strabuzzò gli occhi e poi li richiuse riducendoli a due piccole fessure, si mise una mano perpendicolare alla fronte, come per proteggersi dal sole, e guardò in alto, sempre a bocca semiaperta e sempre con quel sorriso assurdo stampato sul volto.







Dopo alcuni momenti di terrificante imbarazzo, giunse il provvidenziale aiuto di qualche anima pia del primo banco, e finalmente il Professore riuscì ad accendere il microfono ed esordì:
<<Sì... no... allora... per l'esattezza, buongiorno!>>.
Seguì un "buongiorno" scettico da parte dell'aula e qualche interminabile istante di esitazione da parte dell'Oratore.
<<No, è che io... io ero venuto qui pensando di fare un discorso di un certo tipo, per l'esattezza, però adesso mi rendo conto che non... che non... uhm... che non ... no, cioè, sì... insomma, ora vorrei fare un discorso completamente diverso>>
Roberto non capì mai se quell'incipit raffazzonato contenesse un'involontaria gaffe, oppure fosse un deliberato insulto all'uditorio.
<<Vorrei incominciare con un un aneddoto che mi è occorso alcuni anni or sono... forse cinque, no, sei... no no cinque anni, per l'esattezza...
Ero in macchina con mia moglie, in vacanza in Maremma, e a un certo punto ho sbagliato strada e ci siamo persi>>
Chissà perché, il fatto che avesse sbagliato strada fu la prima cosa convincente del suo discorso.





<<Eh, sì! Eh sì, può succedere anche ai migliori. E a quel punto ci siamo ritrovati in questa mulattiera in mezzo al nulla... e allora?>>
E tutti rimasero in trepida attesa. Lui si grattò i capelli e proseguì:
<<E allora niente... abbiamo aspettato che passasse qualcuno per capire dove eravamo. Non c'era ancora il cellulare e quello era un luogo disabitato. Per l'esattezza.
Alla fine arrivò in bicicletta una signora anziana a cui chiesi dove mi trovavo e come potevo tornare sulla strada principale e lei me lo disse>>
Silenzio.
<<Avete capito la metafora?>>
Silenzio imbarazzato.
<<Eppure è chiarissimo. Voi siete me ed io sono la signora anziana in bicicletta. Per l'esattezza>>
Silenzio assoluto e ancora più imbarazzato.
<<Cioè, io posso darvi le informazioni giuste, e voi ne avete bisogno, dico bene?>>
Silenzio sepolcrale.
<<Ma, scusate, mi sorge il dubbio, voi sapete chi sono io? 
Sì? Sì, no, sì perché io... io lo chiedo perché vi vedo un po' assenti, per l'esattezza, ma devo ammettere che ha ragione il professor De Maddalena, il grande storico dell'economia, che era venuto l'anno scorso per tenere una Lectio Magistralis sul tema dell'allevamento dei bachi da seta nel Mantovano tra il 1550 e il 1615.
E insomma, per farla corta, a metà della lezione è fuggito via in lacrime...>>




Roberto notò che anche Monti sembrava sull'orlo di una crisi di pianto.
<<Aldo De Maddalena è uno dei più grandi storici dell'economia italiana, per l'esattezza, e ha insegnato in Bocconi per decenni, ma poi si è ritirato perché non si sentiva più in sintonia con gli studenti>>
Monti stava davvero per scoppiare in lacrime, per cui, mosso a pietà, Roberto chiese:
<<Professore, ci potrebbe dare consigli e indicazioni su come avvicinarci allo studio delle discipline economiche?>>
Il Rettore si aggrappò a quella domanda come un naufrago a un salvagente:
<<La ringrazio per questa domanda. Parto dalla mia materia, per l'esattezza, l'Economia Politica e per farvi capire meglio cos'è, vorrei raccontarvi una famosa barzelletta che circola in Bocconi dai tempi in cui ero studente.
Allora, un fisico, un chimico e un economista si ritrovano su un'isola deserta senza alcun attrezzo e con una lattina di cibo in scatola. Il fisico e il chimico s'impegnano ciascuno a ideare un ingegnoso meccanismo per ottenere l'apertura della lattina; l'economista si limita a dire "Supponiamo di avere un apriscatole"...>>




Mormorio in aula, qualche timido sorriso di circostanza, alcuni studenti uscirono dall'aula e si narra che non siano tornati mai più in Bocconi.
Circolò per anni la leggenda metropolitana secondo cui alcuni tra gli studenti che uscirono si sarebbero gettati nella Darsena presso i Propilei di Porta Ticinese, oppure, secondo altre versioni, nei liquami della Roggia Vettabbia, senza annegare, ma contraendo gravi forme di salmonellosi, leptospirosi, toxoplasmosi, escherichia coli e addirittura il colera.
Il Professore era compiaciuto per essere riuscito a raccontare la barzelletta sugli economisti e l'apriscatole:
<<Ammetto che il mio collega e amico, il professor Padoa-Schioppa, la sa raccontare meglio di me, ma questa volta mi è venuta bene perché ci siamo visti da poco, con Tommaso... e quindi... quindi...
Ma, scusate, ho perso il filo... cosa stavo dicendo? 
Di cosa stavo parlando, per l'esattezza?
Ah, sì, il senso della barzelletta è chiaro. C'è sempre il rischio di formulare ipotesi troppo ottimistiche e compiacenti, tali da far dire al modello quello che noi vorremmo che dicesse in base alle nostre convinzioni o speranze.
Queste osservazioni ci mostrano tutti i limiti delle scienze economiche, ammesso che si possa legittimamente usare il termine "scienza">>
Altri studenti uscirono per andare a gettarsi nel Naviglio Pavese o nel Lambro inferiore.
Monti, che invece era finalmente riuscito a carburare, procedette spedito:
<<E' inutile nascondersi dietro a un dito, purtroppo la capacità predittiva degli attuali modelli economici è molto limitata, per non dire quasi inesistente.
Del resto, se avesse anche solo una minima capacità predittiva gli economisti diventerebbero tutti ricchissimi giocando in Borsa. Per l'esattezza.
E a proposito di questo mi viene in mente un altro gustoso aneddoto...>>
Una ventina di bocconiani pentiti uscì dall'aula e non si seppe più nulla di loro.





