Erano
partiti alle nove di sera, dopo aver preso tutti gli accordi.
Giulia
aveva telefonato nel pomeriggio a Villa Ozzani.
Il
numero era rimasto lo stesso, come i significati reconditi, nella memoria,
dietro a quelle cifre.
Una
voce sconosciuta le aveva risposto, forse una governante. Aveva un tono tetro e
un accento meridionale, forse napoletano: in ogni caso, fu di poche parole e
molto fredde, evasive.
Però
ha capito subito chi ero…
Giulia
si ricordò dell’accenno di Virginia agli “avvoltoi” che le giravano intorno per
l’eredità. Ecco, quella governante ne aveva tutta l’aria.
Dovrò
stare molto attenta, e guardarmi le spalle.
Questa
volta non poteva permettersi di fallire.
Non sono più la ragazzina ingenua di tanti
anni fa…
La sua regola, ormai,
era non fidarsi di nessuno.
La governante rispose che la Contessa sarebbe stata felice di avere ospite sia lei che suo figlio per tutto il tempo in cui avrebbero gradito trattenersi.
Virginia sapeva che avrei accettato. Virginia sa sempre tutto.
La
verità era che Giulia aveva fretta di concludere tutta quella storia, prima
della imminente dipartita della Contessa, ma non era solo per la questione dell'eredità di Roberto.
Era anche, e prima di
tutto, una questione di amicizia e di amore, come era stata anche di tradimento
e di odio.
C’erano troppi discorsi rimasti in sospeso, troppe parole non dette,
troppi lati oscuri da chiarire: erano le voci di quell’inconscio rimosso per
oltre quattro decenni, che ora reclamavano udienza dentro di lei, le
martellavano la mente.
Le voci!
Presto
avrebbero avuto la loro risposta: il sipario si alzava prima dell’ultimo atto di un dramma che aveva avuto inizio quarant'anni prima.
Mentre lei era sovrappensiero, suo figlio Roberto guidava e il gatto che si erano portati dietro non pareva particolarmente felice di starsene nel suo gabbiotto. «Miauu!» Il miagolio di protesta del felino ingabbiato interruppe il flusso dei suoi pensieri. Con una mano gli fece svogliatamente il solletico. Anche l'umore di suo figlio non era dei migliori.
«Ma sei sicura che sia questa la strada? Guarda!» e il suo indice si
tese con esasperazione verso il rettilineo della strada deserta e le sconfinate
distese di granturco, che a malapena si distinguevano nella foschia e
nell’ombra della sera.
Il
tracciato insistito della strada pareva voler forare la superficie monocroma
dell’orizzonte oscuro, lacerarla, aprire spiragli su allarmanti fondali di
tenebre.
«Non
c’è niente! Non ci sono più luci, più case! Mi vuoi dire dove stiamo andando? Non sarebbe ora di mettere un navigatore satellitare!»
Giulia
sospirò.
«Abbi fede.… vedrai, la Villa è alla fine della strada. Tutta questa terra è loro!» e il braccio piagato roteò intorno ai finestrini, per poi ricadere stanco sul sedile.
«Abbi fede.… vedrai, la Villa è alla fine della strada. Tutta questa terra è loro!» e il braccio piagato roteò intorno ai finestrini, per poi ricadere stanco sul sedile.
Il
figlio rimase perplesso:
«Loro?»
«Loro?»
«Gli
Ozzani di Fossalta, la famiglia della Contessa»
Roberto indicò un canale ai lati della strada:
Roberto indicò un canale ai lati della strada:
«Ah!
E questa, immagino, sarebbe la
Fossalta …» ironizzò, accennando alla bassa pianura,
coperta da una foschia sempre più densa, ma Giulia non era in vena di battute: «No,
Fossalta è il nome del paesetto sul Po di Volano, a pochi chilometri dalla Villa.
