Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
venerdì 9 giugno 2017
Rama, il settimo Avatar di Vishnu
Rāma (devanāgarī: राम) è l'eroe dell'epica del Rāmāyaṇa, considerato, nella religione induista, come avatāra di Viṣṇu.
Origini e caratteristiche
Conosciuto anche come Rāmachandra (chandra per descriverne probabilmente il meraviglioso aspetto simile alla Luna, chandra[1]), Rāma nello hinduismo intende rappresentare l'incarnazione divina nel Tretā-yuga, l'era caratterizzata dalla comparsa della malvagità.
La più antica fonte attestante di questa figura divina è il poema epico Rāmāyaṇa attribuito al cantore Vālmīki, il cui nucleo originario è databile tra il V e il III secolo a.C., il completamento della sua redazione va invece ascritto ai primi secoli della nostra era[2].
Se il nucleo originario di questo poema, i kāṇḍa ("libri") da 2 a 5, celebrano Rāma come un eroe epico, due libri recenziori, 1 e 6 lo indicano come avatāra di Viṣṇu comparso sulla terra per sconfiggere il malvagio demone Rāvaṇa[3].
I Rāmāyaṇa medioevali promuovono quest'ultimo aspetto divino dell'eroe Rāma facendogli acquisire lo status di Dio stesso. Dal che la paredra di Rāma, Sītā, è quindi identificata con la dea Śrī, mentre il fratello minore Lakṣmaṇa viene identificato come la manifestazione umana del serpente Śeṣa, tra le cui spire dorme Nārāyaṇa, ovvero lo stesso Viṣṇu[4].
Rāma è perfetto e bellissimo, la sua pelle è del colore del cielo, possiede un eccellente autocontrollo, ed infinitamente devoto alla sua unica moglie Sītā personificazione degli ideali di castità e devozione nei confronti del divino marito.
I nomi di Rama
Come per tutte le altre Murti induiste, anche Rama è invocato attraverso numerosi appellativi che si riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche. In alcuni testi ci si riferisci a lui con il nome Padma.
Alcuni degli appellativi sono:
Alcuni degli appellativi sono:
- Ramachandra, Rama che risplende come la luna (per via del suo aspetto splendido e luminoso)
- Dasaratha Nandana, amato figlio di Dasaratha
- Danava Bhanjana, distruttore di demoni
- Raghupate o Raghava, discendente della stirpe dei Raghu
- Raghukula Bhushana, gioiello della stirpe dei Raghu
- Daya Sagara, oceano di compassione
- Ayodhya Vasi, che risiede in Ayodhya
- Janaki Jivana, anima di Sita (figlia di Janaka)
- Dina Bandhu, amico dei derelitti
- Patita Pavana, redentore e salvatore dei peccatori
- Alakha Niranjana, eternamente puro
Note
- ^ Margaret Stutley e James Stutley. Dizionario dell'Induismo. Roma, Ubaldini, 1980, p.358.
- ^
« Gli studiosi collocano la sua redazione definitiva intorno al II secolo d. C. Peraltro, il nucleo originario della storia di Rāma è senz'altro più antico, forse ascrivibile al V-IV secolo a.C. » (Rigopoulos, p. CXIV, in Hinduismo antico, Milano, Mondadori, 2010.) - ^ Velcheru Narayana Rao in Enciclopedia delle religioni. Milano, Jaca Book, 1987, p. 303
- ^ Cfr. Velcheru Narayana Rao in Enciclopedia delle religioni. Milano, Jaca Book, 1987, p. 303
Voci correlate
Il Mahābhārata, il grande poema epico dell'induismo
Il Mahābhārata ([mɐɦaːˈbʱaːrɐtɐ]; devanāgarī: महाभारत, "La grande [storia] dei Bhārata" da intendersi come "La grande [storia] dei discendenti di Bharata"), conosciuto anche come Karṣṇaveda ("Veda di Kṛṣṇa"), è uno dei più grandi poemi epici (Itihāsa)[2] dell'India insieme con il Rāmāyaṇa.
Seppur considerato nell'ambito di un'antica epopea, il Mahābhārata, come il Rāmāyaṇa, è inserito nella raccolta delle Smṛti, la cui lettura è tradizionalmente consentita a tutti gli hindū, ivi compresi gli appartenenti alla casta (varṇa) degli śūdra e alle donne. Conservando al suo interno (nel VI parvan) la Bhagavadgītā, il Mahābhārata risulta essere uno dei testi religiosi più importanti dell'Induismo, di cui intende compendiare l'intero scibile dei contenuti[3], per cui, a differenza del Rāmāyaṇa, il Mahābhārata tratta anche del mokṣa (la liberazione dal ciclo del saṃsāra).
