martedì 17 gennaio 2017

Yaldabaoth, il Demiurgo Malvagio creatore dell'universo secondo lo Gnosticismo




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Yaldabaoth è il demiurgo di molte sette gnostiche cristiane, raffigurato con testa di leone e corpo di drago detto anche Archigenitor, Grande Arconte e Arrogante ed identificato nello Yahweh biblico. L'etimologia del nome secondo alcuni significa "figlio del caos" e secondo altri "padre dei generatori".
Esso viene generato da Sophia nella sua caduta dal Pleroma. È l'equivalente dei diavolo cattolico, nel senso che è il capo degli spiriti inferi; con la sostanziale differenza che non è il corruttore della creazione ma il suo artefice, causa cioè solo il mondo materiale e non già quello spirituale che è emanazione del Re della Luce, o Ineffabile o Dio trascendente.

Pistis Sophia

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Il Pistis Sophia, o Libro del Salvatore, è un vangelo gnostico scritto in lingua copta probabilmente nella seconda metà del III secolo.
Come altri vangeli gnostici contiene una rivelazione segreta di Gesù risorto ai discepoli in assemblea (inclusa Maria Maddalena, la Madonna, e Marta), durante gli undici anni successivi alla sua resurrezione.
Perduto per secoli, è studiato dal 1772 grazie al codice Askew. Ne sono state ritrovate varianti tra i Codici di Nag Hammâdi nel 1945.

Tradizione manoscritta

Similmente a molte altre opere gnostiche il Pistis Sophia andò perduto con l'estinguersi dello gnosticismo. Una versione del testo fu trovata a Londra nel 1772 dal medico e bibliofilo Anthony Askew (1699-1774). Per questo motivo il manoscritto è noto anche come codice Askew o Codex Askewianus. Il titolo di Pistis Sophia gli fu dato da un certo C.G. Woide, a cui Askew diede l'incarico di studiare e trascrivere l'opera. L'anno dopo la morte di Askew, nel 1775, il codice fu acquistato dal British Museum, dove è tuttora conservato.
Altri due manoscritti hanno permesso lo studio del testo, il Codice Bruce ed il Codice di Berlino.
Nel 1945 sono state rinvenute tra i Codici di Nag Hammâdi altre versioni dell'opera.

Struttura e datazione dell'opera

Fin dai primi studi di Jack Finegan (Hidden Records of the life of Jesus, p. 298), il testo del Codice Askewianus fu diviso in quattro sezioni. Studi successivi effettuati da H. C. Puech e revisionati da Beate Blatz (New Testament Apocrypha, vol. 1, p. 362), prendendo come base l'analisi di K.R. Köstlin, giunsero alla conclusione che le quattro sezioni del manoscritto dovevano essere divise in due gruppi distinti. Le prime tre sezioni corrispondevano ai tre libri di uno stesso lavoro, probabilmente composti tra il 250 ed il 300. La quarta sezione (232.1-254.8) che non ha titolo, era, in realtà, un lavoro distinto, composto nella prima la metà del III secolo e quindi più vecchio di quelli che lo precedono. Di conseguenza solamente il contenuto dei primi tre libri corrisponde realmente al Pistis Sophia.

Gesù appare alla Maddalena, dipinto di Alexey Egorovich Egorov
In un primo tempo, il Pistis Sophia fu attribuito a Valentino, che probabilmente morì intorno alla metà del II secolo o una decade più tardi, o alternativamente ad un suo seguace (teoria del II secolo). Un certo numero di studiosi era di questa opinione, fra questi si possono ricordare: Woide, Jablonski, La Croze, Dulaurier, Schwartze, Renan, Révillout, Usener ed Amélineau. Questo punto di vista, comunque, non fu mai sostenuto da grandi argomentazioni, se si escludono quelle portate dall'egittologo e coptologo francese Amélineau, che fu il suo sostenitore più forte. Sette anni prima della sua traduzione del Pistis Sophia, nel 1895, Amélineau dedicò 156 pagine di una voluminosa composizione, alla dimostrazione delle origini egiziane dello gnosticismo paragonando il sistema di Valentino con quello del Pistis Sophia.
Nel frattempo, in Germania, poco dopo l'apparizione della versione latina di Schwartze del 1851, l'analisi accurata del sistema del Pistis Sophia da parte di Köstlin nel 1854 rafforzò o, addirittura, diede inizio ad un'altra teoria: si abbandonò l'origine Valentiniana, e ci si pronunciò in favore di quella che può essere chiamata generalmente una derivazione Ofitica. Köstlin posizionò la composizione del Pistis Sophia nella I metà del III secolo, e sia Lipsius che Jacobi accettarono la sua teoria (teoria del III secolo).
Nel 1891 Harnack, accettando l'analisi di Köstlin del sistema, attaccò il problema da un altro punto di vista, basandosi principalmente sull'uso delle sacre scritture (come dimostrano le citazioni dal Vecchio Testamento e dal Nuovo Testamento), sul progresso delle idee dottrinali e sullo stato delle pratiche sacramentali nella storia generale dello sviluppo dei dogmi e dei riti cristiani. Si basò anche su una o due altre vaghe indicazioni, come un riferimento ad una persecuzione, da cui concluse che fu scritta in un periodo in cui i cristiani erano "legalmente" perseguitati. Queste considerazioni lo condussero ad immaginare come data più probabile di composizione la II metà del III secolo. Schmidt, nel 1892 concordò su questa valutazione, con la pregiudiziale che il tomo 4 apparteneva ad una fase più antica della letteratura, e doveva, perciò, essere datato intorno alla I metà del secolo. Questo punto di vista generale fu estesamente adottato come il più probabile. In Germania fu accettato anche da specialisti del calibro di Bousset, Preuschen e Liechtenhan; ed in Francia da De Faye. Fra gli studiosi inglesi possono essere menzionati E. F. Scott, Scott-Moncrieff e Moffat.

