lunedì 13 maggio 2019

Mappa dell'Europa nell'anno 800, ai tempi dell'incoronazione di Carlo Magno a imperatore

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Sotto, le conquiste di Carlo Magno

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Migrazione dei Serbi dalla Lusazia (dove ancora vive la minoranza slava dei Sorabi) alla Raska o Rascia, nucleo del futuro stato serbo.

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Lo stemma del Granducato di Toscana sotto la dinastia dei Lorena

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Nel 1736 il duca di Lorena Francesco III Stefano aveva sposato Maria Teresa d'Austria, unica (e contestata) erede dei variegati domini asburgici, sparsi per l'Europa (Austria, Boemia, Ungheria, Paesi Bassi, Milano, Napoli, Sicilia) ed anche tradizionale erede del titolo al Sacro Romano Impero. La Francia, timorosa che la Lorena, una regione francofona, potesse passare agli Asburgo, si era affrettata a stipulare un trattato per cui riconosceva la Prammatica Sanzione e quindi l'eredità spettante a Maria Teresa, ma in cambio Francia e Austria stabilivano che il Ducato di Lorena fosse ceduto da Francesco III a Stanislao Leszczyński (ex re di Polonia e suocero di Luigi XV) e passasse alla Francia dopo la morte del sovrano polacco.
La casata di Lorena sarebbe stata compensata per questa perdita con il trono del Granducato di Toscana, ma con l'obbligo di non annetterla direttamente ai domini asburgici, dato che la successione sarebbe stata destinata ad un figlio cadetto dell'unione. Con il matrimonio di Maria Teresa e Francesco Stefano nacque così la dinastia imperiale degli Asburgo-Lorena, un cui ramo cadetto resse il Granducato di Toscana fino alla sua scomparsa

Francesco III (Francesco Stefano)

Figlio e successore di Leopoldo di Lorena (1679 – 1729) e di Elisabetta Carlotta di Borbone-Orléans (1676 – 1744).
Sposò Maria Teresa d'Asburgo, figlia dell'imperatore Carlo VI, il 12 febbraio 1736 ed a seguito del guerra di successione polacca dovette cedere l'avito titolo ducale al detronizzato re di Polonia Stanislao Leszczyński, come disposto dai preliminari del trattato di Vienna. In cambio ricevette il diritto a ereditare il titolo granducale di Toscana dopo la morte di Gian Gastone de' Medici (1737), allora promesso all'infante di Spagna Carlo di Borbone, che vi rinunciò come contropartita al riconoscimento austriaco della conquista borbonica delle Due Sicilie.
Per garantire l'indipendenza alla Toscana e non renderla una regione dello stato asburgico si stabilì di tenere separate le due corone, mantenendo per il primogenito della casata degli Asburgo-Lorena il titolo imperiale, mentre per il secondogenito quello granducale.
Visitò la Toscana solo per tre mesi nel 1739 e la governò soltanto per mezzo di rappresentanti, peraltro capaci ed intelligenti.
Francesco Stefano e Maria Teresa ebbero 16 figli.

Leopoldo I (Pietro Leopoldo)

