Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 2 gennaio 2014
Mia Wasikowska: attrice raffinata e musa ispiratrice
Alcuni la ricorderanno in "Alice in Wonderland"...
... altri la ricorderanno in "Stoker" nel ruolo di India...
...altri ancora in "Jane Eyre"...
Mia Wasikowska lavora fin da adolescente...
La sua bellezza fresca adolescenziale si è trasformata in una raffinatezza di giovane donna e attrice che si è cimentata in ruoli importanti e che ha ispirato non solo i registi, ma anche gli scrittori.
Si vedano i romanzi del ciclo di "Gothian", "Mistero ad Hollow Beach" e "Gli Arcani Supremi".
Perché il gatto fatica a socializzare con gli altri mici?
Il fatto che il gatto sia un animale estremamente indipendente non è di certo una novità, ma quando questo desiderio si trasforma in solitudine e aggressività può portare a seri grattacapi gestionali all’interno della casa. Capita molto di frequente, infatti, che in una stessa abitazione vivano più felini o animali di specie diverse. E qualora uno dei mici fosse intollerante, si rischiano liti e piccoli tafferugli a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quali sono le motivazioni alla base di questo comportamento e come modificarlo nel tempo?
L’atteggiamento è facilmente riconoscibile: il gatto poco sociale non solo tiene a distanza il cane di casa – un fatto, questo, più che comprensibile – ma allontana anche i suoi simili, soffiando, miagolando aggressivamente e sfoderando le unghie. Una situazione di coabitazione che l’animale ritiene ingiusta, che tuttavia può essere modificata con un po’ di impegno.
La seconda ragione alla scarsa socializzazione, invece, deriva spesso dalla noia. È il caso dei gatti già abituati a convivere con i simili, improvvisamente diventati scostanti e aggressivi: l’animale, sofferente per la reclusione in casa e la mancanza di stimoli, manifesta il proprio disappunto isolandosi. Basta quindi introdurre un nuovo gioco – a volte basta anche una sola scatola di cartone – affinché il micio sfoghi lo stress e ritorni al suo normale comportamento.La prima modalità di asocialità felina si manifesta quando il micio, prima unico abitante della casa, vede i suoi spazi invasi da un nuovo arrivato. In questa situazione entra in gioco non solo la rinuncia a parte della propria indipendenza, ma anche la gelosia. Il proprietario deve infatti dividersi tra le attenzioni di più di un animale, la pappa diventa un momento di condivisione, il gioco una modalità a due. E il gatto, giustamente, potrà manifestare insofferenza per non essere più il re incontrastato dell’appartamento.
Per ripristinare la normalità, si rende necessario un percorso d’adattamento che vede il proprietario in prima linea: le attenzioni agli animali domestici devono essere eque e contemporanee, magari con una sessione di coccole congiunte. Al contrario, invece, i pasti devono essere divisi: ogni esemplare avrà la sua ciotola di pappa e di acqua, per limitare al minimo i battibecchi. Infine, la fase di gioco deve essere organizzata attorno a un team: i gatti devono capire come non vi sia divertimento senza collaborazione. Un buon esercizio può essere quello di appendere una pallina a un filo e di tenerne l’altra estremità nella mano. Solo quando i mici si avvicineranno insieme, la cordicella verrà fatta scorrere fino ad abbassare il giocattolo alla portata degli animali. In caso contrario, la pallina verrà sollevata e posta a un’altezza irraggiungibile nemmeno con i migliore dei balzi.
5 motivi per lasciare Facebook nel 2014
La prima ammissione è arrivata dall’azienda stessa. A ottobre del 2013 il team di Facebook aveva affermato come gli utenti più giovani fossero ai margini dell’ecosistema della piattaforma, con un utilizzo, su base giornaliera, minore che in passato. Un fuggi fuggi confermato a dicembre da Statista . Il “sentiment” pare essere quello di una saturazione globale di Facebook, non solo in termini di persone iscritte quanto di contenuti. Ecco qualche motivo che potrebbe bastare per convincervi a guardare oltre il social network di Mark Zuckerberg.
1) A pochi interessa veramente leggere/vedere quello che fai o che pensi.
Un calo di interesse che non riguarda i post in sé ma la forma in cui vengono pubblicati. La lettura non basta più a soddisfare l’umana curiosità e la voglia di pettegolezzo. Il 2013 ha dato uno scossone alla condivisione di foto e video che possano raccontare, più di un paio di righe di testo, cosa facciamo, con chi e perché. Non a caso il 2014 sarà l’anno di Instagram e Vine:ve lo avevamo detto .
2) Quanto costa (ri)tornare alla privacy?
