Quando il 22 gennaio 1901 giunse dall'Isola di Wight il telegramma che annunciava la morte della regina Vittoria, dopo sessantaquattro anni di un regno interminabilmente sopravvissuto a se stesso, l'Impero britannico, popolato per lo più da persone nate quando lei era già sul trono (e che quindi non avevano conosciuto altra sovrana che lei e forse non riuscivano nemmeno a concepire l'idea che la Vedova di Windsor non ci fosse più) si chiese se il sole sarebbe sorto ancora, e se il cielo e la terra e gli oceani avrebbero continuato a ruotare intorno a Buckingham Palace e al Regno Unito.
Persino nel cantare l'inno della Marina militare, "Rule Britannia, Britannia rules the waves", i sudditi rimasti orfani della burbera madre della patria si domandavano se il vecchio erede al trono, il sessantenne principe Albert Edward, detto "Bertie", conosciuto esclusivamente per le sue gozzoviglie e le sue orge, sarebbe riuscito a tenere in piedi la baracca.
E Bertie, incredibilmente, li stupì, perché sin dal momento dell'incoronazione, come re Edoardo VII, mostrò di avere tutta l'intenzione di dimostrare ai nostalgici dell'età vittoriana che lui sarebbe riuscito ad eclissare il ricordo di quella madre che lo aveva sempre disprezzato.
Ora la regina era sua moglie Alessandra.
La regina Alessandra aveva perso il sorriso alla morte del suo adorato primogenito Eddie, ma aveva mantenuto inalterata la bellezza di quando, quarant'anni prima, era andata in sposa al giovane principe del Galles.
A cinquantasette anni, la regina Alessandra era considerata il faro a cui tutte le donne eleganti guardavano, dopo che, solo tre anni prima, la più bella sovrana d'Europa, l'imperatrice Elisabetta "Sissi" d'Austria-Ungheria era stata assassinata a Ginevra.
Alessandra si era sempre ispirata a Sissi, come modello di eleganza, ed ora era diventata lei il "sole" i cui raggi splendevano su tutte le corti di un'Europa all'apogeo della potenza politica, militare ed economica.
L'Europa si era spartita il mondo e lo dominava. E il Regno Unito di Gran Bretagna faceva da arbitro nelle contese europee.
Questo ruolo di arbitro si adattava perfettamente ad Edoardo VII, che sapeva parlare perfettamente il francese e il tedesco e che era parente di tutte le teste coronate europee, tanto da essere chiamato lo "zio d'Europa".
Non che Bertie avesse smesso di essere se stesso, intendiamoci. Sarebbe rimasto fino all'ultimo giorno della sua vita un impenitente donnaiolo, alcolista, tabagista, goloso e giocatore d'azzardo, ma dal suo porno-trono (l'espressione è tratta dal testo di Antonio Caprarica, "Il romanzo dei Windsor", che ho già citato nei post precedenti) il re Edoardo VII avrebbe donato all'Europa, per nove splendidi anni, l'illusione che la pace, il progresso e la Belle Epoque sarebbero durati per sempre.
A Bertie va riconosciuto il merito di essere un ottimo diplomatico.
Amava Parigi e la Francia, non fosse altro perché ne aveva visitato entusiasta tutti i bordelli.
Dopo l’importante successo ottenuto da Edoardo VII a Parigi, nel luglio 1903 il presidente della Repubblica francese Loubet ricambiò la visita. In occasione dei vari banchetti in onore dell’ospite, il re continuò ad insistere sul tema dell’amicizia anglo-francese. Fu così ampiamente agevolata un’intesa fra le due nazioni che, dopo faticose trattative condotte da Lansdowne e da Delcassé, venne firmata nella capitale britannica l’8 aprile 1904.
Il trattato, divenuto noto come "Entente cordiale" (Intesa cordiale), fu alla base delle alleanze britanniche per tutto il Novecento e prevedeva, tra l'altro, la soluzione delle dispute coloniali fra Gran Bretagna e Francia assegnando, fra l’altro, l’Egitto alla sfera d’influenza di Londra e il Marocco a quella di Parigi. L’epoca delle diatribe fra le due nazioni, che risaliva al medioevo, era definitivamente conclusa.
Quel successo in politica estera, unito ad altri elementi, fece parlare ai sudditi di un ritorno all'Età dell'Oro.L'età edoardiana si basava su una felice combinazione di circostanze:
1) una ripresa economica dopo decenni di stagnazione;
2) una libertà di costumi che il re donnaiolo consentì con bonaria naturalezza;
3) una pace favorita dalla naturale tendenza di Bertie a smorzare tutti gli attriti e a non offendersi per le continue provocazioni da parte del megalomane nipote Guglielmo II, imperatore di Germania, passato alla storia come il Kaiser.
Il rapporto tra Guglielmo II e "zio Bertie" (fratello dell'imperatrice madre Vicky) fu la classica relazione di amore-odio da parte di un nipote che avrebbe voluto essere forte e gaudente come lo zio e da parte di uno zio talmente sicuro di sé da perdonare con paciosa bonomia tutte le sfide, gli sgarbi e la costante irriverenza da parte di un nipote "bambino difficile" che non tollerava l'esistenza, al mondo, di qualcuno più potente di lui.
E così lì vediamo, in migliaia di foto, il pacioso "zio Bertie", con la barba bianca e il pancione alla Babbo Natale - Santa Klaus e il battagliero e fanfarone nipote Kaiser di Germania, i cui soli baffi all'insù erano, a detta dello zio, "una dichiarazione di guerra".
L'espressione di Bertie, in queste foto, è impagabile. Pare voler dire: "Tranquilli, non sto prendendo sul serio quel pallone gonfiato di mio nipote".
