domenica 30 ottobre 2016

Perché si verificano terremoti in Italia: la placca euroasiatica, la placca africana e la microplacca adriatica




La placca adriatica o placca Apula è una placca litosferica minore, generalmente associata alla placca euroasiatica. Comprende il mar Ionio settentrionale, il mare Adriatico, il settore settentrionale ed orientale della penisola italiana, le Alpi meridionali ed orientali. Il nome è di solito adoperato riferendosi al settore settentrionale, deformato durante l'orogenesi alpina.
È a contatto con la placca euroasiatica, la placca africana e la placca egea, tramite una zona di subduzione nello Ionio settentrionale, zone di collisione continentale e faglie nelle Alpi dinariche, negli Appennini e nelle Alpi (Linea Insubrica).
Si ritiene che la placca adriatica si stia tuttora muovendo in modo indipendente dalla placca euroasiatica in direzione NNE, con una piccola componente di rotazione antioraria.[1]
Composta principalmente da crosta continentale, si è separata dalla placca africana lungo una faglia trasforme durante il Cretaceo, ed è entrata in collisione con la placca euroasiatica durante l'orogenesi Alpina, formando le catene delle Alpi e degli Appennini, e provocando fenomeni magmatici nell'Italia meridionale e nel Tirreno.
La crosta oceanica della placca africana è in subduzione al di sotto della placca adriatica al largo delle coste meridionali ed occidentali della penisola italiana, creando un prisma sedimentario che si innalza dal fondale marino e prosegue sulla terraferma. Insolitamente, pare che anche la crosta oceanica eurasiatica sia stata subdotta in qualche modo al di sotto della placca adriatica, oltre ad aver subito deformazione.
Le rocce sedimentarie mesozoiche deposte su questa placca comprendono i calcari formanti le Alpi meridionali.

Note

  1. ^ R. Devoti, C. Ferraro, E. Gueguen, R. Lanotte, V. Luceri, A. Nardi, R. Pacione, P. Rutigliano, C. Sciarretta, F. Vespe, Geodetic control on recent tectonic movements in the central Mediterranean area, in Tectonophysics, vol. 346, 3-4, marzo 2002, pp. 151–167, DOI:10.1016/S0040-1951(01)00277-3.

Bibliografia

  • F.K.Bauer & O.Schermann, Das Periadriatische Lineament in den Karawanken, Jahrbuch der Geologischen Bundesanstalt, Vol 127, Tomo 3, Pagg. 299–305, Wien, 1984.PDF-Datei; 691 kB
  • S.M. Schmid, B. Fügenschuh, E. Kissling e R. Schuster, Tectonic map and overtall architecture of the Alpine orogen, Eclogae geologicae Helvetiae, Vol. Bd. 97, Pagg. 93-117, 2004pdf-Version; 4,3 MB
  • Golonka J., Glossary of plate tectonic and paleogeographic terms
  • Favali, P., Mele, G., Mattietti, G., 1990: Contribution to the study of the Apulian microplate geodynamics. Mem. Soc. Geol. It., 44, p. 71 - 80

Voci correlate

L'incidenza dello stress e dei traumi sulle condizioni mentali secondo il modello vulnerabilità/resilienza

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Resilience

In psicologia, la resilienza è una parola che indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.
Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.
Si può concepire la resilienza come una funzione psichica, che si modifica nel tempo in rapporto all'esperienza, al vissuto e, soprattutto, al modificarsi dei processi mentali che ad essa sottendono.
Proprio per questo troviamo capacità resilienti di tipo:
  • istintivo: caratteristico dei primi anni di vita, quando i processi mentali sono dominati da egocentrismo e senso di onnipotenza;
  • affettivo: rispecchia la maturazione affettiva, il senso dei valori, il senso di  e la socializzazione;
  • cognitivo: quando il soggetto può utilizzare le capacità intellettive simbolico-razionali.
Una resilienza adeguata è il risultato dell'integrazione di tali elementi libidico-istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi.
La persona "resiliente" può essere considerata quella che ha avuto uno sviluppo psicoaffettivo e psicocognitivo sufficientemente integrati, sostenuti dall'esperienza, da capacità mentali sufficientemente valide, dalla possibilità di giudicare sempre non solo i benefici, ma anche le interferenze emotivo-affettive che si realizzano nel rapporto con gli altri.
Andrea Canevaro definisce la resilienza come «la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, scoprendo uno spazio al di là di quello delle invasioni, scoprendo una dimensione che renda possibile la propria struttura»[1].
È una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita, in particolare i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l'acquisizione di comportamenti resilienti:
« La resilienza è la capacità di un individuo di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettano di resistere, adattarsi e rafforzarsi, a fronte di una situazione di rischio, generando un risultato individuale, sociale e morale. »
(Oscar Chapital Colchado (2011))