Contenuto

Il testo proclama che Gesù rimase sulla terra dopo la resurrezione per altri 11 anni, ed in questo periodo insegnò ai suoi discepoli portandoli fino al primo (principianti) livello dei misteri. Esso inizia con un'allegoria che compara la morte e resurrezione di Gesù alla discesa ed ascesa dell'anima. Dopo questo procede nella descrizione di importanti figure della cosmologia gnostica, e poi, infine, elenca 32 desideri carnali da superare prima che sia possibile la salvezza; proprio il superarli costituiva la salvezza. In esso vengono esposte le complesse strutture e gerarchie dei cieli contenute negli insegnamenti gnostici. Il Pistis Sophia allude anche a riferimenti temporali copti e a nomi di demoni o divinità contenuti nei testi magici egiziani.

Cosmogonia

La struttura cosmogonica ed il suo stile letterario fanno pensare che il manoscritto appartenga alla setta gnostica degli Ofiti.
Al vertice dell'universo si trova un Dio ineffabile, infinito, inaccessibile, dalla cui luce deriva ogni cosa. Questi è immerso in tre spazi, nei quali risiedono i più grandi misteri a cui l'uomo può accedere:
  • il I spazio o spazio dell'ineffabile;
  • il II spazio o primo spazio del Primo Mistero;
  • il III spazio o secondo spazio del Primo Mistero.
Tutte le emanazioni furono originate dal Primo Mistero. Esso, immagine perfetta del Dio ineffabile, governa l'universo. Fu per suo comando che iniziarono le vicissitudini di Sophia ed è lui che protegge l'umanità dal potere degli arconti e che diede i natali a Gesù. Esso, in quanto mistero che guarda dentro (verso l'assoluto), si contrappone a Gesù inteso come mistero che guarda fuori (verso il contingente).
Sotto i tre spazi dell'ineffabile e del Primo Mistero si schiude il mondo della luce pura, suddiviso, a sua volta, in tre immense regioni:
  • la regione del tesoro della luce, in cui si radunano le anime che hanno avuto accesso ai misteri; qui stazionano le emanazioni e gli ordini con i sette amen, le sette voci, i cinque alberi, i tre amen, il fanciullo del fanciullo, i dodici salvatori che presiedono i dodici ordini e i nove custodi delle tre porte del tesoro della luce;
  • la regione di destra in cui si trovano i sei grandi principi, il cui compito è quello di estrarre dagli eoni e dal cosmo inferiore le particelle di luce e di riunirle al tesoro, e il grande messaggero, Jeu, chiamato anche primo uomo, vescovo della luce e provveditore del cosmo inferiore;
  • la regione di mezzo in cui abitano sei grandi entità di grande spicco:
    • Melchisedec il grande ricevitore della luce;
    • il Grande Sabaoth chiamato anche padre di Gesù poiché prese la sua anima e la inviò nel grembo di Maria;
    • il Grande Jao, al cui servizio sono i 12 diaconi dai quali Gesù estrasse le anime dei 12 apostoli;
    • il Piccolo Jao, a cui Gesù tolse una forza luminosa per inviarla nel grembo di Elisabetta e predisporre la nascita di Giovanni Battista, suo predecessore;
    • il Piccolo Sabaoth;
    • la vergine luce, preposta al giudizio delle anime e dispensatrice di felicità eterna o di tormenti; al suo servizio sono posti i ricevitori, sette vergini con quindici assistenti.

Gesù con l'ostia consacrata, dipinto di Juan de Joanes
Sotto il mondo della luce giace il mondo degli eoni. Caratteristica peculiare di questo livello è la commistione tra luce e materia, quale conseguenza della rottura dell'integrità originaria. È qui che viene svolta l'operazione attraverso la quale i due elementi vengono divisi e la luce inviata verso la sua origine (nel tesoro della luce), mentre la materia viene messa da parte in attesa della sua distruzione. Anche questo mondo è diviso in tre regioni:
  • la regione di sinistra. In principio, all'epoca della integrità, era la regione di 12 eoni: sei di questi dipendevano da Sabaoth Adamas, e sei da suo fratello Jabraoth. I loro Arconti erano uniti in tre sizigie o coppie, ma i due fratelli, con l'intenzione di creare un regno composto da esseri inferiori alle loro dipendenze, furono presi dalla brama sessuale: in questo modo perturbarono l'integrità e fecero irrompere la materia nel mondo della luce. Il primo mistero, allora, ordino a Jeu di legarli per sempre alle loro sfere terrestri, ma Jabraoth si pentì insieme ai suoi Arconti e fu creato, per loro, un tredicesimo eone (che in altri scritti gnostici, è detto ogdoade) che sovrastava gli altri dodici. Gesù, in seguito, trasferì in questo eone Abramo, Isacco e Giacobbe. Nel tredicesimo eone si trovano anche il padre primordiale, i tre dotati di triplice forza, i tre ricevitori (o ricevitori vendicativi) preposti alla selezione delle anime giuste che non sono state messe a parte dei sacri misteri (uno di questi è l'Arrogante), i 24 invisibili, emanati dal padre primordiale, fratelli e compagni di Pistis Sophia;
  • la regione degli uomini;
  • la regione inferiore (inferi, caos, tenebre).

La permanenza di Gesù

Secondo il Pistis Sophia, dopo la resurrezione, Gesù, allo scopo di istruire gli apostoli sui misteri, si trattenne sulla terra per undici anni. In questo lasso di tempo, indicato nel primo capitolo dell'opera, Gesù portò i suoi discepoli solo fino ad un certo livello di conoscenza, per poi portarli, in seguito, a gradi di conoscenza superiori. Il Pistis Sophia, infatti, fa capire che la trasmissione di una conoscenza (gnosi) superiore richiese a Gesù l'ascesa al cielo con la relativa trasfigurazione, così come viene descritta nei capitoli successivi.