La realizzazione del paradosso più grande: andiamo su Facebook per condividere ma ci preoccupiamo di quello che abbiamo condiviso. Il pericolo maggiore è che sulla nostra bacheca compaiano link, foto e contenuti dove siamo taggati ma dove non vorremmo mai essere, vuoi per principio, vuoi per pudore (tranne che non siate tra i fan dei gattini). Facebook, nel 2013, ha costretto le persone a controllare ogni singola impostazione di privacy, portando molti a cancellarsi dal network o a bloccare persone per non lasciare che invadessero la propria bacheca. Una serie di problematiche a cui Twitter non va incontro, pur rimanendo una rete globale.
3) Tu pubblichi, loro ti controllano
Alzate la mano se non vi è capitato, almeno una volta, di vedere attivata la funzione di localizzazione su Facebook mentre state inviando un post. Una “casualità” che avviene spesso su Android dove, grazie all’ A-GPS, l’app riesce a capire dove siamo, individuando la posizione dall’intreccio delle celle telefoniche. Un paio di post geo-localizzati possono raccontare a chi non vogliamo (parenti, amici, datori di lavoro) dove ci troviamo e magari cosa stiamo facendo. Per questo non serve Facebook, basta Foursquare.
4) Tu NON pubblichi, loro ti controllano
Qualche giorno fa è saltata fuori la notizia che Facebook sia in grado di leggere anche quello che si è scritto ma poi cancellato . A rivelarlo è ancora una volta il team di sviluppo che, durante il mese di dicembre, ha pubblicato uno studio che spiega l’avvio di un nuovo strumento di raccolta dati, in grado di leggere le frasi digitate dagli utenti e poi rimosse, senza che siano state mai pubblicate. La missione è quella di “capire perché gli utenti si auto-censurano” in determinate circostanze e situazioni. Eppure esiste un social network dove potete dire tutto, senza paura di far male a nessuno: www.worldtruth.org .
5) Sei messo continuamente in discussione
“Avrà senso scrivere questo?”, “Chissà se in quella foto sono venuto bene?”, “Cosa penserà mia madre di questo post?”. Queste sono alcune delle frasi che ci circolano in testa prima di premere invio e pubblicare qualcosa. Facebook, più degli altri social network, ci mette in discussione, praticamente sempre. Non possiamo nemmeno fare i furbi e cancellare un contenuto pubblicato in piena notte, da ubriachi, eccitati o stanchi. In poco meno di un minuto quel contenuto, se di rilevanza (nel bene e nel male), viene ripreso, catturato e ricondiviso. Un recente studio del Dipartimento di Scienze Comportamentali della Utah Valley University ha evidenziato come gli utenti che passano più tempo su Facebook non sono di certo le persone più felici al mondo. Di 400 studenti intervistati “coloro che hanno utilizzato di più il social network erano concordi con l’affermare che le vite degli altri fossero migliori, considerando meno bella la propria”. Un’iniezione di autostima può arrivare da CircleMe , il social network “delle passioni”.
Il principe William torna all'università (di Cambridge ovviamente!)
TRA POCHI giorni, il principe William, duca di Cambridge, tornerà sui banchi di scuola per seguire un corso di management dell’agricoltura, all’università di Cambridge, città di cui è duca e dove ha studiato anche suo padre, il principe Carlo, primo reale a conseguire una laurea nella storia della famiglia reale britannica. Il corso, di dieci settimane, permetterà un giorno a William di prendere in mano la gestione delle numerose attività dell'azienda di prodotti biologici di suo padre, il "Duchy of Cornwall", che Carlo non potrà più seguire quando diventerà re.
Inoltre, darà a William — che ha già una laurea in geografia, conseguita nel 2005 — la possibilità di passare un po’ di tempo lontano dagli strilli notturni del principino George, dato che il duca alloggerà presso l’università (che dista circa 1 ora da Londra), mentre Kate e il figlioletto resteranno a Kensington Palace. I bene informati riportano infatti che William sarebbe fisicamente provato dalle notti insonni che il piccolo George infligge ai genitori, che hanno cercato di correre ai ripari prendendo la vecchia nanny che fu di William 30 anni fa. Ma Jessica Webb non è più giovanissima e quindi tocca alternativamente a Kate e a William alzarsi nelle ore piccole per dare la poppata al bebè. E William, pur adorando il pargoletto, comincia a sentirsi distrutto.
IL 2013 è stato peraltro un anno di cambiamenti per il principe, che ha preso la decisione epocale di lasciare l’aeronautica militare e il suo lavoro come pilota di soccorso marino, per dedicarsi completamente ai doveri di erede al trono. William, con Kate, è infatti sempre più richiesto per sostituire la regina nel ruolo di rappresentanza della famiglia reale. Ma il povero principe ha bisogno di un po’ di sonno indisturbato per partire alla grande nel nuovo anno. E guai a chi gli augura di diventare presto principe di Galles. William si adombra e si offende subito perché tratta ogni augurio di questo tipo come una terribile offesa nei confronti della nonna, Elisabetta II, a cui il principe è affezionatissimo.
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