Era il… come si dice… il feudo che avevano i loro antenati, ai tempi degli Este…»
Roberto
la guardò di sottecchi con perplessità, ma Giulia era serissima:
«Dico
sul serio! Avevano il feudo, ma era tutta terra paludosa… poi però il suo
bisnonno, di lei, il conte Ippolito, fece bonificare tutta la zona nell’Ottocento…
e ci costruì la Villa, in stile neoclassico »
Giulia conosceva a memoria tutto l'albero genealogico degli Ozzani.
Giulia conosceva a memoria tutto l'albero genealogico degli Ozzani.
Ippolito Ozzani di Fossalta + Valeria Serbelloni
|
--------------------------------------------------------
| |
Vittorio Ozzani di Fossalta + Adelaide Aldrovandi Violetta + Gen. DeToschi
1892- 1948 | 1899-1994 1909-1929 1895-1978
| |
| Carlotta De Toschi
| 1929
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
| | | | |
Umberto Carlo Grazia Laura Margherita
1915-1986 1917-1995 1919-1997 1921-1998 1923 -2000
+ + +
Claudia Adriano Trombadore Giuseppe Papisco
Protonotari 1912 – 1987 1916-1998
Bonaccorsi | divorzio 1975 | | risposatosi poi con
1919-2000 --------------------------------------------------
| | | |
---------------------------- Piergiuseppe Benedetta Goffredo +
| | 1944 1947 1949 Serena Sarpi
Alessio Virginia + 1937
1940-1999 1942 Massimo Piccioni |
+ 1940 | Bramante
Esther ---------------------------------------------- 1967
Rubini | |
1943-1999 Alberto Piccioni Cristina Piccioni
(+ Giulia 1970 1975
Federici
1942)
|
Roberto
1962
«Una
villa in questo deserto! Gran bella decisione!» ironizzò il figlio, che non
sapeva più come palesare il suo scetticismo.
«Non
una villa, Roberto, ma la Villa !»
Quella frase fu pronunciata
da lei con una specie di enfasi epica, seppur velata di malinconica elegia, e forse
anche con una punta quasi impercettibile di disprezzo.
«Mah…»
fu l’unico commento del figlio.
Giulia
dovette convenire mentalmente con lui.
Ma sì, hai ragione tu! Sono sempre stati dei matti…
Ma sì, hai ragione tu! Sono sempre stati dei matti…
Però
si sentì in dovere, per qualche strana ragione a lei stessa ignota, in quel
momento, di giustificare una scelta così evidentemente balorda.
«Avevano un grande progetto, fare della Villa il centro di una azienda
agricola che desse lavoro a tanta gente… e fosse anche redditizia, perché poi,
sai, le terre strappate alla malaria sono benedette da Dio, per quanto riguarda
il raccolto, lo diceva anche Verga…»
In realtà Verga si riferiva al colera, ma Roberto non si sarebbe accorto del dettaglio.
In realtà Verga si riferiva al colera, ma Roberto non si sarebbe accorto del dettaglio.
«Mamma, non ti reggo quando fai le tue citazioni letterarie!»
Giulia sorrise.
Giulia sorrise.
«Parlicome
Virginia! E come suo...» le scappò detto, poi però, come pentita, tornò al tema: «…ma fammi
finire il discorso: la terra all’inizio aveva reso bene agli Ozzani, poi però
c’erano state delle brutte annate, delle inondazioni, e lì è iniziata la crisi.
Il nonno e il padre di Virginia non ci sapevano fare con gli affari… come tutti
i veri nobili del resto…» si incantò un istante, fissando il figlio, come
seguendo un pensiero subito censurato, poi proseguì con voce distante:
«Il colpo di grazia fu quando il Conte Umberto, il padre di Virginia, perse tutti i suoi risparmi dopo l’ultima guerra… aveva investito in titoli di Stato…e sai come è andata a finire la storia del debito pubblico, dopo la guerra…»
Quello lo sapeva, ma a quel punto sorgeva una domanda inevitabile:
«Il colpo di grazia fu quando il Conte Umberto, il padre di Virginia, perse tutti i suoi risparmi dopo l’ultima guerra… aveva investito in titoli di Stato…e sai come è andata a finire la storia del debito pubblico, dopo la guerra…»
Quello lo sapeva, ma a quel punto sorgeva una domanda inevitabile:
«E
allora i soldi dove li hanno presi dopo?»
