domenica 23 giugno 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 2. La Contea di Casemurate

Se nella realtà esistesse un equivalente della Contea degli Hobbit, sarebbe senza dubbio la Contea di Casemurate, in Romagna, avente come centro il paese che le dà il nome, un nome strano, ma molto appropriato, se si considera il tacito, ma radicato desiderio, da parte dei suoi residenti, di non essere disturbati dal resto del genere umano..
La storia di questo discreto angolo di mondo affonda le sue radici nel Medioevo.
Secondo le non troppo affidabili Cronache casemuratensi della maestra elementare Clara Marinelli, coniugata Ricci (unica docente della scuola locale), pubblicate nel 1933 con tanto di prefazione di Sua Signoria, l'illustrissimo don Achille Orsini Balducci, XVII Conte di Casemurate, l'etimologia del luogo sarebbe da attribuirsi al fatto che il villaggio e il torrione centrale, fin dalla loro fondazione, nel Duecento, erano stati cinti di mura così solide da reggere a qualunque calamità, tranne le riforme urbanistiche di fine Ottocento, che portarono all'abbattimento di quasi tutte le cinte murarie presenti in Italia.


L'unico dato relativamente certo consisteva nel fatto che la fortezza e il villaggio di Casemurate erano sorti presso l'incrocio tra due strade di una certa importanza, e cioè la Cervese, che collegava, e collega tutt'ora la città di Forlì con la cittadina costiera di Cervia, e il Dismano (antica Via Decumana) che collegava e ancor oggi collega Ravenna e Cesena
Quelle due strade dividono tuttora la Contea di Casemurate in quattro parti, come i Decumani della Contea di Tolkien,
Pare anche assodato che i confini dell'antico feudo casemuratense fossero molto più estesi di quelli dell'attuale frazione, e pertanto il territorio della Contea tradizionale poteva essere all'incirca simile a un cerchio avente come centro l'incrocio tra la Cervese e il Dismano, e un diametro di circa dieci chilometri.
Per quanto, negli anni '30 del Novecento, le terre di Casemurate fossero suddivise in varie proprietà più o meno grandi, le Cronache casemuratensi ci ricordano che per molti secoli la signoria territoriale fu nelle mani di due sole potenti famiglie, i conti Orsini Balducci, le cui fortune andarono poi decadendo nei secoli e i marchesi Spreti di Serachieda, che invece ebbero grande fortuna.

Le Cronache asseriscono inoltre che la fondazione di Casemurate si debba far risalire alla precisa data del 21 aprile 1278, quando Bertoldo Orsini, nipote di papa Niccolo III (
quello con cui Dante ebbe un furente alterco in un Canto dell'Inferno, dopo averlo scambiato per Bonifacio VIII), della potente famiglia romana degli Orsini, fu nominato Conte di Romagna e affidò al fratello minore Bernardo il compito di presidiare la bassa pianura al centro del quadrilatero compreso tra Ravenna, Forli, Cesena e Cervia.


Fu così che, sempre secondo le Cronache  della Maestra Ricci, nel 1278, Bernardo Orsini costruì una fortezza all'incrocio della Cervese e del Dismano dove c'era un piccolo, anonimo villaggio, e la cinse di mura, dandole appunto il nome di Case Murate, che solo in seguito divenne un'unica parola.


Il documento probante tale atto di fondazione, secondo la scrupolosa indagine della Maestra Ricci, risultava conservato nell'archivio privato del Conte Achille Orsini Balducci di Casemurate, che si proclamava diretto discendente del fondatore Bernardo, basandosi sempre su documenti gelosamente custoditi nel suddetto archivio, talmente segreto che, escludendo il Conte e la Maestra, non era mai stato visto da anima viva.


Questa segretezza aveva suscitato le ironie dei feudatari confinanti, sulle cui nobilissime origini vi erano prove evidenti. Stiamo parlando di casati insigni, come quello dei già citati marchesi Spreti di Serachieda, patrizi ravennati, o gli illustri signori della viticoltura, i conti Zanetti Protonotari Campi, per non parlare dei Paulucci de' Calboli, che per secoli avevano conteso agli Ordelaffi la signoria di Forlìì.

Gli Orsini Balducci avevano comunque provveduto a rinvigorire il proprio sangue blu con una politica matrimoniale che avrebbe fatto invidia all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo ("bella gerant alii, tu felix Austria Nube"). Il matrimonio più prestigioso era stato proprio quello del conte Achille Orsini con la contessina Emilia Paulucci de' Calboli, la quale, pur non portando neanche un centesimo di dote, aveva innalzato i signori di Casemurate nell' "Almanacco di Gotha" della nobiltà romagnola.

Eppure i dubbi sulla ricostruzione storica asserita dalle Cronache casemuratensi continuavano a persistere.
In effetti, a voler essere del tutto sinceri, non rimanevano tracce archeologiche né delle mura, né del castellodella qual cosa le Cronache colpevolizzavano, testuali parole, "l'iconoclastia positivista e modernista delle pubbliche istituzioni del Regno d'Italia, nonché la barbarie distruttiva dell'avanguardia futurista e dell'architettura razionalista littoria", parole che sembravano piuttosto improbabili nell'ambito del lessico famigliare della Maestra Ricci, mentre esprimevano in pieno l'eloquio infuocato, nonché le idee ardite, del Conte Orsini.


L'unico motivo per cui il contenuto delle Cronache non fu messo in discussione dalla censura fascista potrebbe essere attribuito al numero piuttosto ristretto delle copie stampate, tenendo conto anche delle ristrettezze nelle quali la famiglia dei Conti di Casemurate era venuta a trovarsi.


Se però la sorte degli Orsini pareva inesorabilmente orientata verso la bancarotta, al contrario la condizione finanziaria della famiglia Ricci, di cui la maestra Clara faceva parte, era del tutto florida, tanto che suo marito Giorgio, agiato agricoltore e fervente fascista, stava ampliando i propri possedimenti e accumulando diritti d'ipoteca sulle stesse terre del Conte.


E di certo la fortuna dei Ricci a Casemurate era anche legata al fatto che Giorgio Ricci era stato uno dei primi aderenti al Fascismo, potendo vantare un'amicizia personale e di antica data col Duce in persona, suo coetaneo e forlivese come lui.

Giorgio Ricci e Clara Vallicelli avevano avuto molti figli dai nomi altisonanti suggeriti da un parroco fin troppo colto tra cui Oreste, Roderico, Caterina, Carolina, Maria Teresa, Liliana, ma soprattutto Ettore, che aveva ereditato dal padre il bernoccolo per gli affari e dalla madre la sconfinata ammirazione mista ad invidia nei confronti degli Orsini.


Da tempo Ettore Ricci aveva messo gli occhi addosso alla figlia primogenita del Conte, la bella e raffinata contessina Diana, che tuttavia non pareva ricambiare tali attenzioni.


Se ci è concessa qualche similitudine letteraria, Ettore Ricci era come il Mastro-Don Gesualdo della situazione, mentre Diana Orsini sembrava uscita da un romanzo di Jane Austin o Margaret Mitchell.


Date queste premesse, era già chiaro fin dall'inizio che le cose, per entrambi e le rispettive famiglie, per non parlare dell'intera Contea di Casemurate, avrebbero preso molto presto una brutta piega.