Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 17 dicembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 100. La guerra continua
venerdì 11 dicembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 99. Il Leone in Inverno
Lo guardavano come se fosse già morto, come avessero davanti una statua o un fantasma, ma la realtà era ancora peggiore: ciò che vedevano era un relitto.
Gli anni erano trascorsi veloci, rincorrendosi freneticamente come falene intorno al lume della sua vita, un fuoco che aveva scottato tutti coloro che si erano avvicinati troppo.
Un giorno anche suo nipote Roberto avrebbe imparato quella lezione, quando però gran parte delle occasioni più importanti erano andate perdute irreparabilmente.
Le questioni pratiche erano già state sistemate, in un modo o nell'altro.
Signoria Rurale medievale |
Non avevano più parlato del processo. Lei aveva testimoniato a suo favore con grande convinzione.
"Diana, gli occhi tuoi pieni e lucenti mi hanno incantato un pomeriggio lontano più di cinquant'anni fa.
Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea delle malefatte che un uomo di potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo della sua azienda e della sua famiglia.
Io, con la mia mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te.
Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità...
La responsabilità diretta o indiretta per tutte le malefatte che sono state commesse sotto questo tetto dal 1935 in avanti.
La responsabilità nell'aver permesso che un folle, di sua iniziativa, eliminasse chiunque poteva costituire una minaccia per il nostro sistema di potere.
Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e io non potevo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. "
martedì 8 dicembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 98. L' Autunno del Patriarca
La metà destra del corpo era paralizzata, ma nonostante la emi-paresi facciale, riusciva ancora a parlare e a farsi capire fin troppo bene, rispolverando persino il linguaggio "colorito" della sua lontana giovinezza.
Dopo tre giorni di sedazione farmacologica, il patriarca del clan Ricci-Orsini si svegliò e incominciò subito a protestare perché non lo lasciavano tornare a casa.
I medici gli spiegarono che, oltre all'ictus, erano stati rilevate altre patologie, tra cui fibrillazione atriale, embolia polmonare, broncopneumatia cronica ostruttiva, edema polmonare, infezione da streptococco, erisipela, calcolosi colecistica grave, ernia inguinale pronunciata e ipertrofia prostatica.
<<Poche pugnette! Io... io... ho da fare! Devo sistemare le cose, per quando io... dopo che io...>>
<<Figliolo, forse la tua fede ha vacillato, ma sei ancora in tempo per confessare i tuoi peccati. La tua anima può ancora librarsi in Cielo>>
Ettore fece un cenno vago:
<<La finestra è lì. Salti pure...>>
Il reverendo si rabbuiò:
<<Sei almeno pentito per i tuoi peccati?>>
<<Sì... e il rimorso mi tormenta più di questo letto.
Ma io... io ho già scontato la mia pena... ho già... come si dice... espiato...>>
Il sacerdote comprese:
<<In segno di penitenza, reciterai almeno le preghiere?>>
Ettore sospirò:
<<Le reciti lei... per me... Io ormai ho dimenticato le parole...
Il prete valutò quella risposta, poi, annuì e recitò ad alta voce Pater, Ave e Gloria, e poi, insieme a lui, recitò l'Atto di Dolore.
<<E' sufficiente>> e poi <<Ego te absolvo peccatis tuis...>>
Nei giorni successivi, i familiari si alternarono al capezzale del malato.
La moglie Diana Orsini parlò con lui più tempo in quei giorni che nei precedenti cinquantacinque anni di matrimonio.
Quello che si dissero appartiene soltanto a loro, e alla loro memoria.
Possiamo comunque testimoniare che la malattia li aveva riavvicinati a tal punto che sembravano essere la coppia più unita del mondo.
Talvolta il dolore unisce più della felicità.
Diversi furono i ruoli delle tre figlie.
La prima figlia, la marchesa Margherita Spreti di Serachieda, per i suoi look ricercati con tanto di cappelli in stile Royal Ascot, oltre che per i suoi modi da gran dama, era stata soprannominata da medici e infermieri "la Principessa di Galles".
Questo suo ascendente le consentì di ottenere per il padre un trattamento di riguardo.
Da quel momento fu incaricata di mantenere le pubbliche relazioni.
La seconda figlia, la professoressa Silvia Monterovere, che era stata insegnante di almeno una dozzina di medici ospedalieri, e riceveva nel suo salotto un'altra dozzina che erano stati studenti del marito, riuscì ad avere informazioni più precise sulla condizione del padre.
