Durante il fine settimana, mentre tentavo svogliatamente di incominciare a studiare qualcosa, il pensiero era ritornato più volte su Virginia D. e sul mistero che avvolgeva la sua eleganza e la distanza che metteva tra sé e gli altri.
Il dubbio divenne ancora più pungente quando, il lunedì mattina, giornata in cui notoriamente la gente si veste male, mettendosi le prime cose che capitano, lottando con il desiderio di rimanere in casa a dormire, Virginia si presentò a lezione più elegante e curata che mai.
Indossava una camicetta rosa carne, leggera, a tratti quasi trasparente, ma sempre abbottonata fino al collo. La gonna era rosa, bordata e decorata con linee nere. Rosa erano anche le scarpe.
Portava due cerchietti di brillanti come orecchini.
I capelli erano divisi da una scriminatura nel mezzo, raccolti dietro la nuca e ricadevano in due code ai lati del viso su entrambe le spalle, fino al livello dei seni.
Anche il trucco era estremamente curato. Persino le unghie sembravano fresche di manicure.
Come si poteva essere così assolutamente perfetti persino il lunedì mattina?
Ma poi, a che fine?
Io conoscevo una possibile risposta, nel senso che per me
l'eleganza poteva essere benissimo fine a se stessa, senza alcun desiderio di seduzione o di ostentazione. Per me era, in certi giorni, non sempre, un modo per sentirmi meglio, per stare meglio con me stesso.
Ma non osavo illudermi che potesse essere così anche per lei.
Era così raro incontrare una persona che amasse l'eleganza fine a se stessa che preferivo non farmi illusioni.
Non volevo correre il rischio di idealizzare un'immagine, senza conoscere gli elementi di personalità che avevano condotto ad essa.
In ogni caso, non potevo nemmeno fingere di non essere attratto da lei
Del resto, sedersi al suo fianco, al solito posto, per la settima volta consecutiva, era l'equivalente, tacito, di una dichiarazione d'amore.
Il suo sorriso, nel momento in cui mi vide, fu così timido e nel contempo così dolce che avrebbe potuto resuscitare un morto.
Fu solo un attimo, poi il suo sguardo tornò nuovamente contemplativo.
Avrei avuto nella testa mille cose da dire per rompere il ghiaccio e trovare un argomento tale da spezzare l'incantesimo che ci impediva di esprimere a parole una comunicazione che fino a quel momento era stata lasciata a gesti in apparenza casuali.
La sua stessa postura, così altera e statuaria, per quanto lei non fosse più alta della media, contribuiva a creare una certa distanza, quasi una barriera, generata da un'aura di solenne inviolabilità.
Eppure, se io sentivo così forte, nei confronti di Virginia, un sentimento di affinità, doveva esserci sicuramente un modo per far crollare le mura che aveva eretto intorno a se stessa.
Ciò che nella mente può sembrare eterno e indistruttibile, nella realtà finiva sempre, prima o poi, per mostrare qualche crepa.
In fondo niente è indistruttibile.
Quando ci si trova davanti ad una barriera che non ha ragione di esistere, occorre prestare molta attenzione ai dettagli.
Notai che quel giorno non portava le calze e vidi che le sue gambe, dal ginocchio in giù, erano straordinariamente simili a quelle di mia madre e, indirettamente, anche alle mie.
Era un pensiero bizzarro, ma mi ricordai che fin dal primo giorno lei mi aveva ricordato alcune foto di mia madre da ragazza.
Per carità, non c'era nessun risvolto edipico in quel paragone, quanto piuttosto un senso di familiarità. Era come se lei fosse una specie di versione femminile di me stesso.
Mi resi conto che non era un'idea così folle o campata in aria. Avevamo alcuni tratti somatici molto simili: il colore e la forma degli occhi, del naso, persino della bocca. Certo, io ero più alto e più robusto, come è normale che sia per un maschio, ma la somiglianza era innegabile.
Mentre pensavo queste cose, la lezione era incominciata ed io stavo prendendo automaticamente appunti, senza capire cosa stesse realmente dicendo la giunonica prof, fino a quando non si mise a scrivere alla lavagna.
Qualcuno le aveva chiesto un ripasso dell'esametro, che per me non era affatto un ripasso, in quanto, avendo fatto il liceo scientifico, non avevo avuto modo di studiare la metrica.
Virginia invece stava seguendo molto tranquillamente, come si evinceva dalla chiarezza dei suoi appunti, molto migliori del pasticcio che Giunone, alla lavagna, stava combinando.
Mi ritrovai così, spontaneamente, senza nessun secondo fine, a copiare dal quaderno di Virginia, dal quale si capiva molto meglio quella strana combinazione di simboli dai nomi strani.
Ecco, quella fu la crepa che fece cadere le mura di Gerico.
Lei infatti notò, vedendomi copiare la suo quaderno, la mia difficoltà a seguire la lezione e probabilmente, unendo questa consapevolezza al fatto che io non la seguivo nelle lezioni di Lingua greca, dovette intuire che io non venivo dal liceo classico. E così, spontaneamente, e forse involontariamente, fu lei a rompere il ghiaccio, chiedendomi: <<
Qualche difficoltà con la metrica?>>.
Devo ammettere che fui preso in contropiede, perché tutto mi aspettavo, tranne che quella domanda, anche se a posteriori mi rendo conto che era quasi ovvia.
<<
Ehm... sì... molte difficoltà... io sono un "barbaro" dello scientifico, e un "modernista", ovviamente>>
Lei parve divertita dalla mia risposta:
<<
Ma anch'io sono una "barbara" dello scientifico, però conosco la metrica e sono iscritta a Lettere classiche>>
Fui preso in contropiede un'altra volta:
<<
Ma se non hai fatto il classico, come fai con il greco?>>
Era una conversazione completamente diversa da ciò che avrei mai immaginato, ma sortì comunque l'effetto che desideravo, in quanto andò a toccare un argomento di cui lei andava particolarmente fiera:
<<
Lo sto imparando adesso. E' una lingua meravigliosa, che sta alla base di una civiltà meravigliosa>>
Aveva pronunciato quelle parole con divertita naturalezza. La sua voce era limpida, armoniosa, priva di qualsiasi accento.
La mia risposta fu del tutto inadeguata rispetto al fiume di parole che avrei voluto dire:
<<
Complimenti!>> e feci pure un cenno di inchino.
Era stato un modo piuttosto buffo e particolare per rompere il ghiaccio, e
certamente io mi sentivo abbastanza spiazzato, ma l'importante era che il muro di silenzio tra me e lei fosse crollato.
In fondo, avevo ragione io: niente è indistruttibile.
Cast
Emmy Rossum - Virginia D.
P.s. Il titolo si ispira ad un passo della canzone "Masterpiece" di Madonna, colonna sonora del film W.E. diretto dalla stessa regina del pop.