<<...pensate che Irving Fisher, grandissimo economista, perse tutto il suo patrimonio scommettendo in un imminente rialzo borsistico pochi giorni prima del 29 ottobre 1929, il famigerato martedì nero, quando Wall Street perse il 17% provocando l'inizio della Grande Depressione. Per l'esattezza.
E Fisher morì in miseria, anche perché aveva perso credibilità come economista, e non lo chiamarono più per tenere conferenze come quella che io sto tenendo a voi. 
L'economia politica è piena di storie simili>>
Gelo siberiano tra i pochi superstiti in aula.
Uno studente coraggioso si alzò e chiese:
<<Ma allora perché si studia l'Economia Politica?>>
Monti inarcò le sopracciglia cespugliose e ribelli come la sua chioma grigia:
<<Già, perché? Io... io non... non... cioè io...  sì, no, la si studia perché... perché...
Ma io credo che la si studi per la stessa ragione per cui si studia la filosofia, o le scienze umane... per l'esattezza la sociologia e le altre scienze sociali: per farsi una cultura, affinare la mente e financo porre un freno agli "animal spirits" che governano il comportamento umano e dunque l'economia la società, la politica e il mondo intero.
Sì, no... detto così non sembra una gran motivazione, me ne rendo conto... ma adesso vi spiego... cioè... c'è un'altra ragione, anzi due... primo noi economisti confidiamo che, col tempo, si possano migliorare i modelli, la loro capacità predittiva e il loro statuto scientifico.
Cioè, per essere, come dire... ehm... esaustivi... bel termine, sì, bel termine... è una parola che mi piace e che uso spesso... ma cosa stavo dicendo?
Un attimo che devo fare mente locale... 
Sì... ecco... diciamo... diciamo che... insomma, c'è una seconda ragione, per l'esattezza, quella utile e importante, detto francamente, secondo cui, a volte, anzi quasi sempre, i modelli economici sono usati per sostenere e giustificare determinate scelte politiche che erano già state prese.
Non sto legittimando questo uso, lungi da me, però sono esaustivo, molto esaustivo e quindi... e quindi... be', lo capite anche voi... prima si sceglie cosa dimostrare e poi...e poi... e poi niente, si formulano le ipotesi in modo che alla fine il teorema non possa che dare l'esito che il committente richiedeva.
Lo ripeto, non sto avallando questa pratica, non fatemi dire cose che non voglio dire, ma se poi... se poi... se poi mi chiedete che tipo di mestiere possa essere quello di un economista applicato, non posso eludere la risposta, per l'esattezza.
Se si è assunti da qualcuno, è chiaro che bisogna essere in sintonia con le esigenze di questo qualcuno, mi spiego?>>





Roberto temeva di avere capito, ma sperava di sbagliarsi.
Tra tutte quelle circonlocuzioni senza fine e quei balbettii senza senso, una cosa incominciava ad essergli chiara: i modelli economici, di per sé, erano del tutto inutili, ma se li si manipolava in modo da far dire loro ciò che il proprio datore di lavoro voleva sentirsi dire, potevano diventare molto redditizi.
In quel momento Roberto intuì che l'economista di successo è paragonabile a una "escort di lusso" che i politici e i dirigenti si portano dietro per fare bella figura.
Monti non poteva dirlo apertamente, ma stava cercando, a modo suo, di farlo capire a quegli studenti che ai suoi occhi apparivano come un branco di idioti la cui sola vista gli provocava disgusto, ma che sarebbero diventati, un giorno, bravi soldatini ubbidienti e leali cani da guardia del capitale teutonico.
Era così tutti gli anni, ma per Monti quello, grazie al cielo, era l'ultimo come professore: d'ora in avanti sarebbe incominciata la parte divertente della sua carriera:
<<Fare l'economista applicato è un lavoro redditizio e alla lunga persino divertente, se entrate nello spirito della materia e nei salotti giusti.
Immaginate di dividervi in squadre, da una parte i Chicago Boys di Milton Friedman e dall'altra il Circolo Bloomsbury di John Maynard Keynes.




Non importa quale scegliete, l'uno vale l'altro, perché sono due casi estremi dello stesso modello matematico. E infatti, nelle cosiddette "serie storiche", la pendola oscilla sempre tra quelle due scuole, a seconda del momento storico e anche della, come dire... dell'opportunità politica, per l'esattezza... non c'è niente di male in queste considerazioni.
E non vi sto dicendo niente di nuovo: vi basti sapere che, per una regola non scritta, ma sempre applicata, il premio Nobel per l'Economia viene assegnato un anno ai keynesiani e l'anno dopo ai monetaristi friedmaniani che sostengono l'esatto opposto.
Gli epistemologi infatti ritengono che questa sia la prova che l'economia non è una scienza, ma una pseudoscienza, un po' come l'astrologia. Per l'esattezza.
Ma non deprimetevi! Ho voluto provocarvi per svegliarvi dal torpore, visto che mi sembravate un po' apatici, nevvero?>>

I 150 bocconiani sopravvissuti, incominciarono a capire l'antifona: sarebbero diventati venditori di fumo, ad altissimo livello.
Roberto si voltò istintivamente verso Aurora, per cercare il suo conforto:
<<Hai sentito, Auri? "Una pseudoscienza, un po' come l'astrologia". Davvero esaltante!>>
Aurora fece spallucce:
<<Era solo una battuta. Doveva cercare di rimediare alle figuracce iniziali e ha tirato fuori questo coniglio dal cilindro>>
Ma Roberto non si dava pace:
<<E' un pessimo prestigiatore, per non parlare della sua oratoria>>
Aurora fece un smorfia come per dire "chissenefrega" e poi rispose:
<<Be', almeno è stato sincero. E comunque ha anche detto che è un lavoro ben remunerato, divertente ed è sottinteso che, se davvero fai dire ai modelli quello che i politici vogliono sentirsi dire, ti fa far carriera ed entrare nell'Elite. Non è quello che vogliamo, in fondo?
Insomma, Robs, non ci si iscrive alla Bocconi per motivi ideali: lo studente bocconiano studia per far carriera, per far soldi, per diventare un dirigente o un consulente ad altissimo livello, e magari poi anche un politico-tecnico come Dini, il ministro del Tesoro, oppure Ciampi...>>
Qui Roberto intervenne:
<<Ciampi è laureato in Lettere, "per l'esattezza"...>>
Aurora rise e per un attimo sfiorò il parossismo, che sarebbe potuto diventare contagioso, vista la situazione ridicola in cui si trovavano.
Poi un pensiero la sfiorò:
<<Chissà se Lorenzo conosce Monti? Non sembrano uguali? Cioè, oratoria a parte, mi sembra che gli assomigli molto, come se fossero gemelli. Sembrano uno il sosia dell'altro. 
In ogni caso Lorenzo stimerebbe Monti>>
Roberto scosse il capo:
<<Ti sbagli! Lorenzo è un umanista, crede in un Ideale superiore. Non voleva che io venissi a studiare qui, e incomincio a pensare che avesse ragione>>
Quel colloquio si era svolto in un momento in cui tutta la classe rumoreggiava.
Monti era ancora là, con la stessa espressione stravagante, ma leggermente rincuorato dal fatto di essere riuscito, in qualche modo, a rompere il ghiaccio.
Ma quella tregua era destinata a durare poco.
E infatti, un altro studente coraggioso alzò la mano e chiese:
<<Professore, come si potrebbe definire con precisione l'Economia?>>

Monti fece una smorfia, piegando la bocca all'ingiù, come a dire "E io che ne so?".