Il ruolo delle donne


Ritratto bizantino di Maria Maddalena
«Detto questo ai suoi discepoli, soggiunse: - Chi ha orecchie da intendere, intenda! Udite queste parole del salvatore, Maria rimase un'ora (con gli occhi) fissi nell'aria; poi disse: - Signore, comandami di parlare apertamente. Gesù, misericordioso, rispose a Maria: - Tu beata, Maria. Ti renderò perfetta in tutti i misteri di quelli dell'alto. Parla apertamente tu il cui cuore è rivolto al regno dei cieli più di tutti i tuoi fratelli» (capitolo 17).
Questo passo del capitolo 17 mostra una donna che si erge a protagonista all'interno dell'opera. Nei capitoli precedenti si trovano solo due riferimenti, indiretti, a figure femminili: nel capitolo 7, quando viene citata Elisabetta, a cui venne deposto in grembo lo spirito di Elia per permettere la nascita di Giovanni Battista, e nel capitolo 8, quando Gesù racconta come, sotto le spoglie dell'Arcangelo Gabriele, infuse nel grembo di sua madre terrena la prima forza, cioè il Padre. Da questo passo può iniziare un'analisi più approfondita del ruolo delle donne sia nell'economia del Pistis Sophia sia all'interno dello gnosticismo cristiano dell'epoca. L'autorità e la dignità qui riconosciute alla donna non si trovano in nessun altro scritto così antico. Per questo motivo, si può anche ipotizzare un'aperta contrapposizione dell'ambiente da cui proviene il Pistis Sophia alla Chiesa di Roma sul ruolo della donna all'interno della comunità e del culto cristiano che, all'epoca, erano retti dal monito di San Paolo: mulieres in ecclesia taceant (le donne tacciano durante l'assemblea). All'interno dell'opera, in tutti e quattro i libri gli interlocutori di Gesù sono i suoi discepoli, accompagnati da quattro discepole: Maria, madre di Gesù, Salomè, Marta e Maria Maddalena. La Madre di Gesù interviene tre volte (capitoli 59, 61, 62), Salomè altre tre volte (capitoli 54, 58 e 145) e Marta quattro (capitoli 38, 57, 73 e 80). Tuttavia, Maria Maddalena interviene, in contesti sempre molto importanti, sessantasette volte. Gesù arriva a lodarla varie volte e lei arriva persino ad intercedere presso di lui quando i discepoli non capiscono qualche passaggio (capitolo 94). All'interno del Pistis Sophia, Maria Maddalena è sposa e sacerdotessa di Gesù, e come tale simboleggia la conoscenza (gnosi).

Pistis Sophia e l'Arrogante

Dal capitolo 29 in poi, la figura centrale dell'opera diventa Pistis Sophia. Ma cosa rappresenta? A livello puramente intellettuale, questa figura rappresenta il devoto, l'iniziato, l'adepto, e quindi tutta la promanazione eonica della creazione, all'interno della quale l'anima umana, caduta dal tredicesimo eone al caos della materia, trova l'opportunità per risalire e tornare al Dio ineffabile. Tutta la vicenda del Pistis Sophia altro non è che la rappresentazione della vicenda umana: dalla creazione alla salvezza, passando per la caduta. Gesù trova Pistis Sophia nel dodicesimo eone, dove è caduta, nel caos della materia, a causa dell'inganno dell'Arrogante, un arconte del tredicesimo eone, che le mostrò una luce dal volto di leone, inducendola a seguirla. Pistis Sophia seguì la luce perché la scambiò per una luce superiore, simbolo dell'anelito umano al raggiungimento di un essere superiore. Tale rappresentazione ricorda la caduta di Pistis Sophia nel mito valentiniano, che cade negli abissi a causa del suo anelito egoistico di ricerca del Padre ineffabile e prende il nome di ‘'Prunico'’, la lasciva.

Bibliografia

Voci correlate

Il mito di Sophia

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Sophia (in greco Σοφία, "sapienza") è un concetto filosofico e religioso comune sia allo gnosticismo, di scuola alessandrina o di scuola siriana, sia all'ebraismo, sia al cristianesimo. Essa assume il significato, in base al sistema al quale si applica, di Sapienza divina o parte femminile di Dio. A volte ci si riferisce a lei con l'equivalente ebreo di Achamoth (caratteristica della versione di Tolomeo del mito gnostico valentiniano).

Sophia nello gnosticismo cristiano

Per gli gnostici cristiani, Sophia è un elemento centrale per la comprensione cosmologica dell'Universo. Sophia è la componente femminile di Dio, e coincide con lo Spirito Santo della Trinità. Ella è, pertanto, al tempo stesso Sorella e Sposa di Cristo poiché, così come Cristo, Ella viene da Dio [Dio inteso dunque come Padre e come Madre al tempo stesso, poiché Origine e Generatore dei due principi, maschile (Cristo) e femminile (Sophia)]. Sophia risiede in tutti noi sotto forma di Scintilla Divina e Cristo fu inviato sulla terra per accendere la scintilla divina (pneuma o gnosi) che è nell'uomo, risvegliandolo dagli inganni del mondo e del Demiurgo.
Nella tradizione gnostica, il nome Sophia è, assieme a quello di Cristo, attribuito all'ultima emanazione di Dio. Nella maggior parte, se non in tutte le versioni della religione gnostica, Sophia provoca un'instabilità nel Pleroma, contribuendo alla creazione della materia. Il dramma della redenzione di Sophia attraverso Cristo o il Logos è il dramma centrale dell'universo.
Pressoché tutti i sistemi gnostici del tipo siriano o egiziano insegnavano che l'universo ebbe inizio da un Dio originario, inconoscibile, definito come Padre o Bythos o Monade. Esso può essere associato anche al concetto di Logos dello stoicismo, o dell'esoterismo, o a termini teosofici come Ain Sof nella Qabbalah o Brahma nell'Induismo. Nello gnosticismo cristiano era noto come il Primo Eone. Da questo inizio unitario, l'Uno emanò spontaneamente altri Eoni, entità accoppiate, in una sequenza di potenza sempre inferiore. L'ultima di queste coppie fu quella formata da Sophia e Cristo. Gli Eoni, tutti insieme, costituivano il Pleroma, o la pienezza, di Dio, e così non dovrebbero essere visti come entità diverse da Lui, ma come astrazioni simboliche della natura divina.