Come granduca di Toscana, Leopoldo fu un chiaro esempio di "sovrano illuminato" e le sue riforme si contraddistinsero per una propensione agli scopi pratici più che a quelli teorici. Nella sua opera riformatrice si avvalse di importanti funzionari come Giulio RucellaiPompeo NeriFrancesco Maria GianniAngelo Tavanti.
Il granduca avviò una politica liberista raccogliendo l'appello di Sallustio Antonio Bandini del quale fece pubblicare l'inedito Discorso sulla Maremma, promuovendo la bonifica delle aree paludosenella Maremma e nella Val di Chiana e favorendo lo sviluppo dell'Accademia dei Georgofili. Introdusse la libertà nel commercio dei grani abolendo i vincoli annonari che bloccavano le colture cerealicole e ma l'avvenimento capitale fu, dopo tanti secoli, la liquidazione delle corporazioni di origine medioevale, ostacolo principale per un'evoluzione economica e sociale dell'attività industriale. Introdusse poi la nuova tariffa doganale del 1781, in base alla quale vennero aboliti tutti i divieti assoluti, che furono sostituiti da dazi protettivi, tenuti, del resto, a un livello molto basso in confronto a quelli allora in vigore.
La trasformazione del sistema fiscale fu da Pietro Leopoldo intrapresa fin dai suoi primi anni di regno e nel 1769 venne abolito l'appalto generale ed iniziata la riscossione diretta delle imposte. Esitante si rivelò invece il sovrano fra la politica di Tavanti, che fino al 1781 attraverso il catasto, intendeva prendere la proprietà fondiaria come termine di misura per l'imposizione fiscale e, dopo la morte di Tavanti, nel 1781, quella di Francesco Maria Gianni, suo maggiore collaboratore dal quel momento, che concepiva un piano di eliminazione del debito pubblico attraverso la vendita dei diritti fiscali che lo stato aveva sulla terra dei sudditi. Si sarebbe poi passati ad un sistema fondato esclusivamente sull'imposizione indiretta; operazione questa che, iniziata nel 1788, non era ultimata nel 1790 quando Leopoldo divenne imperatore.
Riformò certi aspetti della legislazione toscana ma il suo maggior progetto, la redazione di un nuovo codice, che Pompeo Neri avrebbe dovuto realizzare, non giunse a termine per la morte del Neri stesso, mentre i progetti di costituzione non ebbero seguito a causa della sua partenza per Vienna.
In campo ecclesiastico Pietro Leopoldo si ispirò ai principi del giurisdizionalismo, sopprimendo i conventi e abolendo i vincoli di manomorta. Inoltre <<guardò con interesse al giansenismo, individuando nel vescovo di Pistoia, Scipione de'Ricci, l'alfiere di queste idee>> [Nota: dalla pag. 33 libro Giuseppe Marozzo della Rocca "Cardinale e Arcivescovo di Novara: La ...", visionablie a https://books.google.it/books?id=GSdyDgAAQBAJ&pg=PA33&lpg=PA33&dq=%22vincoli+di+manomorta%22&source=bl&ots=1s9jF4gWMc&sig=ACfU3U2uCbACqtojvb_rKkfYIiVoe9shmw&hl=en&sa=X&ved=2ahUKEwjC3KHr5_rgAhWGsqQKHdFHA-oQ6AEwAHoECAAQAQ#v=onepage&q=%22vincoli%20di%20manomorta%22&f=false ], e così, la Toscana si volse religiosamente verso il Giansenismo, rappresentato dal vescovo di Pistoia Scipione de Ricci, tanto che il granduca gli fece organizzare un sinodo a Pistoia nel 1786 per riformare l'organizzazione ecclesiastica toscana secondo i principi giansenisti.
Il programma uscito da questo sinodo, riassunto in 57 punti e frutto dell'intesa con Pietro Leopoldo, interessava gli aspetti patrimoniali e culturali e affermava l'autonomia delle Chiese locali rispetto al Papa e la superiorità del Concilio, ma le forti opposizioni del clero e del popolo lo convinsero a rinunciare a questa riforma.
Nel periodo 1779-1782 Pietro Leopoldo avviò un progetto costituzionale che continuò ulteriormente nel 1790 per fondare i poteri del sovrano secondo un rapporto contrattualistico. Anche questa politica però suscitò forti opposizioni, e il granduca, che proprio in quell'anno saliva al trono imperiale fu costretto a rinunciarvi.
Ma la riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo fu l'abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali: in un colpo solo abolì il reato di lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e, cosa più importante, la pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale del 1786 (che prenderà il nome di Riforma criminale toscana o Leopoldina). La Toscana sarà quindi il primo stato nel mondo ad adottare i principi di Cesare Beccaria, il più importante illuminista italiano che nella sua opera Dei delitti e delle pene invocava appunto l'abolizione della pena capitale. Salì al trono imperiale nel 1790, alla morte del fratello Giuseppe. Appena arrivato al potere dovette pacificare l'impero revocando i provvedimenti più radicali proposti dal fratello.
Nel 1790, alla morte del fratello Giuseppe II, ereditava la corona asburgica; il figlio Ferdinando divenne così granduca in un periodo che già si presentava agitato.

