martedì 21 settembre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 160. Il mio nome è Ozymandias




Aurora mise alla prova il Maestro Monterovere e pensò:
"Se sai leggere veramente nel pensiero, Lorenzo, parlami di Jessica! Fammi un discorso che riguardi Jessica!"
Lorenzo con apparente noncuranza, intervenne ad alta voce nel dialogo tra i commensali:
<<Ah, dimenticavo di dirvi che ho letto sul Financial Times che lady Jessica Burke-Roche è stata nominata Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Tessier-Ashpool Corporation, ed ha ottenuto anche la Direzione Generale della sede londinese e la delega al ruolo di Direttrice del Laboratorio OGM, organismi geneticamente modificati>>
Lo sconcerto di Aurora fu enorme, per due ragioni.
In primo luogo perché Lorenzo Monterovere aveva dimostrato senza ombra di dubbio che, con l'adeguata concentrazione, poteva recepire il pensiero di chi gli stava davanti, il che era sconcertante. (Se Piero Angela avesse partecipato all'esperimento, avrebbe cambiato idea sui chiaroveggenti e magari, con una pubblicazione ad hoc e un documentario annesso avrebbe cambiato il corso della Scienza e vinto il Premio Nobel. Ma gli Iniziati mantenevano ben nascosta l'informazione che i loro migliori Maestri erano in grado di praticare la telepatia).
In secondo luogo, l'informazione riguardante Jessica era incredibile, assurda e spiazzante. 
Bisognava chiarirne i retroscena.
Cercò di mascherare lo shock, ma non ci riuscì:
<<Cosa? E che azienda è? Di cosa si occupa?>>
Il Maestro rispose con orgoglio, perché di fatto era lui che dirigeva tutto:
<<E' una multinazionale farmaceutica, che si occupa anche di biotecnologie, robotica medica e soprattutto di ingegneria genetica.
E' un vero colosso, se consideriamo che controlla a sua volta migliaia di altre imprese e crea un indotto per miliardi di dollari e innumerevoli posti di lavoro in tutti i continenti, compreso l'Antartide.
Dicono che la Tessier-Ashpool abbia già concluso la mappatura o sequenziamento dell'intero genoma umano. Detto in parole povere il DNA umano non ha più segreti, anche se ufficialmente la notizia non è stata resa nota.
Il Progetto Genoma Umano guidato da Renato Dulbecco fornirà i dati ufficiali soltanto tra qualche anno.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione nel mondo delle scienze biologiche e mediche.
Questa mappatura sarà il vero oroscopo ed oracolo in grado di mostrare in maniera statisticamente definita le predisposizioni di ognuno di noi>>
Aurora comprendeva le implicazioni enormi di questa scoperta, ma prima di parlarne, doveva chiarire un punto che le stava molto a cuore:
<<E Jessica cosa c'entra in tutto questo? E' una ragazzina che non ha alcuna competenza in materia... non capisco...>>
Il Maestro le spiegò:
<<La madre di Jessica era Marie Gabrielle Tessier-Ashpool, biologa specializzata in genetica e biotecnologie, ma soprattutto figlia dei due fondatori dell'azienda, Marie France Tessier e John Ashpool>>







Per Aurora non bastava:
<<Anche se avesse ereditato la quota di controllo, come può dirigere un laboratorio senza avere le competenze necessarie?>>
Lorenzo sospirò, perché non poteva trattare di alcuni argomenti davanti a Roberto:
<<E' ben consigliata, posso assicurartelo, e poi è cresciuta in un ambiente dove questi argomenti erano il pane quotidiano e l'aria da respirare.
Voi sapete già tutto sulla famiglia paterna di Jessica, ma credo sia molto più interessante conoscere i misteri che riguardano i suoi antenati materni.

Marie France Tessier, nonna materna di Jessica, era figlia di un banchiere di Ginevra e di una nobildonna parigina, ed era laureata in Medicina con specializzazione in Farmacologia. 
John Ashpool, nonno materno di Jessica, era australiano, laureato in Farmacia, chimica industriale e farmaceutica, ed economia aziendale.
I due si conobbero a Oxford, dove frequentarono insieme alcuni corsi di chimica del Master of Science.
Erano accomunati, oltre che da una forte attrazione reciproca, anche da un'immensa ambizione e dal sogno di realizzare, insieme, un grande progetto. E ci riuscirono.
Inizialmente vissero in Australia, dove Ashpool creò un impero partendo dalla farmacia di suo padre, anche se i soldi glieli prestò il suocero e le scoperte farmacologiche le fece la moglie.

E infatti Marie France pretese che il suo cognome precedesse quello del marito nel nominativo dell'azienda Tessier-Ashpool, così come nel cognome dei loro due figli.
La società fu fondata nel 1962 e fu quotata in borsa nel 1982.
Il logo dell'azienda era formato da una A circolare che conteneva al suo interno una T arrotondata.




Il figlio primogenito John Junior fu una delusione: studiò economia e finanza, ma non riuscì mai a laurearsi. Il suo unico interesse per la farmacologia riguardava i narcotici, di cui abusava ed era dipendente. I genitori tollerarono la cosa, ma lo esclusero completamente dall'azienda di famiglia, liquidandolo con una cospicua donazione.
Andò a vivere in California e sposò una modella da cui ebbe un figlio, John III. 
L'ex modella poi chiese ed ottenne il divorzio e l'affidamento del figlio. Insomma, la solita storia. 
Di John Junior non si è saputo più niente, se non che ha ottenuto il cavalierato "per la generosità dei contributi filantropici, specie nel settore sportivo".
John III invece è stato menzionato nel testamento del nonno>>
Anche Roberto ascoltava, interessato, ma faticava a seguire i dettagli:
<<Quindi il vecchio Ashpool è morto? Quand'è successo?>>
Lorenzo:
<<Sono morti quasi tutti, ed in modo strano. E' una vicenda molto oscura.

La prima crisi familiare si verificò quando tra i due coniugi fondatori, che detenevano ciascuno il 50% del capitale, prima della quotazione in borsa, sorse un disaccordo strategico importante.
Marie France voleva puntare più sulla la robotica medica, lui invece voleva destinare all'ingegneria genetica la maggior parte dei fondi per la ricerca e sviluppo. 
"Io scommetto sugli uomini, lei vorrebbe scommettere sugli automi" disse John Ashpool davanti all'Assemblea dei soci. La discussione che ne seguì fu lunga e controversa.
Era un momento di grande tensione e di stallo.
Ashpool si rivolse a Fernando Albedo, il quale gli diede il suo appoggio finanziario (e non solo).

Proprio mentre era in corso questa diatriba, la figlia Marie Gabrielle morì in un incidente stradale, mentre viaggiava col marito, lord Burke-Roche, morto pure lui. 
Marie France morì pochi mesi dopo in circostanze misteriose: secondo alcuni si trattò di un suicidio, per altri di un avvelenamento, e il principale sospettato era il marito, ma nessuno riuscì a inchiodare il vecchio Ashpool.

Lui mantenne la presidenza del CdA, scegliendo quindi di destinare i fondi alla genetica.
E qui sarò molto sincero, perché ormai tra noi non ci devono essere segreti: Fernando Albedo ha acquisito la quota di Marie-France, in modo da poter avere un laboratorio moderno e all'avanguardia per il nostro Programma Genetico, dove realizzare quella che in termini esatti è chiamata Tecnologia del DNA ricombinante.

John Ashpool portò avanti anche un suo progetto personale, nel laboratorio di Villa Straylight, la sua tetra residenza scozzese, dove si narra che abbia condotto esperimenti ai limiti della legalità, alla Victor Frankenstein o alla Dottor Jekyll. 
Un maggiordomo che riuscì a fuggire da Villa Straylight, raccontò che il vecchio pazzo, un giorno, nel suo laboratorio, fece una scoperta che lo rese così euforico da mettersi in piedi su un tavolo anatomico declamando alcuni versi di Shelley, che in italiano suonano così:

«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re, / ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!» 

Immagino che conosciate il significato di queste parole>>

Roberto rispose:
<<Ozymandias era uno dei soprannomi principali di Ramsete II, o Ramesse II, il famoso, potente e longevo Faraone della diciannovesima dinastia dell'Antico Egitto. E' quello di cui si parla nell'Esodo.
Il soprannome proviene da una traslitterazione in greco di una parte del nome regale di Ramesse, User-maat-re Setep-en-re.
La prima parte della poesia riprende la traduzione di Diodoro Siculo dell'iscrizione alla base della statua colossale, in cui Ramesse solleciterebbe, per aiutare chi chiedesse chi fosse e che cosa mai avesse fatto, di portare come prova la grandezza delle sue opere.
Shelley, però, aggiunge:  "nulla accanto rimane"; infatti per quanto grandi siano state le opere di Ramesse, il tempo le ha cancellate lentamente, come svanito nel nulla è il suo impero, e il poeta sembra rivolgere lo stesso monito agli imperi a lui contemporanei.
Una giusta profezia, anche se si verificò soltanto un secolo dopo.
I critici concordano sul fatto che sia la seconda parte quella che dà il significato alla poesia, ma la citazione della frase e il nome stesso di Ozymandias conferiscono un tono epico e solenne al sonetto, ed è questo che sicuramente si addiceva allo stato d'animo euforico ed esaltato di John Ashpool.>>




Lorenzo approvò:
<<Infatti Ashpool era ormai fuori di testa. In circostante normali, l'avrebbero ricoverato in una clinica per disturbi mentali, ma come potrete immaginare, noi Iniziati eravamo molto interessati alle sue ricerche, di cui non posso parlare.
Riuscimmo quindi a permettergli di continuare a lavorare, e di tenere sotto la propria custodia una sua nipote, lady Jane.
La morte di John Ashpool ha avuto un aspetto inquietante.
Anno scorso ci rivelò di essere gravemente malato, e di trovarsi ormai allo stadio terminale, per questo decise di farsi ibernare, in attesa della scoperta di nuove cure. 
Vi rendete conto? Ibernare! 
E così prima fu anestetizzato e poi portato progressivamente verso il congelamento.
Naturalmente il suo cuore si è fermato e lui è stato dichiarato deceduto sia a livello medico che a livello giuridico.
Insomma, è morto, ma i suoi fedelissimi preferiscono dire che è in criostasi.
Tutta l'attenzione si è poi concentrata sul testamento, in cui nominava Jessica Burke-Roche erede universale, esclusi i lasciti destinati ad altri.
Ed è per questo che Jessica detiene il 51% della Tessier-Ashpool Corporation. 
La cosa ancor più strana è che il vecchio non ha lasciato nulla alle sorelle minori di Jessica, tranne che a lady Jane, la sua preferita, che avuto un lascito consistente>>

Aurora era sempre più meravigliata:
<<Jessica ha delle sorelle minori? Non ne ha fatto il minimo cenno>>
Lorenzo annuì:
<<Sembra che siano tutte minorenni, ma non si conosce la loro età esatta
Ad essere sinceri, non si sa quasi nulla di loro. Si conoscono solo i nomi: Jennifer, Jane, Julia e Joelle>>
Aurora rise:
<<Che fantasia! Tutte con il nome che inizia con la J!>>
Lorenzo era divertito:
<<Forse per onorare il patriarca. Dicono che John Ashpool le chiamasse per numero, perché non le distingueva tra loro, tanto erano simili, ma è senz'altro una leggenda metropolitana.
Comunque Jessica era la 1 e così via in ordine di età decrescente.
La numero 3, lady Jane, viveva con lui, a Villa Straylight, e infatti nel testamento la villa è andata a lei, insieme a un fondo fiduciario consistente, amministrato dal suo tutore legale, un vecchio avvocato, che è riuscito a conciliare le due famiglie dei genitori defunti, i Burke-Roche e i Tessier-Ashpool.
Le altre nipoti non sono state nemmeno menzionate, ma nessuno ha impugnato il testamento. Vivono con lady Jane a Villa Straylight>>