« È in ogni caso evidente che, nella percezione degli hindū di ieri come di oggi, il Mahābhārata è portatore anzitutto di un messaggio spirituale: quello che trasmette il supremo segreto capace di trasformare l'agire umano da fonte di un insolubile legame con la sofferenza a strumento di emancipazione dal disagio del divenire. » |
(Stefano Piano in Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani, Le letterature dell'India Torino, UTET, 2000, p. 164) |
Composto originariamente in lingua sanscrita, nelle edizioni pervenute a noi il Mahābhārata consta di più di 95 mila strofe nella versione detta "meridionale"; in oltre 82 mila strofe nella versione detta "settentrionale", questa detta anche vulgata; in circa 75 mila strofe nella versione ricostruita in epoca moderna, detta "critica"; più un'appendice (khila), l'Harivaṃśa[4], che ne fanno l'opera più imponente non solo della letteratura indiana, ma dell'intera letteratura mondiale.
Origini
La tradizione hindū narra che il poema religioso sia opera del mitico saggio Vyāsa (il "Compilatore", appellativo di Kṛṣṇa Dvaipāyana[5]), che include sé stesso tra i più importanti personaggi dinastici del racconto.
I fatti narrati nel Mahābhārata sono, sempre secondo la tradizione, avvenuti nel XXXII secolo a.C., quindi al termine dell'era Dvāpara-yuga che precede l'era attuale detta del Kali-yuga[6].
Gli studiosi ritengono che il Mahābhārata derivi da un originale lavoro molto più breve, chiamato Jaya ("Vittoria", a significare la vittoria del dharma sull'adharma, grazie all'intervento del dio Kṛṣṇa) di circa 8.800 strofe, risalente al IV secolo a.C., e che poi si sia sviluppato nel corso dei secoli fino al IV secolo d.C., passando per la versione intermedia denominata Bhārata di complessive 24 mila strofe[7].
Gli autori delle prime versioni del Mahābhārata, attinsero con ogni probabilità a tradizioni epiche ancora più antiche, risalenti alle tradizioni delle invasioni arie e forse anche prima in considerazione del fatto che la mitologia qui presente ha una tipica struttura indoeuropea[8].
Edizioni e traduzioni
Il Mahābhārata si è andato dunque sviluppando nei secoli a partire dal IV secolo a.C., raggiungendo un suo completamento nel IV secolo d.C.
La sua messa per iscritto, tarda, è avvenuta su corteccia di betulla nel nord dell'India e su foglie di palma nel sud, questo prima dell'introduzione della carta avvenuta nell'XI secolo d.C.
I più antichi testimoni conservatisi fino a noi risalgono a manoscritti del XVI secolo.
Va tuttavia evidenziato come la ulteriore copiatura e diffusioni dei manoscritti nel corso dei secoli ha riguardato chi disponeva dell'opera, il quale si poteva sentire libero di fare delle aggiunte, per quanto riguarda "racconti" da lui conosciuti ma assenti nel testo, promuovere delle correzioni, o intervenire laddove il testo risultava "corrotto" o, infine, redigere delle note a margine. Questi interventi avvenuti lungo i secoli, seppur promossi al fine di migliorarne la redazione, possono aver alterato, e non poco, il testo originale. A ciò va aggiunto, con tutto quello che ne consegue, la traduzione in altre lingue, e dialetti, differenti dal sanscrito come ad esempio il bengali o il malayalam, e la ulteriore copiatura e diffusione di questi nuovi testi.
Edizioni moderne
- Nel XVII secolo il brahmano di Vārāṇasī, Nīlakaṇṭha Caturdhara, raccolse, commentandola, quell'edizione del Mahābhārata oggi indicata come versione "settentrionale" o vulgata.
- La prima edizione moderna del Mahābhārata risale tuttavia al 1839, indicata come "edizione di Calcutta" di derivazione "settentrionale". Consta di 4 volumi editi rispettivamente: 1° vol. dalla Education Commitee Press nel 1834; 2° vol. dalla Baptist Mission Press nel 1836; 3° e 4° voll. dall'Asiatic Society of Bengal nel 1837 e nel 1839.
- Nel 1863, è intervenuta l'"edizione di Bombay" basata su degli scritti in devanāgarī, sempre di derivazione "settentrionale". Consta di 6 volumi editi dalla Gaṇapata Kṛṣṇajī's Press (questa edizione contiene anche il commento di Nīlakaṇṭha Caturdhara).
- Nel 1910 si completa una nuova edizione, indicata come "Kumbakonam", che incorpora per la prima volta delle versioni "meridionali". Consta di 18 volumi editi tra il 1906 e il 1910 dalla Nirnaya Sagar Press, curati da T. R. Krishnacharya e T. R. Vyasacharya.