Sophia nei codici di Nag Hammadi

Nei codici di Nag Hammadi, Sophia è la sizigia di Gesù Cristo (essendo stata coemanata con lui, forma un'unità con Cristo), ed è identificata nello Spirito Santo della Trinità. Nel testo "Sull'Origine del Mondo", Sophia è dipinta come Colei che generò senza la sua controparte maschile. In questo modo venne originato il Demiurgo (Satana), ovvero il Dio ebraico Yahweh (anche noto come YaldabaothSamael), creatore di tutto l'universo materiale e dio minore malvagio, poiché appunto Sophia lo generò senza la sua sizigia Gesù Cristo, tentando di aprire una breccia nella barriera tra lei e l'inconoscibile Bythos. Nella creazione del mondo materiale ad opera Demiurgo però, Sophia riuscì ad infondere la sua Scintilla Divina (pneuma) nella materia, impermeando dunque il creato della sua Divinità (Divinità dunque presente nel cosmo e quindi in tutte le forme di vita sotto forma di anima), e rovinando i piani del Demiurgo. Riaccendendo la scintilla divina che è in lui infatti, l'uomo si risveglia dagli inganni del Demiurgo e del mondo materiale, e accede alla Verità oltre la realtà materiale. Cristo giunse sulla terra proprio al fine di risvegliare negli uomini la loro divinità (la Sophia che è in loro).
Inoltre Sophia è dipinta anche come Colei che distruggerà Satana/Yaldabaoth/Yahweh e questo universo di materia con tutti i suoi Cieli. In seguito in "Sull'Origine del Mondo", si dice:
"Ella [Sophia] li getterà giù nell'abisso. Loro (gli arconti) saranno perduti a causa della loro cattiveria. Diverranno come vulcani e si consumeranno l'un l'altro finché non periranno per mano del primo genitore. Quando questi li avrà distrutti, si rivolgerà contro se stesso e si distruggerà finché non cesserà di esistere.
Ed i loro cieli precipiteranno uno sull'altro e le loro schiere saranno consumate dal fuoco. Anche i loro reami eterni saranno rovesciati. Ed il suo cielo precipiterà e si spezzerà in due. [...] essi precipiteranno nell'abisso, e l'abisso sarà rovesciato.
La luce vincerà sull'oscurità e sarà come qualcosa che mai fu prima."

Caduta e redenzione di Sophia

L'angoscia e la paura di Sophia di perdere la vita (proprio come perse la luce dell'Uno), le provocarono confusione e brama di tornare a lui. A causa di questa brama, la materia (greco: hyle) e l'anima (greco: psykhe) accidentalmente ebbero esistenza attraverso i quattro elementi: fuocoacquaterra, ed aria. Anche la creazione del Demiurgo dalla testa leonina fu un errore perpetrato durante questo esilio. Secondo alcune fonti gnostiche, esso fu il prodotto di Sophia che tentò di emanare da sola, senza la sua controparte maschile. Il Demiurgo procedette, poi, nella creazione del mondo fisico nel quale viviamo, ignorante di Sophia, che, comunque, riuscì ad infondere alcune scintille spirituali o pneuma nella creazione del Demiurgo.
Dopo questi avvenimenti, il Redentore (Cristo) ritornò e le permise di vedere nuovamente la luce, riportandola a conoscenza dello spirito. Cristo fu poi inviato sulla terra in forma di uomo, Gesù, per dare agli uomini la gnosis di cui avevano bisogno per liberarsi dal mondo materiale e ritornare al mondo spirituale. Si noti che, nello gnosticismo, la storia Evangelica di Gesù è essa stessa allegorica: egli non è un essere vivente in un contesto storico, ma il Mistero Esterno usato come introduzione alla gnosis.

Sophia nel giudaismo e nel cristianesimo non gnostici

Giudaismo

Anche se la "Divina Sophia" è centrale in molti movimenti gnostici, essa non è una figura esclusiva dello gnosticismo. Sophia come "Sapienza di Dio" (Chokmah in ebraico) appare nella Bibbia nel libro dei Proverbi (in particolare 8.22-31 in cui Sophia parla come se fosse un'entità a sé stante) così come in alcuni Salmi, nei libri deuterocanonici del Siracide e della Sapienza di Salomone e nel Nuovo Testamento. Nel giudaismo Sophia corrisponde alla Shekinah, "la Gloria di Dio", una figura che ha un ruolo chiave nella cosmologia cabalistica come espressione dell'aspetto femminile di Dio. Come la Sophia gnostica, la Shekinah riveste un duplice ruolo, siede a fianco di Dio, ma viene anche esiliata nel mondo della materia, il Malkuth.

Cristianesimo Ortodosso Russo

In un certo periodo, nella Chiesa Ortodossa russa, Sophia fu individuata da alcuni teologi come una figura chiave per la comprensione della Divinità. Tra questo i più famosi furono Vladimir Solov'ëvPavel Aleksandrovič FlorenskijNikolaj Berdjaev e Sergej Nikolajevič Bulgakov, il cui libro Sophia: La Saggezza di Dio rappresenta l'apoteosi della Sophiologia. La sua opera fu, però, denunciata dalle autorità ortodosse russe come eretica. Per Bulgakov, Sophia era sullo stesso piano della Trinità, operando come parte Femminile di Dio di concerto con i tre principi Maschili del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, naturalmente, in contrasto con il punto di vista ufficiale della Chiesa Ortodossa Orientale, che affermava che Sophia era la stessa persona del Figlio (riferito al femminile nel Vecchio Testamento perché "Sophia" in greco è un termine femminile) che si incarnò in Gesù Cristo.