Comunità resilienti

« resilienza sociale e di gruppo: quando un gruppo, struttura sociale, istituzione o nazione forma strutture di coesione, appartenenza, identità e sopravvivenza come strutture sociali illimitati o complesse; sviluppa modi di affrontare eventi e situazioni che mettono in pericolo il gruppo e l'identità, formando linee guida che consentono la sopravvivenza, l'espansione e l'influenza del gruppo. »
(Oscar Chapital Colchado (2013))
Applicato a un'intera comunità, anziché a un singolo individuo, il concetto di resilienza si sta affermando nell'analisi dei contesti sociali successivi a gravi catastrofi naturali o dovute all'azione dell'uomo quali, ad esempio, attentati terroristici, rivoluzioni o guerre.[2] Vi sono processi economici e sociali che, in conseguenza del trauma costituito da una catastrofe, cessano di svilupparsi restando in una continua instabilità e, alle volte, addirittura collassano, estinguendosi; in altri casi, al contrario, sopravvivono e, anzi, proprio in conseguenza del trauma, trovano la forza e le risorse per una nuova fase di crescita e di affermazione.
Un esempio del primo tipo è quello della comunità del Polesine che, a seguito della grande alluvione del Po del 1951, non riuscì a risollevarsi e subì una vera propria diaspora, disperdendosi nell'ambito di un grande processo migratorio che si spinse, tra l'altro, fino all'Australia[3]. La città di Firenze, al contrario, pur avendo subito oltre 60 alluvioni dell'Arno nell'ultimo millennio, molte delle quali di intensità assolutamente eccezionale, ha conservato una straordinaria continuità nel tessuto economico[4], artistico e architettonico. I fattori identitari, la coesione sociale, la comunità di intenti e di valori costituiscono il fondamento essenziale della "comunità resiliente".[5]

Note

  1. ^ A.Canevaro, p..
  2. ^ J. Vale, J. Campanella
  3. ^ M.Colucci M.Sanfilippo, p.40.
  4. ^ La resilienza psicologica in ambito economico e imprenditorialeintraprendere.net.
  5. ^ L’Arno e le sue alluvioni nell’ultimo millennioadbarno.itURL consultato il 17 maggio 2015.

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Voci correlate

Siamo veramente liberi di decidere o il libero arbitrio è un'illusione?

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Il libero arbitrio è il concetto filosofico e teologico secondo il quale ogni persona è libera di scegliere da sè gli scopi del proprio agire, tipicamente perseguiti tramite volontà, nel senso che la sua possibilità di scelta è liberamente determinata.
Ciò si contrappone alle varie concezioni secondo cui questa possibilità sarebbe in qualche modo predeterminata da fattori sovrannaturali (destino), o naturali (determinismo), per via dei quali il volere degli individui sarebbe prestabilito prima della loro nascita: si parla allora a seconda dei casi di predestinazioneservo arbitrio o fatalismo.

Problematiche

Il concetto di libero arbitrio ha implicazioni in campo religiosoetico e scientifico, dove pone diversi problemi:
  • in campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente e onnisciente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui;
  • nell'etica questo concetto è alla base della responsabilità senza cui un individuo non potrebbe rispondere per le sue azioni;
  • in ambito scientifico l'idea di libero arbitrio comporta un'indipendenza del pensiero, e quindi della mente, dalla pura causalità delle leggi scientifiche.
La questione ha ripercussioni anche nel diritto, dove il concetto di libero arbitrio e di responsabilità individuale sta alla base del codice di procedura civile e penale.

