giovedì 25 maggio 2017

Il mistero del sito archeologico di Göbekli Tepe

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Göbekli Tepe, Urfa.jpg

Göbekli Tepe (trad. collina tondeggiante in turco, Portasar in armeno, Girê Navokê in curdo) è un sito archeologico, situato a circa 18 km a nordest dalla città di Şanlıurfa (in arabo al-Ruha, in curdo Riha, talvolta chiamata semplicemente Urfa e nell'antichità Edessa) nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico.
Vi è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra: iniziato attorno al 9500 a.C.,[1] la sua erezione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli.
Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziqqurat sumere, datate 5000 anni più tardi.
Intorno all'8000 a.C. il sito venne deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall'uomo.


Localizzazione

Göbekli Tepe è costituita da una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran.[2]
Il sito utilizzato dall'uomo avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m².

Storia degli scavi

La valenza archeologica di questa località fu riconosciuta nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell'età della pietra.
Il sito fu riscoperto trent'anni dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana forma che spuntavano dal terreno. La notizia arrivò al responsabile del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede di Istanbul dell'Istituto archeologico germanico. Gli scavi furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico sotto la direzione di Klaus Schmidt, che dall'anno precedente stava lavorando in alcuni siti archeologici della regione.[2] Nel 2006 gli scavi passarono alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.

Resti archeologici


Altorilievo a forma di animale su una pietra a T
Gli scavi rimisero in luce un santuario monumentale megalitico, costituito da una collina artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco.
Sono inoltre stati rinvenuti quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre 15 tonnellate ciascuno, probabilmente cavati con l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo le pietre, drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggerebbero assemblee di uomini.
Sono state riportate in luce circa 40 pietre a forma di T, che raggiungono i 3 m di altezza. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati diversi animali (serpentianatregrutorivolpileonicinghialivacchescorpioniformiche). Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti elementi decorativi, come insiemi di punti e motivi geometrici.
Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altre 250 pietre ancora sepolte nel terreno.
Un'altra pietra a forma di T, estratta solo a metà dalla cava, è stata rinvenuta a circa 1 km dal sito. Aveva una lunghezza di circa 9 m ed era probabilmente destinata al santuario, ma una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.
Oltre alle pietre sono presenti sculture isolate, in argilla, molto rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevalı Çori e di Nahal Hemar. Gli scultori dovevano svolgere la loro opera direttamente sull'altopiano del santuario, dove sono state rinvenute anche pietre non terminate e delle cavità a forma di scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata durante l'epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o per il legante argilloso utilizzato nelle murature.
Nella roccia sono anche presenti raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche successive, trovando confronti nelle culture sumere e mesopotamiche (siti di ByblosNemrikHelwan e Aswad).