Chiesa cattolica e chiese riformate

Nella Chiesa cattolica, la figura di Sophia venne dimenticata finché Santa Ildegarda di Bingen non raccontò di averne avuto una visione e la celebrò come figura cosmica sia nei suoi scritti che nella sua arte, raffigurandola con indosso una tunica dorata ornata di gemme preziose. Nell'ambito della tradizione protestante inglese del XVII secolo, la mistica e teosofa fondatrice della Società di FiladelfiaJane Leade, scrisse copiose descrizioni delle sue visioni e dei suoi dialoghi con la 'Vergine Sophia' che, sostenne, le rivelò il lavorio spirituale dell'Universo. Leade era smisuratamente influenzata dagli scritti teosofici di Jakob Böhme, che, al pari di lei, parlò di Sophia in opere come la Via per Cristo[1].
Alcuni commentatori ritengono che Colei che viene identificata dai cattolici come la Vergine Maria sia in realtà Sophia (recentemente, Francesco Di Marino in "La mia ricerca di Dio"). Il culto della Vergine Maria infatti è tale che ella viene venerata quasi quale Divinità ella stessa, ponendo la sua considerazione al pari di quella di Dio o identificando ella stessa con Dio. È però Sophia una figura femminile di assoluta origine divina, espressa in ogni creatura, nel mondo naturale e, per alcuni dei mistici sopra menzionati, parte integrante del benessere spirituale dell'umanità e della Chiesa. Sophia intesa come Dea Madre, ovvero come la manifestazione materna di Dio. La Madre di Gesù invece, rimane come figura molto riduttiva rispetto a quella di Sophia, essendo al di fuori della Creazione e di origine pur sempre umana, sebbene interceda compassionevolmente a favore dell'umanità per alleviare le sue sofferenze.

Conclusioni

La differenza principale tra l'idea gnostica di Sophia e quella delle chiese stabilite è che per le seconde, essa non è precipitata e non ha bisogno di redenzione. Inoltre, per il cristianesimo non è affatto una figura centrale quanto lo è per gli gnostici. In verità, se si eccettuano i mistici ed i teologi sopra menzionati, in molti movimenti cristiani non è assolutamente una delle figure maggiori, specialmente nelle Chiese Occidentali (Cattolicesimo, Luteranesimo ecc). Nelle tradizioni degli Ortodossi orientali, viene venerata in misura superiore, ma, nella maggior parte dei casi, rimane una figura incompresa e sottorappresentata.

Note

  1. ^ The Way to Christ è il titolo di una raccolta di opere di Böhme, tradotte in inglese e pubblicate da William Law nel XVIII secolo.

Bibliografia

  • Caitlin Matthews, Sophia: Goddess of Wisdom (London: Mandala, 1991) ISBN 0044405901
  • Brenda Meehan, ‘Wisdom/Sophia, Russian identity, and Western feminist theology', Cross Currents, 46(2), 1996, pp149–168
  • Thomas Schipflinger, Sophia-Maria (in tedesco: 1988; traduzione ingleseYork BeachME: Samuel Wiser, 1998) ISBN 1578630223
  • Arthur Versluis, Theosophia: hidden dimensions of Christianity (HudsonNY: Lindisfarne Press, 1994) ISBN 0940262649
  • Arthur Versluis, Wisdom's children: a Christian esoteric tradition (Albany, NY: SUNY Press, 1999) ISBN 0791443302
  • Arthur Versluis (ed.) Wisdom's book: the Sophia anthology (St.Paul, Min: Paragon House, 2000) ISBN 1557787832

Voci correlate

Letteratura Gnostica

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La letteratura gnostica è il corpus dei testi che esprimono il pensiero dello gnosticismo. Nel periodo tra i secc. II-IV secolo d.C. gli gnostici svilupparono una notevole attività letteraria, che superò la contemporanea produzione letteraria cristiana delle origini. Per questo motivo si può affermare che i tre quarti degli antichi scritti cristiani su Cristo ed i Suoi discepoli derivavano da ambiti gnostici. Furono prodotte opere narrative, trattati "teosofici" e opere a carattere rivelatorio intrise di misticismo. Lo studio della letteratura gnostica è della massima importanza per capire il contesto nel quale si sviluppò l'elaborazione teologica cristiana. La maggior parte della produzione gnostica è tuttavia scomparsa. Con l'eccezione di alcune traduzioni copte ed alcune versioni siriache rivedute, possediamo solamente un limitato numero di frammenti di quello che un tempo dovette formare una grande biblioteca.
Per secoli, la conoscenza delle dottrine gnostiche si è basata quasi esclusivamente sulle citazioni, spesso incomplete e parziali, di scrittori cristiani non gnostici come Ippolito di RomaIreneo di LioneClemente Alessandrino e Origene di Alessandria, che riportavano il pensiero degli gnostici con l'intenzione di confutarlo. La fondamentale scoperta dei manoscritti di Nag Hammadi, avvenuta nel 1945, ha consentito finalmente l'accesso alle fonti originali del pensiero gnostico. Esistono infine raccolte di frammenti (principalmente quelli provenienti da Ossirinco in Egitto) che contengono altri testi, per la loro natura sono spesso incompleti. Hanno tuttavia trovato grande utilità nel raffronto con gli scritti di Nag Hammadi.