Ormai il baricentro del discorso si era spostato in una ben precisa direzione.
Roberto aveva capito che Aurora voleva informazioni su Jessica e che Lorenzo era reticente perché non voleva che lui sentisse.
Poteva essere il momento per lasciare che lo zio dicesse ad Aurora in maniera più esplicita ciò che stava pensando.
Che dica pure quel che gli pare. Aurora non si farà certo influenzare da lui.
Si alzò e andò in bagno, lasciando che suo zio desse il meglio e il peggio di sé con tutte le sue sottigliezze.
Aurora stette al gioco e si rivolse subito a Lorenzo:
<<Tu conosci Jessica di persona, vero?>>
Lorenzo sorrise:
<<Oh, sì, sono stato il suo Maestro, per prepararla ad entrare nell'Ordine. 
E Jessica è stata la mia migliore allieva. E' come una figlia per me>>
Aurora l'aveva sospettato fin dall'inizio:
<<Questo spiega la sua perfetta conoscenza dell'italiano. Ma perché mi ha mentito, dicendomi di non averti mai conosciuto di persona?>>
Lui aveva gli occhi vigili e scintillanti:
<<Roberto non era e non è ancora pronto per saperlo. E' ancora nella fase iniziale del suo risveglio interiore, e non voglio che ci siano cambiamenti troppo rapidi. 
Conviene anche a te che questo non accada.
Ricorda: una volta che il "dormiente" si risveglia, non lo può fermare più nessuno. 
Tu sai molte cose che lui non sa. Confido nella tua discrezione>>
Aurora sapeva anche di avere poco tempo per porre liberamente le sue domande:
<<Sarò discreta, a patto che tu mi dica quali sono le intenzioni di Jessica. Costituisce una minaccia per il rapporto che c'è tra me e Roberto?>>
Lorenzo si fece serissimo:
<<Non una minaccia immediata. La vera minaccia è un'altra e viene "da dentro"
Mi dispiace doverlo dire, ma è voglio essere onesto con te: mio nipote ha un carattere instabile, una personalità evitante: tiene le persone a distanza.
E poi è volubile, incostante, l'avrai notato anche tu, forse le l'ha detto lui stesso. 
Il meccanismo è sempre lo stesso: a un certo punto, all'improvviso esclude alcune persone dalla propria vita senza una spiegazione convincente. Forse nemmeno lui sa esattamente il perché. 
Nei casi in cui ci sia un conflitto, mostra poca pazienza e pochissimo equilibrio: opera delle vere e proprie "epurazioni". Cercherò di porre un freno a tutto questo, ma ci vorranno anni, forse anche decenni.
Per adesso, se un amico "cade in disgrazia", molti dei comuni conoscenti sono "epurati" a loro volta e su tutti cade una specie di "damnatio memoriae">>
Lei non si scompose:
<<So tutto, lo conosco e lo tengo d'occhio da sei anni. Ed non sono né una stupida, né una semplice "amica". 
Lui è innamorato di me, e credimi se ti dico che ne ha dato prova in maniera inoppugnabile, perché nel privato ho anch'io le mie stranezze, anche maggiori delle sue, e lui ha sempre fatto di tutto per compiacermi, pur chiamandomi narcisista, edonista e sadomasochista.
Ben pochi sarebbero stati capaci di sopportare tutto questo, ma lui l'ha fatto.
Non avrei potuto chiedere di più e di meglio di quanto lui è in grado di darmi>>




Anche Lorenzo non si scompose:
<<Ti credo e non ne dubito. Quando è innamorato, Roberto idealizza la fanciulla e la fa sentire una dea. 
Ma innamoramento e amore non sono la stessa cosa.
Col passare del tempo, nelle persone comuni, l'innamoramento si trasforma in amore: un sentimento più stabile e profondo. 
Ma questo a Roberto non accade: incomincia a notare i difetti e li mette sull'altro piatto della bilancia e quando l'innamoramento, come è naturale che sia, diminuisce, viene sostituito dal fastidio per quel piatto di difetti che si fa sempre più pieno e pesante. 
E' una dinamica accaduta numerose volte, glielo leggevo in faccia.
Era così anche Ettore Ricci, con le donne, tranne che con una, l'unica che lui abbia mai amato e l'unica che non lo ha mai ricambiato>>
Aurora fu pervasa dalla consapevolezza di tutto:
<<Diana Orsini. Alla fine si torna sempre a lei. Tutto gira intorno a lei, fin dall'inizio di questa storia. E' sempre girato tutto intorno a lei>>
Lorenzo si illuminò:
<<Esatto. E' lei la protagonista! Diana, in tutta la sua vita, ha amato una persona sola, e non era né suo marito, né il suo amante. Lei ha amato solo Roberto, lo ha sommerso con un oceano di amore, un amore puro e incondizionato.
Non hanno mai litigato, nemmeno discusso, neanche una volta e non lo faranno mai.
Un'intesa così lui non l'ha e non l'avrà mai con nessun'altra persona.
E non amerà mai nessun'altra donna come ama lei. 
Di te è innamorato, follemente, ma come ho detto esiste una grandissima differenza tra l'innamoramento e l'amore.
Se dovesse scegliere chi buttare dalla torre, non ci penserebbe neanche un secondobutterebbe te, non lei.





Il posto che Diana occupa nel suo cuore potrà essere preso soltanto da una ragazza che in qualche modo possa ricordagli Diana, com'era nelle sue foto di quando aveva tra i venti e i trent'anni.
E, senza offesa, quella ragazza non sei tu>>
Aurora avrebbe voluto strangolarlo, ma doveva prima scoprire le sue trame:
<<Se è per questo non lo è neanche Jessica! Non ha nemmeno un millesimo del carisma di Diana Orsini, e anche fisicamente è molto diversa: è più bassa, ha i capelli color topo e in generale tutta la faccia "da topo". Non ha quegli occhi grandi, neri e malinconici che hanno fatto cadere Ettore Ricci ai suoi piedi. 
Non illuderti, non vincerà lei!>>
Lorenzo, a sorpresa, si mostrò d'accordo:
<<Lo so. Nessuna delle due vincerà, ammesso che si possa considerare una vittoria stare con una testa calda come mio nipote.
Lascerà anche lei, e per un po' non vorrà nemmeno sentir parlare di matrimonio>>
Aurora ribatté:
<<Ma tu non lascerai certo estinguere la "gloriosa stirpe" dei Monterovere!
Anzi, quando le generazioni precedenti si estingueranno, tu vorrai far risorgere l'albero dal ceppo, con un nuovo rampollo, quello destinato alla grandezza, non è così?




La soluzione del rebus è nella scoperta realizzata da John Ashpool e sperimentata "in corpore vili" su lady Jane.
Non lo dico ad alta voce, ma ho capito di cosa si tratta.
La Tessier-Ashpool Corporation ci sta lavorando da molto più tempo di quanto tu abbia voluto dirci.
John Ashpool non chiamava le nipoti vere per numero, ma soltanto le loro... non ho nemmeno il coraggio di dirlo, ma tu puoi leggermi nel pensiero>>
Il Maestro fu deliziato da tanta intuizione:
<<Che splendida allieva saresti stata! Avrai un grande futuro, ma non con mio nipote: non ne vale la pena>>
E qui si fermò, perché Roberto stava tornando, sveglio e fresco, e avrebbe capito tutto in una frazione di secondo se non si fosse tornati a parlare per enigmi.
<<Sparlavi di me! Lo so quindi non provare a negarlo, ma Aurora conosce già tutti i miei difetti, per cui non temo le tue stilettate>>
Lorenzo, candidamente, rispose:
<<Parlavamo di te, senza la "s": descrivevo il forte legame che avevi con Ettore e che hai con Diana e con la loro terra, con quella magione neogotica, quei due torrentelli, quel bosco. 
Che male c'è, se non che il tempo tenterà di spazzare via tutto, e noi dovremo cercare di impedirlo?>>
Roberto sapeva che c'era dell'altro, ma si riservava di chiederlo ad Aurora, in seguito.
<<Farò finta che tra voi non sia stato detto altro. 
L'unica cosa che conta è che io e Aurora ci amiamo, e io ringrazio il Cielo per questo, e prego che si mantenga "con l'aiuto del buon Dio, stando sempre attenti al lupo" come canta il tuo illustre concittadino, zio. L'hai mai conosciuto?>>
Lorenzo rimase per un attimo spiazzato da quella domanda e poi la sua faccia divenne di un colore tra il magenta e il fucsia:
<<Chi, Lucio Dalla? Ma sì, ogni tanto, se ne sta sempre là in quella panchina, come un barbone. Che strano tipo. Ma in fondo ognuno è pazzo a modo suo!>>
Tutti ne convennero, ma si creò un silenzio imbarazzante.
E poi, con grande stupore di tutti, Lorenzo uscì dall'impasse con un'improvvisazione:
<<Da ragazzo, per un breve periodo, studiai musica e canto, perché ero bravo nel coro della parrocchia. E così mia nonna Eleonora, che era una donna istruita, mi faceva imparare delle arie o romanze tratte dai melodrammi più popolari dei nostri grandi compositori.
Molte di queste le ho ritrovate in un album di due anni fa che raccoglie molte romanze liriche interpretate da Luciano Pavarotti.
La sua voce è unica perché è a metà strada tra un tenore e un soprano, sì non sto scherzando, è quella punta acuta, limpida e decisa come una sorgente impetuosa e inesauribile, che ha reso uniche le sue performance.
E' inconfondibile così come lo era la voce Callas, non c'era paragone, lo capivi subito se era lei: il suo timbro, la sua coloratura e l'estensione vocalica erano realmente divini.
Avete presente "O mio babbino caro", dal Gianni Schicchi di Puccini? 
La versione della Callas si riconosce immediatamente: si sente che la voce vibra, si rimodula senza alcuna fatica, viaggia su un ampio spettro vocalico, si eleva e subito diventa un acuto potente, trascinante, pieno di energia, di vigore, di passione senza che lei abbia bisogno di prendere respiro.
Non parliamo poi della sua presenza scenica, della sua gestualità, della mimica, tutte capacità che la rendevano completa, perché era anche attrice.
Se confrontiamo lo stesso brano cantato da altre sue colleghe illustri, non c'è gara.
Persino Monserrat Caballé, al confronto, sembra Orietta Berti. 
Le sue "rivali" vere o presunte, come Renata Tebaldi, tecnicamente potevano anche essere considerate perfette, ma mancava il sapore, mancava il sale, mancava l'originalità interpretativa, lo stile che ti rende unico al mondo.
Perdonate le mie divagazioni, ma servono tutte a ricordare cos'era la qualità di un tempo, a ricordarvi la bellezza: Roberto, prima di bollare la vita come un puro supplizio, riempi la tua giornata di contenuti artisticamente elevati, scoprine l'unicità, riconosci il miracolo che c'è dietro!
