Guardandosi allo specchio, il giorno del suo cinquantesimo compleanno, Diana Orsini, Contessa di Casemurate, constatò che il suo aspetto esteriore conservava ancora, nonostante tutto, una buona dose di fascino e carisma, ma a chi con galanteria spergiurava che che la sua immagine era ancora quella di una donna giovane, lei scuoteva il capo : <<Sono una donna di mezza età. Può anche darsi che non lo sembri del tutto, ma incomincio a sentirlo nel cuore>>
Si sentiva invecchiare dentro, ma senza essere nel contempo altrettanto maturata.
Invecchio senza crescere? E' una mia particolarità, oppure riguarda anche gli altri?
Sapeva che per poter vivere bisognava crescere, ma non era sicura di volere né l'una né l'altra cosa.
Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma non si fidava di nessuno.
Ogni volta che aveva aperto il suo cuore ad un'altra persona, quest'ultima si era servita delle confidenze come di un'arma di ricatto, anche con le migliori intenzioni.
Per tutta la vita gli altri hanno cercato di manovrarmi, di ammansirmi, di zittirmi, di privarmi della libertà e della dignità. Alcuni l'hanno fatto persino credendo che fosse per il mio bene.
Fino a quel momento Diana aveva reagito a questi tentativi di addomesticamento in un unico modo: ritirandosi in camera sua a leggere, e delegando agli altri tutto il resto.
Per quanto tempo riuscirò a sopportare che siano altri a decidere al mio posto? Dovrò vivere per sempre in questa clausura che mi sono auto-imposta pur di non affrontare i mille nodi irrisolti della mia vita?
Il giro di boa dei cinquant'anni era più che simbolico.
Correva l'anno 1963 ed era da poco diventata nonna.
L'arrivo del primo nipote è sempre un evento che segna uno spartiacque nella vita di una persona.
Nel caso di Diana Orsini si trattò di uno spartiacque completamente positivo, perché il rapporto che la legò ai suoi numerosi nipoti e pronipoti fu così speciale che continuò a vivere nella memoria e nell'immaginario di ognuno di loro per molto tempo, assumendo a lungo andare quei contorni mitici che erano presenti in embrione nella storia romanzesca di una famiglia a cui ci si sentiva fieri di appartenere.
Il primo nipote di Diana ed Ettore Ricci si chiamava Fabrizio Spreti, nato dal matrimonio di Margherita Ricci-Orsini con Amilcare Spreti, proprietario terriero e fratello minore del marchese Vittorio Spreti di Serachieda.
I due si erano sposati nel giugno del 1961 e la festa si era tenuta a Villa Spreti, molto più sfarzosa e imponente di Villa Orsini, per sancire l'alleanza tra le due nobili casate che per secoli si erano contese il controllo di Casemurate.
E così, nello stesso anno in cui cadeva il confine tra la Marca di Casemurate Est (in provincia di Ravenna) e la Contea di Casemurate Ovest (in provincia di Forlì), separate per tanti secoli dal torrentello chiamato Serachieda, veniva eretto il Muro di Berlino, di cui i casemuratensi non sapevano nulla (a parte pochi politicizzati con un minino di alfabetizzazione) e a cui, sostanzialmente, non sarebbe comunque importato nulla.
Margherita ed Amilcare andarono a vivere in una tenuta che era parte del Feudo Spreti, convalidando così, anche dal punto di vista residenziale ed economico, l'alleanza degli Spreti con i Ricci-Orsini, che si concretizzò poi con la creazione della Società in Accomandita Semplice Feudi Uniti, la cui presidenza e amministrazione fu affidata ad Ettore Ricci.
Per Ettore fu il coronamento di una scalata sociale che durava da una vita.
Diana aveva assistito al matrimonio della primogenita con un senso di liberazione.
Si chiudeva infatti un ciclo, iniziato trent'anni prima con le sue stesse nozze.
Allora si era trattato di sacrificarsi per salvare la famiglia dalla rovina economica.
Ora, dopo decenni di sofferenze, i sopravvissuti e i nuovi nati raccoglievano i frutti di quel sacrifico.
