Kundalini (adattamento di
Kuṇḍalinī,
devanagari:
कुण्डलिनी) è un termine della
lingua sanscrita adoperato originariamente in alcuni testi delle tradizioni
tantriche per indicare que
ll'aspetto della Śakti ( l'energia divina che si ritiene risiedere in forma quiescente in ogni individuo.[1] ) presente nel corpo umano, Il concetto di kundalini è stato ultimamente reso oggetto di interesse sia nella comunità medica, sia nei movimenti
New Age.
Disegno schematico che rappresenta i
chakra e la Kundalini quiescente nel corpo umano
Origine del termine e contesti d'uso
Sebbene la nozione di
un corrispettivo dell'energia divina nel corpo umano e delle pratiche relative per gestirla si trovi già espressa e discussa in alcuni testi del corpus dei Bhairava Tantra, quali ad esempio il
Netra Tantra, il
Kubjikāmata Tantra e il
Vijñānabhairava Tantra[2], sembra che la prima menzione del termine compaia nel
Tantrasadbhāva, altro testo del medesimo
corpus, risalente all'VIII secolo circa.
[3]
« Questa potenza è chiamata suprema, sottile, trascende ogni norma di comportamento. Avvolta intorno al punto luminoso (bindu) del cuore, all'interno giace nel sonno, o Beata, in forma di serpente addormentato e non ha coscienza di nulla, o Umā. Questa Dea, dopo aver immesso nel grembo i quattordici mondi insieme con la luna il sole i pianeti, cade in uno stato di obnubilamento come di chi è offuscato dal veleno. È risvegliata dalla suprema risonanza naturale di conoscenza, [nel momento in cui] è scossa, o Eccellente, da quel bindu che sta nel suo grembo. Si produce infatti uno scuotimento nel corpo della Potenza con un impetuoso moto a spirale. Dalla penetrazione nascono per prima i punti splendenti di energia. Una volta levata Essa è la Forza (kalā) sottile, Kuṇḍalinī. » |
(Tantrasadbhāva, f.11b linea 4 – f.12b linea3; citato in Kṣemarāja, Śivasūtravimarśinī, commento a II.3; in Vasugupta, Gli aforismi di Śiva, con il commento di Kṣemarāja, a cura e traduzione di Raffaele Torella, Mimesis, 1999, p. 90.) |
I
Bhairava tantra sono un insieme di opere, 64 per l'esattezza, che la tradizione vuole rivelate dal
Dio Śiva nel suo aspetto
Bhairava. Questi testi espongono una dottrina
monista (
ā-dvaita, "non-dualista"), cioè una visione
metafisico-religiosa nella quale ogni aspetto nel cosmo, individui compresi, sono una manifestazione, un'espansione dell'
Assoluto, Śiva. Molti di questi testi non ci sono pervenuti, ma ne abbiamo menzioni e citazioni sia in quelli attualmente conosciuti sia nei numerosi commenti che ne sono seguiti.
Occorre qui ricordare che la concezione di una relazione fra l'umano e il divino non è certo una prerogativa delle tradizioni in oggetto, tradizioni essenzialmente
tantriche, ma risale, nella letteratura, a un'epoca antecedente, quella del
brahmanesimo. Nella
Chāndogya Upaniṣad (IX-VII secolo a.C.), ma anche in altre
Upaniṣad, troviamo già espresso il concetto dell'identità fra l'essenza individuale e quella divina, fra
ātman e
brahman: «Quello sei tu».
I testi del
Bhairava tantra costituiscono il
corpus canonico di opere sacre cui fanno riferimento alcune tradizioni religiose popolari per lo più sorte nella regione
indiana del
Kashmir, e confluite poi in quel sistema
esegetico etichettato come
Shivaismo del Kashmir. Queste tradizioni e scuole sostengono l'identità fra gli individui, l'
universo e Dio, che, come già detto, è qui identificato con Śiva
[4] o una sua ipostasi (come Bhairava, per esempio):
Śiva è qui considerato causa materiale ed efficiente dell'universo, e il suo riflesso nel mondo è Śakti, l'energia divina che gli esseri e le cose nel mondo sperimentano come causa di ogni trasformazione. Sostantivo femminile,
śakti è termine il cui significato è proprio "energia", "forza", e indica generalmente il potere, o l'insieme dei poteri di un dio (
deva), quelli che agiscono nel mondo fenomenico e sono la causa di ogni trasformazione, creazione e distruzione. Nella mitologia, questa
śakti è spesso personificata come dea (
devi) e variamente denominata, oggetto di culto nelle correnti
devozionali. Come
Pārvatī, la "Figlia della montagna", per esempio, raffigurata come sposa di Śiva; o come
Kālī, "Colei che domina il tempo".