- Tra il 1929 e il 1936 viene pubblicata l'edizione detta di "Poona" basata sulla versione "settentrionale" con l'aggiunta del commento di Nīlakaṇṭha Caturdhara. Curata da Kinjawadekar è stata pubblicata dalla Chitrashala Press in 7 volumi e ristampata nel 1979 dalla Oriental Books di New Delhi.
- Terminata nel 1936, viene edita a Madras la versione detta "meridionale". Consta di 18 volumi ed è curata da P.P.S. Sastri, pubblicata dalla Sastrulu and Sons tra il 1931 e il 1936.
- Già nei primi del Novecento alcuni sanscritisti occidentali, come l'austriaco Moriz Winternitz (1863-1937), auspicavano la ricostruzione del testo originale del Mahābhārata, incontrando per lo più scetticismo tra i colleghi, dubbiosi sulla riuscita di tale ambizioso tentativo. Ma alla fine, con l'aiuto di alcune università come quelle di Gottinga, Vienna e Berlino, si pervenne nel 1901 ad avviare un primo tentativo di edizione "critica" curata da Heinrich Lüders (1869-1943) che, tuttavia, non guadagnò sufficienti apprezzamenti e che finì per interrompersi con l'inizio della Prima Guerra Mondiale.
- Il tentativo di realizzare un'edizione "critica" avente lo scopo di ricostruire la versione originale del poema fu promosso, e questa volta con successo, anche da sanscritisti indiani i quali, a partire dal 1918 e sotto l'egida della Bhandarkar Oriental Research Institute di Pune (Poona), avviarono la loro edizione che ebbe in Vishnu Sitaram Sukthankar (1887-1943), allievo di Lüders, il suo principale curatore. Il processo di ricostruzione del testo considerato "originale" fu completato nel 1971 con la pubblicazione dell'ultimo volume dello Harivaṃśa. Indicata con l'acronimo BORI (Bhandarkar Oriental Research Institute), l'edizione "critica" è partita dalla recensione detta "settentrionale" omettendo dei versi considerati note, aggiunte e glosse, interpolate nel corso dei secoli rispetto alla versione "originale". Tale operazione di "taglio" della recensione "settentrionale", per quanto maggiormente apprezzato rispetto al precedente tentativo occidentale, non ha mancato di suscitare severe critiche da parte di importanti indologi occidentali. La versione "critica" consta di: 18 volumi in 22 tomi del Mahābhārata pubblicati tra il 1933 e il 1966; 2 volumi dello Harivaṃśa pubblicati tra il 1969 e il 1971; 6 volumi di "indici" (Pratika) pubblicati tra il 1967 e il 1972.
- Nel 1942 si è completata a Gorakhpur un'edizione completa della versione "settentrionale" che, nel 1994, è stata edita in versione bilingue, sanscrito-hindi, quest'ultima curata da Ramnarayan Dutt Shastri Pandey in 6 volumi pubblicati dalla Gitā Press.
Traduzioni integrali in lingua occidentale
Per quanto attiene le traduzioni in lingua occidentale, esistono solo cinque traduzioni integrali del Mahābhārata (di cui tre non ancora completate), tutte in inglese, non è stata operata alcuna traduzione integrale in lingua italiana.
Le cinque traduzioni integrali in inglese sono:
- quella operata tra il 1883 e il 1886 da Kisari Mohan Ganguly (si basa sulla versione "settentrionale") è stata pubblicata dalla Bharata Press di Calcutta in 19 volumi; poi riveduta e pubblicata dalla Oriental Publishing Company nel 1955-1962 in 12 volumi; ristampa in 4 volumi della South Asia Books, Delhi, 1991;
- quella di Manmatha Nath Dutt operata tra il 1895 e il 1905 (si basa sulla versione "settentrionale") è stata pubblicata in 3 volumi dalla Elysium Press di Calcutta;
- quella della University of Chicago, curata da Johannes Adrianus Bernardus van Buitenen, avviata dal 1973 (si basa sull'edizione detta "critica" di Pune), ancora non completata;
- quella della Writers Workshop, curata da Purushottama Lal, avviata negli anni '70 (consiste in una versione poetica delle differenti edizioni), ancora non completata;
- quella pubblicata dalla Clay Sanskrit Library, avviata dal 2005, curata da Paul Wilmot (non si basa sulla versione "critica" ma su quella detta "settentrionale" o vulgata), ancora non completata.
Notazioni critiche sulle edizioni
Esistono quindi due recensioni del Mahābhārata , quella detta "settentrionale" o vulgata e quella detta "meridionale".
Da quella "settentrionale" è stata derivata una edizione detta "critica" che ha comportato una riduzione del testo, qui tagliato secondo le valutazioni di studiosi indiani tesi a riportare l'opera all'originaria redazione risalente al IV secolo d.C. I tagli operati non sono stati cancellati ma vengono riportati negli apparati critici in quanto considerati "secondari" e non "strutturali" (appartenenti alla "struttura del testo").