Approccio filosofico e religioso

Il tentativo di conciliare il libero arbitrio dell'uomo con l'onniscienza e onnipotenza divine è stato uno dei maggiori problemi con cui è misurata la teologia cristiana.

Agostino d'Ippona

Agostino d'Ippona
Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Pensiero di Agostino d'Ippona § Il libero arbitrio.
Per risolverlo, Agostino d'Ippona distinse la libertà propriamente detta, ossia la capacità di dare realizzazione ai nostri propositi, dal libero arbitrio, inteso invece come la facoltà di scegliere, in linea teorica, tra opzioni contrapposte, ossia tra il bene e il male.[1] Mentre cioè il libero arbitrio entrerebbe in gioco solo nel momento della scelta, rivolgendosi ad esempio al bene, la libertà sarebbe incapace di realizzarla.
In polemica contro Pelagio, Agostino poteva così sostenere che la volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato per sempre la nostra capacità di realizzare le nostre scelte, e quindi la nostra stessa libertà. A causa della corruzione, dunque, nessun uomo sarebbe degno della salvezza, ma Dio può scegliere gratuitamente chi salvare, elargendo la Sua grazia con cui gli infonde la volontà effettiva di perseguire la scelta del bene, volontà che altrimenti sarebbe facile preda delle tentazioni malvagie.
Agostino si rifaceva in proposito alle parole di Paolo di Tarso: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me».[2]
Nel De diversis quaestionibus ad Simplicianum Agostino approfondì la propria concezione filosofica, sostenendo che la grazia di Dio è necessaria non solo nel momento realizzativo, ma anche per illuminare l'uomo su cosa è il bene. Egli riportava così il problema di chi Dio scelga di salvare, e perché, all'originale teologia della giustificazione di Paolo di Tarso.

La scolastica

Tommaso d'Aquino
Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Tomismo § Il libero arbitrio e la morale.
Del problema si occupò successivamente la scolastica cristiana. Secondo Tommaso d'Aquino, il libero arbitrio non è in contraddizione con la predestinazione alla salvezza, poiché la libertà umana e l'azione divina della Grazia tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. La volontà libera si distingue da quella non libera perché a differenza di quest'ultima si sottomette ai criteri della ragione, «essendo proprio della medesima potenza il volere e lo scegliere».[3] Tommaso, come Bonaventura da Bagnoregio, sostenne inoltre che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Per Bonaventura tuttavia la volontà ha il primato sull'intelletto.
All'interno della scuola francescana di cui Bonaventura era stato il capostipite, Duns Scoto si spinse più in là, slegando il libero arbitrio da motivazioni razionali, ammettendo la possibilità che esso possa determinarsi sia in una direzione che in quella opposta. Il francescano Guglielmo di Ockham, infine, esponente della corrente nominalista, radicalizzò la teologia di Scoto affermando che l'essere umano è del tutto libero, e solo questa libertà può fondare la moralità dell'uomo, la cui salvezza però non è frutto della predestinazione, né delle sue opere. È soltanto la volontà di Dio che determina, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano. Egli cioè concepì il libero arbitrio come l'«indifferenza dell'arbitrio» (arbitrium indifferentiae), ossia come puro arbitrio, indipendente da ogni motivazione passionale o razionale.

