Quando l'Italia entrò in guerra, il 10 giugno 1940, Diana Orsini era di nuovo incinta, e questa gravidanza era stata accolta con grande entusiasmo da suo marito, Ettore Ricci, assolutamente convinto che senza alcun dubbio, questa volta, sarebbe nato un maschio.
Diana era invece molto provata dalle nausee, dalle continue e sempre più forti emicranie, in concomitanza con quello che all'epoca veniva definito "un lieve esaurimento nervoso", che si trascinava però da troppo tempo. Era iniziato subito dopo il primo parto e da allora aveva sofferto di insonnia, debolezza, apatia e umore malinconico.Mentre ascoltava alla radio, col resto della famiglia, il discorso del Duce, ebbe una reazione paradossale, che a volte si manifesta nei disperati, e che si può sintetizzare con la formula del "mal comune mezzo gaudio", perché se l'apocalisse generale incombe, il proprio fallimento esistenziale appare meno angoscioso, e se la fine è prossima, allora finirà anche la sofferenza.
Era un discorso assurdo e cinico, e una parte di Diana, quella razionale, se ne rendeva conto, eppure non c'era modo di nascondere a se stessa le emozioni che provava in quel momento, che le ricordava il brivido eccitante di un temporale estivo che poneva fine ad una calura insopportabile.
E così, mentre gli uomini già discutevano sulla necessità di rivolgersi alla signorina De Toschi per evitare di essere chiamati alle armi, e le donne si chiedevano quali regali avrebbero dovuto fare alla suddetta Signorina in cambio delle sue cortesie, Diana mantenne un contegno distaccato.
Sedeva in silenzio nel divano del Salotto Liberty, tra i suoi genitori.
La piccola Margherita era stata appena portata a dormire di sopra dalla governante Ida Braghiri, la cui temporanea assenza permetteva agli Orsini di comunicare, seppur sottovoce, senza il timore di essere spiati.
Il Conte Achille, che negli ultimi mesi, intuendo le contraddizioni e i punti deboli dei discorsi e delle fanfaronate da miles gloriosus del vecchio De Toschi, che si vantava di essere amico personale del generale Rommel e del maresciallo Badoglio, si era reso conto che l'Italia non era affatto pronta ad affrontare un conflitto di quella portata, sussurrò, come parlando a se stesso: <<Sarà un'ecatombe>>
Diana, che era stata l'unica ad averlo udito, era dello stesso parere, ma la sua risposta, bisbigliata sottovoce, risultò allarmante agli orecchi del Conte.
<<Molti perderanno la vita. Persone che amano la vita, che preferirebbero rimanere nelle loro case, con le loro famiglie, in pace. Ma per me la vita vale poco. Se fossi un maschio mi arruolerei per farmi ammazzare in un'azione eroica, e porre fine gloriosamente a un'esistenza insopportabile. Dico sul serio... sarebbe un'ottima soluzione...>>
Mentre da fuori si sentivano le voci della gente accorsa per le strade, il Conte Orsini divenne improvvisamente consapevole dell'entità del male che aveva fatto a sua figlia, costringendola a sposare un uomo del tutto incompatibile con lei.
<<Non credere che la morte si fermerà al confine del Regno, e tanto meno a quello della nostra Contea. Ho come il presentimento che varcherà queste stesse mura, e allora credimi se ti dirò che anche tu avrai paura di morire>>
Diana soppesò quella risposa:
<<Temo le violenze, le ferite, il dolore... questo sì. Ma non la morte>>
Il Conte sospirò:
<<Ma non pensi ai tuoi figli?>>
Diana annuì:
<<Ci penso sempre. Penso al giorno in cui dovrò chiedergli scusa per averli fatti nascere in un mondo come questo. Ed ora penso alla vita che ho in grembo, e al fatto che verrà al mondo nel mezzo di una guerra. A questa creatura dovrò chiedere scusa due volte, perché nascerà nel dolore, e i suoi primi ricordi saranno quelli di un mondo feroce, in una guerra senza speranza>>
Suo padre rimase senza parole, perché vedeva calare un'ombra sulla sua discendenza, ed era l'ombra della fine di una lunga estate.
Fino a quel momento era stato fermamente convinto, anche nei momenti più disperati, che le cose fossero fatte per durare, nella sua Contea, e che ci sarebbe stato sempre un Orsini a Villa Orsini.
Ma all'improvviso quella certezza granitica andò in frantumi come un fragile cristallo.
La dichiarazione di guerra, prima, e le parole assurde di sua figlia, dopo, avevano operato in lui come una sorta di esorcismo, liberandolo da una specie di maleficio che per decenni gli aveva impedito di vedere ciò che accadeva realmente intorno a lui.
Osservò i suoi familiari e fu come se li vedesse per la prima volta.
Vedeva l'alcolismo di sua moglie, la fatuità ingenua di suo figlio Arturo che era l'unico a desiderare di essere arruolato per poter compiere imprese eroiche, il sentimentalismo di Isabella, seduta nel divano a confidare segreti amorosi alla sorella Ginevra, anche lei incinta e divorata dalla gelosia ossessiva nei confronti del marito, il giudice De Gubernatis, e infine la fragilità di Diana, che quasi certamente si sarebbe trasmessa alla prole, e nella sua mente un pensiero sovrastò tutti gli altri, mettendo da parte persino i destini della Patria.
"E' la fine della dinastia" pensò "Entro due generazioni, tre al massimo, saremo estinti. E il sacrificio di Diana sarà stato inutile".