<<Ehm, ecco... è una domanda meno facile di quanto lei pensi... bisogna... bisogna... 
Sì, no, ecco... io partirei dal fatto che ci sono le Scienze Economiche...
Cioè, nel senso che sono un gruppo di discipline diverse, ma unite da... sì, no, da un... un... un... no, sì, un filo conduttore... no, però non rende l'idea.
Diciamo che le discipline economiche si occupano del giudizio di utilità, come diceva Croce... o era Bentham? No, no era Croce, anche se... si, no, per me lo dicevano tutti e due, per l'esattezza... perché vorrei fosse chiaro che per me l'esattezza e la precisione sono essenziali.
Croce parlava di quattro tipi di giudizio: vero/falso (logica), giusto/sbagliato (etica), bello/brutto (estetica) e utile/inutile (economia).
Avete visto? Ehm, ehm... i miei studi del Liceo tornano ancora utili, eh? 
Ehm, ehm... sì, no.
Bentham, che ho citato poc'anzi è venuto prima ed è il padre dell'Utilitarismo, per l'esattezza e lo studierete in Storia del pensiero economico, se sceglierete di specializzarvi in Economia Politica, come io vi auguro, anche dopo l'incoraggiamento che mi sono permesso di darvi stamane in questa direzione. Spero di avervi convinto.
Ma l'Economia in generale studia l'organizzazione ottimale delle risorse scarse.
Sì, per l'esattezza, le scienze economiche sono una branca delle scienze sociali, incentrate sullo studio dei beni e servizi volti a soddisfare i bisogni dell'individuo e delle istituzioni pubbliche e private nella società.
Però poi c'è una grande differenza tra l'Economia Politica e l'Economia Aziendale. 
Gli aziendalisti si occupano della gestione ottimale dell'azienda, e quindi devono avere una conoscenza perfetta della contabilità e del bilancio, il resto, spero che mi perdonerete se dico che a mio parere è aria fritta, ma guai se mi sentono quelli della SDA, la Scuola di Direzione Aziendale dove si consegue l'MBA, il Master of Business Administration.
Un discorso a parte merita la Finanza o Scienza delle Finanze, che si colloca a metà strada tra l'Economics (per le Finanze Pubbliche) e la Business Administration (per la Finanza Aziendale e gli Intermediari Finanziari) e studia la moneta, i titoli, i tassi di interesse, le tasse, i flussi di cassa di ogni ente, i prestiti e i debiti, e gli intermediari che si occupano di tutto questo: banche, borse, fondi di investimento, assicurazioni, broker, ma anche i ministeri, gli enti pubblici economici e quelli a partecipazione statale.
Chi si occupa di Finanza deve conoscere benissimo la contabilità e il bilancio (sia dei privati che degli enti pubblici), la tecnica bancaria, il diritto commerciale e quello tributario, la matematica finanziaria, la statistica, ma anche i modelli della microeconomia e della macroeconomia.
Il finanziere è quello che ha la maggiore probabilità di fare carriera ad altissimo livello internazionale>>
Era riuscito a fare un discorso compiuto senza incertezze, ma lo sforzo era stato titanico.
E così alla fine Monti crollò seduto sullo scranno dei docenti, un seggiolone che lo faceva apparire un bambino con qualche disturbo dell'apprendimento o deficit dell'attenzione.
In effetti si diceva che il Professore soffrisse di dislessia e discalculia, ma erano solo voci di corridoio.
A quel punto arrivò finalmente la Cavalleria, a sostegno del Rettore assediato.
Si trattava di una delegazione "di altissimo livello", come diceva lui.
C'era, il prof. Bruno Sitzia, che poteva vantare come curriculum tre ictus, un'embolia polmonare, e un manuale di Econometria totalmente incomprensibile, e poi il ricercatore confermato Lucchini, timidissimo, e qualche dottorando ancor più spaventato.
Il più presentabile del gruppo era l'inserviente, che chiese, troppo vicino al microfono:
<<Professore, desidera un caffè?>>
Monti inarcò le sopracciglia e, incurante del microfono acceso, disse:
<<Ma, scusi, non avete preparato un buffet?>>
L'inserviente rimase di sasso:
<<No professore, questa era una lezione ordinaria, non una conferenza o...>>
Monti, costernato, scosse il capo, e rimase a pensarci su parecchio:
<<Uhm, no, sì, no... è che io ho avuto un calo di zuccheri, mi porti per cortesia una cioccolata in tazza con la panna e tre zollette di zucchero. Per l'esattezza>>
Però poi cambiò idea:
<<No, no... aspetti, ci ho ripensato, vorrei una crostata di mirtilli>>
L'inserviente era stupefatto:
<<Intera?>>
Monti fece un gesto vago:
<<Mah, non lo so, magari forse qualcuno ne vorrà una fetta, se avanza... faccia lei, per cortesia...non vede che sono impegnato?>>





L'inserviente parve perplesso, ma annuì e si diresse verso la porta, ma Monti lo richiamò di nuovo:
<<Anzi no, senta, è meglio un torrone, ma morbido però, per l'esattezza, perché ho appena rinnovato le protesi, sa com'è...>>
Questa volta l'inserviente scattò e scomparve veloce, prima che il Rettore cambiasse nuovamente idea e richiedesse qualcosa di ancor più insolito.
Nel frattempo il prof. Sitzia, zoppicando, si era seduto di fianco a lui, con lo sguardo perso nel vuoto.
Monti gli riservò un sorriso a mezza bocca:
<<Bruno, come stai, per l'esattezza?>>
Sitzia lo osservò con occhi spenti:
<<Mario! Ma sei proprio tu?! Quanto tempo è passato!>>
Monti si accigliò:
<<Dunque, se non erro, ci siamo visti la settimana scorsa, giovedì mi pare, per l'esattezza, alla festa del tuo ritorno in Bocconi dopo l'ultima aspettativa, ti ricordi?>>
Bruno Sitzia scosse il capo:
<<Adesso non ho presente, ho un vuoto, Mario, ma comunque sto bene, dai... anche se nei primi tempi, hai capito, nei primi tempi... lo sai che mia figlia si è sposata?>>
Monti sospirò:
<<Sì, è stato tre anni fa, per l'esattezza. Ed era tua nipote, la figlia di tua figlia, per l'esattezza>>
Solo in quel momento l'assistente Lucchini si accorse che i microfoni erano accesi e, con molto tatto, li spense.
Non sapremo mai, dunque, cosa i due si siano detti dopo, "per l'esattezza", ma a nostro parere Monti e Sitzia erano sprecati, in Bocconi: sarebbero stati perfetti come conduttori di Striscia la Notizia!