Da questo punto di vista, Kuṇḍalinī non è che uno dei nomi della
śakti, della Dea cioè: uno degli aspetti, in ultima analisi, di Dio. Così, prima di entrare nel dettaglio delle pratiche, si rivolge alla Dea Kuṇḍalinī il filosofo kashmiro
Abhinavagupta (X-XI sec.), sistematore di queste tradizioni:
« O visione d'ambrosia immortale e suprema che splendi di luce cosciente scorrendo dalla Realtà assoluta, sii il mio rifugio. Grazie a essa ti adorano coloro che conoscono il mistico arcano. » |
(Abhinavagupta, Tantrāloka, XXVI.63; citato in Silburn 1997, p. 277.) |
Il passo dal
Tantrasadbhāva sopra citato procede lasciando intendere che il nome Kuṇḍalinī derivi da
kuṇḍalī, generalmente tradotto con "ricurva"
[5], o anche con "attorcigliata"
[6]:
« Scossa dal bindu, l'immortale Ricurva (Kuṇḍalī) si drizza in una linea; essa è conosciuta allora come Diritta (Rekhinī). » |
(Op. cit.) |
Il nome deriverebbe quindi dallo stato in cui normalmente si trova questa energia; "dormiente", "addormentata", "quiescente", "inattiva", "sopita", "inconscia": sono questi i termini che generalmente si trovano in letteratura per riferirsi alla
kuṇḍalinī di cui non si è ancora preso coscienza tramite una delle pratiche canoniche. Il riferimento al
serpente come immagine simbolica della
kuṇḍalinī rende bene l'idea di qualcosa che normalmente è in stato di riposo, arrotolato su sé stesso come spesso il serpente giace fintanto che non venga stimolato o non si muova in cerca di cibo.
Il corpo yogico, o corpo sottile
Illustrazione del XIX secolo raffigurante nel corpo fisico un complesso costituito da tredici
cakra del corpo yogico, le tredici tappe del percorso yogico di Kuṇḍalinī verso Śiva. È altresì rappresentata Kuṇḍalinī stessa in forma di serpente bianco arrotolato attorno alla vita.
Il seguace di queste tradizioni, che come si è detto sono spiccatamente
tantriche, il
tāntrika, ovvero l'adepto che guidato dal suo
guru segue un percorso spirituale vòlto al conseguimento della liberazione (
mokṣa) dal ciclo delle rinascite (
saṃsāra), è ritenuto
possedere una struttura complessa che convive col corpo fisico. Si tratta di un corpo immateriale, una struttura somatica inaccessibile ai sensi che l'adepto crea immaginandola e visualizzandola attraverso una serie di pratiche complesse.
[7] Nella letteratura critica moderna a questo corpo è stato dato il nome di "
corpo sottile"
[8], per distinguerlo dal corpo fisico, che per contrasto è spesso detto "grossolano". Il termine non è soltanto adoperato per le dottrine in oggetto, ma
lo si usa anche per rendere concetti simili pertinenti ad altre tradizioni, sia religiose che non, come quelle esoteriche.
André Padoux, indologo francese esperto di tantrismo, fa però notare che questo termine, "corpo sottile", è improprio, perché è la traduzione letterale di
sukṣmaśarīra, che si riferisce invece al corpo trasmigrante: il "corpo sottile" è quello che sopravvivendo alla morte è destinato a reincarnarsi (se non c'è stata liberazione).
Padoux utilizza pertanto il termine "corpo yogico". Similmente, Gavin Flood utilizza il termine "corpo tantrico". David Gordon White usa anche il termine "corpo alchemico".
« Vivere, esistere consapevolmente come tāntrika, è vivere in un universo che si avverte penetrato dall'energia divina, un complesso energetico nel quale il corpo è immerso, facendone parte e offrendone un riflesso nella propria struttura: un corpo in cui sono presenti le forze sovrannaturali, le divinità, che lo animano e lo legano al cosmo, un corpo che ha una struttura e una vita divino-umane, e che è, inoltre, un corpo yogico. » |
(Padoux 2011, p. 95) |
Letteralmente Yoga significa "unione"[9], qui fa riferimento all'unione di Kuṇḍalini con Śiva attraverso un viaggio di Kuṇḍalini stessa nel corpo dell'adepto, dal punto in cui giace come addormentata, alla base della colonna vertebrale, fino alla sommità del capo, dove si unisce appunto a Śiva, donando la beatitudine della liberazione.
[10]
« Il corpo tantrico non è un corpo dato e che viene poi riscoperto, ma un corpo costruito con l'impegno derivante da pratiche dedicate, con un lavoro che dura anni e anni. » |
(Flood, The tantric body, Op. cit., p. 6[11]) |
La comprensione reale di questo corpo da parte di noi occidentali, prosegue Gavin Flood, di cosa esso realmente significhi e di come sia vissuto dal
tāntrika, dei suoi rapporti col cosmo in ultima analisi, è impresa velleitaria. Il corpo tantrico è fondamentalmente un testo nel senso lato del termine, cioè uno strumento per concettualizzare l'universo, le divinità, la
lingua sanscrita e il linguaggio, la tradizione scritta stessa: qualcosa che la cultura di massa moderna al di fuori della tradizione certo non può comprendere né rendere. La visione del corpo tantrico da parte della
civiltà occidentale è cosa emblematica, e rappresenterebbe un argomento in sé.
[12]
Gli elementi principali di questo corpo sono i "canali" (
nāḍī), i "centri" o "ruote" (
cakra), i "punti" (
bindu), il soffio vitale (
vāyu). Va subito detto che non esiste una fisiologia univoca per il corpo yogico: il numero, le caratteristiche e le funzioni dei suoi componenti variano da tradizione a tradizione, da testo a testo. È in questo corpo che Kuṇḍalinī
vive e si
muove.
La fisiologia più diffusa per il sistema di
cakra e
nāḍī è quella che deriva dalle tradizione tantrica che fa riferimento alla dea
Kubjikā, la Dea gobba, tradizione attestatasi nell'XI secolo. In questa sono descritti sette
cakra, collocati rispettivamente nelle zone del: perineo (
mūlādhāracakra), genitali (
svādhiṣṭhānacakra), plesso solare (
maṇipuracakra), cuore (
anāhatacakra), gola (
viśuddhacakra), fronte (
ājñācakra), sommità del capo (
sahasrāracakra) Le
nāḍī principali sono tre: una centrale, la
suṣumnā, e due laterali:
iḍā e
piṅgalā.
[13]
Kubjikā è raffigurata nell'apparenza di una vecchia donna incurvata dagli anni:
kubjika significa "curva"; questa Dea è infatti associata con Kuṇḍalinī. La tradizione in oggetto è la cosiddetta tradizione
kaula occidentale, originaria dell'Himalaya occidentale, e attestata con certezza nel XII secolo in
Nepal, dove ancora sopravvive
[14]. Il
Kubjikāmata Tantra è il testo più antico nel quale si trova menzione del sistema dei sei
cakra, quello attualmente più noto e diffuso: testi precedenti menzionano un numero differente di
cakra variamente collocati nel corpo sottile.
[15]
Il serpente
Statua di
Esculapio presso il Teatro di
Epidauro, Grecia. Esculapio era il dio della medicina; il serpente, attorcigliato attorno a un bastone, animale a lui sacro e simbolo di rinnovamento.
« Il serpente, temibile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo stesso modo la kuṇḍalinī, finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose. Inversamente, queste stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e conferiscono una potenza reale. » |
(Silburn 1997, p. 39) |
Simbolo ctonio, il
serpente è il più usato per rappresentare la
kuṇḍalini, associazione suggerita dagli stessi testi
indiani appartenenti alla tradizione, come il sopra citato
Tantrasadbhāva. In quanto abitatore del sottosuolo, questo animale simboleggia una forza occulta, misteriosa e pericolosa. Ma, come spesso avviene nel
mito, le cose pericolose, quando conosciute, perdono quest'aspetto per svelarne un altro opposto, benefico. La
kuṇḍalinī, quando riposa è come un serpente raccolto su sé stesso, pronto a scattare per mordere e così iniettare il suo veleno; ma quando è risvegliata è come il serpente dritto sulla punta della coda, rigido come un bastone, inoffensivo.
[1]
Questo simbolismo del serpente come energia cosmico-divina trova analogia in quello ravvisato nell'analisi di
Carl Gustav Jung per l'energia psichica, la
libido:
« Il serpente rappresenta la libido che si introverte. Attraverso l'introversione si viene fecondati da Dio, ispirati, ri-procreati e rigenerati » |
(Carl Gustav Jung, La libido, simboli e trasformazioni, traduzione di Girolamo Mancuso, Newton, 2006 (1912), p. 331) |
Fin dall'antichità, il serpente è stato considerato simbolo di trasformazione grazie alla sua capacità di mutare pelle, ed è stato associato al benessere fisico, spirituale e all'illuminazione. Il
Bastone di Asclepio, simbolo della moderna medicina, e il
Caduceo di
Hermes, messaggero degli dèi (cioè mediatore fra l'umano e il divino), presentano rispettivamente uno e due serpenti che si avvolgono attorno ad un bastone. Quest'associazione fra bastone e serpente compare anche in altre narrazione mitologiche, come quella descritta nell'Antico Testamento:
« Il Signore gli disse: "Che hai in mano?". Rispose: "Un bastone". Riprese: "Gettalo a terra!". Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano e prendilo per la coda!". Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. » |
(Esodo, 4, 2-4) |
Sculture in pietra rinvenute presso templi del Sud dell'India, che testimoniano la sopravvivenza, in epoca più recente, dell'antico culto dei serpenti
Il
culto dei serpenti era, in
India come altrove, diffuso già prima del V secolo p.e.v. I
Nāga erano un popolo di esseri metà uomo metà serpente, depositari di un'antica conoscenza, e tuttora sopravvivono, presso alcuni templi indiani, raffigurazioni di questi esseri mitologici. Gli stessi
Asura, una classe di dèi
vedici erano raffigurati anche come dèi-serpente.
[16]
« Il Veda è in realtà il sapere dei serpenti. » |
(Śatapatha Brāhmaṇa, XIII, 4, 3, 9; citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980, p. 107) |
Śiva è sempre raffigurato come ornato di serpenti; ma anche
Viṣṇu è associato al serpente cosmico Śeṣa. L'iconografia canonica del filosofo buddhista
Nāgārjuna lo vuole assorto in meditazione all'ombra di un serpente (
nāgā) a una o più teste.
Nell'antica
Creta il culto dei serpenti rivestiva un aspetto importante, e così pare anche in alcuni culti
dionisiaci. Il serpente, come simbolo variamente significato, compare in molte altre civiltà e manifestazioni a carattere religioso, e a tutt'oggi se ne trovano ancora esempi, come nella
festa di San
Domenico di Sora in Abruzzo.
[16]
La visione occidentale di Kuṇḍalini
In Occidente, l'immagine del serpente come simbolo della
kuṇḍalini è molto diffusa e la si deve a Sir
John Woodroffe, magistrato britannico presso la Corte suprema del
Bengala e appassionato di
tantrismo che, con lo pseudonimo di Arthur Avalon, pubblicò nel 1919 un testo sull'argomento
[17] dal titolo
Il potere del serpente. A lui si deve la diffusione di massa di questo fondamentale argomento delle tradizioni tantriche, così come di altri, quali i
chakra: nel medesimo testo, infatti, egli presenta una parziale
traduzione di due testi, lo Ṣatcakranirūpaṇa e il Pādukāpañcaka, il primo sul sistema dei sei chakra, il secondo sulla struttura a cinque strati del corpo tantrico. A lui va l'indiscusso merito di aver presentato questi argomenti alla cultura occidentale e di aver così suscitato interesse verso quell'insieme di variegati e controversi aspetti dell'
induismo che, in occidente stesso, è stato etichettato come "tantrismo", termine inesistente nella cultura hindu.
[18]
La decontestualizzazione di questi concetti, la
kuṇḍalini e il suo risveglio, i
chakra, il corpo sottile, ma anche i
mantra e forse soprattutto le pratiche sessuali tipiche di alcune tradizioni tantriche, ha però creato, cosa inevitabile, una serie di fraintendimenti, favorendo di riflesso la diffusione di manipolazioni e letture personalizzate. La
Società Teosofica prima
[19] e i movimenti
New Age poi, si sono appropriati dell'argomento
kuṇḍalini, rivestendolo di aspetti impropri.
Ma la
kuṇḍalini ha interessato anche studiosi quali lo psicoanalista
Carl Jung[20], che ha cercato paralleli con la struttura e il funzionamento dell'
inconscio, trovando corrispondenze dei suoi concetti di
anima e
animus con Kuṇḍalini e Śiva rispettivamente.
[19]
Jung, che aveva letto il testo di Avalon nel 1930, seguito i seminari dell'indologo tedesco
Wilhem Hauer sullo
Yoga, e si era già espresso affermando di aver trovato interessanti corrispondenze fra la propria visione e quella dello Yoga stesso, ebbe però un atteggiamento ambivalente nei confronti della
kuṇḍalinī, ravvisando, nelle tecniche di risveglio della stessa, il pericolo di essere sommersi dalle forze dell'inconscio, qualcosa che quindi si opponeva alla realizzazione della personalità. Interessante è la sua visione della disposizione anatomica dei
cakra: il primo
cakra, quello dove riposa Kuṇḍalinī, il
mūlādhāra, dovrebbe essere situato in alto, e l'ultimo in basso.
[21]
Il risveglio della Kundalini
Disegno moderno che simbolizza il
mūlādhāracakra, nel quale Kuṇḍalini riposa. Al centro, il mantra monosillabico (
bījamantra) associato al
cakra in scrittura
devanagari: LAṂ, corrispondente all'elemento grosso "terra".
Come accennato,
nelle tradizioni tantriche la liberazione dal ciclo delle rinascite è vista come il "risveglio" di Kundalini seguito dalla relativa ascesa (śat chakra bedhana) nel corpo sottile fino all'ultimo chakra, dove stabilmente deve permanere in unione con
Śiva. In questo stadio l'adepto ha definitivamente abbandonato il suo
ego individuale (
ahmakara) per identificarsi col Soggetto universale (
aham).
[22]
Questo percorso è vissuto dall'adepto come "attivazione", "apertura" dei chakra interessati, che ordinariamente si trovano "inattivi", come "chiusi". Il simbolismo dei fiori di loto illustra bene questo meccanismo: i petali si dischiudono al passaggio di Kundalini e successivamente si richiudono, col risultato però di aver cambiato di stato.
[23] Kundalini stessa subisce cambiamenti di stato: in alcuni testi si preferisce distinguere tre aspetti:
śaktikuṇḍalinī ("energia arrotolata"), per indicare Kundalini che risiede inerte nel primo chakra, il
mūlādhāracakra;
prāṇakuṇḍalinī ("energia dei soffi vitali"), per designare Kundalini che circola nel corpo sottile;
parakuṇḍalinī ("energia assoluta"), Kundalini pronta per fondersi con Śiva nell'ultimo chakra (il
dvādaśānta o il
sahasrāracakra, a seconda dei testi).
[24]
La prassi per il "risveglio" e la "risalita" di Kundalini segue strade differenti a seconda della tradizione e quindi dei testi adottati. L'indologa francese
Lilian Silburn che si è occupata teoricamente e attivamente di questo argomento distingue fra i metodi che derivano dalle tradizioni del
Kula e quelli molto più tardi che fanno capo a testi quali la
Haṭhayoga Pradīpikā, la
Gheraṇḍa Saṃhitā e la
Śiva Saṃhitā (scritti all'incirca dopo il XV secolo). Questi ultimi prevedono un impegno continuo basato molto sul lavoro sul corpo fisico e sottile: stiamo parlando dello
Hatha Yoga. I testi tantrici precedenti fanno invece riferimento a metodi che sono assimilabili alla
mistica, metodi che coinvolgono la
spiritualità intrinseca in elementi quali la
parola, il pensiero, la consapevolezza, la meditazione.
[25]
La via dello Hatha Yoga
Disegno che raffigura una tecnica di respirazione a narici alternate, tipica dello Hatha Yoga per la "pulizia" delle
nāḍī
La manipolazione di Kundalini non è possibile se prima non si è provveduto a
purificare il sistema dei canali energetici del corpo sottile, le nāḍī. A tale scopo l'adepto deve preliminarmente dedicarsi a operazioni finalizzate a tale scopo, le
nāḍīśodhana. Queste prevedono
posizioni specifiche (
āsana) accompagnate da
tecniche di respirazione controllata e recitazioni di mantra. Va evidenziato che i risultati non sono affatto subito evidenti: il praticante vi si dovrà dedicare quotidianamente per diversi mesi. Stante alla
Śiva Saṃhitā, al termine il corpo fisico si presenterà più armonioso, profumato, dotato di una voce ben risonante.
[26]
Sono tre le
nāḍī principali:
suṣumṇā,
iḍā e
piṅgalā: queste ultime sono come avvolte attorno alla prima, che invece è dritta, ergendosi dalla zona del perineo fino al cranio.
