"La grande partita del futuro è comunque quella russo-centrasiatica, che riguarda gas e petrolio.
Finora si è risolta in una trattativa estenuante sui prezzi e sui loro adeguamenti nel tempo quando si tratta di forniture a lungo termine. La partita del gnl del Qatar ha tagliato il nodo di Gordio del gas.
Pechino ha scelto la via della concretezza e della sicurezza, venendo meno alla sua postura abituale ispirata all’economicità.Così ha chiuso la partita col volubile Turkmenistan accelerando il progetto di gasdotto in una partita comune con l’Uzbekistan e correndo anzi incontro a tale prospettiva dalle posizioni già conquistate in Kazakistan. La questione del prezzo ha sbloccato le perplessità e le diffidenze ancestrali di Mosca che a sua volta, anche per paura di perdere quote di mercato cinese a favore del Turkmenistan, ha avviato la bretella dall’Altai a incontrare la direttrice di approvvigionamento ovest-est in territorio cinese.
Per di più, Mosca teme che il drago possa risucchiare anche le quote future di gas che il Turkmenistan si è impegnato a corrisponderle. Più complessa la situazione sul versante orientale [...].
Quanto al gas, la Russia ha scelto il mercato asiatico nel suo complesso, a cominciare dal Giappone, più che fissarsi sulla Cina. La quale avrà una sua quota quando il dilemma del giacimento di provenienza sarà sciolto da Mosca: Kovikta o Sakha? Dipenderà ancora una volta da fattori interni e dal finale del giallo tra Gazprom e Tnk-Bp.
Quello che Mosca dovrà valutare è se conviene aprire a Pechino e alla sua penetrazione nella Russia orientale, dove solo le compagnie cinesi avranno forse il coraggio di lavorare allo sviluppo di una regione tanto ostile, o economizzare le sue risorse.
Nella Mosca che conta c’è chi sostiene che ci sono troppi «stream» russi in giro per il mondo, mentre in casa ne servirebbero molti di più."
Carta e citazione da "Il drago ha sete",
articolo presente in Il marchio giallo
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In aprile, i prezzi del greggio Brent e del Wti sono aumentati rispettivamente di quasi 3$/b (dollari al barile) e 1$/b, mentre il cambio euro/dollaro ha oscillato attorno a quota 1,38€/$.
Secondo i dati riportati dal Bp statistical review of world energy 2013, nel 2012 il consumo di energia primaria mondiale è stato di 12.477 tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), in aumento del 2,1% rispetto al 2011, quando aveva toccato i 12.225 Mtep. L’incremento è stato quindi pari a 252 Mtep, sostanzialmente equivalente all’energia consumata nell’arco di un anno dalla Francia (nel 2012, 245 Mtep), la 5ª economia a livello globale per pil nominale.
Nel 2012, i principali consumatori mondiali di energia sono stati: Cina, 2.735 Mtep (13%*); Stati Uniti, 2.209 Mtep (17%); Ue, 1.673 Mtep (56%); Federazione Russa, 694 Mtep (esportatore netto), India, 564 Mtep (38%), Giappone, 478 Mtep (93%), Brasile, 275 Mtep (13%) e Italia, 163 Mtep (80%) [*tra parentesi il livello di dipendenza inteso come il contributo delle materie prime energetiche importate sul totale del consumo di energia primaria del paese].
Tra le grandi economie importatrici di materie prime, gli unici ad aver diminuito la propria dipendenza dall’estero (dal 21% al 17% fra il 2011 e il 2012) sono gli Stati Uniti grazie alla tecnica rivoluzionaria, nonché contraddittoria da un punto di vista economico ed ecologico, dello shale gas e dello shale oil.
Al contrario, la Cina ha visto aumentare la propria dipendenza al 13% (nel 2011 era del 6%). Nel decennio 2003-2012, i consumi cinesi sono più che raddoppiati in termini assoluti, incrementando la loro quota sul totale mondiale dal 12,5% al 22%.
Tra le principali economie mondiali, l’unico esportatore netto è la Russia, che nel 2012 ha ceduto sui mercati internazionali 624 Mtep, pari al 47% di quanto prodotto (e al 90% di quanto consumato internamente).