P.S. Ora, dopo tutte queste foto di Monti, meglio rifarsi la vista con l'immagine di alcuni bei castelli e paesaggi:



Sopra, Drachenburg Castle, Germany








                   Sopra Burg Eltz, sotto Burg Cochem



Sopra, Burg Hohenzollern.




Sopra, Burg Schwerin, sotto, Schloss Braunfels






Loarre Castle, Huesca, Spain

































lunedì 18 ottobre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 164. Quelli del quinto piano









Di certo Aurora avrebbe preferito prendere in affitto un superattico in Piazza San Babila, magari quello di Gucci, ma alla fine dovette convenire che una cosa simile sarebbe stata, oltre che una sbruffonata, un salasso fatale persino per le finanze dei Visconti-Ordelaffi. 
Per questo, alla fine, concordò con Roberto nel prendere in affitto (anzi "in locazione", come presto avrebbero imparato studiando Diritto Privatodue monolocali adiacenti, ognuno con il proprio angolo cucina e il proprio bagno privato) al quinto piano di uno studentato o residence per studentisituato in via Beatrice d'Este, uno dei tanti di proprietà dell'Università Commerciale Luigi Bocconi, la quale controllava, direttamente o indirettamente, quasi tutto il quartiere che ruotava intorno alla sua sede centrale storica nell'angolo tra l'omonima via Bocconi e via Sarfatti, vicino all'angolo nord-ovest del Parco Ravizza.







Già allora, prima degli imponenti lavori di ampliamento ed ammodernamento delle sedi e delle residenze che hanno caratterizzato gli ultimi quindici anni, la Bocconi era, in Italia, ciò che di più simile ci potesse essere a un college privato americano della Ivy League (loro avevano Harvard e Yale, noi avevamo la Bocconi e la Luiss; loro avevano Princeton e la Columbia, noi avevamo il Politecnico e la Cattolica e così via).





Ormai le serie tv americane ci hanno fatto conoscere la vita dei loro college meglio di quanto la conoscano gli americani stessi del Midwest o del Texas, e questo aspetto era già presente, anche se meno plateale di oggi, negli anni Novanta.
Una delle caratteristiche delle università americane è la presenza delle Confraternite. Ufficialmente alla Bocconi non ce n'erano, ma ufficiosamente sì, e questa era una delle tante fonti di preoccupazione, per Roberto, in quanto se c'era una cosa che detestava visceralmente, era il cameratismo, mescolato insieme ad una continua competizione per appartenere ai circoli più esclusivi.
Anche solo a sentirne parlare, gli veniva l'ansia.
Fortuna volle, però, che per motivi del tutto imprevedibili, gli studenti inquilini del quinto piano dello studentato di Via Beatrice d'Este, fossero, come già avevamo accennato nel capitolo precedente, persone molto educate, cordiali, brillanti e interessanti, nel senso che univano una personalità gradevole o notevole, un'intelligenza superiore alla media, una solida formazione culturale e un'esperienza di vita molto intensa.
Per la prima volta nella sua vita, Roberto sentì di essere in un "gruppo di pari" che gli andava a genio e che infatti frequentò volentieri, perché con loro era impossibile annoiarsi e la loro compagnia era nel contempo piacevole e istruttiva.
Possiamo dire che "Quelli del quinto piano" erano gli animatori di una sorta di omonima Confraternita spontanea tra le più apprezzate, ammirate e invidiate, specie negli anni tra il 1994 e il 1999, nel "College" della Bocconi.
La Confraternita era stata "fondata" prima del '94 da quelli che, quando Roberto arrivò, erano già laureandi o laureati che, pur essendo, per lo più, nati e cresciuti  nell'hinterland di Milano e Monza, nell'ambito delle tipiche famiglie di imprenditori brianzoli, avevano alloggiato stabilmente al quinto piano del residence di via Beatrice d'Este, per poi mantenere, lì, un cosiddetto "pied-à-terre".

Bisogna però tener conto di una cosa, che fin dai primi giorni fu evidente: in questo ambiente stimolante e tra queste persone molto dotate, il giovane Monterovere non era più "il primo della classe", ma anzi si sentiva, rispetto agli amici e ai conoscenti, che sembravano essere nati già col Financial Times sottobraccio, una specie di analfabeta.
Non si tratta di un'iperbole retorica e siamo convinti che su questo, almeno su questo, Roberto fu completamente sincero, perché doveva pur giustificare, agli occhi del mondo, a quelli della sua famiglia e dei suoi amici forlivesi il fatto che il suo rendimento universitario, pur rimanendo buono, fu inizialmente inferiore al previsto e alle grandi aspettative che c'erano nei suoi confronti.
E questo era dovuto non solo al fatto che la Bocconi fosse oggettivamente difficile e impegnativa e che le materie studiate fossero lontane dalla sua formazione liceale e meno interessanti del previsto, ma anche, e forse soprattutto, perché si trovava a dover competere (senza mai darlo a vedere, sia chiaro), con compagni di studi molto più dotati di lui, almeno in quell'ambito.

Resosi conto, molto presto, di tutto ciò, a Roberto tornò in mente una frase che, secondo Plutarco, il divino Giulio Cesare avrebbe pronunciato: Malo hic esse primus quam Romae secundus (Preferisco essere il primo qui che il secondo a Roma), poi divenuta un proverbio: meglio essere primi in un villaggio che secondi in una metropoli. E Roberto era molto più indietro, nella classifica.
Questa presa di coscienza fu foriera di molte ansie e preoccupazioni che andarono a sommarsi allo stress degli ultimi due anni di liceo e costituirono una delle ragioni principali della grande crisi che, come avevano previsto alcuni suoi familiari, il giovane Monterovere dovette affrontare tra il 1996 e il 1999.
Ma di tutto questo avremo modo di parlare in altri capitoli, cercando come sempre di discernere tra ciò che Roberto ci raccontò nella sua maniera enigmatica ed elusiva e ciò che realmente accadde.
Prima vogliamo incominciare a descrivere com'erano questi amici della Confraternita del Quinto Piano e a raccontare come si muovevano all'interno dell'elitario mondo bocconiano e della rutilante vita milanese degli Anni Novanta, la cosiddetta "Milano da bere", di un famosissimo spot.
Era stata la Milano di Craxi e Berlusconi, era la Milano di Formentini, di Albertini, di Formigoni, e adesso è tornata ad essere rutilante sotto l'attuale regno di Giuseppe Sala, che, in pochi anni, l'ha trasformata in qualcosa di simile alla City di Londra, sul modello di Manhattan, a New York City.