Il corpus

Nel corpus letterario dei nicolaiti esistevano i "libri di Jaldabaoth", un libro chiamato "Nôria" (la mitica moglie di Noè), la profezia di Barcabbas, che per i Basilidiani era un indovino, un "Vangelo del Completamento" (Vangelo di Basilide), e un'opera in stile apocalittico chiamata "Vangelo di Eva" (Epifanio di SalaminaPanarion adversus omnes haereres, XXV, XXVI; Filastro, 33).
Gli Ofiti utilizzavano, secondo Epifanio, "migliaia" di apocrifi; fra questi egli ricordò specialmente: "Domande di Maria, grandi e piccole" (alcune di queste, forse, si trovano nel Pistis Sophia), molti libri dedicati a "Seth", l'Apocalisse di Adamo, vari vangeli apocrifi attribuiti agli Apostoli, una Apocalisse di Elia, ed un libro chiamato "Genna Marias".
Cainiti leggevano un "Vangelo di Giuda", un'"Ascensione di Paolo" (anabatikon Paulou) ed altri libri di cui non conosciamo il titolo.
Prodiciani, secondo Clemente Alessandrino, usavano apocrifi dedicati a Zaratustra (Strom., I, XV, 69).
Naaseni utilizzavano un libro, spesso citato da Ippolito ma il cui titolo è sconosciuto, che conteneva un commentario su testi della Bibbia, inni, e salmi.
Perati avevano un libro simile. I Sethiani leggevano un Paraphrasis Seth, consistente in sette libri ed esplicativo del loro sistema, un libro chiamato Allogenes ("Stranieri"), una "Apocalisse di Adamo", un libro ha attribuito a Mosè, ed altri.
Gli Arcontici usavano un libro intitolato "Symphonia".

Opere di attribuzione gnostica

Oltre a questi scritti, i seguenti apocrifi sono di chiara attribuzione gnostica:
Il Vangelo dei Dodici, che fu citato per la prima volta da Origene di Alessandria (Hom. I, in Luc.), è identico al Vangelo degli Ebioniti ed è chiamato anche il Vangelo dello pseudo-Matteo, perché in lui Cristo si riferisce a Matteo in seconda persona, e l'autore parla degli altri apostoli e di se stesso come "noi". Questo vangelo fu scritto prima del 200, e non ha collegamenti col cosiddetto Vangelo degli Ebrei.
Il Vangelo copto degli Egiziani, proveniente dalla zona cristiana d'Egitto (non quella alessandrina), fu scritto intorno al 150 e fu largamente usato nei circoli non cristiani. Ne esistono solamente dei piccoli frammenti in Clemente Alessandrino (Stromata ed Excerp. ex Theod.).
Il Vangelo di Pietro fu scritto intorno al 140 ad Antiochia in Siria.
Il Vangelo di Mattia fu scritto intorno al 125 ed usato nei circoli basilidiani.
Il Vangelo secondo Filippo ed il Vangelo di Tommaso. Secondo il Pistis Sophia, i tre apostoli Matteo, Tommaso, e Filippo ricevettero il comando divino di riportare tutte rivelazioni di Cristo dopo la sua risurrezione. Il Vangelo di Tommaso dovrebbe essere stato di considerevole lunghezza (1300 righe); parte di esso, in una recensione rivista, si trova probabilmente nelle Storie dell'Infanzia di Nostro Signore, di Tommaso, un filosofo israelita, di cui esistono due versioni greche, due latine, una siriaca, ed una slavonica.




Gli Atti di Pietro (Praxis Petrou), scritto intorno al 165, di cui si sono conservati ampi frammenti nell'originale greco ed in una traduzione latina dal titolo Martirio dell'apostolo san Pietro al quale i latini aggiungono, a Lino episcopo conscriptum. Questi frammenti sono stati raggruppati da Lipsius e Bonnet negli Acta apostolorum apocriphorum (Lipsia1891, I). Sebbene queste recensioni degli "Atti di Pietro" siano state piuttosto cristianizzate, il loro carattere gnostico è inconfondibile, e sono di grande valore per la comprensione del simbolismo gnostico.
Strettamente connessi agli Atti di Pietro, sono gli Atti di Andrea e gli Atti di Giovanni, che forse hanno lo stesso autore, un certo Leucio Carino e furono scritti prima del 200. Essi si sono conservati in un certo numero di antologie cristiane ed in diverse versioni.[1]
Gli Atti di Tommaso si sono conservati nella loro interezza e contengono la descrizione dei più antichi rituali gnostici sono di importanza fondamentale per la comprensione dello gnosticismo. Ne esistono due versioni, una greca e l'altra siriaca. Sembra molto probabile, sebbene non certo, che l'originale fosse siriaco. Probabilmente furono scritti intorno al 232, quando le reliquie di Tommaso furono traslate ad Edessa. Di grandissimo valore sono le due preghiere della Consacrazione, l'Ode alla Saggezza e l'Inno dell'Anima, che si trovano nella versione siriaca e che mancano in quella greca.

Omelie Pseudo Clementine

Legati ai testi apocrifi, indubbiamente gnostici, di cui sopra, si deve parlare delle Omelie Pseudo Clementine. È vero che queste sono spesso classificate come giudaistiche e non come gnostiche, ma la loro affinità alle speculazioni gnostiche è, almeno a prima vista, così grande ed il loro collegamento col Libro di Elxai (Elcesaiti) così generalmente riconosciuta che non possono essere omesse da un elenco di scritti gnostici.