Ferdinando III

In politica interna, il nuovo granduca non ripudiò le riforme paterne che avevano portato la Toscana all'avanguardia in Europa, precedendo in alcuni campi persino la Rivoluzione francese allora in corso, ma cercò di limitarne alcuni eccessi, soprattutto in campo religioso, che erano stati accolti malvolentieri dal popolo.
In politica estera, Ferdinando III cercò di restare neutrale nella tempesta succeduta alla Rivoluzione Francese ma fu costretto ad allinearsi alla coalizione antirivoluzionaria su forti pressioni dell'Inghilterra, che minacciava di occupare Livorno e l'8 ottobre 1793 dichiarò guerra alla Repubblica Francese. La dichiarazione non ebbe però effetti pratici ed anzi, la Toscana fu il primo stato a concludere la pace e a ristabilire le relazioni con Parigi nel febbraio 1795.
La cautela del Granduca non servì però a tenere fuori la Toscana dall'incendio napoleonico: nel 1796 le armate francesi occupavano Livorno per sottrarla all'influenza britannica e lo stesso Napoleone entrava in Firenze, ben accolto dal sovrano ed occupava il Granducato, pur non abbattendo il governo locale. Solo nel marzo 1799 Ferdinando III fu costretto all'esilio a Vienna, in seguito al precipitare della situazione politica della penisola. Le truppe francesi rimasero in Toscana fino al luglio 1799, quando furono scacciate da una controffensiva austrorussa a cui diedero aiuto gli insorti sanfedisti del "Viva Maria!".
La restaurazione fu breve; già l'anno dopo Napoleone tornava in Italia e ristabiliva il suo dominio sulla Penisola; nel 1801 Ferdinando doveva abdicare al trono di Toscana, ricevendo in compenso prima (1803) il Granducato di Salisburgo, nato con la secolarizzazione dell'ex stato arcivescovile e poi (1805) il Granducato di Würzburg, altro stato sorto con la secolarizzazione di un principato vescovile.
Ferdinando III tornò in Toscana solo nel settembre 1814, dopo la caduta di Napoleone. Al Congresso di Vienna, ottenne alcuni ritocchi del territorio con l'annessione del Principato di Piombino, dello Stato dei Presidii, dei feudi imperiali di VernioMonte Santa Maria Tiberina e Montauto e la prospettiva dell'annessione del Ducato di Lucca, seppur in cambio di alcune enclaves toscane in Lunigiana.
La Restaurazione in Toscana fu, per merito del Granduca, un esempio di mitezza e buon senso: non vi furono epurazioni del personale che aveva operato nel periodo francese; non si abrogarono le leggi francesi in materia civile ed economica (salvo il divorzio) e dove si effettuarono restaurazioni si ebbe il ritorno delle già avanzate leggi leopoldine, come in campo penale.
Le maggiori cure del restaurato governo lorenese furono per le opere pubbliche; in questi anni si realizzarono numerose strade (come la Volterrana), acquedotti e si diede inizio ai primi seri lavori di bonifica della Valdichiana e della Maremma, che videro l'impegno personale dello stesso sovrano.
Ferdinando III pagò questo lodevole impegno personale con la contrazione della malaria, che lo condusse a morte nel 1824. Ferdinando sposò a Vienna il 19 settembre 1790 Luisa Maria Amalia di Borbone-Napoli da cui ebbe cinque figli:
  • Carolina Ferdinanda (Firenze, 2 agosto 1793- Vienna 5 gennaio 1802);
  • Francesco Leopoldo (Firenze, 15 dicembre 1794-Vienna, 18 maggio 1800);
  • Leopoldo II Giovanni (Firenze, 3 ottobre 1797-Roma 29 gennaio 1870);
  • Maria Luisa (Firenze, 30 agosto 1799-Firenze, 15 giugno 1857);
  • Maria Teresa (Vienna, 21 marzo 1801-Torino, 12 gennaio 1855).
Rimasto vedovo nel 1802, si risposò a Firenze il 6 maggio 1821 con Maria Ferdinanda di Sassonia, ma non ebbe altri figli.