Le notizie purtroppo non erano incoraggianti.
Per quanto il quadro clinico si fosse stabilizzato, il paziente non sarebbe più tornato a camminare e avrebbe dovuto cambiare radicalmente stile di vita e alimentazione. Inoltre, considerando l'instabilità cardio-respiratoria e gli interventi chirurgici che dovevano essere fatti, la prognosi rimaneva infausta.
Comunicarlo al resto della famiglia non fu facile.
La terza figlia, la contessa Isabella Zanetti Protonotari Campi, che era sempre stata la più pragmatica delle tre, fece subito chiamare il notaio per definire le questioni ereditarie e l'avvocato e il commercialista per capire se era ancora possibile salvare il Feudo Orsini dalla bancarotta.
C'era ancora qualche speranza, ammesso che, naturalmente, i processi si concludessero, almeno per la causa civile sui danni erariali, in maniera positiva.
I due nipoti maggiori, Fabrizio Spreti e Alessio Zanetti, all'epoca studenti universitari, si alternarono a fare compagnia al nonno, che predisse loro una carriera accademica brillante e un avvenire da luminari della scienza in odore di Nobel.
Questo accadeva nelle ore diurne.
Quando però giungeva la sera, e ad Ettore Ricci sembrava che tutta la sua vita fosse sul punto di contrarsi e le pareti dell'ospedale gli si stringessero addosso, come le sbarre di una gabbia volta a imprigionare qualcosa di selvaggio, ecco che chiedeva la presenza del nipote più giovane, l'allora quattordicenne Roberto Monterovere.
Per qualche motivo, che a tutti sfuggiva, Ettore riponeva in quel ragazzo le sue speranze di rivalsa contro coloro che l'avevano tradito e contro un'intera città che sembrava avergli voltato le spalle.
<<Ti ricordi quando ti ho portato a caccia? Quando ti ho detto che per intrappolare i lupi bisogna intingere il coltello nel miele? Ecco, il momento è arrivato.
Come vedi, i lupi ci circondano, e presto o tardi, quando io non ci sarò più, attaccheranno la nostra famiglia per fare a brandelli tutto ciò che ne resta.
Quanto potranno condizionare la vita successiva di chi ha giurato di mantenere quegli impegni?
Anche se alcuni potranno addurre la giovane età di Roberto, all'epoca, come un'attenuante, lui non riuscì mai a perdonare se stesso per essersi vincolato ad una promessa che, realisticamente, era al di là delle sue forze e per aver ceduto su tutte le richieste, in quella notte interminabile al capezzale del nonno.
<<Devi promettermi e giurarmi che mai e poi mai il Feudo Orsini o la Villa Orsini saranno venduti. Naturalmente finché vivrà tua nonna nessuno avrà il coraggio di cacciarla dalla casa dei suoi avi, ma dopo le cose potrebbero mettersi male. Confido però nel fatto che gli Orsini hanno una vita lunga e che tua nonna Diana vivrà almeno un'altra ventina d'anni. Nel frattempo tu ti laureerai in Economia Aziendale in un'università prestigiosa, a Milano o a Roma, e farai tutti i master che servono per conoscere il mondo degli affari. A quel punto sarai in grado di prendere in mano la situazione e di riportare il nostro patrimonio al valore di un tempo>>
La faccia di Roberto non dovette apparire molto convinta agli occhi del nonno, il quale tese la mano buona verso di lui e gli intimò:
<<Prometti, Roberto!>>
E il nipote promise e giurò, e le conseguenze di quella promessa lo perseguitarono per il resto dei suoi giorni.
giovedì 3 dicembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 97. Apologia e apoplessia
La procedura penale italiana è molto diversa da quella americana, a cui siamo stati abituati a partire dai tempi di Perry Mason fino ad arrivare ai legal thriller.
I processi americani sono molto teatrali, perché l'obiettivo è quello di convincere una giuria popolare, non esperta di diritto penale o di medicina legale, a emettere una sentenza sull'onda dell'emozione del momento.
Niente di tutto questo nei processi italiani, prevalentemente burocratici, basati per lo più sul lavoro d'ufficio, sulle scartoffie, sull'esame meticoloso delle perizie e poco sul dibattimento in aula, che nei tribunali italiani è privo di tutta la drammatizzazione che si vede nei film americani.