Giulia si incupì. Non era ancora il momento di parlarne.
L’eredità di Esther…
Cercò di temporeggiare:
Giulia si incupì. Non era ancora il momento di parlarne.
L’eredità di Esther…
Cercò di temporeggiare:
«Adesso
ci arrivo, prima volevo spiegarti il perché della Villa in questa zona…»
Robert però aveva capito che c'era sotto qualcosa di molto imbarazzante.
Robert però aveva capito che c'era sotto qualcosa di molto imbarazzante.
«Ma scusa, se era solo una questione di bonifiche e di aziende agricole, non bastava fare delle fattorie e che ci abitassero degli amministratori?»
Giulia lo guardò con l'aria di chi la sa lunga:
Giulia lo guardò con l'aria di chi la sa lunga:
«Come sei ingenuo! I
fattori rubano, e poi non hanno la visione d’insieme…»
Lui sbuffò:
Lui sbuffò:
«Ah,
mentre loro ci hanno saputo fare! I Conti Ozzani!»
L’ironia
del figlio lasciò Giulia senza argomenti.
Mio
figlio tira fuori il buonsenso solo per fare la morale agli altri!
Quel
pensiero però ne suscitò altri che ella respinse.
O
forse lo era? Dopotutto era qui che le cose avevano avuto inizio, ed era giusto
che fosse qui che tutto, alla fine, si chiarisse.
Doveva preparare Roberto a ciò che lo attendeva:
Doveva preparare Roberto a ciò che lo attendeva:
«Non
devi essere così duro nel giudicarli. Il Conte Umberto a suo modo era un
idealista…certo alcune sue idee non erano del tutto condivisibili, però lui era
in buona fede…»
«Cioè?
Cosa vorresti dire?»
«Voglio
dire che anch’io all’epoca lo giudicai molto male, ma poi, col tempo, ho compreso
il suo punto di vista»
Essere comprensivi è segno di saggezza, figlio mio: come faccio a spiegartelo, se alla tua età non l’hai ancora capito?
Essere comprensivi è segno di saggezza, figlio mio: come faccio a spiegartelo, se alla tua età non l’hai ancora capito?
Roberto
era sempre drastico e tagliente nei suoi giudizi: non aveva appreso il valore
della comprensione, nonostante tutti i suoi studi e le sue esperienze.
Saresti
potuto arrivare alla saggezza, Roberto, se non ti fossi convinto di averla già
raggiunta.
Ma forse c'era ancora qualche speranza.
Ma forse c'era ancora qualche speranza.
«Il
suo punto di vista su cosa?» insistette il figlio.
«Su
tutto… i suoi valori aristocratici, la sua visione del mondo elitaria,
estetizzante… certo, era un modo di vedere pieno di pregiudizi, ma in fondo,
anche il tuo…insomma, guarda anche solo come ti vesti! Sei un aristocratico dalla testa ai piedi!>>
«Solo nello spirito, mamma. Per il resto... be', meglio non parlarne...»
Per il momento, forse, si poteva ancora rimandare il discorso, ma presto Virginia sarebbe passata alla carica e bisognava trovare un modo per evitare che tra i due nascesse un conflitto.
«Roberto,
sei un intellettuale e dovresti sapere bene che ogni modo di vedere è anche un modo
di non vedere!»
Il
figlio non parve cogliere la portata di quell’affermazione, preso com’era da un
impulso di sdegno idealistico:
«Da quel che ho capito quel Conte era un tipico reazionario!»
Lo disse col tipico disprezzo saccente dei radical-chic e la cosa irritò Giulia nel profondo:
«Da quel che ho capito quel Conte era un tipico reazionario!»
