Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
sabato 26 novembre 2016
L'Ultimo Eretico. Capitolo 2. La Confraternita degli Eburnei
La Confraternita degli Eburnei prendeva il nome dall'aggettivo latino eburneus ossia "d'avorio", con riferimento alla Turris Eburnea, la Torre d'Avorio, una locuzione metaforica usata per indicare un mondo o un'atmosfera dove gli intellettuali si rinchiudono in attività slegate dagli affari pratici della vita di ogni giorno.
Pur consapevoli che questa metafora avesse una connotazione negativa, indicante una disconnessione volontaria dal mondo, una ricerca esoterica, a volte troppo dettagliata, o di dubbia utilità, fino a giungere ad un elitarismo accademico e ad un aperto sussiego, i fondatori della Confraternita fecero propria questa espressione, trasformando così, come spesso accade ai cenacoli artistico-letterari, un insulto in un motivo di orgoglio.
Tuttavia l'insulto aveva più fondamento di quanto i membri della Confraternita degli Eburnei fossero disposti ad ammettere, in termini di snobismo, spocchia e supponenza.
In questi aspetti nessuno poteva superare il fondatore della Confraternita, e suo Gran Maestro, il Professor Lorenzo Galli, Conte di Monterovere e proprietario del castello di Monterovere Boica.
Il nucleo primitivo di quella che poi sarebbe diventata la Confraternita degli Eburnei era un gruppo di studenti del professor Monterovere, che, su iniziativa del più brillante e promettente di loro, il futuro dottore di ricerca Luca Bosco, si erano autoproclamati Club dei Monteroveriani.
Si erano conosciuti in occasione di un seminario che il professor Monterovere teneva nell'aula mansarda del Dipartimento di Filologia Romanza a Bologna.
Il tema del seminario era "Il mito del Graal dalla letteratura romanza all'esoterismo contemporaneo".
Un argomento affascinante, che aveva entusiasmato il giovane Luca Bosco, e l'aveva reso non solo il beniamino del Professore, ma anche il leader carismatico del gruppo di studenti che avevano collaborato nel redigere una tesi di laboratorio particolarmente innovativa sulla simbologia del Graal e le sue innumerevoli interpretazioni.
Per alcuni anni il Club dei Monteroveriani era stato un punto di riferimento per tutti gli studenti brillanti e di belle speranze, e successivamente aveva monopolizzato i dottorati di ricerca in Filologia Romanza, tanto che la tesi di dottorato di Luca Bosco era dedicata alla "Interpretazione del Graal come Sangue Reale della Discendenza Messianica",
L'unica nota stonata di quell'anno fu una lite tra lo stesso Luca Bosco e il suo migliore amico, Roman Waldemar un aristocratico, di padre tedesco e di madre inglese e con una nonna italiana.
Purtroppo, come spesso accade, alla radice di quella spiacevolissima divergenza vi era una donna, amata da entrambi, e perduta da entrambi, un'americana di origine inglese, Virginia Burke-Roche, pure lei nobile, successivamente adottata, per motivi mai chiariti, dal Principe rumeno Vlad Dracu, un personaggio piuttosto bizzarro, di cui si narrava che fosse nientemeno che un discendente di Vlad III di Valacchia, l'Impalatore, da cui Bram Stoker aveva tratto ispirazione per il personaggio di Dracula.
Il termine Dracul, che in lingua rumena aveva una connotazione demoniaca, in realtà faceva riferimento all'Ordine del Drago, costituito dall'Imperatore Sigismondo del Sacro Romano Impero, per combattere i Turchi, minaccia della Cristianità.
La Confraternita degli Eburnei era nata da poco, quando la contesa tra Bosco e Waldemar si era fatta insostenibile, ma il vero momento di crisi fu quando Virginia Dracu sparì misteriosamente dalla circolazione e ne venne dichiarata la morte presunta.
Questo aveva messo in crisi fortemente Luca Bosco e ne aveva rovinato le brillanti prospettive di carriera.
