lunedì 13 giugno 2016

10 miti da sfatare sulle emozioni



Nella nostra società esistono diverse convinzioni sulle emozioni ma molti di questi ‘falsi miti’ ci fanno sentire peggio. Sfatiamo alcuni miti sulle emozioni:
1. Se reprimo le mie emozioni, spariscono
Questo è un falso mito: Se le reprimiamo le emozioni restano dentro il nostro corpo. Invece di gestire quello che sentiamo, infatti, accumuliamo le emozioni fino al momento in cui scoppiamo. O molto peggio: le blocchiamo così tanto che si convertono in blocchi fisici o malattie. Esempio: il nostro corpo si trasforma in una pentola a pressione in cui teniamo prigioniere le emozioni. È importante lasciarle uscire e esprimere quello che sentiamo.
2. Esistono emozioni positive e negative
Questo è un falso mito: Nonostante molti autori le classifichino in questo modo, in realtà tutte le emozioni che sentiamo sono adattabili. Che vuol dire? Che grazie a tutte le emozioni che proviamo esistiamo ancora come specie. Esempio: Se entrasse in questo momento un leone nella tua stanza, che faresti? Ti nasconderesti o rimarresti fermo o saliresti sul tavolo. Tutte queste reazioni, come la paura, servono a proteggere la nostra vita. Sicuramente alcune sono più gradevoli che altre, però l’obiettivo finale delle nostre emozioni è la nostra sopravvivenza.
3. Mostrare le emozioni vuol dire essere deboli
Questo è un falso mito: Durante le varie epoche, a seconda delle culture, le emozioni sono state un tabù, qualcosa che non si poteva mostrare perché era segnale di debolezza. Quest’affermazione, più che un falso mito in sé, è un messaggio che ci hanno trasmesso generazione dopo generazione. Esempio: Se piangiamo perché siamo tristi non vuol dire che siamo deboli ma solamente che abbiamo intelligenza emozionale. Allo stesso modo, ora sappiamo che mostrare le nostre emozioni è una necessità per l’essere umano perché fa parte della capacità d’espressione che tutti abbiamo. Quando impediscono o impediamo a noi stessi di esprimere le emozioni, questo ci fa sentire molto male. In realtà la nostra forza è nella nostra vulnerabilità, ossia nella capacità di mostrarci per quello che siamo e nell’accettare noi stessi.
4. Occhio non vede, cuore non duole
Questo è un falso mito: Anche se facciamo finta di non vedere, in realtà vediamo e di conseguenza proviamo emozioni. Possiamo comportarci come se fossimo indifferenti però in realtà non lo siamo. Esempio: Se interrompiamo i rapporti con qualcuno e non lo vediamo più, possiamo pensare che soffriremo meno, però in realtà è necessario vivere il lutto per la perdita. Far finta che non succeda niente ci causa solamente più problemi.
5. Bisogna essere sempre allegri
Questo è un falso mito: L’allegria è un’emozione gradevole che ci piace provare costantemente. Nonostante ciò, non è possibile essere sempre allegri. Perché? Perché anche le emozioni che non sono molto gradevoli da provare (paura, rabbia, tristezza...) sono necessarie per dare valore a quello che abbiamo. Esempio: Immaginiamo che muoia il nostro cane e non diamo importanza all’accaduto. Le emozioni come la paura, la tristezza o la rabbia, servono per connettere con noi stessi, riflettere, dare valore a ciò che abbiamo, essere cauti e porre limiti.
6. La rabbia è un’emozione da evitare
Questo è un falso mito: Da piccoli c’insegnano che arrabbiarci non va bene. Da adulti abbiamo imparato (in generale) a non mostrare la rabbia. O al contrario, la mostriamo in maniera esagerata. Come le altre, anche la rabbia è un’emozione necessaria per porre limiti nella nostra vita e non lasciarci calpestare dagli altri. Esempio: Se quando ci arrabbiamo possiamo esprimere quello che sentiamo in un modo rispettoso e sano, possiamo liberarci di un peso e permetterci di porre limiti nella nostra vita. In alcuni casi non lo faremo nel modo più rispettoso possibile però impareremo volta per volta.
7. Bisogna sconfiggere la paura
Questo è un falso mito: C’insegnano che la paura è un nemico contro cui bisogna lottare. Tuttavia questa non è una buona soluzione. Esempio: Se diciamo a noi stessi “non devo aver paura a parlare in pubblico”, che succede? Il nostro cervello capisce, invece, che devo aver paura mentre sto parlando in pubblico. Se invece di respingerla lasciamo che la paura ci accompagni, invece di trasformarla in un nemico diventerà un alleato e saremo in grado di parlare in pubblico. Questo farà in modo che la paura si presenti solo quand’è necessario, ossia per proteggerci da pericoli reali.
8. Se mi distraggo la tristezza va via
Questo è un falso mito: Se ci distraiamo quello che succede è che la tristezza resta per un attimo in un angolo però continua a essere presente. Può servirci in alcuni momenti però in altre situazioni questa tristezza non si risolve. Esempio: Se abbiamo una brutta giornata e siamo tristi perché abbiamo discusso con i nostri figli o con il partner, è importante provare tristezza, la sensazione fisica e se lo sentiamo possiamo anche piangere. Solo se lasciamo uscire la tristezza e non la reprimiamo, se spieghiamo all’altra persona come ci sentiamo, possiamo far in modo che vada via.
9. Le emozioni sono permanenti
Questo è un falso mito: Quando stiamo male ci sembra che durerà in eterno, come se la tristezza, la rabbia o la paura non finissero mai. Tuttavia tutte le emozioni vanno e vengono. Esempio: Come un’onda nel mare va e viene: se proviamo l’emozione nel nostro corpo, la osserviamo, la identifichiamo, la esterniamo se è necessario, poco a poco sparirà.
10. Se provo un’emozione forte devo ragionare
Questo è un falso mito: Non è possibile ragionare quando stiamo vivendo un’emozione molto forte perché ci sta parlando il nostro corpo. Una volta che si riduce la risposta emozionale si può ragionare e capire ciò che abbiamo provato. Esempio: Se abbiamo una discussione con nostro fratello prima deve scemare la rabbia e dopo potremo capire quello che è successo. Lasciare che le emozioni seguano il processo naturale è benefico per il nostro corpo.
La gente che ascolta le proprie emozioni senza ignorarle fa in modo che il suo livello di fiducia aumenti.