Riguardo alla Bocconi, va premesso che all'epoca non c'era ancora stata la riforma che introdusse il sistema anglosassone del 3+2 (bachelor+master, laurea triennale più laurea magistrale) e non era stato ancora istituito il corso di Giurisprudenza o i corsi di laurea tenuti in lingua inglese.
C'era dunque un sistema del tipo 2+2 : un biennio propedeutico comune per tutti i corsi di laurea in Economia, ed un secondo biennio di specializzazione, scelto tra Economia Aziendale (Business Administration),  Economia Finanziaria (Finance) ed Economia Politica (Economics).
Questa ripartizione creava tre "Fazioni" tra loro in continua competizione.
1) Gli Aziendalisti erano considerati tutti "figli di papà" tendenzialmente berlusconiani o ciellini (CL era potentissima "in Bocconi").
2) I Finanzieri erano ritenuti personaggi pericolosi, spietati, disposti a tutto, anche a passare sul cadavere di chiunque pur di far carriera nelle grandi banche, nei fondi di investimento e nelle borse.
3) Gli Economisti erano considerati, nel migliore dei casi, inutili ciarlatani radical-chic e nel peggiore psicopatici di estrema sinistra.
Questo tipo di ripartizione in correnti esisteva, seppur attenuato da un civile gentlemen agreement, anche tra i "Prefetti" della Confraternita del Quinto Piano.
In base a quel tacito accordo tra gentiluomini il titolo puramente goliardico di Prefetto spettava ai tre più anziani studenti del Quinto Piano in rappresentanza delle tre Fazioni.
Nell'anno accademico 1994/1995, l'ultimo in cui fu Rettore della Bocconi l'attuale senatore a vita Mario Monti (verso cui Roberto, manifestando spiccate doti di premonizione, nutrì subito un'antipatia che solo molti anni dopo avrebbe trovato il suo personale motivo), i tre Prefetti del Quinto piano erano, limitandoci ai soli nomi di battesimo e omettendo i cognomi, per gli Aziendalisti il brianzolo Gabriele, figlio di un imprenditore tessile, per i Finanzieri il veneto Gianni da Verona (che fu il vero leader della Confraternita) e per gli Economisti il piemontese Giorgio da Novara. 
A causa della comune iniziale del loro nome, venivano chiamati "la banda delle tre G", o direttamente "i GGG".
Tutti e tre stavano iniziando il secondo biennio ed erano in pari con gli esami, dunque avevano 21 anni.

Gabriele era l'Esteta del gruppo e in effetti sembrava una specie di Dorian Grey alla Milanese.
Capelli biondi, occhi chiari, snello, di bell'aspetto, un po' androgino (per quanto facesse sempre il cascamorto con le belle ragazze), di buona famiglia, molto curato ed elegante nel vestiario, raffinato nei modidi carattere gentile ed amichevole, nutriva interessi culturali nell'ambito delle arti visive, del teatro, della musica classica e operistica e del cinema d'autore. Partecipava alla vita mondana, dove era molto apprezzato, anche perché era quello che offriva a tutti da bere, invitava tutti a cena a sue spese, cambiava fidanzata ogni tre mesi (lasciando che fossero gli amici a consolarla e magari  a corteggiarla), organizzava eventi e iniziative mondane di ogni genere e nonostante questa vita dissipata si manteneva perennemente fresco e riposato e prendeva ottimi voti agli esami!





Il suo sorriso da bravo ragazzo, così come il suo vestiario sempre inappuntabile, facevano un'ottima impressione anche alle mamme degli amici.
Crediamo che lui avesse un debole per le cosiddette "Milf".
Persino Silvia Ricci-Orsini Monterovere non fu immune al suo fascino e, durante un'ispezione a sorpresa del monolocale di Roberto, essendosi imbattuta in Gabriele, ebbe a dire di lui: "E' proprio un bravo ragazzo, ordinato. Davvero un ragazzo a modonon come te, Roberto, che sei un selvaggio caotico e crei sempre tanti problemi ovunque vai, proprio come tuo padre e come tuo nonno".
Forse è anche a causa di giudizi come questo che Gabriele rimase, più che altro, un conoscente, molto simpatico e scherzoso, con cui divertirsi, ma senza legare troppo.

Diverso fu invece il rapporto di amicizia che si creò con il secondo "Prefetto del Quinto Piano",
Gianni, che era il Leader, anche se fisicamente non lo sembrava, ma sappiamo bene che l'apparenza inganna.
Era di media statura, capelli sul castano chiaro pettinati con la riga nel mezzo (andava molto a quei tempi), occhi castani, viso dai tratti regolari e dolci, ma con uno sguardo serio e anche un po' "tagliente", come la sua ironia.
Roberto gli riconobbe fin dall'inizio numerose doti: notevole intelligenza, volontà ferrea, inesauribile energia, ottima preparazione culturale, conversazione brillante, disinvolta sicurezza di sé, granitica autostima e illimitata ambizione (anche se quest'ultima, a nostro parere di narratori, non è una dote).





Aveva la media del 30. che alla Bocconi è qualcosa di umanamente impossibile.
Roberto, che dava grandissimo valore a queste cose, lo venerava.
Gianni, compiaciuto, gli voleva bene, lo chiamava "fratellino", "ragazzo" o Robbie, in onore del cantante Robbie Williams, il leader dei Take That, la boy band in voga all'epoca.
E inoltre gli elargiva consigli di vita del tipo:
<<Chi segue gli altri non arriva mai primo>>
Roberto però stava incominciando a dubitare delle proprie doti e faceva di necessità virtù, (oggi si direbbe che era "resiliente") :
<<Ma io non voglio arrivare primo. Mi basta un risultato buono>>
Gianni aveva scosso la testa:
<<Allora hai scelto l'università sbagliata. Se fai la Bocconi e ti laurei con lode, ti prendono subito nelle grandi Merchant Banks : Goldman Sachs, J.P.Morgan, Merryl Linch, Lehman Brothers e Morgan Stanley. 
Se non prendi la lode finisci alla cassa della filiale di Trapani del Banco di Sicilia>>