Da allora erano passati più di cinque anni, nei quali l'unico obiettivo di Luca era stato quello di riuscire a sopravvivere.
Aveva dovuto affrontare tutti i risvolti problematici di una "caduta in disgrazia".
La sua era stata una parabola discendente, in cui si era toccato il fondo e si cercava di risalire, senza troppe illusioni, ma nemmeno senza eccessivi rimpianti.
Certo ritornare sul "luogo del delitto", anche se dietro invito dello stesso Professore, non era di grande aiuto, specialmente quando i cambiamenti non erano buoni.
Tutto si era fatto più estraneo.
L'interno del castello di Monterovere era molto diverso da come se lo ricordava.
Era stato ristrutturato e riammodernato, ma Luca lo preferiva com'era prima: antico, tetro, come i manieri dei romanzi "gotici".
Preferiva quell'atmosfera alto-medievale, remota, misteriosa, barbara sotto certi aspetti.
Rivide alcuni volti noti, anche se non ricordava il nome di tutti.
Monterovere non si era fatto ancora vedere. E nemmeno Roman Waldemar o Virginia Dracu, ammesso che il primo fosse ancora in Italia e la seconda fosse ancora viva.
Ricordava ancora il giorno in cui Waldemar gli annunciò che Virginia era morta.
Stava talmente male, quel giorno, che il suo primo pensiero fu sorprendentemente assurdo:
E' morta? Beata lei!
Poi però gli era parso che il suo cuore stesse precipitando giù, fino al centro della terra.
A stento era riuscito a domandare le circostanze del decesso, ma Waldemar non sembrava saperne gran che.
Mi stava nascondendo qualcosa, anche se sembrava che avesse voglia di rivelarmelo.
Luca aveva letto sul volto di Waldemar una sincera e totale disperazione.
Per lui era una perdita ancora più cocente.
Aver conosciuto la felicità e poi averla perduta è peggio che non averla conosciuta per niente.
Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria.
Luca non aveva nessuna felicità da rimpiangere: Virginia ai suoi occhi e per il suo cuore era già morta da molto tempo.
Ma per Waldemar era diverso: lui era stato privato del sostegno che lo manteneva in piedi ed era crollato. Luca aveva seguito di lontano le tappe di quel crollo: ad una perdita ne era seguita un'altra, quella del suo ruolo politico. Era stato incaricato di ricoprire un ruolo in un luogo sperduto in Ucraina. Un esilio. Proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di qualcosa di importante da fare per sfuggire alla disperazione, gli avevano tolto tutto, e lo avevano affidato a ragazzini freschi di laurea che non ne erano all'altezza e non sapevano come gestirlo.
Luca si chiedeva che fine avesse fatto. Non aveva più notizie di lui da oltre un anno.
L'ultima volta che lo vidi mi disse che aveva finalmente compreso la mia paura del futuro. Ed io gli risposi che con la paura bisognava convivere, e non c'era niente di male in questo, perché la paura è un istinto di salvezza, e perché, così gli aveva detto: "paura e libertà stanno sempre insieme e la paura, come la solitudine, è uno dei prezzi della libertà"
Lui aveva mostrato un lampo di comprensione, come ai vecchi tempi della loro amicizia, ma poi si era rabbuiato, dicendo che senza l'amore di Virginia non riusciva ad andare avanti.
"L'amore è il motore del mondo", aveva detto e Luca gli aveva risposto: "Un motore che si inceppa troppo spesso".
Era vero.
Forse è per questo che io preferisco andare a piedi.
Questi pensieri vennero interrotti da uno dei suoi vecchi compagni di università che era stato tra i fondatori della Confraternita, un certo Angelo, di cui sul momento non riusciva nemmeno a ricordare il cognome, che doveva essere comunque meridionale, qualcosa come Catalano o un nome simile.