Così se la versione "meridionale" consta di complessivi 95.586 śloka (versi), quella "settentrionale" (vulgata) di 82.136, la "critica" si riduce a 73.784.
Il dibattito sulla validità dell'edizione "critica" di Pune è ancora aperto. Le critiche a tale operazione di "riduzione" sono state avviate da importanti indologi come, ad esempio, John Dunham[9], Madeleine Biardeau[10], Georges Dumézil[11].
Il tema centrale
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di Kurukṣetra e Bhagavadgītā. |
Il Mahābhārata è un'epica dai contenuti mitici e religiosi che intende narrare un lontano passato degli Arii, ovvero di quel popolo indoeuropeo invasore dell'India.
Intriso di epica guerriera propria degli kṣatriya (la casta guerriera), la vicenda si svolge nell'attuale regione del Doab, ovvero in quell'area compresa tra il fiume Gange e il fiume Yamunā che corrisponde a uno dei primi stanziamenti del popolo invasore degli Arii.
La trama del Mahābhārata è molto ampia e complessa. Essa è all'origine di racconti mitologici molteplici e diversi che non sempre si intrecciano tra loro. Riassumerla, soprattutto in modo succinto, è compito assai arduo.
Semplificando e omettendo importanti intrecci e spiegazioni, possiamo individuare il tema centrale dell'epica nella rivalità tra due schieramenti di cugini appartenenti al medesimo clan di stirpe lunare (somavaṃśa): i Kaurava (discendenti di Kuru, i cento figli di Dhṛtarāṣṭra guidati da Duryodhana) e i Pāṇḍava (i cinque figli di Pāṇḍu, ma in realtà figli di alcune divinità: Yudiṣṭhira, figlio del dio Dharma; Bhīma, figlio del dio Vayu, il Vento; Arjuna, figlio del dio Indra; e i gemelli Nakula e Sahadeva, figli degli dèi Aśvin).
Alla morte del re Pāṇḍu, suo fratello, il cieco Dhṛtarāṣṭra, sale sul trono in attesa che il figlio primogenito di Pāṇḍu, Yudiṣṭhira, raggiunga l'età per essere re.
Il figlio di Dhṛtarāṣṭra, Duryodhana, non si rassegna all'idea di perdere il regno a favore del cugino e, consumato da un profondo odio nei confronti dei cinque Pāṇḍava, è mandante di una serie di agguati per ucciderli. Uno di questi, l'incendio dell'abitazione in cui Duryodhana li aveva convinti ad abitare, costringe i Pāṇḍava a fuggire insieme con la loro madre, Kuntī.
Nonostante queste difficili condizioni Arjuna, travestitosi da brahmano, riesce a prendere in moglie la principessa Draupadī che in realtà altri non è che l'incarnazione della dea Śrī. Arjuna accompagna quindi Draupadī dai Pāṇḍava dove, non vista da Kuntī la quale ritenendo che il figlio portasse solo un premio invita i suoi figli a "goderne insieme", diviene la moglie di tutti e cinque i fratelli.
Nel frattempo il re cieco Dhṛtarāṣṭra viene a sapere che i giovani Pāṇḍava sono sopravvissuti all'incendio provocato da Duryodhana e si decide a lasciare loro la metà del regno.
I Pāṇḍava erigono quindi la capitale del nuovo regno, Indraprastha, e lì sono raggiunti dal loro cugino Kṛṣṇa, capo del clan degli Yādava.
Nel frattempo Duryodhana, consumato sempre dall'odio, sfida a una partita a dadi Yudiṣṭhira il quale, appartenendo alla casta degli kṣatriya (casta dei guerrieri), non può rifiutare una sfida al gioco né un duello. Ma la partita a dadi organizzata da Duryodhana è truccata e Yudiṣṭhira perde non solo l'intero regno, ma anche i fratelli e la sposa Draupadī.
Il re Dhṛtarāṣṭra annulla tuttavia gli esiti della partita, restituendo tutti i beni ai Pāṇḍava, ma si risolve a convocarne una nuova dove lo sconfitto si impegna a esiliarsi per dodici anni nella foresta, vivendo il tredicesimo anno in incognito.
Yudiṣṭhira perde anche la nuova la partita a dadi e quindi va in esilio con i fratelli e la moglie Draupadī.
Il tredicesimo anno dell'esilio i fratelli Pāṇḍava, e la loro moglie, riescono a trascorrerlo senza far scoprire la loro reale identità, quindi inviano Kṛṣṇa a reclamare il regno o, almeno, cinque villaggi. Duryodhana rifiuta di rispettare i patti concordati negando ai Pāṇḍava persino i cinque villaggi.