Le dispute tra Lutero, Erasmo, Calvino

Martin Lutero
Con l'avvento della RiformaMartin Lutero fece propria la teoria della predestinazione negando alla radice l'esistenza del libero arbitrio: non è la buona volontà che consente all'uomo di salvarsi, ma solo la fede, infusa dalla grazia divina. È solo Dio, quello absconditus della tradizione occamista, a spingerlo in direzione della dannazione o della salvezza.[4]
« La volontà umana è posta tra i due [Dio e Satana come un giumento, il quale, se sul dorso abbia Dio, vuole andare e va dove vuole Dio, [...] se invece sul suo dorso si sia assiso Satana, allora vuole andare e va dove vuole Satana, e non è sua facoltà di correre e cercare l'uno o l'altro cavalcatore, ma i due cavalcatori contendono fra loro per averlo e possederlo. »
(Lutero, De servo arbitrio[5])
Erasmo da Rotterdam
Alla dottrina del servo arbitrio invano Erasmo da Rotterdam replicò che il libero arbitrio è stato sì viziato ma non distrutto completamente dal peccato originale, e che senza un minimo di libertà da parte dell'uomo la giustizia e la misericordia divina diventano prive di significato.[6] Se infatti l'essere umano non avesse la facoltà di accettare o rifiutare liberamente la grazia divina che gli viene offerta, perché nelle Scritture sono presenti ammonimenti e biasimi, minacce di castighi ed elogi dell'obbedienza? Se inoltre, come predicava Lutero, l'uomo non ha bisogno di chiese e organi intermediari tra sé e Dio, ma è l'unico sacerdote di se stesso, come si concilia questa supposta autonomia con la sua assoluta impossibilità di scelta in ambito morale?
Particolarmente incisivo è l'esempio che Erasmo presenta per supportare la sua soluzione, di un padre e il suo figliolo che vuole cogliere un frutto. Il padre alza nelle sue braccia il figlio che ancora non sa camminare, che cade e che fa degli sforzi disordinati; gli mostra un frutto posato davanti a lui; il bambino vuole correre a prenderlo, ma la sua debolezza è tale che cadrebbe se il padre non lo sostenesse e guidasse. È quindi solo grazie alla conduzione del padre (la Grazia di Dio) che il bambino arriva al frutto che sempre suo padre gli offre; ma il bambino non sarebbe riuscito ad alzarsi se il padre non l'avesse sostenuto, non avrebbe visto il frutto se il padre non glielo avesse mostrato, non sarebbe potuto avanzare senza la guida del padre, non avrebbe potuto prendere il frutto se il padre non glielo avesse concesso. Cosa potrà arrogarsi il bambino come sua autonoma azione? Malgrado nulla avrebbe potuto compiere con le sue forze senza la Grazia, ha pertanto fatto qualcosa.
Ad una concezione estremamente volontaristica del libero arbitrio aderì tuttavia Giovanni Calvino, che radicalizzò il concetto di predestinazione fino a interpretarlo in un senso rigorosamente determinista. È la Provvidenza a guidare gli uomini, indipendentemente dai loro meriti, sulla base della prescienza e onnipotenza divina. L'uomo tuttavia può ricevere alcuni "segni" del proprio destino ultraterreno in base al successo o meno ottenuto nella propria vita politica ed economica.

La dottrina molinista e giansenista

Anche all'interno della Chiesa Cattolica, che pure si era schierata contro le tesi di Lutero e Calvino, iniziarono una serie di dispute sul concetto di libero arbitrio. Secondo Luis de Molina la salvezza era sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà. Egli sostenne che:
  • la prescienza di Dio e la libera volontà umana sono compatibili, poiché Dio può ben prevedere nella sua onnipotenza la futura adesione dell'uomo alla grazia da lui elargita;
  • questo piano di salvezza si attua per una valenza positiva attribuita alla volontà umana, in quanto neppure il peccato originale ha spento l'aspirazione dell'uomo alla salvezza.
Giansenio
A lui si contrappose Giansenio, fautore di un ritorno ad Agostino: secondo Giansenio l'uomo è corrotto dalla concupiscenza, per cui senza la grazia è destinato a peccare e compiere il male; questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. Il punto centrale del sistema di Agostino risiedeva per i giansenisti nella differenza essenziale tra il governo divino della grazia prima e dopo la caduta di Adamo. All'atto della creazione Dio avrebbe dotato l'uomo di piena libertà e della «grazia sufficiente», ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio avrebbe deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere.