<<Luca Bosco! Quanto tempo è passato! Come stai?>>
<<Tiro a campare e tu cosa mi racconti?>>
L'altro cercò invano di evitare di darsi delle arie:
<<Be' io adesso insegno ad Harward, tengo un corso su Dante. Gli Americani lo adorano molto più degli Italiani. E mi sono sposato con una collega, abbiamo due figli. Incomincio a sentirmi vecchio, sai? Un uomo, fintanto che non diventa padre, si concepisce sempre come un figlio. Diventare padre è un modo di crescere>>
<<Crescere sì, ma resti sempre più giovane di me>>
<<Ma scusa, non siamo coetanei?>>
<<Eravamo coetanei, Angelo. Ora io mi sento molto più vecchio. E' tipico di chi sceglie la vita contemplativa. E' strano però... in fondo dovrebbe essere la via più semplice. Meno faticosa.
Per questo ti faccio le mie più sincere congratulazioni! Una moglie, dei figli e una professione prestigiosa... e anche una maturazione interiore. Complimenti davvero!>>
Angelo Catalano era imbarazzato:
<<Oh, per così poco! E poi io non sono nemmeno tra quelli che hanno fatto più strada. Gli altri sono anche meglio>>
Luca si chiese se questa frase avesse il deliberato intento di farlo pentire per essere uscito dalla Confraternita.
Cercò di prendere la cosa in maniera vagamente ironica:
<<Be', vedo che tra tutti io sono il fanalino di coda. Voi siete tutti impegnati ogni giorno a prendere mille decisioni, e invece io, sostanzialmente, non faccio nulla di rilevante. A volte non mi sembra giusto non dare un contributo vero>>
<<E chi l'ha detto che il tuo contributo non sia importante?>>
La vera risposta stava forse nel fatto che se avesse voluto una vita di privilegi, gli sarebbe bastato dire sì, e invece aveva detto no, aveva dato un calcio a tutto quanto, compresa la fortuna. Ma era stata una scelta moralmente fondata, e questo faceva la differenza.
Aveva compreso la pericolosità del successo, specie quello raggiunto grazie alla fortuna, perché era passeggero e mutevole, proprio come la fortuna.
Il successo, in fondo, è un'eccezione. E non è saggio abituarsi alle eccezioni.
Alcuni lo capivano e altri no, e vivevano nel terrore di perdere ciò a cui si erano abituati, o peggio ancora crollavano quando, inevitabilmente, un insuccesso interrompeva la catena delle vittorie.
Per questo io non invidio nessuno, perché ognuno di noi si trova esposto all'eventualità del Male.
Ecco perché il saggio spera nel meglio e si prepara al peggio. Sa che il dolore è necessario per la grandezza, e permette di cambiare idea.
Io preferisco le persone che sanno cambiare idea.
È l’incertezza che affascina. La nebbia rende le cose meravigliose.
Luca però tenne per sé questi pensieri.
Non voleva la predica a nessuno, per questo preferì, ancora una volta, l'undestatement:
<<Io non decido niente. Me la prendo comoda. Non mi espongo. Osservo, ogni tanto commento. Niente di più. Ho sempre preferito stare in platea, o al massimo in panchina. Ma così non vale. Così è troppo facile>>
<<Facile? Astenersi dall'agire? Rinunciare a lottare per conquistare ciò che si desidera? Ma come si fa? Non è naturale, non è umano...>>
<<Sì, è vero>> convenne Luca <<Non è umano. A volte può essere di più, a volte di meno. Alcuni si librano in alto come aquile, nella loro ascesi. Altri si rannicchiano in un angolo, tremando per il terrore. Altri diventano di fuoco per la rabbia, l'ira e l'indignazione. Altri, al contrario, finiscono per diventare di ghiaccio: persone gelide, che si mantengono in vita solo per dispetto. Altri ancora, infine, si sentono in colpa per non aver fatto la propria parte, per non aver fatto abbastanza per aiutare chi poteva essere aiutato, per non salvare chi poteva essere salvato... è il senso di colpa dei sopravvissuti... >>
Gli tornò in mente Virginia e perse il filo del discorso
Il suo interlocutore, lievemente imbarazzato, cercò di sostenere la conversazione con una domanda ambiziosa:
<<E tu, per cosa ti mantieni in vita?>>
Luca se l'era chiesto infinite volte ed era arrivato ad una conclusione ben precisa:
<<Curiosità. Il futuro, verso cui applico la regola di San Bernardo: Vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa alla volta.