Ci vuole qualcuno che ricordi gli artisti non per il loro aspetto mondano o la loro vita tempestosa, ma per la qualità unica della loro arte.
Perché è vero che in ogni opera l'artista mette una parte di sé, ma non si tratta necessariamente di elementi autobiografici, a volte il contributo personale sta nel modo in cui alcune opere o vicende altrui vengono rielaborate dalle nostre emozioni, conoscenze ed esperienze: questo è lo stile.
Chi ha carisma può rendere, anche senza volerlo e senza nemmeno immaginarlo, il proprio stile un punto di riferimento per un'intera generazione, o per un periodo storico, o addirittura per un intero genere artistico o letterario.
Ne parlo spesso ai miei allievi, specie a quelli che sono destinati all'insegnamento profondo.
Ogni giorno dovremmo nutrire la nostra anima con un brano di musica o una poesia d'autore, un capitolo di un romanzo o di un saggio, un film di qualità, una riproduzione di qualche quadro o scultura o edificio, un elemento di cultura scientifica naturale o sociale o linguistica: un'etimologia per esempio. 
Borges riteneva che lo studio delle etimologie fosse uno dei più completi ed io sono assolutamente d'accordo.
Dobbiamo cercare di essere onnivori, spaziare il più possibile: la risposta non sta in una sola "versione", in un solo punto di vista, ma nel mosaico complessivo in cui queste tessere si inseriscono.
Non si tratta né di eclettismo, né di sincretismo: il mosaico finale è sempre lo stesso, anche se ognuno di noi ne ricompone solo una parte. 
Per questo è sempre meglio spaziare. Lo specialista sa molto su poche cose e tende a specializzarsi ulteriormente, sapendo sempre di più su sempre di meno, fino a che arriverà il momento in cui saprà tutto su niente. E' il paradosso della specializzazione, che si evita spaziando.
Certo, il tempo è poco, siamo stanchi, vogliamo riposare la mente, rilassarci, dormire, io lo so, lo capisco benissimo, ma se non riusciamo a ritagliare uno spazio per ciò che di meglio la creatività umana ha realizzato, diventeremo automi, ingranaggi, e allora sì che avremo sprecato la nostra occasione.
Vi dico questo perché vorrei che entrambi foste almeno in parte miei allievi nell'insegnamento profondo e lo dico in particolare a Roberto non perché è mio nipote, ma perché ha una visione eccessivamente catastrofista, e detto da me, che sono considerato tale, dev'essere proprio vero.
A ognuno di noi si presenta, almeno una volta nella vita, la possibilità di dare il proprio contributo in maniera costruttiva, di fare la differenza in positivo: ve ne accorgerete quando accadrà, e vorrei che ricordaste queste mie parole, affinché vi indirizzino a non perdere la vostra opportunità.
Ero partito dalla musica, dal melodramma e dalle canzoni, specie quelle liriche.
Grandi concetti possono essere veicolati in maniera efficace dalle romanze liriche, anche quelle che sembrano a noi più lontane nello stile o nel lessico, e qui torno al disco di cui vi ho parlato: c'è una particolare aria, che non conoscevo, i cui versi sono stati scritti da Pietro Metastasio, mentre la musica è di Vincenzo Bellini.
Ho scoperto che, dietro la sua apparente semplicità, è un brano meraviglioso, su cui si sono cimentati non solo i tenori dalla voce limpida, ma anche molte soprano.
Intensa e struggente è la musica, ed estremamente significative sono le parole, che oltre ad avere l'efficacia tipica e ritmica del Metastasio (un grandissimo "artigiano della poesia", ingiustamente sottovalutato), hanno un valore semantico illuminante.
Ecco, se cercate una definizione dell'amore vero, pensate alla romanza che ora tenterò, complice il vino e il clima conviviale, di riprodurre in falsetto, perché si presta, ma a bassa voce:

Ma rendi pur contento
della mia bella il core
e ti perdono, amore
se lieto il mio non è.
Gli affanni suoi pavento
più degli affanni miei
perché più vivo in lei
di quel ch'io vivo in me.

Lo capite qual è il punto chiave: temere i dispiaceri della persona amata più dei propri!
Fatevi un esame di coscienza, lo provate davvero questo sentimento? Sì?
Ecco, se lo provate è amore, se non lo provate è solo innamoramento, che è tutta un'altra cosa>>
Roberto si sentì chiamato in causa:
<<Certo! E' una distinzione che hai espresso molto efficacemente. Purtroppo io non ho talento in campo musicale, per cui non posso azzardarmi a cantare neanche una sola nota. 
Posso dire, però che mi piacerebbe dedicare ad Aurora la romanza Mattinata, di Leoncavallo, che ho ascoltato in uno dei dischi di mio padre, interpretata addirittura da Enrico Caruso che si distingue per quel sapore di "piccolo mondo antico" dei primi del Novecento, un po' crepuscolare, un po' malinconica, forse un po' leziosa, diciamolo pure, perché la nostra sensibilità rifiuta un'enfasi eccessiva. Ho ascoltato anche la versione di Pavarotti e sono d'accordo con te, zio, è limpida, decisa ed esaltante, ma senza affettazione, senza l'enfasi leziosa del periodo anteguerra.
Mi limiterò a rievocarla limitandomi all'elemento metrico e prosodico, per quel che riguarda l'aspetto fonosimbolico:

L'aurora di bianco vestita
Già l'uscio dischiude al gran sol;
Di già con le rosee sue dita
Carezza de' fiori lo stuol!
Commosso da un fremito arcano
Intorno il creato già par;
E tu non ti desti, ed invano
Mi sto qui dolente a cantar.

In particolare mi piace la frase "commosso da un fremito arcano": è come il vento sugli alberi, la pioggia sui prati, i volteggi delle rondini nel cielo, le nuvole che si allontanano dietro le colline, prima che sorga il sole.
E poi l'attesa, il senso della mancanza, perché tutta questa meraviglia non ha senso se la persona amata non c'è a condividerla con noi>>

Solo quando fu troppo tardi Roberto si accorse che, pur essendo meraviglioso, quel testo non esprimeva l'amore secondo la definizione di Lorenzo. 
Seppe di essere caduto nella trappola del vecchio.
Certo, c'è il senso di mancanza, che qualcosa di più dell'assenza: la mancanza è un "venir meno", però questo è un dolore dell'innamorato, un dolore egoista, non è preoccupato del perché lei non compare, si concentra sul proprio dolore, non su quello di lei.
E così lo zio lo aveva messo di fronte alla verità.
Quello non era amore, era innamoramento.
Tale pensiero lo turbò profondamente.
La prova d'amore si ha quando viene richiesto un sacrificio: a cosa saremmo disposti a rinunciare per il bene della persona amata?
Saremmo disposti a donarle un rene?
"Gli affanni suoi pavento più degli affanni miei"... maledizione a te, Lorenzo, mi hai steso con una sola frase...
Io non ce la farei, sono debole, temo il dolore, temo la malattia, vivo nel terrore: questo è Roberto Monterovere, che si innamora facilmente ("per innamorarsi basta un'ora"), è capace di grandi manifestazioni di affetto, ma alla fine ama soltanto se stesso.
Questa risposta attraversò veloce la mente di Roberto, e che fu quasi immediatamente censurata, per poi ricomparire molti anni dopo.
E così quel pensiero scivolò nell'inconscio, ma sarebbe tornato indietro, perché si può far tacere la coscienza, ma l'inconscio no. Tutto ciò che reprimiamo o rimuoviamo ritorna indietro sotto forma di nevrosi ... o peggio...
La nostra mente registra tutto e lo cataloga a modo suo, e soltanto in rari casi una voce dentro di noi ci dice: <<E' passato, certo, ma ritornerà. Possiamo illuderci quanto ci pare, ma prima o poi ritornerà>>
E' come dire che "il postino suona sempre due volte", così come il destino torna a riscuotere il conto.
Roberto se ne sarebbe ricordato molti anni dopo, quando si iscrisse a Storia, come seconda laurea e si convinse che lo storico è come uno psicanalista: deve cercare di far ricordare ciò che gli altri preferirebbero dimenticare, o non sapere affatto.