La psicosomatica è una branca della psicologia clinica volta a ricercare la connessione tra un disturbo somatico (anche generico) e la sua eziologia sempre di natura psicologica.
Il suo presupposto teorico è la considerazione dell'essere umano come inscindibile unità psicofisica; tale principio implica che in alcune forme morbose - e finanche nel politraumatismo apparentemente accidentale - accanto ai fattori somatici giochino un ruolo anche i fattori psicologici.
L'interconnessione tra un disturbo e la sua causa d'origine psichica si riallaccia alla visione olistica del corpo umano, all'interno della consapevolezza che mente e corpo sono strettamente legati in virtù dell'unità psicofisica. Uno degli indirizzi più promettenti della ricerca in psicosomatica negli ultimi trent'anni (grazie anche allo sviluppo e alla nascita di nuove tecniche e tecnologie biomediche) è la psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI), che ha l'obiettivo di chiarire le relazioni tra funzionamento psicologico, secrezione di neurotrasmettitori a livello cerebrale, ormoni da parte del sistema endocrino e funzionamento del sistema immunitario.
Le origini
Il principio fondamentale della medicina primitiva concepiva la malattia come una condizione di disagio dell'uomo “intero” in cui l'effetto della volontà di una forza superiore era considerato elemento causale e determinante. Nel mondo magico primitivo non esisteva né una concezione della mente, né una concezione del corpo, né dell'ambiente e l'uomo si sentiva immerso nella natura sotto tutti i suoi aspetti, riconoscendosi inferiore e dipendente da tali forze. In questa visione del mondo, lo sciamano, il medicine man, è l'intermediario tra il mondo degli umani e il mondo degli spiriti. In questo contesto la malattia finisce con il riguardare l'intera comunità assumendo anche il carattere di “evento sociale” che attraverso l'opera dello sciamano può essere portata alla guarigione.[1]
Nell'antichità
Nel corso dei millenni, la figura del medico si mantiene, sostanzialmente, collegata a quella del saggio, del sacerdote. La medicina pitagorica, in particolare, aveva ricercato le analogie tra l'uomo e l'universo, tra il microcosmo e il macrocosmo e aveva concepito la malattia come una rottura dell'equilibrio dell'organismo, come una sorta di “perduta armonia” tra queste due forze. La medicina umorale di Ippocrate aveva invece affermato come responsabile della malattia, lo squilibrio tra gli umori del corpo. Tale concezione è di importanza fondamentale per la storia della medicina psicosomatica poiché inserisce il “temperamento” individuale come elemento sostanziale della malattia individuando, in ciascuna persona, la sua “costituzione”: il tipo “sanguigno, “flemmatico”, “bilioso” e “melanconico”, esprimerebbero, in definitiva, il carattere e il “modo di porsi nel mondo” di ciascuno di noi. L'approccio generale di Ippocrate sarà rispettato anche da Galeno e diventerà punto di riferimento per tutto il Medioevo e il Rinascimento.
Seicento
Nel Seicento, la scoperta del microscopio e le idee del filosofo René Descartes offriranno alla medicina una concezione dell'organismo regolato da forze meccaniche e fisico-chimiche, tanto che la distinzione tra res cogitans e res extensa influenzerà tutta la medicina pervenendo perfino a definire la medicina moderna. Se all'inizio, però, una tale concezione si era rivelata utile, data la complessità dello studio della disciplina, separare la res cogitans dalla res extensa alla fine “aveva creato anche problemi di una certa importanza perfino al medico pratico che si trovava a curare un paziente esteso e cogitante allo stesso tempo e vedeva fin troppo bene come i due aspetti si intersecassero fra di loro”[2] È da notare che Claude Bernard, intorno alla fine dell'Ottocento, era giunto a parlare di omeostasi per descrivere il processo di autoregolazione da parte dell'organismo riproponendo la visione unitaria della malattia.
La rivoluzione psicoanalitica
Dobbiamo attendere, però, il contributo di Sigmund Freud che attraverso gli studi sull'isteria, affermò che un contenuto psichico, qualora represso, era capace di provocare importanti modificazioni corporee e il “misterioso salto” dalla mente al corpo era divenuto un evento possibile. Mentre però Sigmund Freud concentrava la sua attenzione e il suo lavoro sulla produzione verbale dei suoi pazienti, Wilhelm Reich, uno psichiatra austriaco, introdusse nella psicoanalisi anche l'osservazione e il lavoro analitico sul corpo. Successivamente, le teorie di Reich offriranno lo spunto per lo sviluppo dell'analisi bioenergetica, metodica psicoterapeutica elaborata in seguito da Alexander Lowen. Questo approccio, unico nel suo genere, ha avuto il merito di ri-considerare la mente e il corpo come un'unità funzionale, inscindibile, tanto che l'intervento degli analisti bioenergetici è costituito da una complessa combinazione di lavoro sul corpo e lavoro psicoanalitico. Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, Franz Alexander propose che gli stati conflittuali, attraverso la mediazione del sistema neurovegetativo, fossero anche implicati nelle cause di varie malattie psicosomatiche.