La firma del contratto di 25 anni tra Rosneft e Cnpc (giugno 2013) dal valore di 270 mld di $ (per la fornitura di 365 mln di t di petrolio) nonché l’imminente stipula dell'accordo trentennale tra Gazprom e Cnpc per la fornitura di iniziali 38 mld di m3 di gas naturale (che cresceranno nel tempo sino a 68 mld di m3, via Eastern route) certifica la possibilità da parte del Cremlino di sviluppare la cosiddetta politica dei “due forni”.
A ciò si aggiunga il rafforzamento della cooperazione strategica tra Mosca e Pechino. Questa situazione, tendenzialmente irreversibile, è la logica conseguenza della rapida redistribuzione dell’attività manifatturiera verso l’Asia, ma è anche figlia dell’impellente necessità di Cina e India di modificare la struttura del proprio mix energetico, muovendo dal massiccio utilizzo di carbone - rispettivamente pari al 68% e al 53% dei propri consumi totali - verso il più “pulito” e meno costoso (rispetto al petrolio) gas naturale, a oggi utilizzato solamente per il 5% da Pechino e il 9% da Nuova Delhi.
Come può l’Unione Europea affrontare tale contesto geopolitico?L’Ue - il cui mix energetico rispetto a quello globale è caratterizzato da un minor uso di carbone e da un maggiore utilizzo relativo di petrolio e nucleare, ma non di gas naturale (24%) - ha diverse opzioni, che paiono specchiarsi nelle differenti politiche perseguite dai suoi membri nella crisi in Ucraina.
La Polonia e i paesi baltici esprimono una posizione fortemente antirussa volta ad acuire il conflitto; la Gran Bretagna e la Svezia, che non sono membri dell’Unione economica e monetaria, si trincerano dietro l’opzione delle sanzioni statunitensi, volutamente poco efficaci secondo Stratfor. Germania, Italia e Spagna iniziano a premere per una via diplomatica, probabilmente dopo essersi resi conto che nel 2013, mentre gli scambi commerciali tra gli Usa e la Federazione Russa sono stati pari a 27.7 mld di dollari, quelli tra Bruxelles e Mosca hanno raggiunto i 410 miliardi.
Il presidente russo Vladimir Putin ha inviato il 10 aprile scorso una lettera ai capi di Stato e di governo dei paesi europei (18, di cui 5 extra Ue) che importano gas russo attraverso l’Ucraina. Nella lettera, Putin afferma che la Russia non può continuare a sostenere da sola gli sforzi per supportare l’economia ucraina e chiede agli altri leader europei di cooperare per stabilizzarla. A tal fine, egli invocava consultazioni immediate.
Nella sua risposta a nome dei 28 membri dell’Ue, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, nonostante “concordi con la proposta di consultazioni con la Federazione Russa e l’Ucraina sulla sicurezza delle forniture di gas e sul transito”, spiega come il passaggio a un regime di pagamento anticipato del gas “è motivo di seria preoccupazione". Questo infatti "implica il rischio di un'interruzione del servizio nella Ue e in altri paesi partner, minando lo stoccaggio del gas in Ucraina per le forniture nel prossimo inverno”.
La lettera del presidente russo può essere interpretata in più modi:l'ipotesi che va per la maggiore è che siamo dinanzi all'ennesimo ricatto all'Ue attraverso la leva del gas. Per altri invece si tratterebbe della legittima richiesta di chi non è più disposto a finanziare l'economia dell'Ucraina, prossima al default, visto che tra sconti e rinuncia ad esigere penali, solo attraverso le forniture, Mosca avrebbe sussidiato Kiev per 35.4 miliardi di $, dal 2009 ad oggi.
Non tragga in inganno il tema delle sanzioni, dietro le quali si celano interessi sempre meno convergenti tra le due sponde dell'Atlantico: forse, il futuro di parte dell'Europa e dell'Italia potrebbe passare per il “mancato contenimento” della Federazione Russa da parte degli Stati Uniti.
Anche la presunta compattezza della Nato potrebbe essere messa sotto scrutinio.
Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. Ha collaborato con NE-Nomisma Energia.
(7/05/2014)