Interpretazioni

Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, antecedente ai culti organizzati in pantheon di divinità delle culture sumera e mesopotamiche.
Lo studio degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del periodo, individuando una consistente crescita della temperatura intorno al 9500 a.C. I resti di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di ricostruire una flora composta da querceginepri e mandorli. Fu forse il cambiamento climatico a determinare una progressiva sedentarizzazione delle genti che costruirono il sito. All'inizio degli anni novanta lo studioso di preistoria Jacques Cauvin ha ipotizzato[3] che lo sviluppo delle concezioni religiose avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli uomini a raggrupparsi per celebrare riti comunitari. Questa ipotesi ribalta completamente la concezione seguita fino a questo momento dagli studiosi, secondo cui la religione si sarebbe sviluppata solo in seguito al formarsi di insediamenti stabili causati dalla nascita dell'agricoltura.
La presenza di una così grande struttura monumentale, dimostra che anche precedentemente allo sviluppo dell'agricoltura e nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, gli uomini possedevano mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali. Secondo il direttore dello scavo fu proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari e di conseguenza lo sviluppo delle prime pratiche agricole, ribaltando quindi di nuovo le ipotesi finora seguite. Il sito si trova infatti nella regione della Mezzaluna fertile, dove era presente naturalmente il grano selvatico, che poi gli uomini addomesticarono dando vita ai primi esperimenti agricoli.
Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata tuttavia rinvenuta negli scavi, e mancano inoltre resti di abitazioni. A circa 4 m di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della costruzione del santuario, sono state rinvenute tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte per frecce), insieme ad ossa di animali selvatici (gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche e legno carbonizzato, che testimoniano la presenza in questo periodo di un insediamento stabile.
Klaus Schmidt in Costruirono i primi templi, come proposta di tipo speculativo, lascia intendere[4] che la civiltà sviluppata nella provincia di Urfa, che aveva qui uno dei suoi principali templi noti (definibile anche come archetipo di anfizionia, o "anfizionia dell'età della pietra"), sarebbe stata trasfigurata nel mito dei monti di Du-Ku della cosmogonia sumera: in questi monti sarebbero esistite le prime divinità (non dotate di nomi individuali, ma semplici spiriti, retaggio degli spiriti sciamanici) e i Sumeri ritenevano che l'uomo vi avesse appreso l'agricoltura, l'allevamento e la tessitura (vi sono forti indizi che almeno i primi due di questi elementi siano effettivamente comparsi in questa zona verso la fine, o comunque durante, la costruzione del complesso megalitico)[4].
Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University, ha detto a proposito del sito: “Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambia completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate. Le teorie sulla ‘rivoluzione del Neolitico' hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà. Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città e solo dopo i luoghi di culto. Ora, invece, sembra che la religione sia apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani; anzi, che sia quasi stata il motore primario per la creazione della prima città.[5]

Influenze culturali

Note

  1. ^ (ENBuilding Göbekli Tepe in National Geographic
  2. ^ a b (ENGobekli Tepe: The World's First Temple? in Smithsonian.com
  3. ^ Jacques Cauvin Nascita delle divinità e nascita dell'agricoltura, Jaca Book, 2010
  4. ^ a b Klaus Schmidt Costruirono i primi templi (traduzione di Umberto Tecchiati), Oltre edizioni, 2011
  5. ^ (ENDo these mysterious stones mark the site of the Garden of Eden? in Daily Mail
  6. ^ Tom Knox Il segreto della Genesi, edizione italiana Longanesi & C., 2009
  7. ^ https://www.youtube.com/watch?v=9zKQW4aFOHM La parte del gioco in cui compare il complesso.

