Il castello di Monterovere è un antico maniero situato in cima a una collina boscosa, nel comune di Pavullo nel Frignano, in provincia di Modena. Sovrasta la piccola frazione di Monterovere Boica, a 4 km a sud ovest di Pavullo, in direzione Lama Mocogno.
Sorge a 873 metri sul livello del mare, assieme al suo piccolo borgo medievale.
Viene citato per la prima volta dalle fonti storiche nel 1027, risultando fin da allora di proprietà della famiglia che dal luogo prese il nome, i Monterovere, appunto.
Qui nacque il celebre condottiero Raimondo Monterovere (21 febbraio 1609 – Linz, 16 ottobre 1680) che, al comando delle truppe asburgiche, respinse l'avanzata dei Turchi ottomani verso Vienna.
Quello fu il momento di massima gloria della dinastia.
I titoli di Raimondo Monterovere erano i seguenti: Conte del Sacro Romano Impero, Luogotenente generale e Feldmaresciallo; signore di Hohenegg, Osterburg, Gleiss e Haindorf; presidente dell'Imperial Consiglio Aulico Militare; Gran Maresciallo dell'Artiglieria e Fortificazioni; Governatore della Raab e Colonnello-proprietario di un Reggimento di Cavalleria; Reale Consigliere Segreto; Camerlengo e Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro.
Successivamente i Monterovere decaddero, fino a dover rinunciare alla proprietà del castello, per vivere in una modesta fattoria, nel vicino borgo di Querciagrossa, così chiamato perché nell'antichità vi sorgeva un'enorme quercia, oggetto di culto e venerazione da parte dei Druidi, i sacerdoti dei Galli Boi, residenti in quel luogo prima della conquista romana.
Come si è già raccontato nei capitoli introduttivi di questo romanzo, l'antica quercia celtica fu abbattuta nell'anno 380 d.C., per ordine dell'imperatore Teodosio, il quale a sua volta aveva ricevuto questo comando dal vescovo di Milano, Sant'Ambrogio, infaticabile estirpatore delle sopravvivenze pagane.
Si narra che ci volle più di una settimana per abbattere l'albero e che alla fine, esasperati dalla sua resistenza, i soldati di Teodosio gli diedero fuoco.
Successivamente, sulle ceneri di quel luogo, il vescovo di Modena aveva impartito la sua benedizione.
Tuttavia, nonostante gli spiriti pagani fossero stati ufficialmente scacciati, il terreno rimase sterile, non vi crebbero nemmeno le erbacce, e col tempo si creò un avvallamento, che assomigliava all'impronta di un immenso cinghiale.
Questo fenomeno inspiegabile procurò molte preoccupazioni agli abitanti di Querciagrossa, che dopo inutili tentativi di dissodare quella terra dura come pietra, decisero che era meglio allontanarsene.
Da allora il villaggio di spopolò e il sito dove un tempo sorgeva l'antica quercia fu chiamato l'Orma del Diavolo, e intorno alla grande impronta crebbe una fitta foresta di querce, dove di notte i pochi folli che avevano il coraggio di avvicinarsi a quel sito diabolico, giuravano di aver visto vagare folletti e spiritelli.
Riccardo conosceva molto bene quella storia: era una delle preferite di suo nonno Romano, nato e cresciuto in un casolare nelle vicinanze.
Solo i Monterovere, infatti, non avevano mai avuto paura dell'Orma del Diavolo.
Ma come i miei lettori ricorderanno, questa loro fiducia si spezzò allorché il vecchio Ferdinando Monterovere, nonno di Romano e trisavolo di Riccardo, fu disarcionato da cavallo e morì sul colpo proprio presso quel luogo maledetto, in una notte lontana, mentre faceva ritorno da un lungo viaggio.
Questo tragico evento aveva avuto conseguenze estremamente rilevanti, dal momento che Enrico Monterovere, figlio di Ferdinando, si era trasferito nelle pianure di Romagna, con la moglie Eleonora Bonaccorsi e i nove figli da lei avuti, quegli stessi figli che fondarono l'Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, la cui fortuna nel campo delle bonifiche agricole aveva riportato la famiglia in condizioni economiche agiate.
Ma non sarebbero bastati di certo i denari guadagnati dai fratelli Monterovere a permettere alla famiglia di riconquistare il castello.
A Romano Monterovere non era mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello il desiderio di ricomprare il maniero dei suoi antenati, neppure prima che sua sorella Anita lasciasse la sua determinante quota dell'azienda ad un'estranea, e rimase di sasso quando seppe che la proprietà del castello era stata rilevata da suo figlio minore Lorenzo, schernito da tutti per i suoi modi femminei, ma destinato a prendersi un'immensa rivincita sul padre e i bulli di Faenza,
Dopo aver acquistato il castello, che stava quasi per crollare a causa della sua antichità, Lorenzo Monterovere lo ristrutturò e lo rese un vanto per la comunità locale.
In tale occasione, in accordo con le autorità preposte e la cittadinanza, era stata ristrutturata anche gran parte delle case del borgo e anche la Chiesa, che prendeva il nome, per ironia del destino, proprio da San Lorenzo.
Furono sistemate inoltre alcune torri pendenti, in condizioni precarie, e inaugurati due musei: il museo naturalistico del Frignano e una raccolta d'arte.
All'inizio il vecchio Romano si rifiutò di credere a tali notizie.
Poi, messo di fronte a prove inconfutabili, se ne uscì con un commento sprezzante:
<<Ricomprare il castello è stato un atto di vanità, da parte di Lorenzo.
Non voglio sapere dove ha trovato i soldi e quanto ancora gli servirà per la ristrutturazione, la manutenzione e le tasse, ma una cosa è certa: io non voglio averci niente a che fare, perché per quanto mi riguarda quel luogo resta fin troppo vicino all'Orma del Diavolo>>
Le successive disgrazie che avevano colpito la famiglia Monterovere furono attribuite dal vecchio patriarca al suo detestato terzogenito.
Lorenzo non aveva mai dato il minimo rilievo alle critiche del padre, e si era sempre disinteressato dell'azienda di famiglia, come se ne conoscesse già il destino, mentre aveva seguito sempre con grande interesse e partecipazione le vicende matrimoniali del fratello maggiore Francesco e di sua moglie Silvia Ricci Orsini Balducci di Casemurate.
Ed erano passati molti anni.
Non erano stati anni belli.
Anche il clima si era fatto peggiore.
Il vento dell'est penetrava nelle antiche sale del castello, e sembrava ululare parole strane, voci di spettri di un passato che non voleva mollare la presa su quel luogo impregnato di magia primordiale.
Forse era proprio la paura di quegli spettri che aveva tenuto Riccardo Monterovere sempre lontano dalla terra d'origine dei suoi antenati.
Ora che il castello gli si stagliava davanti, in cima alla collina, un brivido percorse la sua schiena.
C'era qualcosa di strano in quel luogo, qualcosa di sinistro.
Per troppo tempo era rimasto disabitato, senza nessuno che lo custodisse.
Per troppo tempo il vento aveva ululato in quelle stanze vuote, senza nemmeno un'anima a udire quel pianto.