La guerra tra i cugini Kaurava e Pāṇḍava si fa quindi inevitabile e nella località di Kurukṣetra ("piana dei Kuru", 150 km a nord di Delhi, oggi luogo santo, tīrtha) si riuniscono in tutto diciotto armate (akṣauhiṇī) ognuna delle quali formata da 21.870 carri e altrettanti elefanti, da 65.610 cavalli e 109.350 fanti. Undici delle diciotto armate sono schierate a favore dei Kaurava, le restanti sette con i Pāṇḍava.
La battaglia di Kurukṣetra, che la cronologia tradizionale hindū colloca a cavallo tra il 3139 e il 3138 a.C., infervora per diciotto giorni, qui i Kaurava vengono sconfitti e trovano la morte, Duryodhana tra loro. Si salvano solo tre capi dei Kuru, tra questi Aśvatthāman il quale, posseduto dal dio Śiva, si introduce durante la notte nel campo vittorioso dell'esercito dei Pāṇḍava compiendo una carneficina. Da questa ultima carneficina si salvano solo i cinque fratelli Pāṇḍava. Yudiṣṭhira, sconvolto dal massacro, decide di abbandonare il trono appena conquistato per vivere come un santo eremita, ma Kṛṣṇa e i suoi fratelli lo convincono a recedere da questa sua scelta.
Il vecchio re Dhṛtarāṣṭra aiuta Yudiṣṭhira nel governo del regno, finché, quindici anni dopo si ritira in eremitaggio nella foresta dove perisce a seguito di un incendio provocato dal fuoco di alcuni sacrifici.
Trascorsi trent'anni dalla battaglia di Kurukṣetra, anche Kṛṣṇa muore. Dalla morte di Kṛṣṇa, la cronologia tradizionale hindū fa terminare l'era detta del Dvāpara-yuga, avviandosi la nostra era detta del Kali-yuga.
Giunto alla vecchiaia, Yudiṣṭhira abdica a favore del nipote Parikṣit (nato morto ma resuscitato da Kṛṣṇa) e, insieme con i fratelli e alla moglie Draupadī, decide di recarsi in eremitaggio sull'Himalaya e quindi sul Monte Meru, accompagnato da un cane che altri non è che il suo vero padre, il dio Dharma.
Solo Yudiṣṭhira e il cane raggiungeranno la vetta.
Nel VI parvan dell'opera è conservata la Bhagavadgītā (Canto dell'Adorabile Signore), quel testo dal forte contenuto religioso composto in circa 700 versi (śloka) divisi in 18 canti (adhyāya). Qui il Pāṇḍava Arjuna, nel mentre gli eserciti sono schierati e pronti al combattimento, viene preso dallo sconforto di dover uccidere maestri, amici e i cugini schierati nel campo avversario, decide quindi di abbandonare il combattimento. Allora il suo auriga e amico Kṛṣṇa gli impone di rispettare i suoi doveri di kṣatra (guerriero), quindi di combattere e uccidere, senza farsi coinvolgere da quelle stesse azioni (karman). Per convincere Arjuna della bontà dei propri suggerimenti Kṛṣṇa espone una vera e propria rivelazione religiosa finendo per manifestarsi come l'Essere supremo. Innanzitutto Kṛṣṇa precisa che la sua "teologia" e la sua "rivelazione" non sono affatto delle novità (IV,1 e 3) in quanto già da lui trasmesse a Vivasvat e da questi a Manu in tempi immemorabili, ma che tale conoscenza venne poi a mancare e con essa il Dharma e, quando ciò accade e per proteggere gli esseri benevoli dalle distruzioni provocate da quelli malvagi, qui è lo stesso Kṛṣṇa a parlare, «io vengo all'esistenza» (IV,8; dottrina dell'avatāra). Kṛṣṇa si manifesta nel mondo affinché gli uomini, e in questo caso Arjuna, lo imitino (III, 23-4). Così Kṛṣṇa, l'Essere supremo manifestatosi, spiega che ogni aspetto della Creazione proviene da lui (VII, 4-6, e altri) per mezzo della sua prakṛti, e che, nonostante questo, egli rimane solo uno spettatore di questa creazione:
« Padroneggiando la mia natura cosmica, io emetto sempre di nuovo tutto questo insieme di esseri, loro malgrado e grazie al potere della mia natura. E gli atti non mi legano, Dhanaṃjaya[12]; come qualcuno, seduto, si disinteressa di un affare, così io rimango senza attaccamento per i miei atti. » |
(Bhagavadgītā, IX 8-10. Traduzione di Anne-Marie Esnoul) |
L'uomo deve quindi imparare a fare lo stesso essendo legato alle proprie azioni, in quanto anche se si astiene dal compierle, come stava per fare Arjuna rifiutandosi di combattere, i guṇa agiranno lo stesso incatenandolo al proprio karman (III, 4-5), egli deve comunque compiere il proprio dovere (svadharma) persino in modo "mediocre" (III, 35).