Il ruolo salvifico della paura: un'emozione necessaria e importante


Tutti gli psicologi concordano sul fatto che la paura sia una delle emozioni primarie, cioè  quelle biologicamente predisposte nell'organismo. Le emozioni primarie, tra cui possiamo annoverare anche la rabbia, la gioia, la tristezza e il disgusto, vanno poi a comporre, combinandosi tra loro, le emozioni secondarie.

Il fatto che la paura sia un'emozione primaria e quindi legata all'istinto, ne indica l'importanza essenziale per la sopravvivenza dell'individuo.

Negli ultimi anni gli psicologi cognitivo-comportamentali hanno condotto una crociata contro la paura, considerandola come la causa di tutti i mali. Secondo loro sarebbe sufficiente sconfiggere la paura per ottenere tutti i successi.

Ma questa è pura follia: ignorare la paura significa esporsi in maniera irresponsabile al rischio di fallimento.

La paura, temuta e tiranneggiata, è una delle emozioni primarie a base innata che si esprime quando ci si trova in una situazione di pericolo.

E’ comune sia alla specie umana che a quella animale ed è caratterizzata da una serie di sintomi fisici: accelerazione del battito cardiaco, respiro affannoso, aumento del livello di adrenalina, dilatazione pupillare. Tutte queste caratteristiche sono tipiche dell’attivazione del sistema nervoso simpatico, che prepara l’organismo alla reazione di attacco o di fuga dal pericolo in agguato. E’ quindi un’emozione necessaria alla sopravvivenza della specie perché induce delle risposte fisiologiche e comportamentali adattive (Oliverio Ferraris, 2013).

In studi più recenti viene invece evidenziato il lato positivo della paura, vista come alleata nelle situazioni di pericolo. Non sentire l’emozione di paura può infatti essere molto pericoloso per la nostra sopravvivenza.

RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO:

Oliverio Ferraris, A., (2013). Psicologia della paura. Ed. Bollati Boringhieri
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/05/paura-lato-positivo-psicologia-video/

Anche dal punto di vista filosofico possiamo registrare ultimamente un'apologia della paura.