Sviluppi ulteriori
Un'altra teoria molto significativa è quella proposta dalla Dunbar, allieva e collaboratrice dello stesso Franz Alexander. Ella sostenne che la struttura della personalità individuale può condizionare le difese corporee, predisponendo allo sviluppo di determinate malattie. Vent'anni di studi ulteriori, tra il 1970 e il 1990, ma che ancora oggi forniscono risultati importanti, hanno chiarito che sensibile alle reazioni emozionali non è solo il sistema nervoso vegetativo ma anche, e notevolmente, il sistema endocrino e il sistema immunitario inaugurando il filone di ricerca della psiconeuroendocrinoimmunologia (la cosiddetta P.N.E.I.). In Italia, lo psicologo Ferruccio Antonelli nel 1981 iniziò a parlare di “brositimia”, letteralmente “sentimento ingoiato”. Secondo questo autore, le persone affette da disturbi di natura psicosomatica, presenterebbero difficoltà nel reagire alle avversità della vita, tanto che questo loro stile di vita risultò essere il principale responsabile delle loro sofferenze, la più chiara espressione della somatizzazione dell'ansia. “Mandare giù”, d'altra parte, ricorda il comportamento dello struzzo: non risolve i problemi ma li dirotta all'interno lasciandoli irrisolti.
Approccio omeopatico
Una rivalutazione della correlazione tra mente e corpo è venuta inoltre dalla medicina omeopatica, nell'ambito della quale, oltre alla psicosomatica, si evidenziano anche le influenze che il corpo (soma) può avere sulla psiche, a proposito delle quali si parla in questo caso di approccio «somato-psichico».[3] La soluzione proposta dall'omeopatia, comune ad altre forme di terapia olistica che intendono andare oltre la visione cosiddetta «organicista» della medicina ufficiale, limitata cioè alla cura dei singoli organi ammalati, si basa sulla legge di similitudine, secondo cui esiste un'analogia tra i sintomi presentati dal paziente e gli aspetti fisici, psichici e ambientali in cui essi sono maturati. In tal senso l'omeopatia può essere considerata non solo un rimedio, ma anche un principio filosofico.[4]
Malattie psicosomatiche
Chi soffre di malattie psicosomatiche presenta dolore, nausea o altri sintomi fisici, senza però una causa fisiologica che possa essere diagnosticata. Tali sintomi possono avere una causa fisiologica definita, come il disturbo di conversione, disturbo somatoforme e la sindrome miositica tensiva. Alcune condizioni fisiologiche quali la carenza di vitamine o danni cerebrali possono essere causa di sintomi psicologici gravi. Quando la causa di una patologia è dubbia, la possibilità che sia di origine psicosomatica deve essere presa in considerazione. Alcune malattie che in precedenza erano ritenute puramente psicosomatiche, come le allergie, ora vengono considerate aventi un'origine organica identificata.
Alcuni studi hanno dimostrato che anche semplici frustrazioni quotidiane possono avere effetti sulla funzionalità immunitaria. I pionieri in questa area di ricerca sono i coniugi Kielcot-Glaser che l'hanno teorizzata nel XX secolo.
I campi d'impiego della psicosomatica sono prevalentemente stress (distress cronico) e traumi fisici, psichici e sociali esistenziali.
Note
- ^ Henri F. Ellemberger, La scoperta dell'inconscio. Storia della psichiatria dinamica, Torino, Boringhieri, 1976, ISBN 88-339-0367-2.
- ^ Paola Santagostino, Che cos'è la medicina psicosomatica, Milano, Urra, 2005, ISBN 88-503-2381-6.
- ^ Valter Masci, Omeopatia: tradizione e attualità, p. 24 e segg., Tecniche Nuove, 2003.
- ^ Francesco Eugenio Negro, Grandi a piccole dosi. La parentesi omeopatica di vite famose, p. 56, FrancoAngeli, 2005.
Bibliografia
- Selye, Hans: The Stress of life, McGraw-Hill, 1956
- Ellemberger, Henri: La scoperta dell'inconscio, Boringhieri, 1976
- Pancheri, Paolo: Stress, emozioni, malattia, Mondadori, 1983
- Santagostino, Paola: Che cos'è la medicina psicosomatica, Urra, 2005
- Bottaccioli, Francesco: Psiconeuro - Endocrino - Immunologia, RED, 2006
- Scognamiglio, Riccardo: Il male in corpo, Franco Angeli, 2008
- Van Der Kolk, Bessel: Il corpo accusa il colpo, Raffaello Cortina Editore, 2015
- Scognamiglio, Riccardo: Psicologia psicosomatica, Franco Angeli, 2016
Voci correlate
- PNEI
- Disturbo somatoforme
- Stress (medicina)
- Sindrome generale di adattamento di Selye
- Alessitimia
- Georg Groddeck
- Wilhelm Reich
- Alexander Lowen
- Walter Bradford Cannon
- William McDougall
- Henri Laborit
- Pierre de la Poterie
il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.
C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico.
Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro».
Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano, producono ormoni cerebrali.
Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana – altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello – e studiare».
Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».
Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce».
Com’è possibile?
«Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress».
Diciamo una scienza inesatta.
«L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci».
Torniamo al cervello.
«Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere».
Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello.
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione».
E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro».
Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria.
«Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali – la serotonina, la dopamina, le endorfine – ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?».
Sì e no.
«Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?».
La ascolto.
«Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».
Effetto placebo degli spilloni.
«Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo».
Esemplifichi.
«Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?».
Prego.
«Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico».
Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori.
«Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato».
I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».
Come si mantiene in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia».
Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».
Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla?
«Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo».
Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo… Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico».
Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva.
«Eh, lo so… La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti».
Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».
di Stefano Lorenzetto – ILGIORNALE
Enzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano. Nel libro “Il cervello anarchico” racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede.