Roland Barthes, uno dei padri della semiotica, si rende conto del fatto che quello dei vestiti è un linguaggio perché mette in relazione significanti e significati, oggetti e concetti.
Trattandosi allora di un sistema di segni, questo può essere studiato alla maniera strutturale! Si possono cioè determinare le relazioni che intercorrono tra gli elementi del sistema in questione e si può risalire a quel codice vestimentario, rigido, sociale e coercitivo, a cui tutti noi facciamo implicitamente ricorso ogni mattina di fronte all'armadio. Eh già, perché, per quanto si possa credere di essere originali, anche se il nostro mestiere è quello del sarto o dello stilista, facciamo sempre ricorso ad una certa grammatica del vestirsi da cui non si può non prescindere.
Dice Barthes, che, in seno al linguaggio del vestito vanno distinti due elementi: il costume e l'abbigliamento, allo stesso modo in cui F. De Saussure aveva distinto, all'interno della lingua, il concetto di langue e quello di parole.
Il singolo individuo attinge quindi dal costume per realizzare la sua "tenuta". L'abbigliamento è quindi l'atto individuale del vestirsi.
La peculiarità del sistema moda, il punto in cui si distacca dalla lingua, è che tra langue e parole, costume e abbigliamento, possono esservi diverse interferenze. Può infatti capitare che comportamenti inizialmente circoscrivibili all'abbigliamento, cioè prettamente individuali e sostanziali, diventino veri e propri fenomeni di costume attraverso un processo di istituzionalizzazione sociale che ovviamente non può essere in alcun modo influenzato dal singolo individuo. Ovviamente il percorso inverso è ben più frequente (dal costume all'abbigliamento), e in qualche modo necessario.
I fenomeni di abbigliamento sono dunque costituiti dal modo in cui gli individui indossano il costume che viene loro proposto dal gruppo sociale di appartenenza. Fra questi rientrano le dimensioni individuali del vestito, il grado di usura, di disordine o di sporcizia, le carenze parziali di indumenti, le carenze d'uso (come i bottoni non abbottonati o le maniche non infilate), i vestiti improvvisati, la scelta dei colori (ad eccezione dei colori ritualizzati come nelle uniformi, in caso di lutto o di matrimonio), le derivazioni circostanziali di impiego di un indumento, i gesti d'uso tipici dell'indossatore. Questi elementi possono essere analizzati nei loro risvolti morfologici, psicologici o circostanziali, ma sono irrilevanti in uno studio di tipo sociologico. Oggetto specifico della ricerca sociologica o storica sono invece i fenomeni di costume: le forme, le sostanze e i colori ritualizzati, gli usi fissi, i gesti stereotipati, la distribuzione regolare degli elementi accessori (bottoni, tasche, ecc.), i sistemi apparenti (le "tenute"), le congruenze e le incompatibilità degli indumenti fra loro, il gioco regolato degli indumenti interni e di quelli esterni, i fenomeni di abbigliamento ricostituiti artificialmente per scopi significativi (costumi di teatro e di cinema). Mentre dall'abbigliamento si possono dedurre poche informazioni, il costume è fortemente significativo: in particolare esso notifica la relazione che intercorre tra l'individuo e il suo gruppo.
Questa distinzione non è rigida, in quanto fra il vestito istituzionale e il vestito indossato ci sono continui scambi: fenomeni di costume possono diventare fenomeni di abbigliamento (è il caso della moda femminile, che propone ogni anno dei modelli che poi si diffondono nell'abbigliamento), così come fenomeni di abbigliamento possono diventare fenomeni di costume (questo succede ogni volta che gli usi individuali vengono ripresi collettivamente per imitazione). Non mancano poi casi in cui è difficile stabilire questa distinzione: "la larghezza delle spalle, per esempio, è un fenomeno di abbigliamento quando corrisponde esattamente all'anatomia dell'individuo che indossa un certo indumento; è un fenomeno di costume quando la sua dimensione è prescritta da un gruppo a titolo di moda."
La moda rappresenta sempre un fenomeno di costume: a volte essa è elaborata artificialmente da alcuni specialisti (l'alta sartoria), altre volte si costituisce attraverso la propagazione su scala collettiva di un semplice fenomeno di abbigliamento.
L'opinione pubblica crede in una mitologia della creazione libera, rappresentandosi la moda come "un fenomeno capriccioso, dovuto alla capacità inventiva di qualche sarto […] che sfugge a ogni sistema e a ogni regola." [Barthes, 1966: 112]
Ma Barthes fa cadere questo mito, sostenendo che la produzione di "vestiti di moda" risente di costrizioni sociali che trascendono le scelte e l'inventiva del singolo creatore. Parallelamente, nega anche che l'individuo che, giorno dopo giorno, decide cosa indossare operi esclusivamente sulla base di gusti personali: le sue scelte sono infatti dettate da codici estetici e sociali, forse inconsapevoli, ma comunque costrittivi.
dei vestiti!