Bibliografia

  • Badisches Landesmuseum Karlsruhe (Hrsg.): Die ältesten Monumente der Menschheit. Vor 12.000 Jahren in Anatolien, Begleitbuch zur Ausstellung im Badischen Landesmuseum vom 20. Januar bis zum 17. Juni 2007. Theiss, Stuttgart 2007, ISBN 978-3-8062-2072-8.
  • MediaCultura (Hrsg.): Die ältesten Monumente der Menschheit. Vor 12.000 Jahren in Anatolien. DVD-ROM. Theiss, Stuttgart 2007, ISBN 978-3-8062-2090-2.
  • David Lewis-Williams et David Pearce : An Accidental revolution? Early Neolithic religion and economic change, Minerva, 17 #4 (July/August, 2006), pp. 29–31.
  • K. Pustovoytov : Weathering rinds at exposed surfaces of limestone at Göbekli Tepe. Neo-lithics 2000, 24-26 (14C-Dates).
  • K. Schmidt : Göbekli Tepe, Southeastern Turkey. A preliminary Report on the 1995-1999 Excavations, Palèorient 26/1, 2001, 45-54.
  • K. Schmidt : Sie bauten die ersten Tempel. Das rätselhafte Heiligtum der Steinzeitjäger. Munich: C. H. Beck Verlag 2006, ISBN 3-406-53500-3.
  • K. Schmidt : Göbekli Tepe and the rock art of the Near East, TÜBA-AR 3 (2000) 1-14.
  • Klaus Schmidt : Sie bauten die ersten Tempel. Das rätselhafte Heiligtum der Steinzeitjäger. München 2006, ISBN 3-406-53500-3.
  • Klaus-Dieter LinsmeierKlaus Schmidt : Ein anatolisches Stonehenge. In: Spektrum der Wissenschaft – Spezial. Spektrum-Verl., Heidelberg 2003,2, S. 10–15, ISBN 3-936278-35-0, ISSN 0943-7996.
  • Klaus Schmidt: Göbekli Tepe, Southeastern Turkey. A preliminary Report on the 1995–1999 Excavations. In: Palèorient CNRS Ed., Paris 26.2001,1, 45–54, ISSN 0513-9345.
  • Klaus Schmidt: Frühneolithische Tempel. Ein Forschungsbericht zum präkeramischen Neolithikum Obermesopotamiens. in: Mitteilungen der deutschen Orient-Gesellschaft. Berlin 130, 1998, 17–49, ISSN 0342-118X.
  • K. Pustovoytov: Weathering rinds at exposed surfaces of limestone at Göbekli Tepe. In: Neo-lithics. Ex Oriente, Berlin 2000, 24–26 (14C-Dates).
  • Klaus-Dieter Linsmeier: Eine Revolution im großen Stil. Interview mit Klaus Schmidt. In: Abenteuer Archäologie. Kulturen, Menschen, Monumente. Spektrum der Wissenschaft Verl.-Ges., Heidelberg 2006,2, ISSN 1612-9954.
  • J. E. Walkowitz: Quantensprünge der Archäologie. In: Varia neolithica IV, 2006, ISBN 3-937517-43-X.
  • Klaus Schmidt : Costruirono i primi templi (traduzione di Umberto Tecchiati) Oltre edizioni, 2011
  • Andrea De Pascale: Anatolia. Le origini, Oltre Edizioni, 2012, ISBN 978-88-97264-09-5
  • Jacques CauvinNascita delle divinità e nascita dell'agricoltura Jaca Book, 2010
  • Felice Cesarino: "A Gobekli Tepe la più antica forma di scrittura della storia dell'umanità?".In:Archeomisteri,2013,3,15-21
  • Felice Cesarino: Lscimmia ambiziosa, Arbor Sapientiae Ed.,2015, ISBN 978-88-97805-62-5

