Aurora Visconti si stava annoiando : solita festa, soliti amici, soliti corteggiatori, solite scemenze.
Si sentiva intrappolata dentro la gabbia d'oro in cui la sua famiglia la teneva protetta.
Per quanto si sforzasse di trovare qualcosa di interessante nei pochi coetanei che erano ammessi a Villa Visconti, non ci riusciva proprio. Per quanto fossero tutti liceali, erano comunque ignoranti, rozzi, volgari, ma la ricchezza delle loro famiglie aveva rimediato a tutto, proprio come era accaduto a suo cugino e, ad essere onesti, anche a suo padre.
Questi pensieri, uniti alla noia, le stavano deprimendo l'umore, ma poi, all'improvviso, con grande sorpresa e totale incredulità, vide entrare Roberto Monterovere, molto elegante, con un'espressione gentile e modi raffinati, per quanto la novità della situazione lo disorientasse e irrigidisse il suo portamento.
Lei scattò in piedi all'improvviso, quasi per istinto, camminando verso di lui con una certa emozione.
<<Non ci posso credere! Il grande studioso che si degna di presenziare in questo luogo di perdizione... >>
Roberto sorrise con una timida dolcezza e un po' di imbarazzo, e le porse il regalo di compleanno, che lei appoggiò distrattamente insieme agli altri, perché il suo interesse era concentrato su di lui in quanto persona:
<<Il regalo più interessante è la tua presenza. A cosa devo l'onore?>>
Lui arrossì : non era certo quello né il momento, né il luogo per fare dichiarazioni impegnative:
<<Io ero molto curioso di vedere la tua casa, conoscere la tua famiglia e soprattutto... be', ecco, voglio dire... conoscerti meglio>>
Lei capì subito cosa c'era sotto e cercò di chiarire il suo punto di vista:
<<Avremo occasione di conoscerci meglio. Vedi, io ti ho sempre stimato fin falle medie, e non ho mai smesso di aspettare che tu venissi a trovarmi>>
Roberto era incredulo:
<<Davvero? Per tutto questo tempo?>>
Lei annuì:
<<Sempre>>
Non era una frase di circostanza: lui la incuriosiva, era un enigma avvolto nel mistero, e lei, a differenza delle coetanee senza cultura, intelligenza, educazione e raffinatezza, apprezzava in lui quegli aspetti di cui le altre diffidavano: il successo negli studi, la sensibilità, l'eleganza e anche l'aspetto serio e all'antica e vagamente romantico nella sua timidezza, nella costituzione esile e nel colorito pallido.
Mentre lui tentava invano di scusarsi per aver tardato così tanto a partecipare alle sue feste, lei tagliò corto e riprese l'iniziativa.
Con voce rassicurante gli disse:
<<Ora ti presenterò gli ospiti che non conosci, con una raccomandazione: non fidarti mai di nessuno di loro>>
Roberto non sapeva se ridere o fuggire a gambe levate:
<<Ma perché dovrebbero avercela con me?>>
Lei sospirò, di fronte alla palese ingenuità del suo nuovo ammiratore:
<<Ce l'hanno con chiunque mostri anche il minimo segno di attenzione nei miei confronti. Sono pericolosi: tieni a mente i loro nomi e le loro facce, e parla il meno possibile.>>
Aurora sapeva che quel consiglio era valido, ma che non sarebbe bastato a garantire un comportamento anche minimamente civile da quella schiera di bestioni che aspiravano alla sua mano, e a qualche altra ben precisa parte del suo corpo.
Seguirono le presentazioni: si trattava dei figli dei valvassori del visconte Bartolomeo.
Roberto capì immediatamente che Aurora aveva ragione.
Ognuno di loro aveva un atteggiamento apertamente ostile.
Alcuni mostravano derisione, altri disprezzo, altri disgusto, altri ancora rabbia malcelata.