Però ogni tanto anche Gianni aveva dei cedimenti.
In una notte ormai remota nel tempo e nello spazio, mentre con Roberto tornavano da una festa dove era circolato di tutto, gli confessò:
<<Robbie, lo sai che io ti invidio?>>
<<Perché sto con Aurora?>>
<<Non solo, c'è un'altra ragione. Io ti invidio perché sei più alto di me>>
<<Non dire cazzate!>> sbottò Roberto <<Ti vorrei dare il mio naso! E poi sono io che dovrei invidiarti per tutti i 30 che prendi. Io non ne ho ancora visto uno neanche col binocolo!>>
Gianni proseguì imperterrito:
<<Per ora, ma poi migliorerai. Io invece non diventerò più alto. 
Nell'altezza non potrò mai arrivare primo, e quindi le donne alte mi vorranno solo per i soldi.
E quelle alte e ricche tipo Kate Moss non mi vorranno proprio.
Ti sembrerà un discorso stupido, e forse lo è, ma io mi sono sempre sentito sminuito di fronte alle persone più alte>>
Roberto scosse il capo:
<<Sei ubriaco. Il Gianni che conosco io non direbbe mai una cosa simile>>
E l'altro, prontamente:
<<In vino veritas, e io non mi sono limitato all'alcool. Diciamoci la verità, il Johnny che conosci tu è un insopportabile borioso che farebbe qualsiasi cosa pur di compensare il fatto che si sente basso. 
Tutte le persone che si sentono basse sono molto ambiziose e sviluppano molti talenti, per compensare ciò che la natura non ha concesso a loro.
Guarda Berlusconi! Se fosse stato alto non avrebbe combinato niente!
Anche Alessandro Magno e Napoleone erano bassi...>>
Roberto l'aveva bloccato:
<<Però Cesare era alto>>
<<Sì, ma era calvo... e doveva compensare il fatto di essere tale. Che poi, se ci pensi, anche Berlusconi è calvo, oltre che basso. Tu invece hai molti capelli, oltre che essere alto>>
Roberto stette al gioco:
<<E quindi, stando al tuo ragionamento, io non combinerò mai niente perché non devo compensare niente. Ma in realtà c'è una cosa da compensare: sono un imbranato, il più imbranato di tutti... e allora come la mettiamo?>>
Gianni prese al volo l'occasione per chiedergli a bruciapelo:
<<Ma se sei così imbranato come dici, come fa una come Aurora a stare con te?>>




Roberto rise:
<<Ah, me lo chiedo anch'io! Quando mi sono innamorato di lei, non credevo di avere alcuna possibilità. 
Eravamo compagni di classe al liceo. Me ne innamorai, ma non osavo corteggiarla, era già corteggiatissima, ed io sarei stato patetico, per cui mi limitai a mostrare di voler essere semplicemente suo amico.
La cosa che mi meravigliò di più è che lei era incredibilmente ben disposta nei miei confronti, questo perché sua madre ammirava la famiglia di mia madre, che in passato aveva una posizione di rilievo, ma ormai l'aveva perduta e suo padre stimava la famiglia di mio padre, in particolare mio zio.
L'appoggio dei genitori è stato fondamentale, nel permettermi di ottenere l'attenzione e la disponibilità di Aurora a conoscermi meglio.
Fin dalla nostra prima passeggiata insieme ci siamo trovati reciprocamente simpatici: scherzavamo, ci sentivamo a nostro agio, liberi di essere noi stessi e così ci siamo accorti che c'era una convergenza di interessi e di passioni.
E così, dopo circa un mese che ci frequentavamo come amici, si è creata un'atmosfera romantica, sai, complice la primavera, le canzoni che ascoltavamo: "voglia di stringersi e poi, vino bianco, fiori e vecchie canzoni / e si rideva di noi...">>
Gianni colse il riferimento:
<<Che imbroglio era? Maledetta primavera...>>
Roberto annuì:
<<Esatto! Ma non immaginarti che io avessi degli assi nella manica! 
Non sono un superdotato, e sicuramente non in senso anatomico, se è quello che, come temo, si chiederanno in tanti.
No, il fatto è che c'è sempre stata molta complicità, su tante questioni, anche di natura riservata e intima, per cui non posso dirti di più>>
Gianni era più curioso di prima, ma sembrava anche triste:
<<Va bene, da quel che ho capito siete, come si dice in inglese, "partners in crime".
Sarebbe interessante approfondire, ma non ti farò mettere sotto tortura per estorcerti i tuoi segreti. Una cosa però devo dirtela: hai una fortuna sfacciata, sai?
E nonostante questo non sembri mai soddisfatto. Ma cosa vuoi di più dalla vita?>>
Roberto si fece serio:
<<Quisque suos patimur manes, Eneide, libro sesto. Ciascuno di noi sopporta i suoi fantasmi e soffre per i propri demoni. 
La mia vita è stata molto più difficile di quanto possa sembrare.
Ed una delle cose che ho appreso dalle mie esperienze, e da quelle della mia famiglia, è che nulla va mai dato scontato o acquisito definitivamente.
Per questo io non invidio nessuno: ciò che crediamo di avere ci può essere tolto in ogni momento, tutto in una volta e senza alcun preavviso.
Tu dirai che sono una Cassandra, un uccello del malaugurio, ma la verità è che mi limito a constatare apertis verbis ciò che tutti sanno, ma non osano dire nemmeno a se stessi>>
Gianni lo guardò con una considerazione nuova:
<<Ci sai fare con le parole, ragazzoE parli come se avessi vissuto mille vite. 
Forse è anche per questo che hai fatto colpo su Aurora. 
Sei una persona interessante, e guarda che io non sono abituato a fare complimenti>>
Roberto ne fu lusingato.
Gli fece capire che ricambiava il giudizio e diventarono amici.
Non smisero mai di nutrire una grande stima reciproca, perché Gianni, pur essendo un vero genio della Finanza, apprezzava molto le discipline umanistiche e le scienze sociali, in cui riconosceva che il giovane Monterovere aveva talento, per quanto sconclusionato e caotico.
Quando Gianni ottenne, da parte di Roberto, quello che quest'ultimo riteneva la massima onoreficenza possibile, e cioè un invito a Villa Orsini, la stessa Silvia Ricci-Orsini disse: 
<<Roberto è onorato della tua stima, Gianni. Io non gli ho mai fatto sconti, perché non volevo che crescesse viziato. Mio figlio ha del potenziale, ma è troppo pasticcione, proprio come suo padre e come tutti i Monterovere. 
Tu invece sei preciso, e farai strada. Spero che ti ricorderai di noi, se avremo bisogno di un prestito>>
Gianni la considerò una battuta e rise, ma Silvia non stava affatto scherzando.

E veniamo ora al terzo Prefetto, Giorgio da Novara, l'Intellettuale dissidente, l'economista che voleva diventare il nuovo Marx.
Anche lui era un personaggio molto particolare.
Alto, longilineo, di aspetto simile a Johnny Depp ai tempi d'oro di Don Juan de Marco, al quale si ispirava spudoratamente nel curare la propria immagine di personaggio misterioso, tenebroso, con occhi neri leggermente a mandorla, capelli lunghi e lisci, pizzetto d'ordinanza, atteggiamento da poeta maledetto e contestatore, che era "in Bocconi" perché voleva arrivare al cuore del Sistema per distruggerlo "da dentro".
Adesso, come tutti i contestatori, è diventato un cattedratico perfettamente funzionale al "Sistema" stesso.
La sua cultura spaziava su ogni campo dello scibile umano, con particolare interesse per la letteratura francese e per la civiltà giapponese.