Certo, Diana era un caso a sé, dal momento che il suo primato formale in quanto Contessa di Casemurate, non aveva alleviato minimamente le sue sofferenze private, ma non poteva certo ignorare il fatto che i Ricci-Orsini fossero al centro di una rete di alleanze che estendeva la loro influenza ben oltre i confini angusti della Villa, del Feudo e della Contea.
Forse non c'era più bisogno di ricorrere alla decrepita Signorina De Toschi per ottenere una raccomandazione.
Forse...
In ogni caso, le tre figlie di Diana ed Ettore erano ormai adulte e con una loro vita.
Margherita aveva una sua propria famiglia, Silvia si era laureata e Isabella si era fidanzata con un altro rampollo aristocratico, Silvio Zanetti Protonotari Campi, proprietario di ampi vigneti di Trebbiano.
Ettore era completamente assorbito dal lavoro e non si prendeva nemmeno più la briga di nascondere le sue avventure extraconiugali.
La vecchia Contessa Madre Emilia aveva trovato un suo equilibrio, passando il tempo nel Salotto Liberty ad assaporare i suoi vini pregiati e i suoi pasticcini, leggendo romanzi rosa e riviste di gossip.
Il suo rapporto con Diana era cambiato.
Ora non era più lei a rimproverare la figlia, anzi.
L'attempata Emilia aveva un certo timore di sua figlia Diana, del suo carattere imprevedibile, delle sue reazioni, di quella durezza di fondo che si era fatta strada in lei insieme al risentimento per tutte le cose che i genitori l'avevano costretta a fare.
Diana a volte provava tenerezza per quella madre resa fragile e vulnerabile dall'età, dai tanti lutti e da decenni di alcolismo.
Un giorno, in salotto, provò a riprendere un dialogo interrotto da ormai troppo tempo:
<<Mamma, tu pensi che dovrei far sentire di più la mia autorità, ad Ettore. Chiedergli di essere un po' meno tirchio con me e le ragazze, di lasciarci più libertà, di ascoltarci di più almeno sulle questioni fondamentali, come l'eccessiva fiducia che dà alla famiglia Braghiri... tu che ne pensi?>>
<<Quando tu sposasti Ettore, ti dissi, ricordo bene la frase: "ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare dalla prigione". Ecco, ora credo che la fase della prigione debba avere termine>>
Diana annuì:
<<Lo credo anch'io, eppure continuo ad avere paura di lui e soprattutto della gente che gli sta attorno>>
Emilia sapeva bene che i sospetti di Diana erano fondati:
<<E' proprio per questo che, con la dovuta prudenza, devi prendere le distanze da quella gente. E se Ettore non ascolterà i tuoi consigli, forse dovrai prendere più apertamente le distanze anche da lui>>
Diana era incerta:
<<Ettore non mi ascolterà, ma non è lui il nostro nemico. E' per questo che voglio evitare una guerra. Non per il rischio di perdere, ma per quel quello di pentirmi>>
Emilia la fissò dai suoi occhi celesti pieni di fragili capillari:
<<Pentirti di cosa?>>
Diana contemplò il proprio ritratto appeso alla parete tra due quadri di Alphonse Mucha in stile Art Nuveau.
<<Di tutto...>>
Emilia fissò invece il calice di vino che soppesava tra le mani, cercando di trarne ispirazione:
<<Come sei complicata, figlia mia. Cerchi la libertà, però in fondo mi sembra che in questi anni tu ti sia un po' innamorata del tuo carceriere>>
Diana scosse il capo:
<<Non è amore, mamma, è una questione di lealtà.
Io e lui siamo a capo della stessa famiglia, e se vogliamo salvarla dagli sciacalli, dobbiamo trovare il modo di unire le nostre forze.
Ancora non so quale sia, concretamente, questo modo, ma sento che devo dimostrargli che sono in grado di analizzare le situazioni in modo più sottile di quanto lui faccia.
Se voglio il suo rispetto devo guadagnarmelo, e per guadagnarmelo devo modificare alcune cose della mia vita>>
<<Ne sei davvero in grado?>>
<<Non lo so, ma devo provare. Per troppo tempo sono stata "Diana la pazza" ed occorre che, per età e necessità, io diventi "Diana la saggia" e torni a rivolgermi a lui da pari a pari, ora, al mutare della marea>>
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