La dissoluzione della Federazione Russa in una trentina di repubbliche autonome.
Oppure, nel caso estremo...
Ora, nel 2023, dopo 15 anni in cui la Russia ha esteso la sua influenza in zone secessioniste della Georgia (Abcasia e Ossezia del Sud), della Moldavia (Transnistria) e dell'Ucraina, nel 2014, con l'annessione della Crimea e l'appoggio ai secessionisti russofoni del Donbass, per non parlare poi della vittoria contro l'Isis e i dissidenti salafiti in Siria, dell'appoggio ai secessionisti della Cirenaica in Libia (guidati dal generale Haftar, appoggiato anche da Egitto, Francia e Grecia) e infine con l'invasione della stessa Ucraina, di cui ora controlla il sud-est, la posta in gioco è molto cambiata.
Non si tratta più, soltanto, di sconfiggere Putin e la sua politica espansionista, ma anche di impedire che la Federazione Russa possa costituire un avversario temibile, alleato della Cina.
In questo scenario si inserisce l'antica teoria diplomatica e geopolitica della guerra tra il blocco continentale eurasiatico e quello marittimo oceanico dell'Occidente guidato Stati Uniti, dal G8 e dalle potenze che hanno partecipato ai due vertici di Ramstein. Tale teoria afferma che prima o poi uno dei due blocchi dovrà vincere e assumere il ruolo di unica potenza globale.
Gli Stati Uniti, in realtà, credevano di esserci già riusciti negli anni tra il 1989 e il 1991, con la fine dei regimi comunisti europei e la caduta dell'Unione Sovietica, ma non è stato così.
Da allora gli USA sono intervenuti militarmente in Bosnia, Serbia, Kossovo, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia e, per procura, guidando la resistenza antirussa in Ucraina.
Nei Balcani gli Stati Uniti hanno vinto, mentre nel mondo arabo la loro influenza è tutt'ora fortemente limitata dall'appoggio della Federazione Russa ad Haftar in Libia, Assad in Siria, il partito integralista sciita Hezbollah in Libano, i leader sciiti in Iraq e la teocrazia degli ayatollah e dei pasdaran in Iran.
Peggio ancora le cose sono andate in Afghanistan, dove, dopo un'apparente vittoria, è seguita una ventennale guerriglia contro i Talebani, che alla fine hanno costretto la Nato ad una resa senza condizioni, una vera e propria fuga, una specie di "secondo Vietnam".
E mentre tutto questo accadeva, una nuova superpotenza economica e demografica è emersa, la Cina, la quale ha anch'essa strategie espansionistiche, prima fra tutte la minacciata invasione di Taiwan.
Durante la presidenza di Trump negli Usa, il nemico principale è stato la Cina, mentre con l'ascesa di Biden alla Casa Bianca il nemico numero uno è tornato ad essere la Federazione Russa.
Non è mia intenzione rievocare e approfondire i legami personali tra la famiglia Biden e il presidente ucraino Zelensky, ma certo questo legame ha avuto un ruolo nel fatto che, quando Putin ha invaso l'Ucraina accusandola di aver violato gli accordi di Misk sul rispetto delle regioni autonome russofone, Zelensky e Biden non si sono fatti trovare impreparati.
In un certo senso Putin è caduto in una trappola che, inevitabilmente lo porterà alla sconfitta e alla perdita del potere (seguendo la parabola simile a quella del presidente serbo Milosevic o del dittatore iracheno Saddam Hussein).
La caduta di Putin creerà un vuoto senza precedenti a Mosca e "in tutte le Russie" della Federazione.
Putin aveva iniziato la sua presidenza impedendo la secessione della Cecenia e del Daghestan.
La sua caduta potrebbe essere un segnale non solo per le due repubbliche federate con aspirazioni indipendentiste, ma anche per tutte le altre repubbliche autonome della Federazione, che potrebbero sfruttare il vuoto di potere a Mosca per separarsi una volta per tutte dalla Russia propriamente detta.
La dissoluzione della Federazione russa, seguita a ruota dalla caduta dei regimi sostenuti da Putin in altri paesi europei, asiatici, africani e sudamericani, porterebbe alla sconfitta del blocco eurasiatico e alla vittoria del blocco marittimo occidentale a guida statunitense.
Resta l'incognita della Cina e delle potenze emergenti, come la Turchia, molto potente a livello geopolitico, specialmente nello scenario mediterraneo e mediorientale devastato dalla falsa Primavera Araba.
Tutto questo per dire che la sconfitta di Putin non segnerà la fine delle guerre, ma semplicemente lo spostamento del fronte di guerra.
La guerra ci sarà sempre, perché l'industria bellica e l'apparato militare-industriale hanno sempre controllato il Deep State degli Usa.
C'è grande confusione sotto il cielo, e per il sanguinario Deep State la situazione sarà sempre eccellente.
Ecco dunque, scherzosamente, cosa sarebbe accaduto se l'Impero degli Asburgo non si fosse dissolto nel 1918.