E questo atteggiamento tollerante e bonaccione, da parte dello "zio", riuscì a disinnescare una mina potenzialmente esplosiva come la prima crisi marocchina. Guglielmo vedeva infatti come il fumo negli occhi la spartizione dell'Africa del Nord tra Inghilterra e Francia, tanto da fiondarsi personalmente in Marocco, a Tangeri, per mostrare i muscoli.Bertie si limitò ad arricciare il suo folto pelo di vecchio gatto sornione e subito il nipote, che in fondo vedeva in lui il padre che non aveva avuto, rientrò docilmente nei ranghi.
Fosse campato più a lungo, Edoardo VII sarebbe riuscito ad evitare la Prima Guerra Mondiale.
Al contrario infatti del suo collerico e marziale successore, Giorgio V, il ruvido nostromo di cui parlerò domani, il vecchio Bertie non voleva assolutamente la guerra, non fosse altro perché lo avrebbe distratto dalle uniche tre cose al mondo che avevano realmente importanza per lui: le donne, il vino e il cibo.
Amava tanto le gonnelle, il vecchio Bertie, che le indossava pure lui durante le obbligate vacanze a Balmoral, quando, immerso nello spirito ancestrale delle Highlands scozzesi, si sbizzarriva in interminabili cacce al cervo e conseguenti mangiate di cacciagione, seguite da scatole di sigari, bottiglie di brandy e naturalmente una sveltina con l'amante di turno, in questo caso Alice Keppel.
Ironia della sorte, la bellissima Alice Keppel, che per nove anni fu la "regina senza corona" del Regno Unito, era la bisnonna della brutta Camilla Parker-Bowles, la quale conquistò l'attuale Principe di Galles, Carlo, con la famosa frase: "Lo sai che il tuo trisavolo e la mia bisnonna erano amanti?".
Al contrario, però, di Diana Spencer, che puntò i piedi e non ne volle sapere del menage a trois del suo "matrimonio piuttosto affollato", l'allora regina Alessandra fu tollerante verso l'amante del marito fino quasi al menefreghismo. Come a dire: "Che se lo sorbisca pure la Keppel, quel vecchio beone che puzza di alcool e sigaro!". Ad Alexandra bastava avere la corona in cima alla sua famosa "cofana" di capelli riccioluti.
Forse se la compianta principessa Diana avesse ragionato con lo stesso distacco cinico della navigata regina Alexandra, oggi sarebbe ancora viva e si godrebbe la compagnia della nuora e del nipote.
Ma la storia, ovviamente, non si fa con i "se".
Nemmeno col "se Bertie fosse vissuto più a lungo" l'Europa sarebbe vissuta in pace.
Edoardo VII aveva raggiunto i 68 anni in condizioni di salute incredibilmente buone considerati gli stravizi di bacco, tabacco, venere e cibo che si era concesso per tutta la vita.
Probabilmente riteneva di avere la stessa scorza robusta della madre, l'eterna Vittoria.
In ogni caso, a coloro che lo invitavano a riguardarsi, ricordava: "Sciocchezze! Sono l'uomo più sano d'Inghilterra!".
Il 14 marzo 1910, dopo una serie interminabile di balli e festini, venne annunciato che il re sarebbe rimasto nel suo appartamento per consiglio del medico personale. Ufficialmente si trattava di una bronchite, in realtà i polmoni di Bertie erano completamente distrutti dal fumo e dall'enfisema.
Il 21 marzo Edoardo VII ricomparve per un’escursione in automobile e il 25 aprile partì in treno per Parigi, dichiarandosi "completamente guarito".
Ma fra il 30 aprile e il 1º maggio, a Sandringham, dopo una serie di partite di caccia, la "bronchite" lo colpì ancora. Nei giorni seguenti, a Londra, rifiutò di riposarsi e incontrò l’ambasciatore americano, che notò la forte tosse e si preoccupò per la salute del sovrano. Bertie, tra uno starnuto e l'altro, ribadì di essere "L'uomo più sano d'Inghilterra",
Ma la sera del 5 maggio fu chiaro a tutti, tranne che a lui, che "l'uomo più sano d'Inghilterra" era un malato in fase terminale.
Lui però non ci stava e la mattina del 6 si fece vestire di tutto punto, come se niente fosse, ed i medici furono soltanto autorizzati a dire che la bronchite del re persisteva e «le sue condizioni suscitavano qualche preoccupazione».
Bastarono pochi minuti di tosse da togliere il respiro per far capire a Bertie che, nonostante la sua voglia di vivere, ormai la partita era finita.
In punto di morte, Bertie non si smentì, e la sua richiesta fu di poter "morire tra le braccia di Alice Keppel".
La regina Alessandra, con la consueta classe, permise all'amante del marito di assisterlo nell'estremo momento e provvide a far entrare nella stanza gli amici che desideravano vederlo per l'ultima volta.
E così, in compagnia, come sempre, il vecchio Bertie, il grande Edoardo VII, morì quello stesso 6 maggio 1910, quando mancavano 15 minuti alla mezzanotte. Aveva 68 anni e mezzo.
La prima cosa che accadde dopo, fu il gesto liberatorio della vedova.
Dopo quarantasette anni di umiliazioni, la regina Alexandra, finalmente vedova, ordinò che Alice Keppel e tutte le amanti del marito fossero per sempre bandite da tutte le abitazioni della Famiglia Reale. Poi, con la consueta malinconia, pensò tristemente a quale sorte meschina era destinato il Regno, ora che il trono cadeva nelle mani del suo secondogenito, il ruvido nostromo di cui parleremo domani.