[27] La suṣumṇā è la via maestra di risalita di Kundalini: le tecniche di purificazione hanno anche e soprattutto lo scopo di evitare che Kundalini risalga seguendo iḍā e piṅgalā. Infatti è anche possibile che Kundalini si risvegli e risalga in modo anomalo, come nel caso precedente, o anche spontaneamente: queste occasioni non conducono alla liberazione, anzi possono causare problemi.
[28] Così un maestro del XIV sec.:
« Kundalini può dare la liberazione agli yogi, ma incatenare gli ignoranti. » |
(Svatmarama; citato in Feuerstein 1998, p. 169) |
Le vie dello Shivaismo del Kashmir
In quel sistema teologico-filosofico successivamente etichettato come
Shivaismo del Kashmir sono descritti altri metodi per manipolare la kundalini e quindi ottenere la liberazione in vita. L'indologa Lilian Silburn elenca i seguenti metodi: distruzione del pensiero dualizzante; interruzione del soffio; frullamento dei soffi; contemplazione delle estremità; espansione della via mediana. A questi vanno considerati aggiunti metodi di intervento "esterni", quali la cosiddetta "pratica del bastone" e l'iniziazione mediante penetrazione.
[29]
Note
- ^ a b Silburn 1997.
- ^
« Il soffio ascendente esce, il soffio discendente entra, di sua propria volontà, in forma sinuosa. La Grande Dea si estende dappertutto, Suprema-Infima, supremo luogo sacro. » |
(Vijñānabhairava Tantra, 152; in Vijñānabhairava. La conoscenza del tremendo, traduzione e commento di Attilia Sironi, introduzione di Raniero Gnoli, Adelphi, 2002.) |
"Con l'espressione «forma sinuosa» si allude alla kuṇḍalinī": nota di Raniero Gnoli, p. 119, cit.
- ^ Così l'indologo David Gordon White; cfr.: Flood, The tantric body, Op. cit., p. 160 e segg.
- ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 227.
- ^ Così appunto traduce Raffaele Torella nel testo citato.
- ^ Così è tradotto in David Gordon White, Il corpo alchemico, traduzione di Pasquale Faccia, edizioni Mediterranee, 2003, p. 277. Anche Lilian Silburn traduce così (Silburn 1977, cit., p. 181).
- ^ Padoux 2011, p. 97.
- ^ In lingua inglese è subtle body.
- ^ Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà. Milano, Rizzoli, 1997, p. 20.
- ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 218 e segg.
- ^ «The tantric body is not a given that is discovered but a process that is constructed through dedicated effort over years of practice.»
- ^ Flood, The tantric body, Op. cit., p. 5 e segg.
- ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 134.
- ^ Padoux 2011, p. 79.
- ^ Flood, L'induismo, Op. cit., pp. 253-254.
- ^ a b Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980, p. 106 e segg.
- ^ Arthur Avalon, The Serpent Power, London, Luzak & Co, 1919.
- ^ Padoux 2011, pp. 225-226.
- ^ a b Robert Beér, The Encyclopedia of Tibetan Symbols and Motifs, Serindia Publications, 2004, p. 134.
- ^ Vedi: La psicologia del Kundalini-Yoga, seminario tenuto nel 1932, a cura di Sonu Shamdasani, edizione italiana a cura di Luciano Perez, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
- ^ «In the East the unconscious is above, while with us is below, so we can reverse the whole thing». Citato in Ronald Hayman, A Life of Jung, Bloomsbury Publishing, 2002 (1999), p. 301 e segg.
- ^ Feuerstein 1998, p. 183.
- ^ Feuerstein 1998, pp. 181-182.
- ^ Silburn 1977, pp. 47-52 e p. 27.
- ^ Silburn 1977, p. 69.
- ^ Feuerstein 1998, p. 166 e segg.
- ^ Va sempre rammentato che queste sono descrizioni di componenti anatomici del corpo sottile, non grossolano, un corpo che il praticante crea visualizandolo all'interno del corpo grossolano.
- ^ Feuerstein 1998, p. 166 e p. 169.
- ^ Silburn 1977.
Bibliografia
- Georg Feuerstein, Tantra. The Path of Ecstasy, Shambhala publications, 1998.
- Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
- Gavin Flood, The tantric body, Tauris & Co., 2006.
- André Padoux, Tantra, a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.
- Lilian Silburn, La kuṇḍalinī o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997.
Voci correlate