Leopoldo II

Alla morte del padre nel 1824 Leopoldo II assunse il potere e subito dimostrò di voler essere un sovrano indipendente, appoggiato in questo dal ministro Vittorio Fossombroni, che seppe sventare una manovra dell'ambasciatore austriaco conte di Bombelles per influenzare l'inesperto granduca. Questi non solo confermò i ministri che aveva nominato il padre ma diede subito prova della sua sincera voglia di impegnarsi con una riduzione della tassa sulla carne ed un piano di opere pubbliche che prevedeva la continuazione della bonifica della Maremma (tanto da essere soprannominato affettuosamente "Canapone" e ricordato dai Grossetani con un monumento scultoreo collocato in Piazza Dante), l'ampliamento del porto di Livorno, la costruzione di nuove strade, un primo sviluppo delle attività turistiche (allora chiamate "industria del forestiero") e lo sfruttamento delle miniere del granducato.
Dal punto di vista politico, il governo di Leopoldo II fu in quegli anni il più mite e tollerante negli stati italiani: la censura, affidata al dotto e mite Padre Mauro Bernardini da Cutigliano, non ebbe molte occasioni di operare e molti esponenti della cultura italiana del tempo, perseguitati o che non trovavano l'ambiente ideale in patria, poterono trovare asilo in Toscana, come accadde a Giacomo LeopardiAlessandro ManzoniGuglielmo PepeNiccolò Tommaseo. Alcuni scrittori ed intellettuali toscani come GuerrazziGian Pietro Viesseux e Giuseppe Giusti, che in altri stati italiani avrebbero sicuramente passato dei guai, poterono operare in tranquillità. È rimasta celebre la risposta del granduca all'ambasciatore austriaco che si lamentava che "in Toscana la censura non fa il suo dovere", al quale ribatté con stizza "ma il suo dovere è quello di non farlo!". Unico neo in tanta tolleranza e mitezza fu la soppressione della rivista "L'Antologia" di Gian Pietro Viesseux, avvenuta nel 1833 per le pressioni austriache e comunque senza ulteriori esiti civili o penali per il fondatore. Nell'aprile 1859, nell'imminenza della guerra franco-piemontese contro l'Austria, Leopoldo II proclamò la neutralità ma ormai il governo granducale aveva i giorni contati: in Firenze la popolazione rumoreggiava e le truppe davano segni di insubordinazione.
Il 27 aprile, verso le quattro, davanti ad una grande folla tumultuante per le strade di Firenze e all'aperta rivolta dell'esercito, Leopoldo II partì in carrozza da Palazzo Pitti, uscendo per la porta di Boboli, verso la strada di Bologna. Aveva appena rifiutato di abdicare a favore del figlio Ferdinando.
La pacifica rassegnazione al corso della storia (il Granduca non pensò mai ad una soluzione di forza) e le modalità del commiato, con gli effetti personali caricati in poche carrozze e le attestazioni di simpatia al personale di corte, fecero sì che negli ultimi momenti di permanenza in Toscana gli ormai ex sudditi riacquistassero l'antica stima per Leopoldo: la famiglia granducale fu salutata dai fiorentini, levantisi il cappello al passaggio, con il grido "Addio babbo Leopoldo!" e accompagnata con tutti i riguardi da una scorta fino alle Filigare, ormai ex dogana con lo Stato Pontificio. Alle sei pomeridiane di quello stesso giorno, il Municipio di Firenze constatò l'assenza di alcuna disposizione lasciata dal sovrano e nominò un governo provvisorio.
Rifugiatosi presso la corte viennese, l'ex granduca abdicò ufficialmente solo il successivo 21 luglio; da allora visse in Boemia, recandosi a Roma nel 1869, dove morì il 28 gennaio 1870. Nel 1914 la sua salma fu poi trasportata a Vienna per essere sepolta nel mausoleo degli Asburgo, la Cripta dei Cappuccini.