Ciò non toglie che, data l'importanza dell'imputato e l'attenzione dei mass-media, il processo ad Ettore Ricci abbia finito per costituire un'eccezione alla regola.
Nel suo caso ci furono testimonianze di alto valore drammatico, nel senso teatrale del termine, dove tutti i testimoni cercarono di recitare, con la massima perizia, una parte degna di una nomination al Premio Oscar.
Riporteremo qui soltanto alcuni passaggi.
Diana Orsini si presentò all'udienza in modo sobrio e dimesso, comunicando a tutti l'immagine di una semplice madre di famiglia e di una moglie affranta:
Naturalmente, Ettore Ricci, da par suo, volle rilasciare una focosa deposizione spontanea, destinata a rimanere impressa nella memoria dei presenti, non fosse altro che per il suo clamoroso finale:
Quando prese la parola tutti tremavano, compreso l'avvocato Vanesio.
<<Vostro Onore>> esordì Ettore Ricci rivolto al Presidente del Tribunale <<Signori della Corte, come è emerso da questo dibattimento, la mia unica colpa è stata quella di aver riposto la mia fiducia nelle persone sbagliate, che hanno approfittato della mia generosità, della mia ingenuità e della mia ignoranza a livello contabile.
Si è detto che io "non potevo non sapere", ma mi si fa troppo onore: io non sono un uomo istruito e come tale, se anche determinati documenti fossero passati per il mio ufficio, non ero in grado di capire le insidie che celavano,
giovedì 26 novembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 96. Il mondo sa tutto di noi
Nemmeno la famiglia reale inglese dovette subire da parte della stampa una curiosità così morbosa come quella che fu riservata alla famiglia Ricci-Orsini quando alle redazioni dei giornali locali arrivarono buste piene di documenti potenzialmente scottanti contro Ettore Ricci.
giovedì 19 novembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 95. La caduta di Ida Braghiri, la Governante-Dittatrice di Villa Orsini
Riguardo alla cosiddetta "dialettica servo-padrone", Hegel aveva già detto quasi tutto: col passare del tempo e delle generazioni, i proprietari perdono dimestichezza con le abilità pratiche, le quali vengono delegate ai dipendenti, in misura sempre maggiore, e se il dipendente è così abile da rendersi necessario, allora il rapporto si ribalta e il dipendente assume il comando.
Qualcosa di molto simile, e sotto certi aspetti anche peggiore, era accaduto nel rapporto tra la famiglia la famiglia Ricci-Orsini-Monterovere e la famiglia Braghiri.
Sembrava quasi una riedizione in piccolo della tecnica con cui i Carolingi, maggiordomi di palazzo, avevano soppiantato gli antichi re Merovingi, bollati poi impietosamente dalla storia come "re fannulloni".
Diana Orsini, che amava molto la storia, si avvaleva spesso di quell'esempio, ogni volta che metteva in guardia suo nipote, evocando poi, con terrore, lo spettro di Childerico III, deposto, umiliato e bollato dalla storia come "l'Idiota" o "il re fantasma", pace all'anima sua.
Quella permanenza era, agli occhi di tutti, non solo scandalosa, ma anche sospetta, poiché appariva come una prova evidente del fatto che Ettore Ricci fosse ricattato e dunque che avesse molte cose da nascondere, e di non poco conto.
Si favoleggiava persino che la signora Ida avesse ereditato dal defunto marito, ex Amministratore del Feudo Orsini, un archivio contenente le prove dei più scabrosi segreti della "dinastia" che per ottocento anni aveva detenuto il potere nella Contea di Casemurate.
Inizialmente Ida era una normale cameriera e Michele un semplice fattore, ma la loro abilità era consistita nel guadagnarsi fin dall'inizio l'ingenua simpatia e la malriposta fiducia sia di Ettore Ricci che di Diana Orsini.
Questo fu possibile perché in fondo, mentre Ettore e Diana pensavano in grande e delegavano i dettagli ai dipendenti, Michele e Ida avevano i piedi saldamente ancorati a terra, ed erano estremamente felici di accumulare le deleghe su deleghe, incarichi su incarichi, poteri su poteri, ben oltre l'ordinaria amministrazione.
In particolare, questo tipo di dinamica era risultato facilissimo per la signoraa Ida.