Altre due parti del poema che vanno considerati, unitamente alla Bhagavadgītā, sia per una migliore comprensione dello stesso, sia in considerazione del profondo messaggio religioso ivi contenuto, sono:
- il Sanatsujātīya ("L'insegnamento di Sanatsujāta"): V, 42-62 della recensione detta vulgata;
- l'Anu-gītā (anche Uttara-gītā; "Il canto successivo"): XIV, 16-51 della recensione detta vulgata.
Dal punto di vista filosofico e spirituale vanno prese in considerazione, sempre unitamente alla Bhagavadgītā, ulteriori due parti del poema:
- il Śantiparvan ("Libro della pace"):
- l'Anuśasanaparvan ("Libro degli insegnamenti"):
Interpretazioni del testo
Lo scontro tra i due schieramenti di cugini, i Pāṇḍava e i Kaurava, rappresenta, nell'intenzione dell'epica, un vero e proprio scontro tra il bene e il male. I Pāṇḍava, guidati da Yudiṣṭhira figlio del dio Dharma, sono i campioni del bene e della giustizia, mentre i Kaurava, guidati da Duryodhana qui inteso come incarnazione del demone Kali[13], rappresentano il male e la condotta iniqua.
I Pāṇḍava sono anche quello schieramento in cui Arjuna, figlio del dio Indra, è accompagnato sempre dalla divinità, Kṛṣṇa/Viṣṇu, celebrata come la persona suprema nel VI parvan, nella Bhagavadgītā. Divinità venuta a essere nel mondo, avatāra, proprio per ristabilire il dharma:
(SA)
« yadā yadā hi dharmasya glānir bhavati bhārata abhyutthānam adharmasya tadātmānaṃ sṛjāmy aham paritrāṇāya sādhūnāṃ vināśāya ca duṣkṛtām dharmasaṃsthāpanārthāya saṃbhavāmi yuge yuge »
| (IT)
« Così ogni volta che l'ordine (Dharma) viene a mancare e il disordine avanza, io stesso produco me stesso, per proteggere i buoni e distruggere i malvagi, per ristabilire l'ordine, di era in era, io nasco. »
|
(Bhagavadgītā IV, 7-8. Corrisponde al Mahābhārata VI, 26, 7-8 nella edizione detta "critica") |
Mircea Eliade[14] ricorda come anche nella mitologia propria degli antichi Iranici lo scontro tra le forze del bene guidate da Ahura Mazdā e dai sei 'Ameša Spenta, sconfiggeranno le forze del male condotte Angra Mainyu (Ahriman) e dai suoi daeva. Allo stesso modo per lo studioso romeno si presenta il mito germanico del Ragnarǫk con lo scontro finale tra le forze divine del bene e quelle demoniache del male.
Stig Wikander[15] e Georges Dumézil[16] hanno evidenziato importanti paralleli con miti comuni agli Indoeuropei[17]: dalle vicende narrate nelle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, ovvero nella battaglia di Bràvellir tra il re cieco dei Dani, Haraldr Hilditönn, e suo nipote Ringo re di Svezia, Haraldr Hilditönn ascolta le vicende proprio dal racconto del suo auriga Bruno, personaggio sotto cui si cela Óðinn, Odino. Così l'eroe Ubbo trafitto da 144 frecce, come accade all'eroe Bhīṣma. Ulteriori paralleli sono rinvenibili nei Sette contro Tebe in cui Edipo accecato è relazionabile al cieco Dhṛtarāṣṭra, quindi Eteocle (Duryodhana) rifiuta di restituire il regno a Polinice (Yudiṣṭhira) al rientro dal suo esilio. Quindi nella fondazione leggendaria di Roma e la narrazione di Dvārāka. Il Viraṭāparvan presenterebbe, infine, dei notevoli paralleli con il Táin Bó Cúailnge, la saga irlandese della razzia di bovini.