Il libero arbitrio nel pensiero moderno

Il pensiero moderno ha assunto una visione razionalista con Cartesio che definiva la libertà non come un puro e semplice «libero arbitrio d'indifferenza»[7] ma come impegnativa scelta concreta di cercare la verità tramite il dubbio.[8]
Mentre però Cartesio si arenò nella duplice accezione di res cogitans e res extensa, attribuendo assoluta libertà alla prima e passività meccanica alla seconda, Spinoza cercò di conciliarli riprendendo il tema stoico di un Dioimmanente alla Natura, dove tutto avviene secondo necessità. La libera volontà dell'uomo dunque non è altro che la capacità di accettare la legge universale ineluttabile che domina l'universo. La libertà non sta nell'arbitrio, ma nell'assenza di costrizioni che consente ad esempio a una pianta di svilupparsi secondo le sue leggi: «Tale è questa libertà umana, che tutti si vantano di possedere, che in effetti consiste soltanto in questo: che gli uomini sono coscienti delle loro passioni e appetiti e invece non conoscono le cause che li determinano».[9]
Leibniz
Leibniz cercò di darne una connotazione positiva dopo quanto espresso su questo tema da Spinoza, osservando che «quando si discute intorno alla libertà del volere o del libero arbitrio, non si domanda se l'uomo possa far ciò che vuole, bensì se nella sua volontà vi sia sufficiente indipendenza».[10] Pur accettando l'idea della libertà come semplice autonomia dell'uomo, accettazione di una legge che egli stesso riconosce come tale, Leibniz voleva nel contempo mantenere la concezione cristiana della libertà individuale e della conseguente responsabilità. Per questo scopo egli concepiva la libertà fondata metafisicamente sulla "monade": nel senso che ogni individualità, pur essendo un'"isola" completamente separata dalle altre, compirebbe "liberamente" atti che si incastrano come pezzi di un mosaico negli atti corrispondenti delle altre monadi, in un tutto che è l'"armonia prestabilita" da Dio. Il libero arbitrio non è indifferenza per Leibniz, ma «determinazione secondo quanto la ragione considera il meglio».[11]

Dal positivismo al dibattito odierno

Dalla fine del Settecento, e sempre più con l'affermarsi del positivismo, la nascente comunità scientifica iniziò a sviluppare la credenza in un universo deterministico, nel quale cioè, date le condizioni iniziali di un processo fisico, o del quale siano note un certo numero di informazioni sufficienti, si fosse in grado di conoscerne l'esito e lo sviluppo con accuratezza assoluta, ovvero con certezza.
Già l'empirista anglosassone David Hume, nel Trattato sulla natura umana, si era proposto di conoscere scientificamente il «meccanismo regolare» delle passioni umane, «non meno delle leggi del moto, dell'ottica, dell'idrostatica o di qualsiasi branca della filosofia naturale».[12] Hume riteneva che l'uomo fosse preda delle passioni al punto tale da ritenere che la stessa ragione umana fosse incapace di raffigurarsi obiettivamente il mondo, e che pertanto qualunque verità razionale, compresa l'autocoscienza del libero arbitrio, non avesse alcun valore oggettivo, ma risiedesse soltanto nella soggettività arbitraria del sentimento.[12]
Con lo sviluppo della biologia, conseguente soprattutto alla scoperta del microscopio, l'essere umano iniziò ad essere concepito come un complesso sistema fisico composto da particelle, e successivamente molecole, che fanno uso di reazioni chimiche, fisiche, proprio come ogni altro sistema fisico nell'universo, e dunque ritenuto soggetto alle stesse leggi della fisica che conosciamo; sorse allora il problema di stabilire se tali reazioni materiali fossero l'effetto o piuttosto la causa della sua volontà.
Si venne in particolare scoprendo che il cervello umano sfrutta una serie di reazioni chimiche e chimico-fisiche che generano i campi elettrici e magnetici, tramite i quali avviene la comunicazione dei neuroni, quindi la decisione volontaria di un individuo potrebbe determinare queste reazioni, regolate a loro volta da leggi fisiche ben precise, oppure esserne determinato.
Il problema fu affrontato tra gli altri da Kant, il quale si fece sostenitore di una duplice visione: da un lato egli riteneva che l'uomo, in quanto appartenente al mondo empirico e sensibile, fosse naturalisticamente condizionato; dall'altro ammetteva la libertà come postulato dell'agire morale, a cui approssimare la propria condotta.[13] Libertà e necessità, termini apparentemente inconciliabili, possono per Kant coesistere nel concetto di autonomia, quando l'uomo cerchi di obbedire ad una legge che egli stesso liberamente si è dato.[14]
Una soluzione più pessimista fu formulata da Schopenhauer, il quale riteneva che l'agire umano fosse sottomesso ad una volontà cieca e imperscrutabile. La libertà dell'uomo è per lui illusoria, in quanto determinata di volta in volta da uno scopo stabilito a priori: «Si può fare ciò che si vuole, ma in ogni momento della vita si può volere solo una cosa precisa e assolutamente nient'altro che quella».[15]