Anche di fronte a lui Roberto si sentiva un dilettante, e non solo quando studiarono insieme i modelli statistici e matematici su cui poggiava l'economia politica.
Molto più importante, per la futura evoluzione della personalità di Roberto, fu il fatto che  Giorgio lo spronò a leggere o rileggere con precisione e crescente entusiasmo i grandi romanzieri francesi, con una progressione rigidamente cronologica: Stendhal, Hugo, Balzac, Flaubert, Zola (tutto il ciclo dei Rougon-Maquart, che crediamo abbia inciso nel modo in cui il nostro anti-eroe ci ha presentato la storia delle Quattro Famiglie che hanno dato origine al clan Lanni-Ricci-Orsini-Monterovere), Maupassant, Huysmans, (crediamo che abbia inciso molto, questa lettura, sulla componente estetizzante e su quella esoterica di ciò che Roberto ci ha raccontato), Proust (tutta la Recherche! Tutta!!! E anche questa ha influito molto, più di quanto possa sembrare), Gide, Sartre, De Beauvoir, Yourcenar.
Alla fine di questo percorso, Roberto avrebbe potuto chiedere che gli fossero riconosciuti 50 crediti formativi, quando, anni dopo, si iscrisse all'università di Bologna.
Riguardo ai Giapponesi, Giorgio gli impose la lettura del "Genji monogatari" della divina Murasaki Shikibu, nata e morta durante l'era Heian, tra l'VIII e il XII secolo (794-1185).
Seguirono poi corsi personalizzati di Shintoismo, Zen, Samurai, storia dell'Impero del Sole tra il dominio dei Fujiwara e quello dei Tokugawa 





Possiamo dire che, alla fine di questo percorso formativo con i tre G, Roberto imparò di tutto tranne l'economia, il diritto commerciale, la finanza, la contabilità e la gestione aziendale.
E questo ebbe il suo peso nella crisi che scaturì in seguito.

Sempre parlando di "Quelli del quinto piano" vorremmo ricordare, per inciso, un episodio che avvenne proprio nell'ottobre del 1994.
Fra gli ex studenti freschi di laurea della Confraternita c'erano alcuni promettenti "enfant prodige" della finanza e della politica che nonostante la notevole carriera che li aveva portati rapidamente ad incarichi dirigenziali, trovavano ancora il tempo per partecipare a qualche cena con i loro"discepoli". 
Tra i neolaureati c'era un giovane, ma già importante esponente radicale, Marco Cappato, considerato da molti "il Delfino di Pannella".
Una volta, a una cena di gruppo, Marco sondò il terreno riguardo alle simpatie politiche delle "nuove leve" e quando Roberto gli disse che si collocava nell'ambito del liberalismo sociale, fautore dei diritti civili e sociali, il Delfino di Pannella gli chiese quale diritto civile gli stesse più a cuore e quest'ultimo rispose:
<<La legalizzazione dell'eutanasia volontaria, però quando lo dico la gente reagisce male, come se avessi tirato fuori una pistola e me la fossi puntata alla tempia>>
E anche in quel caso, la risposta di Roberto fece calare il silenzio in tutta la tavolata.
Marco però si fece trovare pronto all'assist che gli era stato fornito, e tenne un piccolo comizio nel quale le sue doti oratorie si manifestarono:
<<Alcuni reagiscono male perché sono convinti che questo tema non li riguardi. Credono che certe cose accadano sempre e solo agli altri e quindi "chissenefrega", "ci penserò da vecchio".
Poi ci sono quelli che invece sanno che questo tema riguarda tutti e certe situazioni possono capitare a chiunque, ma non vogliono sentirne parlare perché questo pensiero rovinerebbe il loro buon umore. A costoro rispondo citando la Bibbia: nella vita c'è un tempo per tutte le cose, e quindi anche uno per stare allegri e uno per fare discorsi seri. Chi vuole stare sempre allegro ha un atteggiamento miope per non dire sciocco.
Poi ci sono quelli che non ne parlano per pura scaramanzia. A questi mi verrebbe da dire: va bene, toccatevi pure le palle, ma parliamone! Mi scuso con le signore presenti, ma ogni tanto una battuta ci vuole.
Io credo che i nuovi mezzi di comunicazione che stanno nascendo in via sperimentale nell'ambito accademico, dove sono operative le prime reti globali di comunicazione telematica, si diffonderanno presto e conteranno molto, in futuro, nel sensibilizzare le persone a questo tipo di discorso. La Bocconi è all'avanguardia anche da questo punto di vista e lo apprenderete nel corso di Informatica e i tutor vi spiegheranno come utilizzare i terminali in rete dell'università.
Ma tornando al nostro discorso, c'è chi è contrario per ragioni etiche e religiose di rilievo, e almeno non si sottrae all'argomento, al dibattito e al dialogo, ed è un atteggiamento serio, maturo e coerente.
Non condivido però il fatto che decidano loro come io devo morire: questo è un sopruso!
Ci sia concesso, in primo luogo, di poter esprimere le nostre dichiarazioni anticipate di trattamento e anche su questo credo che si possa trovare una convergenza più ampia.
Il mondo cattolico è una realtà molto variegata: ci sono vari punti di vista, ci sono delle aperture e su alcune tematiche, come le cure palliative, c'è concordanza. 
Per ora la Cei e il Vaticano sono a maggioranza conservatrice, ma non sarà così per sempre.
Infine c'è il discorso della politica. 
La maggior parte dei politici non parla del "fine vita" perché ritiene che un simile tema non farebbe guadagnare nuovi consensi e rischierebbe di far perdere il voto dell'elettorato più vicino alle posizioni ufficiali della Chiesa sull'argomento.
Io credo che però la situazione stia per cambiare, c'è molto fermento in questo periodo, e non solo perché le forze politiche si stanno rinnovando, si danno nuovi statuti, nuovi programmi, ma perché, più che altro, c'è una maggiore attenzione da parte dei mass-media ai casi internazionali sull'argomento, e questo ha introdotto il tema nei dibattiti politici e nei talk-show.
E al riguardo vi avverto: presto mi vedrete in televisione!
Io penso che se anche in Parlamento ci fossero dei veti, si possano seguire altre strade, per via referendaria oppure per mezzo di precedenti giurisprudenziali.
Se occorrerà, io sarò pronto alla disubbidienza civile: il mio motto è, con riferimento ironico che riconoscerete, "credere, DISobbedire e combattere". Mi raccomando il "dis-".
In tutto questo i nuovi mezzi di comunicazione saranno sempre più importanti.
Quindi Roberto, ti posso garantire che non sei l'unico a cui questo argomento sta a cuore, in tanti mi hanno esposto il problema, e tra questi anche esponenti del pensiero conservatore, come Indro Montanelli. Sarà un battaglia durissima e io per primo, lo prometto, mi batterò per portare questo discorso all'attenzione dei mass media, del mondo politico, degli elettori e delle istituzioni>>
E' raro che i politici mantengano le promesse, ma in questo caso possiamo dire che le azioni sono state coerenti con le parole e la promessa è stata mantenuta.
Oggi, a cinquant'anni, Marco Cappato è forse l'Ultimo Radicale autentico, che si espone personalmente, anche con rischi legali notevoli, per portare avanti quello che, anche a nostro parere, dovrebbe essere riconosciuto e regolamentato come un diritto civile e umano.