Alf Hiltebeitel
I parvan del Mahābhārata]
- 1: Ādiparvan (devanāgarī: आदि पर्व) - Libro dell'inizio
- 2: Sabhāparvan (सभा पर्व) - Libro della sala delle aduanze
- 3: Vanaparvan (आरण्यक पर्व) - Libro della foresta
- 4: Viraṭāparvan (विराट पर्व) - Libro di Viraṭā
- 5: Udyogaparvan (उद्योग पर्व) - Libro dei preparativi
- 6: Bhīṣmaparvan (भीष्म पर्व) - Libro di Bhīṣma
- 7: Droṇaparvan (द्रोण पर्व) - Libro di Droṇa
- 8: Karṇaparvan (कर्ण पर्व) - Libro di Karṇa
- 9: Śalyaparvan (शल्य पर्व) - Libro di Śalya
- 10: Sauptikaparvan (सौप्तिक पर्व) - Libro dell'assalto ai dormienti
- 11: Strīparvan (स्त्री पर्व) - Libro delle donne
- 12: Śantiparvan (शान्ति पर्व) - Libro della pace
- 13: Anuśasanaparvan (अनुशासन पर्व) - Libro degli insegnamenti
- 14: Āśvamedhikaparvan (आश्वमेधिक पर्व) - Libro del sacrificio del cavallo
- 15: Aśramavāsikaparvan (आश्रमवासिक पर्व) - Libro della vita nell'eremo
- 16: Mausalaparvan (मौसल पर्व) - Libro dello scontro con le mazze
- 17: Mahāprasthānikaparvan (महाप्रस्थानिक पर्व) - Libro della grande dipartita
- 18: Svargārohaṇaparvan (स्वर्गारोहण पर्व) - Libro dell'ascesa al cielo
- Appendice: Harivaṃśa (हरिवंश) - Genealogia di Hari
Opere derivate
- Nell'XI secolo la trama del Mahābhārata fu riassunta da Kṣemendra nell'opera Bhāratamañjarī, ossia Il mazzo di fiori del Mahābhārata.
- Il Mahabharata, è stato adattato cinematograficamente dal regista inglese Peter Brook nel 1989[18].
Note
- ^ I,62, 53 ma anche XVIII,5,50 nella versione "settentrionale" detta vulgata; con l'avvertenza che la frase posta alla fine del poema ha kutrācit in luogo di tat kva cit
- ^ Se il significato moderno di "poema epico" o "epopea" conserva un'accezione "mitologica" o "leggendaria", nella cultura tradizionale hindū i fatti raccontati negli Itihāsa sono considerati fatti realmente accaduti come il termine sanscrito intende indicare: "ciò è quello che è accaduto".
- ^ Cfr. sia l'inizio di cui al I, 56, 33 sia alla fine XVIII, 5, 38.
- ^ Lett. "Genealogia di Hari", si divide in tre parti (parvan) e tratta, in particolar modo delle origini e della natura divina di Kṛṣṇa. Cfr. tra gli altri Margaret Stutley e James Stutley. Dizionario dell'Induismo. Roma, Ubaldini, 1980, p. 161.
- ^ Da notare che questo nome ricorre anche nella Chāndogya Upaniṣad III,17,6.
- ^ L'inizio Kali-yuga calcolata dall'astrologo Āryabhaṭa (V secolo d.C.) corrisponde al nostro 18 febbraio 3103/3102 a.C. (questa data tradizionale della morte di Kṛṣṇa), ed esso terminerà il 17 febbraio 428897/428896 d.C.
- ^ Antonio Rigopoulos, p. CXXIX in Lo Hinduismo antico su progetto editoriale e introduzione generale di Francesco Sferra, Milano, Mondadori, 2010.
- ^
« The actual composition of the epic seems to have been carried out between about 500 BCE to 400 CE. The authors, however, probably drew on older bardic traditions with roots in Aryan lore of much greater antiquity. The central story is set in the area of the Ganges-Yamuna ̄ doab, and recalls tribal kingdoms that had settled in and around that area, after earlier residence in the Punjab, from about 1000 to 500 BCE. It is sometimes assumed that the Painted Gray Ware culture of this period provided the historical setting for a real war, of which the text of the Maha.bha.rata is but an embellished account. More likely, if the Painted Gray Ware peoples transmitted an early version of the story, it was as part of their mythology, for the epic has an Indo-European mythological structure. » (Alf Hiltebeitel, ER vol.8, p. 5594) - ^ Cfr. John Dunham, Manuscripts used in the Critical Edition of the Mahabharata: A Survey and Discussion in Essay on the Mahābhārata, (a cura di Arvind Sharma). Delhi, Motilal Banarsidass Publishers Pvt. Ltd., 2007, p.1
- ^ Cfr. Some More Considerations about Textual Criticism, in Purāṇa (1968) 10,2 :115-23.
- ^ Cfr. Georges Dumézil, Mito ed epopea. La terra allievata. Torino, Einaudi, 1982, pp.50 e sgg.
- ^ "Conquistatore di ricchezze", "Vittorioso", è un epiteto di Arjuna.
- ^ Spesso confuso dagli indotti, che non prendono in considerazione i segni diacritici raddoppianti le vocali, con la dea Kālī.
- ^ Cfr. Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. II p. 236
- ^ Stig Wikander, Pāṇḍava -sagen och Mahābhārata mythiska förutsātningar, «Religion och Bibel», 6 (1947), pp. 27-39.