Compatibilismo e incompatibilismo

Nell'ottica del positivismo ottocentesco, il libero arbitrio verrebbe a scontrarsi con il determinismo, ossia l'idea che tutte le situazioni che accadono nel presente e nel futuro siano una conseguenza necessaria causata dagli eventi precedenti.
Il compatibilismo (anche detto determinismo morbido) ammette tuttavia che l'esistenza del libero arbitrio sia compatibile con il fatto che l'universo sia deterministico, mentre all'opposto l'incompatibilismo nega questa possibilità. Ildeterminismo forte è una versione dell'incompatibilismo che accetta che tutto sia determinato, anche le azioni e la volontà umane.
Il libertarismo (in inglese, Libertarianism) si accorda con il determinismo forte solo nel rifiutare il compatibilismo; ma i libertari accettano l'esistenza di un certo libero arbitrio insieme con l'idea che esistano alcuni ambiti indeterminati della realtà.

Nel modello seguente abbiamo tre ipotesi di decisione:
A) La Volontà agisce sulla coscienza e unita al GES (Geni, Educazione, Stocastica casualità), influenza l''attività neurale inconscia e produce un comportamento che risulta infine cosciente e dunque responsabile. E' la teoria del Libero Arbitrio.
B) Si differenzia dal primo perché l'Inconscio influenza in modo importante la Volontà, indebolendo fortemente l'idea che la scelta comportamentale avvenga in maniera consapevole.
C) In questo caso c'è la negazione del libero arbitrio, in quanto l'attività neurale inconscia, influenzata da Geni, Educazione e Statistica casuale,  influenza a sua volta i pensieri coscienti, che hanno dunque soltanto una debolissima influenza sulla scelta comportamentale definitiva.
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Determinismo e indeterminismo

Con l'avvento delle prime conoscenze in campo atomico, e soprattutto in seguito alla formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, alla concezione deterministica propria della meccanica classica si è affiancata una concezione stocastica, basata sulla meccanica quantistica in grado di predire eventi solo in termini di probabilità, che non è più ritenuta il frutto di una conoscenza incompleta del sistema fisico, ma una caratteristica intrinseca del mondo quantistico.
Come il determinismo, tuttavia, anche l'indeterminismo venne utilizzato come argomento contro la possibilità del libero arbitrio. Se infatti il determinismo aveva finito per negare la libertà umana, i sostenitori dell'indeterminismo adesso attribuivano al caso la genesi delle nostre azioni, giungendo così ugualmente a negare che la volontà umana fosse libera, in quanto essendo soggetta a parametri irrazionali, risulterebbe incontrollabile.
L'argomento standard contro l'esistenza del libero arbitrio ebbe modo così di basarsi su due differenti opzioni, cioè sulle seguenti concezioni:
  • l'interpretazione deterministica della natura, secondo la quale sono solo le leggi fisiche a dettare i comportamenti umani;
  • l'interpretazione indeterministica, per cui ogni evento è prodotto dal caso, e le scelte individuali sarebbero il risultato di questi processi casuali.
Per via di una tale impostazione filosofica veniva a porsi il problema, di natura non solo morale ma anche giuridica, se l'uomo fosse ancora da considerarsi eticamente responsabile delle sue azioni.
Contro questo modo riduzionistico di considerare l'essere umano, tuttavia, ha preso posizione il filosofo della scienza Karl Raimund Popper, che attaccando il cosiddetto determinismo genetico, il neodarwinismo, e lasociobiologia, ha affermato l'autonomia della mente e la sua azione causale nei confronti del cervello e delle sue componenti genetiche. Popper si considera dualista ma non alla maniera di Cartesio, sostenendo che tra i fenomeni mentali e quelli fisici permane una forte dose di incertezza che garantisce l'esistenza del libero arbitrio.[16]

