domenica 22 luglio 2018

Mappa delle sfere di influenza geopolitica decise nel summit di Helsinki tra Putin e Trump

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Paolo Borgognone

Questa cartina è indicativa e dovrebbe far riflettere tutti coloro i quali pensano che la Russia sia un Paese "aggressivo" e "imperialista" e l'America il baluardo, "sulla difensiva", della "democrazia" nel mondo, il "faro del mondo libero" come dicono i liberal. È sufficiente constatare che i "blu", ovvero la Nato, sono ormai a 400 km da Mosca, con uno spostamento in avanti della linea del fronte impensabile nel 1990. E di questo spostamento in avanti della Nato non si è mai parlato nel mainstream, se non festeggiando la cosa come un'ulteriore "spinta progressiva" della "democrazia" in direzione di Mosca. L'allargamento della Nato a Est è stato fatto passare per un festival internazionale della "democrazia" nel mondo, e non vi è stato contraddittorio alcuno sul tema: i media celebrano con enfasi ogni nuovo ingresso nella Nato, affermando che si tratta di un Paese candidato a "democratizzarsi" pienamente. Il ritorno a casa della Crimea, avvenuto peraltro previo referendum democratico, fu tacciato invece dal mainstream, senza contraddittorio alcuno, come una "brutale aggressione russa" contro l'Ucraina. Il voto dei crimeani non è stato minimamente tenuto in considerazione dal ceto giornalistico occidentale di complemento alla Nato, quasi si trattasse di cittadini di serie B, gente dimidiata o che vale poco. Fortunatamente, almeno nelle intenzioni, il vertice Trump-Putin di Helsinki potrebbe rappresentare un punto di svolta verso la costruzione di un sistema di relazioni internazionali multipolare. Trump lo sa che gli Usa, nella fase attuale, se vogliono avere voce in capitolo nelle questioni internazionali, devono mediare. L'epoca dell'unilateralismo sbruffone e imperialista potrebbe essere giunta al capolinea. La questione iraniana sarà il banco di prova per Trump per decidersi, finalmente, a smarcarsi dai neocon e dal Deep State che, cercano di influenzare le sue scelte di politica estera.



Una delle patate più bollenti, in questa fase spesso sottovalutata dagli analisti e dalla stampa internazionale, è la crisi tra Israele e l’Iran, ormai giunta quasi a un punto di non ritorno. Netanyahu ha chiesto precise garanzie sull’affollamento di truppe sciite (Hezbollah e Guardie rivoluzionarie di Teheran) che, specie dopo la presa di Quneitra, minacciano da vicino il massiccio del Golan e l’intera Galilea. E le ha ottenute. Ecco perché in questo momento si preoccupa solo di Gaza, a sud. Dove, dopo che un soldato è stato ucciso da un cecchino, hanno perso la vita quattro palestinesi, prima di arrivare a una labile tregua. Tornando a Helsinki, fonti vicine ai servizi segreti dello Stato ebraico, Mossad e Shin-Bet, hanno spifferato i retroscena. Come dire: niente di scritto, ma attenzione, perché Stati Uniti e Russia hanno dato precise garanzie sul monitoraggio delle mosse iraniane.

Dunque, l’intesa raggiunta sottobanco da Washington, Mosca e Gerusalemme impegna Netanyahu a non colpire i governativi e gli sciiti che combattono in Siria in nome e per conto del governo, specie quelle presenti nelle province di Daraa e Quneitra, nel triangolo di confine che interessa anche la Giordania. Si tratta di milizie che arrivano da Iran, Libano, Irak, Afghanistan e persino Pakistan. Israele però si riserva il diritto di bombardare qualsiasi nuova installazione di armi di ultima generazione (piattaforme mobili missilistiche?) che gli ayatollah dovessero piazzare a ridosso del Golan. Israele e la Siria, inoltre, si impegnano a rispettare l’accordo sul cessate il fuoco del 1974, che prevede una “buffer-zone”, una zona-cucinetto, di circa 80 chilometri lungo il confine.

L’area sotto controllo militare congiunto è divisa in tre blocchi, a partire dal Golan. La prima striscia sarà sorvegliata dalla Polizia militare russa e dall’Undof (caschi blu dell’Onu) , che saranno responsabili di qualsiasi violazione dei patti. Nella seconda “strip”, più a sud-est, Damasco potrà schierare non più di 3 mila uomini e 350 carri armati. Nella terza, al confine con la Giordania, Bashar al-Assad potrà impiegare un massimo di 4.500 soldati e fino a 650 tanks. La filosofia dell’accordo è quella di tollerare le unità governative di Damasco, ma di non permettere lo stazionamento delle milizie sciite a ridosso del Golan. Assad è sempre meglio di Alì Khamenei, insomma. Almeno per Gerusalemme. Può sembrare un paradosso, ma saranno proprio i russi a garantire la sicurezza di Golan e Galilea.

Lo schieramento di truppe (cecene?) di “peace-enforcing” servirà ufficialmente a evitare ritorsioni e violenze contro i civili, specie nell’area di Tal Al-Harrah e in quella di Nawa. In pratica, si parla di località situate a 37 chilometri dalla zona dei combattimenti di Daraa, ma a soli 14 chilometri dalle prime linee israeliane sul Golan. Putin che ci guadagna? Beh, altro che interferenza sulle elezioni americane! Qui si tratta di uno sbracamento totale sul ruolo di Mosca nell’intero Medio Oriente. Da Tal Al-Harrah, grazie a installazioni preesistenti (al tempo dell’Urss e prima della Guerra dei Sei giorni), i russi potranno tenere sotto controllo radar ed elettronico Siria, Israele, Giordania, Libano e tutto l’est del Mediterraneo, da Cipro fino alle coste della Turchia.

Logico che l’intesa abbia fatto saltare dalle loro sedie i consiglieri diplomatici di Trump e mezzo Pentagono. E’ un regalo su un piatto d’argento fatto a Mosca e rientra nella strategia della Casa Bianca, quella di mollare tutto il mollabile per risparmiare fino all’ultimo nichelino. La vera ossessione di Trump. Nell’accordo di Helsinki entrano in ballo anche Arabia Saudita ed Emirati, che finora hanno sostenuto finanziariamente i ribelli (sunniti) nell’area siriana passata sotto controllo russo. Dal canto suo, Netanyahu si aspetta al più presto che la Casa Bianca onori una promessa pesante: il riconoscimento formale del Golan non come territorio “occupato”, ma come provincia facente parte a tutti gli effetti, dello Stato di Israele.

Piero Orteca  https://www.remocontro.it/2018/07/22/il-vero-patto-segreto-putin-trump/