Abbiamo riportato questo episodio anche per mostrare che il periodo milanese di Roberto fu pieno di incontri e di esperienze molto importanti, e dunque la scelta universitaria, almeno sotto questo punto di vista, non fu del tutto sbagliata.

Ma tornando al nostro triumvirato dei GGG, possiamo dire che quei tre personaggi erano molto differenti tra loro, tanto che la sola cosa che mostrarono di avere in comune, oltre alla Bocconi e alla Confraternita del Quinto Piano, fu l'evidente e inutile tentativo di corteggiare Aurora Visconti-Ordelaffi.
Fin dall'inizio faticarono a credere che lei fosse ufficialmente fidanzata con Roberto, verso il quale comunque mostrarono un massimo rispetto unito ad una grande curiosità, come se lui solo conoscesse qualche pozione amorosa o afrodisiaca o chissà quale misteriosa tecnica di seduzione.
Roberto, nel vedere questi tre ragazzi così dotati che si prosternavano quotidianamente davanti ad Aurora, facendo a gara per conquistarne l'attenzione e la benevolenza, all'inizio pensò di essere spacciato e le chiese direttamente che impressione le faceva il loro corteggiamento.
Lei rise e disse:
<<Ho sempre trovato qualcosa di patetico nel corteggiamento. Tu sei l'unico mio corteggiatore che non si è mai reso patetico ai miei occhi. Anche nei momenti di debolezza o di crisi, la tua personalità ha mantenuto il suo stile, che può essere ironico e tragico nello stesso tempo, a volte anche istrionico, ma mai patetico>>
Roberto non ne era così convinto, ma passò alla domanda successiva:
<<Però a me sembra che quei tre abbiano, oggettivamente, più doti rispetto al sottoscritto, e non lo dico per falsa modestia, ma perché sono in grado di riconoscere e di apprezzare i pregi degli altri.
Insomma, a Forlì era abbastanza facile conquistarsi la fama del "più intelligente e più colto", ma qui è tutto un altro discorso.
E mi preoccupo perché mi chiedo: come farà Aurora a resistere all'attrazione per tipi che sono spudoratamente più belli e più intelligenti di me, oltre che molto più ricchi>>




Aurora fu molto paziente e diede una risposta che merita di essere ricordata:
<<Anche ammesso che abbiano davvero tutte quelle qualità o fortune, la situazione è molto più complessa. Tu dai troppa importanza all'estetica. Non capisci che la bellezza senza uno stile originale vale poco, specie in un uomo, e poi non tieni conto del fatto che l'intelligenza senza la sensibilità e la cultura non fa breccia sulle donne. E poi dimentichi sempre che io non sono una persona venale, forse anche perché sono ricca per conto mio>>
Su quel punto, però, Roberto aveva un'obiezione, da tempo, che non aveva mai espresso ed evitò sempre di esprimere, e cioè che quella ricchezza era stata foraggiata dall'ampia iniezione di liquidità da parte di Albedo, per il tramite di Lorenzo Monterovere, senza il quale nulla sarebbe stato possibile. Ma questo non poteva essere detto: era pericoloso anche solo pensarlo.
Aurora però sapeva argomentare bene i propri sentimenti:
<<Ma la cosa più importante di tutte è che una persona non è la somma dei suoi pregi o dei suoi difetti, ma è il modo, unico, in cui questi elementi coesistono collocandosi all'interno di un profilo, di un ritratto, di una personalità, di una sinfonia. Sposta anche un solo tratto, un solo colore, una sola sfumatura, una sola nota, e tutto cambia e non si riconosce più.
Io ti conosco, io so chi sei, e il tuo profilo corrisponde a tutto ciò che cerco e di cui ho bisogno.
Tu credi di essere insicuro, ma non è vero: solo chi è sicuro di sé può parlare così apertamente dei propri presunti difetti e arrivare a scherzarci sopra.
E c'è un'ultima cosa che io ho capito in questi due anni in cui siamo stati insieme, ed è il modo di in cui riesci a superare i momenti difficili.
Tutti pensano che il merito sia mio, ma non è vero: io posso essere stata d'aiuto, ma la vera forza ti veniva da dentro.
C'è una fonte inesauribile di forza dentro di te, un nucleo sano e coriaceo che può guardare in faccia il Male e opporgli la propria capacità di aver tratto il meglio di ciò che l'infanzia gli ha offerto. E' il "bambino della campagna" che sapeva vedere il paradiso in un luogo che per la sua famiglia era stato un inferno. Il bambino che era riuscito a riconciliare i nonni materni che non si parlavano più da decenni, perché riconosceva in ognuno dei due una parte di sé.
Il ragazzo che ha riconosciuto nella Contea di Tolkien la propria Contea, quel piccolo angolo di mondo che ci siamo ritagliati e che difenderemo con le unghie e con i denti, perché sappiamo che vale la pena lottare fino all'ultimo per difendere ciò che di buono abbiamo su questa terra.
Io ho visto tutto questo in te, e voglio che tu lo tenga a mente.
In questi ultimi due anni sei stato tu a insegnarmi cos'è il coraggio, e a capire ciò per cui vale la pena vivere e ciò per cui vale la pena morire>>
Roberto, commosso, la ringraziò e la abbracciò, ma non poté fare a meno di porre un'ultima domanda:
<<E se alla fine dovessi perdere realmente la mia Contea?>>
Lei gli diede una risposta memorabile:
<<Anche Artù alla fine perse la sua Britannia. 
Forse sapeva fin dall'inizio che la sua era una causa persa, ma sapeva anche che era una causa giusta.
E' questa consapevolezza di combattere per una causa giusta anche se che sta comunque tramontando a rendere ancora più nobile ed eroico il suo personaggio, tanto che, se anche non fosse mai esistito, ci sarebbe stato bisogno di inventarlo>>