Voci correlate

Vite quasi parallele. Capitolo 69. La scuola media di Riccardo Monterovere

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Alle elementari Riccardo Monterovere si era trovato molto bene e si era fatti numerosi amici, tra cui alcuni molto cari, con i quali sarebbe poi rimasto in contatto per tutta la vita.
Nel settembre del 1986 incominciò a frequentare la scuola media.
Si trattava dell'istituto comprensivo "Numero 8", di recente istituzione, tanto che non aveva ancora un nome. Fu poi dedicato al semisconosciuto poeta crepuscolare di Cesenatico Marino Moretti.
L'edificio era un tipico esempio di architettura fascista: fu costruito infatti nel Ventennio nell'ambito della creazione del Piazzale della Vittoria, voluto da Mussolini per dare imponenza alla sua città di origine. Davanti all'ingresso della scuola, svettava, immensa, una statua di Icaro con tanto di ali.
Ma la cosa più interessante fu il fatto che la longa manus di Casemurate, che guidava da sempre la vita di Riccardo Monterovere,  riuscì ad arrivare a insinuarsi persino alle scuole medie.
Si trattò di una serie di coincidenze destinata a lasciare una traccia profonda negli anni a venire.
Come professoressa di italiano si ritrovò Anna Papisco, cugina di sua madre (in quanto figlia di Ginevra Orsini e del Giudice Papisco) e moglie del Sommo Poeta Adriano Trombatore.
 Il Sommo non era quel che si dice un marito fedele, ma sua moglie lo amava profondamente. Ne condivideva anche le idee politiche di estrema sinistra e questo si rifletteva anche sul lavoro, per esempio quando proponeva agli studenti una critica socialista a "L'isola del tesoro" o a "I tre moschettieri". 
Oppure quando portava avanti progetti sperimentali di teatro, facendo recitare agli studenti testi politicamente impegnati. Riccardo Monterovere dovette declamare di fronte all'aula sbigottita "il discorso di Vanzetti alla Corte".
Oppure, durante la rivoluzionaria "ora di giornale", si leggeva tutti i quotidiani di sinistra, lasciando la classe libera di autogestirsi.
Memorabile fu il dibattito intorno all' "abolizione delle ingiustizie in un sistema socialista". La prof. Papisco citò la fatidica domanda di Malraux all'Internazionale: "E il pedone che finisce sotto un tram, allora? Non è forse un'ingiustizia?" e rispose energicamente: "In un perfetto sistema socialista non avverranno più incidenti stradali".
Alla fine dovette intervenire il preside, un rotariano di destra, per riportare in carreggiata i comizi bolscevichi della Papisco.
Come professoressa di educazione tecnica c'era un'altra cugina di sua madre, da parte dei Ricci, la Luciana Tartaglia, coniugata con Gaspare Maciullini.
E tra i compagni di classe c'erano due nipoti della sorella dello stesso Maciullini, Colomba, le cui figlie Arabella ed Esmeralda, erano amiche d'infanzia di sua madre.
Il figlio di Arabella, un tipo strano di nome Alberto Bechis (il padre era di origine sarda) era sempre dietro la cugina, la figlia di Esmeralda, di nome Vittoria Zampetti, una splendida ragazza dai capelli biondi e dagli occhi nocciola, il cui padre era un ricchissimo commerciante.
La bellezza di Vittoria, la sua intelligenza e la sua classe, colpirono Riccardo fin dal primo momento, e l'interesse verso di lei crebbe negli anni, fino a diventare, di fatto, il primo vero grande amore.
Ma in quegli anni contava ancora di più l'amicizia.
Il compagno di banco di Riccardo, nonché suo migliore amico fin dai tempi dell'asilo, era Federico Perfetti, figlio di Benedetta Papisco (gemella di Anna, la prof. di italiano)
Federico era un ragazzo molto sportivo, ma taciturno: tutto il contrario di Riccardo, che era pigro, ma molto loquace.
Ogni tanto poteva succedere che Federico si sciogliesse e incominciasse a parlare e allora diceva frasi enigmatiche del tipo: "ci vuole molto coraggio anche per fare la cosa sbagliata" oppure, con insospettabile ironia maschilista: "dietro una carriera lampo c'è sempre una cerniera lampo".
La loro amicizia si basava sia su alcuni interessi comuni, anche se non era ben chiaro quali, sia sulla complementarietà dei loro caratteri, che li portava ad essere collaborativi e ad aiutarsi reciprocamente, ognuno cercando di insegnare all'altro le proprie abilità.
Non a tutti però questo faceva piacere.
Il padre di Federico, Massimo Perfetti, aveva una mentalità estremamente competitiva e non vedeva di buon occhio la presenza di Riccardo, che appariva un po' troppo brillante e rischiava di mettere in ombra il rampollo di casa Perfetti.
Federico aveva anche una sorella più piccola, Chiara, che era anch'ella molto amica di Riccardo.
Chiara a sua volta aveva un'amica che si chiamava Valentina, la quale era corteggiata da Alberto Bechis.
Si venne a creare così un gruppo, con il suo nucleo centrale in Federico, Paola, Valentina, Alberto, Vittoria e Riccardo.
Intorno a questo "nucleo centrale", gravitavano altri amici e amiche di Riccardo, formando così un'allegra brigata di ragazzi abbastanza tranquilli, che cercavano di compattarsi contro i bulli che in quella scuola abbondavano.
All'interno di quell' "allegra brigata" incominciò presto una specie di "gioco delle coppie" che li vide inizialmente timidi e impacciati e poi man mano più disinvolti.
Durante il periodo delle medie questo gruppo resse a molti momenti di stress.
Nessuno però avrebbe potuto immaginare che Vittorio Bechis nascondesse tutta una serie di segreti che avrebbe finito per causare, qualche anno dopo, una serie di guai i cui strascichi perseguitarono gli altri, e soprattutto Riccardo, per molto tempo a venire.