Ferdinando IV

Figlio del granduca Leopoldo II e della granduchessa Maria Antonietta, salì virtualmente al trono di Toscana dopo l'abdicazione del padre nel 1859; fu un protagonista involontario del Risorgimento in quanto fino al passaggio della Toscana al Regno d'Italia (1860) ne era diventato granduca anche se non viveva a Firenze e non aveva mai preso legalmente pieni poteri.
Nonostante ciò anche dopo la soppressione del Granducato, Ferdinando, avendo mantenuta la "fons honorum" e la collazione degli Ordini dinastici, continuò ad elargire titoli e decorazioni. Cercò, fino al 1866, di ricostituire il Granducato, finanziando personalmente un movimento autonomista toscano; in seguito al riconoscimento del Regno d'Italia da parte dell'Impero austriaco, lasciò l'Italia e andò in esilio in Austria.
Sposò nel 1856 la principessa Anna Maria di Sassonia, che morì nel 1859, e in seconde nozze Alice di Borbone-Parma.
Il 20 dicembre 1866 Ferdinando IV di Toscana ed i suoi figli rientrarono nella Casa Imperiale e la Casa di Toscana smise di esistere come casa reale autonoma, venendo riassorbita da quella imperiale austriaca; a Ferdinando fu permesso di mantenere la sua fons honorum vita natural durante, mentre i figli divennero solo Principi Imperiali (Archiduchi/Arciduchesse d'Austria) e non più Principi/Principesse di Toscana: Ferdinando IV abdicò ai diritti dinastici al Granducato di Toscana (1870) a favore dell'Imperatore Francesco Giuseppe d'Austria [1][2][3][4] e pertanto anche i suoi discendenti persero ogni diritto dinastico sulla Toscana [5]. Il Gran Magistero dell'Ordine di Santo Stefano cessò invece con la morte di Ferdinando IV [6]. L’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916) aveva infatti proibito, dopo la morte del granduca Ferdinando IV avvenuta nel 1908, di assumere i titoli di granduca o di principe o principessa di Toscana [7].
Morì in esilio a Salisburgo nel 1908.

Note

  1. ^ Bernd Braun: Das Ende der Regionalmonarchien in Italien. Abdankungen im Zuge des Risorgimento. In: Susan Richter, Dirk Dirbach (Hrsg.): Thronverzicht. Die Abdankung in Monarchien vom Mittelalter bis in die Neuzeit. Böhlau Verlag, Köln, Weimar, Wien 2010, pagg. 251–266
  2. ^ Benedikt, Heinrich, Kaiseradler über dem Apennin. Die Österreicher in Italien 1700 bis 1866. Vienna: Herold Verlag, 1964
  3. ^ Karl Vocelka, Lynne Heller: Die private Welt der Habsburger: Leben und Alltag einer Familie, Styria, 1998, pag. 253, colonna I
  4. ^ Das Haus Habsburg: Vorspann ; Register ; Quellen ; Das Haus Alt-Habsburg ; Das Haus Habsburg-Lothringen, Alois Jahn, Selbstverl, 2002, pag. 59, 65
  5. ^ Annuario della Nobiltà Italiana, XXXII edizione, 2014, parte I
  6. ^ Rivista Araldica, anno 1913, volume 11, pagina 381, Roma, Collegio Araldico: "Da informazione ufficiale assunta a Vienna togliamo quanto segue «A Sua Altezza I. R. il defunto Granduca Ferdinando IV di Toscana era stato permesso dall'Impero austro-ungarico e dagli Stati dell'Impero germanico, di conferire i tre Ordini toscani, inerenti alla Sovranità, che anche spodestato, rimase all'Augusto principe fino alla sua morte. Il titolo di Principe di Toscana fu solo autorizzato ai membri della famiglia granducale nati prima del 1866. Dopo la morte del Granduca (1908) tutti gli augusti figli del defunto dovettero solennemente rinunciare ad ogni qualsiasi diritto di cui personalmente ed eccezionalmente godeva il padre. Quindi il Gran Magistero dell'Ordine di S. Stefano per volontà di S. M. l'Imperatore e Re è terminato col defunto Granduca, né più sarebbe accettato dagli augusti Principi Lorenesi"
  7. ^ SILVA TAROUCA, Adler, Vienna, 1954, p. 165