Tutto quello che per Diana Orsini rappresentava una terribile seccatura, per Ida Braghiri era invece un modo piacevolissimo per esercitare il potere e consolidate la propria autorità.
Diana non amava le questioni pratiche: era uno spirito poetico, che viveva nel mondo dei sogni e dell'immaginazione, un universo fatto di letteratura, di musica, di arte, di spiritualità: tutto il resto le pareva un'imperdonabile perdita di tempo.
Citando, con una punta di snobismo, una celebre battuta di Villiers De L’Isle-Adam, Diana Orsini, diciottesima Contessa di Casemurate, giustificava così ai parenti la propria inerzia e il proprio orrore per le questioni pratiche: <<Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici>>
Del resto Ida Braghiri aveva, come si suol dire, le physique du rôle.
Decisa, sicura di sé, inflessibile e implacabile, aveva esercitato, specialmente nei riguardi delle tre figlie di Ettore e Diana, il ruolo della severa educatrice, approfittando delle continue emicranie e crisi esistenziali della loro romantica madre.
In particolare Alessio e Roberto non sopportavano la presenza asfissiante e ingombrante di quella donna terribile. il cui cipiglio ancora faceva tremare le loro madri e la loro nonna.
La cosa era fin troppo evidente. Quegli occhi gelidi improvvisamente scintillavano di una gioia sadica e la bocca si incurvava in un ghigno malefico.
Un giorno, durante una riunione di famiglia, la Governante si spinse troppo oltre.
<<E va bene, Ettore, mi ritiro, ma non finisce qui, puoi scommetterci!>>
Per quanto Ettore fosse stato generoso con lei e con la sua famiglia, questo non bastava.
Mentre fingeva di accettare con ritrosia sdegnosa i premi per la sua presunta fedeltà, Ida era rimasta, nel suo intimo, una regista gelida, impenetrabile, indifferente ai valori dell'amicizia, senza dubbi, senza palpiti , senza un briciolo di pietà umana.
Aveva agito nell'ombra, come certi ragni velenosi di cui non ci si accorge se non quando sono diventati troppo pericolosi per poterli sfidare.
Per lei l'intero clan Ricci-Orsini rimaneva, anche dopo una vita di convivenza sotto lo stesso tetto, un nemico da distruggere.
Tutte le malefatte del suo defunto marito dovevano essere scontate da Ettore Ricci, che ne era venuto a conoscenza soltanto a posteriori, e poi costretto ad insabbiare tutto per evitare uno scandalo nel momento in cui il Feudo Orsini doveva ancora riprendersi dalla cattiva gestione del conte Achille.
E tutto questo senza alcuno scrupolo di coscienza.
Che significava tutto questo per Ida Braghiri, una volta esercitato il potere per fare il Male come sempre aveva fatto nella sua vita?
Non è nostra intenzione rievocare ulteriormente la sua grigia freddezza. Non è questa una colpa.
Si può essere grigi, ma buoni; grigi, ma onesti; grigi, ma sinceri nel rendere conto del proprio operato di fronte al tribunale della coscienza.
Ebbene, a Ida Braghiri era proprio questo che mancava: una coscienza morale.
Le mancava quell’insieme di lealtà, rettitudine, sincerità e coraggio che rendono una persona degna di fiducia, di amicizia e di ammirazione.
venerdì 13 novembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 94. Lambrugo Bava detto "Mattoncini Lego", catastrofico Amministratore Giudiziario del Feudo Orsini
La scelta cadde su un personaggio a dir poco sgradevole.
Si trattava di un certo Lambrugo Bava, detto "Mattoncini Lego" a causa di una similitudine che usava in continuazione, ma che nessuno aveva mai capito ("Un buon investimento è come i mattoncini Lego").
Si presentò a Villa Orsini all'ora del tè, con un completo gessato che aveva decisamente visto tempi migliori, e un'orribile cravatta verde elettrico, e fu fatto accomodare nel Salotto Liberty.
Quando Diana Orsini gli chiese se voleva una tazza di tè, lui, con un sorrisetto lezioso e con voce querula in falsetto, dichiarò:
<<Preferirei un caffè doppio, alto e amaro>>
Nel dire questo divenne color lilla in faccia e nelle mani.
Fu a quel punto che tutti i presenti incominciarono a percepire l'odore del suo alito.