Epifenomenismo

L'epifenomenismo ha rappresentato un'ulteriore tentativo di sfiducia nei confronti del libero arbitrio umano. Il biologo e pensatore inglese Thomas Henry Huxley ipotizzò nell'Ottocento che tutti i pensieri coscienti siano unfenomeno secondario, senza alcun potere causale, che accompagnano i processi fondamentali nel sistema nervoso dell'uomo. Il concetto di epifenomeno, appartenente all'ambito del materialismo psicofisico, attribuisce un'origine somatica a tutte le forme di emozione, tale per cui il sentimento di piacere o dolore sarebbe l'effetto di un cambiamento a livello puramente corporeo o fisiologico.[17]
Il flusso della coscienza, stando a queste argomentazioni, sarebbe un prodotto degli eventi, privo del potere di influire su di essi: a provocare le nostre azioni non sarebbe la coscienza, ritenuta appunto un epifenomeno, ma soltanto i processi fisici del cervello.[18]

Libero arbitrio come «fantasia morale»

Alle concezioni materialiste e fenomeniste della coscienza ha obiettato il filosofo ed esoterista Rudolf Steiner nel suo più completo scritto filosofico, intitolato La filosofia della libertà.
Per Steiner, il pensiero non deriva da un processi cerebrali, sui quali piuttosto esso si imprime, ma può essere direttamente contemplato come un'entità in sè compiuta, «che si sorregge da sè». Quello che i fisiologi riduzionisti scambiano per il pensiero, in realtà non è che la sua controimmagine, come le orme lasciate da chi cammina su un terreno soffice.[19] Ad esempio, il modo in cui ilconcetto di lampo viene connesso a quello di tuono non può essere determinato da processi fisiologici del cervello, ma soltanto da una connessione ideale inerente al contenuto stesso di quei concetti, che anzi induce l'attività organica del cervello a ritirarsi, per far posto a quella spirituale del pensiero.
Analogamente, per Steiner, quando l'uomo fa derivare i motivi del suo agire da un'intuizione ideale, allora è libero.
« Se io osservo una volontà che ritrae l'intuizione, anche da questo volere si è ritirata la necessaria attività organica. La volontà è libera. Non può però osservare questa libertà della volontà, chi non è in grado di vedere che la libera volontà consiste in questo, che soltanto dall'elemento intuitivo la necessaria attività dell'organismo umano viene paralizzata, respinta, e sostituita dall'attività spirituale della volontà piena di idee.[...] Chi invece è in grado di osservarlo, si apre un varco alla comprensione del fatto che in tanto l'uomo non è libero, in quanto non è capace di compiere fino in fondo il processo di repressione dell'attività organica; che però questa non-libertà anela alla libertà, la quale non è per nulla un ideale astratto, bensì una forza dirigente che risiede nell'essere umano. »
(R. Steiner, La filosofia della libertà [1894], trad. it., Fratelli Bocca Editori, Milano 1946, pag. 61)
Per Steiner non ha senso chiedersi se l'uomo tout court sia libero oppure no, perché egli in realtà è un essere in evoluzione, che «è chiamato allo spirito libero, come ogni germe di rosa è chiamato a divenire rosa». Steiner ha modo di obiettare a Schopenhauer che è assurdo giudicare non libera una volontà che sia determinata nel suo agire da un motivo o uno scopo preciso: la libertà è da intendere semmai come la capacità di determinare da sè, attraverso una propria facoltà chiamata da Steiner «fantasia morale», i motivi del proprio agire, non ricevendoli da altri.