I codici Askew, Bruce e Akhmim

Un gran parte della letteratura gnostica che si è salvata dalla distruzione generale degli scritti gnostici ci è giunta in tre codici copti, conosciuti comunemente come AskewBruce, ed Akhmim.
Il Codice Askew, del V o VI secolo, contiene il lungo trattato Pistis Sophia, un lavoro in quattro libri, scritto fra il 250 ed il 300. I primi due libri descrivono la caduta dell'eone Sophia e la sua salvezza grazie all'Eone Soter, gli ultimi due libri descrivono l'origine del peccato e del male ed il bisogno del pentimento gnostico. L'opera consiste in un certo numero di domande e risposte tra Cristo ed i Suoi discepoli maschi e femmine, in cui si inseriscono cinque "Ode a Salomone", seguite da mistici adattamenti della stessa. Dato che le domande vengono principalmente poste da Maria Maddalena, il Pistis Sophia è probabilmente identico alle Domande di Maria. Il codice contiene anche estratti dal Libro del Salvatore.
Il papiro Bruce contiene due trattati:
  • i due Libri di Jeu. Il primo è speculativo e cosmogonico, il secondo pratico, descrive la sopraffazione dei poteri ostili del mondo e come assicurarsi la salvezza con la pratica di certi riti: questo secondo libro è intitolato "Dei Grandi Logos secondo il mistero."
  • Un trattato senza titolo, dato che la prima e l'ultima pagina sono andate perse. Questo lavoro è di carattere puramente speculativo e di grande antichità, scritto fra il 150 ed il 200 nei circoli sethiani o arcontici, contiene un riferimento ai profeti Marsanes, Nikotheus, e Phosilampes.
Il Codice Akhmim, del V secolo, scoperto nel 1896, e conservato al Museo Egizio di Berlino, contiene

Scritti gnostici non cristiani[modifica | modifica wikitesto]

Lo gnosticismo orientale non Cristiano ci ha lasciato I libri sacri dei Mandei:
  • il Genzâ rabâ o "Grande Tesoro", una raccolta di trattati risalenti a diverse epoche, alcuni più tardi, del IX secolo, altri precedenti, forse del III secolo.
  • il Kolasta, Inni ed Istruzioni sul battesimo e sul viaggio dell'anima.
  • il Drâshê d'Jahya, una biografia di San Giovanni Battista ab utero usque ad tumulum.
Lo gnosticismo Alessandrino non cristiano è percepibile nella letteratura Trismegistica. Lo gnosticismo giudaico non lasciò scritti, ma le sue speculazioni riecheggiano in molte opere giudaiche, quali il Libro di Enoch, il Zohar ed il trattato Talmudico Chagiga XV.

Refutazione dello gnosticismo

Paolo di Tarso

Giustino e i primi antignostici[modifica | modifica wikitesto]Fin dall'inizio lo gnosticismo si scontrò con l'opposizione più decisa dalla Chiesa cristiana. Le ultime parole di Paolo di Tarso nella Prima lettera a Timoteo si pensa siano riferite allo gnosticismo. Molto probabilmente anche l'uso che Paolo fa dei termini pleroma, eone di questo mondo, arconte del potere dell'aria, in Efesini e Colossesi è stato suggerito dall'abuso di questi termini da parte degli gnostici.
Il primo scrittore antignostico della Chiesa fu Giustino (morto intorno al 165). Il suo Syntagma (Syntagma kata pason ton gegenemenon aireseon), a lungo pensato perduto, è contenuto sostanzialmente nel Libellus adversus omnes haeres, di solito allegato al De Praescriptione di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano. Del trattato antignostico di San Giustino sulla Risurrezione (Perianastaseos) esistono considerevoli frammenti nel "Trattato sulla Risurrezione" di Metodio di Olimpo e nei Sacra Parallela di Giovanni Damasceno. Il Compendium contro Marcione, citato da Ireneo (IV, vi, 2; V, xxvi, 2), probabilmente coincide col Syntagma.
Immediatamente dopo Giustino, Tertulliano ed Ippolito (Adv. Valent., v, ed Eus., H.E., V., xxviii, 4) citano, come oppositore degli gnostici e specialmente dei Valentiniani, Milziade, un filosofo cristiano dell'Asia Minore. I suoi scritti sono però andati persi. San Teofilo di Antiochia (morto intorno al 185) scrisse contro l'eresia di Ermogene, ed un eccellente trattato contro Marcione (kata Markionos Logos). Il libro contro Marcione è probabilmente contenuto nel Dialogus de rectâ in Deum fide dello pseudo Origene. Egesippo, un palestinese, viaggiò sulla via da Corinto a Roma, dove arrivò durante il regno di papa Aniceto (155-166), per accertare il suono e la fede ortodossa della tradizione Apostolica. Sulla strada incontrò molti vescovi e tutti gli trasmisero la stessa fede. A Roma redasse un elenco dei papi da Pietro ad Aniceto. In seguito scrisse cinque libri di Memorie (Upomnemata) "nello stile più semplice, riportando la vera tradizione della dottrina Apostolica", divenendo "un campione della verità contro le eresie senza Dio" (Eus., H.E., IV, vii sqq., xxi sqq.). Di questo lavoro restano solamente alcuni frammenti, e questi sono storici piuttosto che teologici. Anche Rodone, un discepolo di Tatiano, Filippo, vescovo di Gortyna a Creta, ed un certo Modesto scrissero contro Marcione, ma le loro opere sono perse. Ireneo (Adv., Haer., I, xv 6) ed Epifanio (xxxiv, 11) citano un corto poema contro il Valentinianismo Orientale ed il congiuratore Marco di "un anziano", ma ignoto, autore. Anche di Zaccheo, vescovo di Cesarea marittima, si dice che abbia scritto contro i Valentiniani, e specialmente contro Tolomeo.