Grazie al Cielo, Aurora lo condusse nel gruppo dei compagni di classe, ma prima di "consegnarlo" temporaneamente a loro, onde poter elaborare un piano per evitare che i pretoriani lo facessero a pezzi, ella gli sorrise con sincera cordialità:
<<Oggi sei ancora più elegante del solito, ed è una cosa che apprezzo molto>>
In effetti, per l'occasione, si era vestito in giacca e cravatta (era anche un'astuta mossa per essere esentato da eventuali attività sportive o cose simili) Lui arrossì fino alla punta delle orecchie:
<<Anche tu sei... voglio dire... davvero, davvero... elegante>>
In realtà, qualunque cosa indossasse, le stava sempre bene.
Il suo look era quello "acqua e sapone" di colei che vuole sottolineare la sua giovinezza e purezza.
Una "virgo intacta".
Indossava una camicetta bianca con tanto di fiocco da collegiale e una gonna plissettata fino al ginocchio.
A dire il vero, questo look da scolaretta evocava, agli occhi di Roberto, immagini ben diverse dalla castità, dalla Lolita di Nabokov alla liceale in stile Gloria Guida.
Questo non poteva essere detto, ma Aurora se ne accorse comunque:
<<Ho notato che quando mi vesto così, a scuola, tu sembri l'unico ad apprezzare>>
Roberto annuì con decisione e fu preso dall'entusiasmo:
<<In effetti, io ho una certa nostalgia dei tempi in cui c'erano le divise scolastiche, o comunque un dress code molto vicino a ciò che indossiamo io e te oggi>>
Aurora lo immaginava.
Ci sono importanti affinità tra me e lui. Ma questo basterà a vincere le sue inibizioni e la sua insicurezza?
Per non parlare poi di tutto il resto...
<<Sono d'accordo con te>> rispose e come a rimarcare i loro comuni gusti estetici, compì un atto di cui non c'era alcun bisogno, ma che entrambi giudicarono molto intimo, ossia gli sistemò il nodo della sua cravatta. Gliel'aveva visto in altre occasioni formali, ed sempre stata curiosa di sapere come si facesse: <<La tua cravatta è molto bella e il nodo è perfetto, l'hai inventato tu?>>
Questa volta Roberto riguadagnò fiducia in se stesso:
<<E' il nodo "Double Windsor" e pare che sia stato inventato dal re Edoardo VIII, successivamente noto come Duca di Windsor>>
Aurora conosceva la storia e la trovava molto interessante:
<<Rinunciò al trono per amore di una donna. Non riesco ad immaginare un gesto più romantico>>
O più stupido, pensò Roberto dentro di sé, ma soltanto perché, a suo parere, innamoramento e stupidità spesso viaggiavano di pari passo. Un concetto simile a quello espresso da Fernando Pessoa, il grande poeta portogherese, secondo cui "tutte le lettere d'amore sono / ridicole / non sarebbero lettere d'amore se non fossero / ridicole // Anch'io ho scritto ai miei tempi lettere d'amore / come le altre / ridicole // Le lettere d'amore, se c'è l'amore / devono essere / ridicole // Ma dopotutto / solo coloro che non hanno mai scritto / lettere d'amore / sono / ridicoli // Magari fosse ancora il tempo in cui scrivevo / senza accorgermene / lettere d'amore / ridicole // La verità è che oggi / sono i miei ricordi / di quelle lettere / ad essere ridicoli "
Quando arrivarono al gruppo dei compagni di classe, trovarono gli altri due componenti del Triangolo delle Bermuda, Ludovico Corzani e Daniele Destri a cui si era aggiunto Carlo Boboli, il nuovo favorito di Roberto. I tre ascoltavano il figlio minore dell'immobiliarista Colli, Marco, che si lamentava del fatto che i fenicotteri rosa che sua madre aveva comprato per metterli nel laghetto del loro parco erano morti tutti in breve tempo.
Improvvisamente gli sembrò che i suoi amici fossero rimasti fermi ai tempi delle medie, mentre in quel momento incominciava, se ci si perdona il gioco di parole, "il tempo delle mele".