Inizialmente rimasero confusi per il fatto che si trattava di un alito diverso da quelli normalmente considerati pesanti, nel senso che quel lezzo era troppo fetido per poter provenire da una bocca umana.
Pertanto incominciarono a formulare mentalmente le più svariate ipotesi.
Come poi emerse, dopo che "Mattoncini Lego" se ne fu andato, tutti i presenti avevano inizialmente pensato che quel fetore rivoltante dovesse provenire dalle feci di un cane pestate dal dottor Lambrugo Bava.
Purtroppo però avevano dovuto ricredersi.
Quell'inequivocabile puzza di merda (perdonateci il francesismo) proveniva altrettanto inequivocabilmente dall'alito del dottor Bava.
Il caffè doppio amaro non fece che peggiorare la situazione.
Ben presto la maggior parte dei presenti lasciò la stanza in preda alla nausea e ai conati di vomito.
Ettore Ricci e sua figlia Isabella resistettero, perché era di vitale importanza capire se quello sgradevole personaggio fosse almeno in grado di gestire un'azienda.
La sua frase d'esordio, che riprendeva il suo cavallo di battaglia, lasciò al riguardo ben poche speranze.
Con un ghigno untuoso e una voce nasale e petulante, emise una zaffata micidiale:
<<Io concepisco l'amministrazione di un'azienda come se fosse, tra virgolette, un insieme di "mattoncini lego">>
Cercando di evitare l'impatto massiccio dell'ultima "emissione gassosa" del signor Mattoncini Lego, Ettore Ricci gli chiese di spiegarsi meglio.
Lambrugo Bava continuò a parlare per un'ora, appestando non solo il Salotto, ma tutta la casa, perché la pesantezza del suo fiato sembrava penetrare attraverso ogni interstizio:
<<Intendo dire che per me un'azienda è, tra virgolette, un investimento fatto di tanti diversi mattoncini da combinare in modo tale che, tra virgolette, risulti tutto ben frazionato>>
Ettore Ricci, asfissiato dalla mancanza d'ossigeno in quella stanza ormai piena di zolfo, si allarmò a tal punto da perdere quasi conoscenza, e solo con grande sforzo alla fine protestò:
<<Frazionato? Vuole forse smembrare il Feudo Orsini?>>
Mattoncini Lego iniziò a ghignare, emettendo gas mefitico da quella bocca che ricordava una cloaca:
<<Si fidi di me, signor Ricci. Vedrà che un mattoncino dopo l'altro io costruirò un'azienda nuova, con agriturismi, campi da golf, laghi di pesca sportiva, parchi da gioco per bambini e per cani, alberghi, insomma tra virgolette, un "resort di lusso">>
A quel punto Ettore Ricci esplose e scattò in piedi:
<<Ma questa non è una zona turistica! Ci sono porcili e pollai e inceneritori di biomassa! E' tutto piatto, nebbioso d'inverno e afoso d'estate. Non siamo mica la Toscana! E nemmeno sugli Appennini o in Riviera!>>
Lambrugo Bava non si lasciò minimamente scalfire ed emise l'ennesima nube tossica:
<<Ma lei ha una mentalità arcaica. Adesso viviamo in un mondo, tra virgolette, "green", che cerca un divertimento, tra virgolette, "eco", mi verrebbe da dire che la presenza di porcili e pollai, con il loro odore così caratteristico, sia un fattore, tra virgolette "folk" e tra virgolette "etno" che conferisce al tutto quel sapore tra virgolette "vintage" che è così tra virgolette "trendy"...>>
A quel punto Ettore Ricci non riuscì più a contenersi:
<<Basta con queste cazzate! Le ricordo che un Amministratore Giudiziario deve occuparsi solo dell'ordinaria amministrazione e non degli investimenti straordinari! Lo tenga bene a mente! Non le permetterò di buttar via il lavoro di tutta la mia vita! E adesso fuori da casa mia!
E se vuole un consiglio, si lavi i denti, prima di andare ad appestare la casa della gente!>>
Poco ci mancò che lo prendesse a calci.
Dopo che finalmente Mattoncini Lego ebbe preso congedo, salutando con la mano sudaticcia i pochi presenti che si erano avventurati nell'atrio completamente invaso dal gas tossico, fu necessario tenere aperte tutte le finestre di Villa Orsini per tre giorni e tre notti, al fine di cacciare via quel tanfo rivoltante che era penetrato fin nei suoi angoli più reconditi.