Ireneo di LioneClemente Alessandrino e Origene Adamantio

Il più importante lavoro anti-gnostico è l'opera di Ireneo, Elegchos kai anatrope tes psudonymou gnoseos, solitamente conosciuto come Adversus Haereses. Consiste di cinque libri, evidentemente non scritti di getto; i primi tre libri intorno al 180, gli ultimi due una dozzina di anni più tardi. La maggior parte del primo libro ci è giunta nel greco originale, il resto in una traduzione latina molto antica ed alcuni frammenti in siriaco. Ireneo conobbe gli gnostici di persona e attraverso le loro scritture, pertanto fu in grado di fornire descrizioni minute dei loro sistemi, specialmente dei Valentiniani e dei Barbelognostici. Oltre al suo grande lavoro, Ireneo scrisse anche una lettera aperta al prete romano Florino che meditava di diventare Valentiniano; e quando lo sfortunato prete cadde nell'apostasia, Ireneo scrisse sul suo conto un trattato "Sull'Ogdoad", ed una lettera a papa Vittore I, implorandolo di usare la sua autorità contro lui. Esistono solamente alcuni passaggi di questi scritti.
Clemente Alessandrino (morto intorno al 215) combatté lo gnosticismo indirettamente, difendendo la vera gnosis cristiana, specialmente col Paedagogos, Libro I, lo Stromateis, Libri II, III, V e col cosiddetto ottavo libro o Excerpta ex Theodoto.
Origene non dedicò il suo lavoro esclusivamente alla confutazione dello gnosticismo ma i suoi quattro libri "Sui primi Principi" (Peri archon), scritti intorno all'anno 230, e conservati solamente in alcuni frammenti greci ed una traduzione libera latina di Rufino, sono praticamente una confutazione del dualismo gnostico, del docetismo, e dell'emanazionismo. Intorno all'anno 300 un ignoto autore siriano, qualche volta erroneamente identificato con Origene, e spesso chiamato con lo pseudonimo letterario di Adamantius, o "Uomo d'Acciaio", scrisse un lungo dialogo, del quale si è perso il titolo, ma che è solitamente individuato dalle parole De rectâ in Deum fide. Questo dialogo, di solito diviso in cinque libri, contiene discussioni con i rappresentanti di due sette Marcionite, di un Valentiniano e di un seguace di Bardesane. Lo scrittore plagia ampiamente Teofilo di Antiochia e Metodio di Olimpo, specialmente il dialogo antignostico dell'ultimo "Sul Libero Arbitrio" (Peri tou autexousiou).

Tertulliano e Ippolito di Roma

Il più grande controversialista anti-gnostico della Chiesa cristiana dei primordi fu Tertulliano (nato 169) che dedicò praticamente tutta la sua vita a combattere lo Gnosticismo. C'e appena bisogno di ricordare i titoli dei suoi lavori antignostici: De Praescriptione haereticorumAdversus MarcionemAdversus ValentinianosScorpiaceDe Carne ChristiDe Resurrectione Carnis e, infine Adversus Praxeam.
Il grande lavoro di Ippolito, una volta chiamato Philosophoumena, scritto qualche tempo dopo il 234 e inizialmente attributo ad Origene, ma dopo la scoperta di Libri IV-X, nel 1842, conosciuto col nome del suo vero autore e con il suo vero titolo, "Confutazione di tutte le Eresie" (katapason aireseon elegchos), è una raccolta di informazioni piuttosto che una confutazione. Ippolito intese dimostrare come ogni gnosticismo derivasse dalla filosofia pagana; il valore della sua opera, però, non risiede nelle sue argomentazioni. Ippolito era in possesso di un gran numero di scritti gnostici, dai quali prendeva citazioni: sono le sue informazioni su tali scritti che fanno acquisire un valore inestimabile alla sua opera. Poiché scrisse quasi cinquanta anni dopo Ireneo, di cui fu discepolo, Ippolito descrisse uno sviluppo più tardo della gnosi rispetto a quello studiato dal vescovo di Lione. Oltre al suo più grande lavoro, Ippolito scrisse, molti anni prima (prima del 217), un piccolo compendio contro tutte le eresie, dandone un elenco, composto da trentadue elementi, da Dositeo a Noeto ed un trattato contro Marcione.

Tardi lavori di confutazione

Poiché, dall'inizio del IV secolo, lo gnosticismo era in rapida decadenza, c'era meno bisogno di campioni dell'ortodossia, da cui un lungo intervallo tra il dialogo di Adamantius ed il Panarion di Epifanio di Salamina, cominciato nel 374. Epifanio, che durante la sua gioventù ebbe stretti contatti con le sette gnostiche egiziane, specialmente i Fibioniti, e forse, come sostiene qualcuno, appartenne a questa setta, è un'autorità di prima categoria. Questi raccolse informazioni da tutti i fronti con somma industriosità.
Filastrio vescovo di Brescia, alcuni anni più tardi (383), diede alla Chiesa latina quello che Epifanio aveva dato ai greci. Contò e descrisse non meno di centoventotto eresie, ma prese la parola in senso piuttosto largo e vago. Sebbene dipendente dal Syntagma di Ippolito di Roma, il suo conteggio è completamente indipendente da quello di Epifanio.
Un altro scrittore latino che probabilmente visse a metà del V secolo in Gallia Meridionale e che probabilmente coincide con Arnobio il giovane, lasciò un lavoro, comunemente chiamato Praedestinatus, consistente in tre libri. Nel primo egli descrisse novanta eresie, da Simon Mago ai predestinazionisti. Questo lavoro, sfortunatamente, contiene molte affermazioni dubbie e favolose. Qualche tempo dopo il Concilio di Calcedonia (451Teodoreto di Cirroscrisse un "Compendio di Favole Eretiche" che è di considerevole valore per la storia dello gnosticismo, perché contiene in maniera molto concisa ed obiettiva la storia delle eresie fin dai tempi di Simon Mago. Il libro di Agostino d'Ippona De Haeresibus (scritto intorno al 428) è troppo influenzato da Filastrio ed Epifanio per essere di qualche valore.

Note

  1. ^ Per gli Atti di Andrea si veda Bonnet, Acta (1898), II, 1, pp. 1-127; per gli Atti di Giovanni, ibidem, pagine 151-216.

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Voci correlate