Secondo Hans Jonas la responsabilità verso il futuro implica una “euristica della paura”. È più facile distruggere che costruire e la capacità di prevedere a lungo termine gli effetti delle nostre scelte è molto scarsa. Ma come può progredire una società che assume la paura come orizzonte?

Secondo Jonas dobbiamo recuperare la paura dal nostro bagaglio biologico e imparare ad usarla come uno strumento che ci induce alla prudenza. Questo è l’argomento che ha procurato più critiche a Jonas, in parte motivate da un tono eccessivamente pessimistico e dalla mancanza di una riflessione più approfondita. Egli dice che dobbiamo imparare ad avere paura delle concrete possibilità che l’uso irresponsabile del nostro potere comporta e che di fronte al dubbio che l’incertezza alimenta dobbiamo sempre considerare l’ipotesi peggiore, perché la posta in gioco è davvero troppo alta, e non possiamo affidarla al caso.

Cerchiamo adesso di considerare alcuni aspetti di questo sentimento caduto in disuso. La paura è un sentimento molto antico che, come i neuroscienziati insegnano, nasce nell’amigdala, la parte più antica del nostro cervello, ed è legata all’istinto di conservazione che ha consentito, alla nostra e ad altre specie animali, di sopravvivere ed evolversi. Sotto questo aspetto la paura si presenta come un’emozione sana e utile, direttamente legata alla nostra conservazione. È proprio questo che per Jonas significa “euristica della paura”, la possibilità di considerare la paura come uno strumento che ci consente di apprendere alcuni elementi utili alla risoluzione dei problemi che coinvolgono l’intera umanità. Per esempio, che di fronte all’alternativa tra un beneficio e un rischio che coinvolge l’intera collettività umana è bene fermarsi e riflettere sulle possibili conseguenze irreversibili.

Per esempio, che in ogni decisione e azione che può scatenare effetti imprevisti o incerti è doverosa la prudenza. A volte è stato notato che Jonas dà l’impressione di voler fare ricorso a un sentimento superstizioso e irrazionale, ma soprattutto inutile, che avrebbe come effetto, se ascoltato, di arrestare lo sviluppo della conoscenza. In queste critiche vi è un aspetto molto importante che riguarda la libertà della ricerca e dei limiti eventuali da porre a essa.

In questo campo, il mero ricorrere alla paura significherebbe interpretare in modo semplicistico un problema complesso, la cui corretta gestione può essere ottenuta solo attraverso una maggiore dose di conoscenza, unita alla consapevolezza critica da parte della scienza del suo ruolo sociale. In realtà bisogna interpretare il ricorso alla paura in modo esclusivamente simbolico.

L’intreccio tra etica e scienza ci dice infatti che, se vogliamo imparare a gestire i problemi che incidono sul nostro futuro, dobbiamo considerare una scienza aperta al discorso dei valori e delle scelte che ha abbandonato il paravento della neutralità e un’etica che si nutre di conoscenza per elaborare i suoi criteri di giudizio.

La paura è come il campanello d’allarme che ci ricorda la nostra vulnerabilità, potremmo dire che è una specie di richiamo del nostro istinto di conservazione, più che uno sterile esercizio dell’ideologia della superstizione.

La conoscenza è quell’elemento che fa la differenza tra una paura superstiziosa e irrazionale e una paura realistica e ragionevole. Solo acquisendo un maggior numero di conoscenze (mirato alla gestione degli attuali problemi) rispondiamo in modo corretto alla paura. Rendersi parte attiva, criticamente attiva, di questo processo conoscitivo è quello che comunemente definiamo un atteggiamento responsabile.

Maria Antonietta Foddai (professoressa di Filosofia del diritto all'Università di Sassari. È autrice di Agire eticamente. Jonas e le nuove responsabilità, Tipografia Moderna, Sassari, 2005)

Chi comanda nei Sette Regni? Mappa e volti



Oltre la Barriera: gli Estranei e i Cavalieri Bianchi.

Al Nord: Ramsay Bolton

Nelle terre dei fiumi: Walder Frey

Nella Valle: Robert Arryn

Nella capitale e nelle terre della Tempesta: re Tommen Baratheon

Nell'Ovest: Kevan Lannister

Nell'Altopiano: Mace Tyrell

A Dorne: le Serpi della Sabbia