- ^ Georges Dumézil, Jupiter, Mars, Quirinus
- ^ In tal senso cfr. Pelissero, p.97
- ^ The Mahabharata su The Internet Movie Database
Bibliografia ragionata in lingua italiana
Testi di provenienza accademica
- Nella raccolta Hinduismo antico, su progetto editoriale e introduzione generale di Francesco Sferra, pubblicata nei Meridiani della Mondadori nel 2010 vi è una selezione dei brani del Mahābhārata curata da Stefano Piano e Alberto Pelissero (la Bhagavadgītā inserita in un capitolo a parte è curata da Raniero Gnoli) che fanno riferimento alla versione detta vulgata dell'opera. Alle pp. CXXIX-CLXXIII di questo testo vi è l'introduzione all'opera di Antonio Rigopoulos.
- Un organizzato sommario dei 18 parvan del Mahābhārata, curato da Stefano Piano, è alle pp. 163–207 e 215-218 di Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio Sani, Le letterature dell'India edito dalla UTET di Torino nel 2000.
- Alberto Pelissero, Letterature classiche dell'India. Brescia, Morcelliana, 2007, pp. 74–91.
- Oscar Botto, Letterature antiche dell'India. Milano, Vallardi, 1969, pp. 47–64.
- Una introduzione filosofica ad alcune parti del poema è in Alberto Pelissero, Filosofie classiche dell'India, Brescia, Morcelliana, 2014, pp. 65–85.
Sunti in lingua italiana
- La casa editrice La Comune di Milano ha edito, a partire dal 2008, in sette volumi, una versione adattata e moderna del Mahābhārata, che tuttavia manca di alcuni racconti, curata da Ramesh Menon.
- Jean-Claude Carrière, Il Mahabharata, Varese, Vallardi Industrie Grafiche, 2003. Si tratta di un breve sunto dell'opera compiuto dallo sceneggiatore della riduzione teatrale e cinematografica del poema, questa sotto la regia di Peter Brook.
- Giorgio Cerquetti ha curato nel 2009 una traduzione in lingua italiana dell'adattamento ridotto del Mahabharata, quest'ultimo opera del britannico e devotogauḍīya, Krishna Dharma (Kenneth Anderson, 1955-), per i tipi della casa editrice Om edizioni.
Bibliografia
- Samhita Arni, Il Mahabharata raccontato da una bambina, traduzione di Ottavio Fatica, vol. 1, Milano, Adelphi, 2002, ISBN 978-88-459-1690-8.
- Samhita Arni, Il Mahabharata raccontato da una bambina, traduzione di Ottavio Fatica, vol. 2, Milano, Adelphi, 2003, ISBN 978-88-459-1815-5.
- Oscar Botto, Storia delle letterature d'Oriente, Milano, 1969, SBN IT\ICCU\MOD\0376339. Contiene una sintesi del Mahābhārata nel vol. III pagg. 48 sgg..
- Jean-Claude Carrière, Il Mahabharata, traduzione di Cesare Barioli, Vallardi Industrie Grafiche, 2003, ISBN 978-88-7696-363-6.
- Anne-Marie Esnoul (a cura di), Bhagavadgītā, traduzione di l francese da Bianca Candian, Milano, Oriente Universale Economica Feltrinelli, febbraio 2007, ISBN 978-88-07-81953-7.
- Salvatore Lo Bue, La storia della poesia, prefazione di Agata Pellegrini, vol. 4 (Gli altari della parola. Poesia orientale vedica. Inni e Mahabharata), Milano, FrancoAngeli, 2004, ISBN 978-88-464-5268-9.
- Il Mahabharata, raccontato da Rasupuram K. Narayan, tradotto da Riccardo Mainardi, Milano, Guanda, 1992, ISBN 978-88-7746-376-0. Nell'originale è una riduzione in inglese dell'opera.
- Alberto Pelissero (a cura di), Arjuna e l'uomo della montagna (dal Mahābhārata), presentazione di Giuliano Boccali, Il leone verde, 1997, ISBN 978-88-87139-03-7.
- Mia Peluso (a cura di), Mahabharata, versione per bambini, illustrata da Simona Vajana, Milano, Mursia, 1996, ISBN 978-88-425-2112-9.
- Vittore Pisani (a cura di), Mahabharata. Episodi scelti, Torino, UTET, 1968, SBN IT\ICCU\MIL\0332522.
- Flavio Poli, Induismo, vol. 4 (I testi della tradizione. Il Mahàbhàrata), Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2000, ISBN 978-88-7094-413-6.
- Mahabharata, raccontato da Chakravarti Rajagopalachari, tradotto da Marzio Tosello, Milano, Mondadori, 1995, ISBN 88-04-39432-3.
- Daniela Sagramoso Rossella (a cura di), Storia di Śakuntalā: Mahābhārata, Venezia, Marsilio, 1991, ISBN 88-317-5505-6.
- Bharati Swami Veda, Bhishma. Vivere e morire secondo il Mahabharata, Milano, Mimesis Edizioni, 2006, ISBN 978-88-8483-494-2.
Voci correlate
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