Note

  1. ^ Dizionario di filosofia
  2. ^ Lettera ai Romani 7, 18-20.
  3. ^ Summa theologiae, I, q. 83, a. 4.
  4. ^ Lutero, De servo arbitrio, 1525.
  5. ^ Cit. in Memorie di religione, di morale e di letteratura, pag. 173, serie terza, tomo V, Modena, 1847.
  6. ^ Erasmo da Rotterdam, De libero arbitrio, 1524.
  7. ^ Così nella Tarda Scolastica
  8. ^ Cartesio, Principia, I, 41
  9. ^ Spinoza, Ethica, V, 3.
  10. ^ Leibniz, Nuovi saggi, II, 21.
  11. ^ P. Beraldi, Leibniz. Cosmo naturale e mondo umano, pag. 91, Roma-Bari, Laterza, 2012.
  12. ^ a b D. Hume, A Treatise of Human Nature, libro II: Dissertazione sulle passioni (1739).
  13. ^ «Se ci fosse possibile avere, del modo di pensare di una persona qual esso si manifesta nelle azioni interne non meno che esterne, una veduta così profonda, da svelarci ogni suo movente, anche minimo, conoscendo insieme tutte le occasioni esterne che agiscsono su quel modo di pensare, si potrebbe prevedere il comportamento di una persona in futuro con la stessa certezza di una eclissi di luna o di sole, e affermare, cionondimeno, che la persona è libera» (Kant, Critica della ragion pratica, trad. it. in Pietro Faggiotto, La metafisica kantiana della analogia: ricerche e discussioni, pag. 130, Verifiche, 1996).
  14. ^ Kant, Critica della ragion pratica, II, 2.
  15. ^ A. Schopenhauer, Über die Freiheit des menschlichen Willens (Sulla libertà del volere umano), 1839.
  16. ^ Leonardo Lenzi, Neurofisiologia e teorie della mente, pag. 75, Vita e Pensiero, 2005.
  17. ^ Eisenrauch (2012, Capitoli I.2 a I.4).
  18. ^ Eisenrauch (2012, Capitolo I.5)
  19. ^ «Nessuno sarà tentato di dire che quelle forme siano state determinate da forze del terreno, operanti dal basso in alto; non si attribuirà a queste forze nessun concorso alla formazione delle orme. Altrettanto poco, chi abbia osservato obiettivamente l'entità del pensare, attribuirà alle orme lasciate sull'organismo fisico di aver avuto parte alla determinazione di quella; poiché quelle orme sono provenute dal fatto che il pensare prepara la propria comparsa per il tramite del corpo» (Rudolf Steiner, La filosofia della libertà [1894], Fratelli Bocca Editori, Milano 1946, pag. 45).

Bibliografia

Fonti

Studi

  • J. Lebacqz, Libre arbitre et jugement, Louvain 1960.
  • Y. Simon, Trattato del Libero Arbitrio, Roma 1963.
  • C. Mazzantini, Il libero arbitrio in San Tommaso e Duns Scoto, Torino 1966.
  • P. Siwek, La conscience du libre arbitre, Roma 1976.
  • Paolo ValoriIl libero arbitrio. Dio, l'uomo e la libertà, Rizzoli, 1987.
  • Daniel M. Wegner, The Illusion of Conscious Will, MIT Press, 2002.
  • Mario De CaroIl libero arbitrio: un'introduzione, Roma-Bari, Laterza, 2004.
  • Mario De Caro, Massimo Mori ed Emidio Spinelli (a cura di), Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, Roma, Carocci, 2014.
  • Andreas Eisenrauch, Der Einfall und die Freiheit. Lebensweltliche Indikatoren der Unfreiheit menschlichen Denkens, BoD, Norderstedt 2012. ISBN 978-3-8482-0487-8

Voci correlate