Lo disse col tipico disprezzo saccente dei radical-chic e la cosa irritò Giulia nel profondo:
«Reazionario,
sì, ma non gretto: aveva classe, stile. Il mio giudizio è estetico, e tu sai
bene che non amo dare giudizi politici: mi ricordano troppo le conversazioni da
bar del povero Sergio. Quel che volevo farti capire è che è troppo facile
criticare, senza sforzarsi di capire»
«Cosa
c’è da capire? Era un privilegiato che difendeva i suoi privilegi!»
«Sì,
lo era. Ma, non lo condanno: bisogna conoscere bene i fatti, studiarli,
comprenderne le sfumature, perché, lasciamelo dire, quasi tutto ciò che
condanniamo negli altri è anche dentro di noi, ed è lì che prima dobbiamo
sconfiggerlo! Altrimenti rischiamo di diventare come la parte peggiore di
quelli a cui ci opponiamo…»
La
bocca di Giulia si inarcò all’ingiù disegnando una parabola convessa sul suo
volto avvizzito.
L’ultima volta che ho fatto questa strada, le macchine andavano più lente…e non c’era l’asfalto…
I ricordi la travolsero.
L’ultima volta che ho fatto questa strada, le macchine andavano più lente…e non c’era l’asfalto…
I ricordi la travolsero.
«Si
tratta di cose successe ormai quarantacinque anni fa: sia io che Virginia eravamo giovanissime
all’epoca, ancora molto immature, e questo può avere causato equivoci,
incomprensioni…»
Si
impantanò in questa premessa piuttosto scontata.
«A quell'età, lo sai bene, si devono prendere delle decisioni per la vita… cioè… è a quell’età che si sceglie. Poi però si cresce, si matura…»
«A quell'età, lo sai bene, si devono prendere delle decisioni per la vita… cioè… è a quell’età che si sceglie. Poi però si cresce, si matura…»
Il
figlio annuì, quasi volesse con tale gesto sancire una sua improbabile
maturazione.
Giulia
si rincuorò e ritrovò le parole:
«Alla fine viene il giorno in cui capisci dove hai sbagliato, e perché, ma ormai è troppo tardi, perché la tua vita è stata decisa in un periodo in cui non sapevi nulla!»
«Alla fine viene il giorno in cui capisci dove hai sbagliato, e perché, ma ormai è troppo tardi, perché la tua vita è stata decisa in un periodo in cui non sapevi nulla!»
Roberto lo sapeva fin troppo bene, avendo collezionato scelte sbagliate come se fossero francobolli, ma una cosa lo turbava:
«Perché
sei arrivata a dover tagliare i ponti alle tue spalle? Cosa ti hanno fatto di così grave gli
Ozzani di Fossalta?»
La
domanda si dissolse nel buio che ormai era calato sulla campagna, e Giulia non
poté cogliere l’apprensione disegnatasi sul viso del figlio, ma la percepì
dalla voce.
Sì, lui sospetta!
Ormai erano arrivati, non era il caso di parlarne in quel momento.
Sì, lui sospetta!
Ormai erano arrivati, non era il caso di parlarne in quel momento.
«Mah,
forse fu una ritirata strategica, una cessione di posizioni meno importanti per
difendere quelle che lo erano di più…»
«E
cioè? Basta girare intorno alla questione e parlare per enigmi!»
Giulia
ebbe paura di un suo improvviso scatto d’ira-
<< La verità è che…>>
Ma non riuscì a dirlo.
Quid est veritas?
Ma non riuscì a dirlo.
Quid est veritas?
La domanda di Ponzio Pilato era uno dei passi cruciali del Vangelo, di quelli che i preti si
guardavano bene dal leggere durante la Messa.
Che cos’è la verità?
Giulia, che pure voleva aver fede in
Dio, non poteva prescindere dal dubbio filosofico.
I dogmatismi non mi appartengono. Sono sempre stata
uno spirito libero, e intendo rimanere così fino alla fine dei miei giorni…
Non
pretendeva certo di essere depositaria di alcuna verità, nemmeno di una verità
storica, memorialistica, a cui aveva assistito e partecipato.
Però
aveva il dovere di rispondere a suo figlio: e se non fosse stata l’esatta
verità, almeno poteva e doveva essere la sua onesta versione dei fatti.