Rivolse la propria attenzione al genero, curioso di vedere come se la sarebbe cavata, ora che le cose si facevano dure, l'uomo che di fatto lo aveva spodestato, lasciandogli soltanto l'apparenza di ciò che un tempo era stato suo.
Ettore Ricci, in piedi, tra suo fratello, suo cognato e le sue sorelle stava riflettendo, con la stessa espressione da volpe che gli si disegnava in viso tutte le volte che c'era un grosso affare in ballo e anche solo una vaga possibilità di guadagnarci qualcosa.
La pensava, su questo punto, allo stesso modo di un personaggio di cui non avrebbe condiviso quasi niente, e cioè Mao Tze-tung, uno dei cui motti era "c'è grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente".
Eccellente per guadagnare e conquistare potere e prestigio: "il caos è una scala" per gli arrampicatori sociali.
Aveva mille idee per sfruttare quella situazione a proprio vantaggio, e in quel momento appariva persino più alto e più minaccioso.
Diana lo guardava e sembrava leggergli nel pensiero.
Si chiese se Ettore si sarebbe mai sentito sazio di ricchezza, potere e prestigio, oppure se avrebbe inseguito questa sua ossessione fino ad autodistruggersi.
Lei sapeva che il sogno di suo marito era fondare una dinastia eterna, che avesse avuto il suo centro in quella Villa che era per lui come il simbolo del successo.
Diana invece temeva il contrario: quella Villa intorno a cui voleva creare un regno millenario avrebbe finito per consumare presto sia lui che i suoi discendenti, per una ragione nota a chi, come lei, conosceva la mitologia classica:"A volte gli dei, per punirci della nostra tracotanza, fanno sì che i nostri sogni si realizzino, e poi ci tolgono tutto sul più bello, per ricordarci che anche la persona più forte è comunque sempre e soltanto un mortale"
Il suo sguardo poi tornò di nuovo su suo padre, il Conte scontato, e per la prima volta lo mise a confronto con Ettore, il contadino rifatto. Due uomini opposti, che si disprezzavano a vicenda e le cui vite si erano incrociate per uno strano gioco del caso.
E lei che stava tra loro, nel punto di intersezione delle loro vite, portando dentro di sé una nuova vita che avrebbe dovuto fare i conti per sempre con questi antenati così inconciliabili tra loro, destinati a prolungare il conflitto tra opposte personalità anche nei loro discendenti.
"La guerra è fuori e dentro di me. E' ovunque, è insita nella vita stessa. Nessuno si può chiamare fuori. Nessuno è al sicuro. Mai".
La voce di sua madre la distolse da quei pensieri:
<<Proprio adesso che avevamo risolto i nostri problemi! Adesso chi avrà più voglia di venire ai miei ricevimenti? Anche solo per rispetto alla memoria di mio fratello...
Ma dico io? La Grande Guerra non doveva essere l'ultima? Quella che poneva fine a tutte le altre?
E invece siamo da capo. E non si sa quanto durerà.
Ditemi voi come si può sopportare una cosa del genere?>>
Diana rispose con voce leggermente derisoria:
<<Ma il problema è la guerra o sono i ricevimenti che non potrai fare?>>
La contessa Emilia guardò la figlia come se si chiedesse se fosse davvero sangue del suo sangue:
<<Il problema è che dovremo cambiare vita. E io non so come si fa>>
Diana rispose con voce atona:
<<Si fa... si fa e basta>>
La Contessa le lanciò un'occhiata di rimprovero:
<<Tu credi di sapere tutto, vero?>>
Diana strinse le spalle:
<<So che si può sopravvivere, anche solo per inerzia, persino quando si fa di tutto per autodistruggersi>>
E con un cenno del viso indicò la bottiglia di Cabernet-Sauvignon mezza vuota.
La madre sospirò:
<<Ognuno porta la croce a modo suo. Ma la verità è che tu non hai perdonato me e tuo padre per la questione del matrimonio. E' per questo che sei diventata così cinica>>
La figlia scosse il capo:
<<No, ti sbagli. Io vi ho perdonati. E' me stessa che non riesco a perdonare. Mi è sempre mancato il coraggio per essere coerente con le mie parole e con i miei pensieri. Se fossi stata coerente e coraggiosa mi sarei uccisa prima del mio matrimonio. Ma io quel coraggio non ce l'ho. Ho paura del dolore, dell'atto in sé... ma stai tranquilla, chi parla di queste cose non le fa. Bisogna stare attenti a chi ci pensa in silenzio>>
Isabella aveva ascoltato quelle ultime parole, e si rabbuiò.
In quel momento, per puro caso, si rabbuiò anche il cielo, e i colori del Salotto Liberty divennero all'improvviso cupi e lividi.
Tutti guardarono fuori dalla finestra, scorgendo, tra i rami degli alberi del giardino, nubi nere portate da un forte vento di tramontana, e rabbrividirono, forse non solo per il freddo improvviso.
La tempesta era arrivata all'improvviso, e già pareva a Diana meno gradevole dei temporali estivi a lei tanto cari. Tutte le sue letture bibliche si risvegliarono in un istante, e mentre fuori tuonava, la sua mente era percorsa da pensieri oracolari intrisi di simbolismo, a metà strada tra la cupio dissolvi e un involontario e fragile segnale di speranza:
"Si apriranno le cateratte del cielo. Una dura pioggia cadrà. Grandine e alluvione. Fino a che non verrà l'Angelo Sterminatore e si aprirà il Settimo Sigillo, e suoneranno le Trombe del Giudizio, e sapremo chi saranno i sommersi e i salvati, la semina dell'avvenire"