E poi c'è un elenco di persone a cui vorrei sopravvivere. Certo, so bene che esistono molte cose peggiori della morte. In quei casi non esiterei a farla finita per sempre, ma fintanto che riuscirò a tenere a bada la sofferenza, la mia missione sarà sopravvivere. Quando uno tocca il fondo, o fa di tutto per vivere o fa di tutto per morire. Fintanto che esiste una speranza di cura, la sopravvivenza deve vincere. Deve sempre vincere>>
<<E per questo noi ti ammiriamo, Luca>>
<<Ah, non mentire!
Lo so cosa dicono di me. Che sono un impasticcato. Che quando cammino mi si sentono le pillole tintinnarmi dentro.
Il fatto è che la sofferenza psicologica lascia cicatrici profonde nella nostra materia grigia.
Ma non voglio che si pensi a me come a un "caso umano">>
<<Vuoi scherzare? La tua voce ha sempre un'autorevolezza indiscutibile, anche quando sostieni tesi opposte alle nostre>>
<<Se la mia voce ha una qualche autorità non è perché è la mia voce, ma perché è la voce dei miei padri>>
<<Ecco che spunta il conservatore!>>
<<Il problema di voi riformisti è che volete il cambiamento fine a se stesso. Io ho imparato, a mie spese, una dura lezione, e cioè che, per quanto ci siano moltissime cose che possano essere cambiate e in certi casi che debbano essere cambiate, tuttavia, nella maggior parte dei casi, il nostro più arduo e tremendo dovere è quello di accettare ciò che non possiamo e non dobbiamo cambiare>>
<<E la tua fissazione per Virginia è qualcosa che pensi di riuscire a cambiare?>>
Luca ripensò a quanto tempo era passato,
Quanto tempo, e ancora, ti fai sentire dentro...
Era un tormento. Non era passato un giorno, senza che il pensiero di lei non si fosse insinuato nella sua mente:
<<Non ci sono ancora riuscito.
Ho amato molte altre donne, con alcune ho avuto storie importanti, eppure una volta che l'amore era finito, sono riuscito a dimenticarle.
Virginia no.
Non riesco a togliermela dalla testa.
Eppure le altre erano molto belle. Virginia no.
E pensare che io avevo un motto: l'unico modo per togliersi dalla testa una donna è conoscerla bene.
Ha funzionato con tutte, ma con Virginia no.
Lei aveva personalità che la rendeva irresistibile, anche se non era bella secondo i canoni classici, un po' come Wallis Simpson, la Duchessa di Windsor.
Era una donna per la quale si poteva rinunciare a un trono, a un regno, a un impero.
Ma io non avevo un trono a cui rinunciare.
Eppure mi sento il colpa per il modo in cui ci siamo congedati. Insomma, la "friendzone" non piace a nessuno, ma questo non mi autorizzava a usare parole crudeli>>
<<Lei però sapeva che tu l'amavi, Luca, e che le avevi chiesto di non vedervi più per non soffrire più. E invece ricordo che fu proprio lei che insistette per continuare l'amicizia, salvo poi darti buca agli appuntamenti... non andò così?>>
<<Infandum regina iubes renovare dolorem... tu mi comandi di rinnovare un dolore indicibile>>
<<Capisco, ma te ne parlo solo perché credo che lei fosse nel torto e fosse consapevole che tu avevi ragione... In fondo è più difficile perdonare gli altri quando hanno ragione, piuttosto che quando hanno torto>>
<<Non aveva torto. Era solo molto giovane e, come tutti i giovani era estremista, drastica nei giudizi, rigida nelle sue convinzioni, credendo di aver già capito tutto.
E invece, mentre io la guardavo nei suoi occhi pieni e intensi, eppure ingenui e puliti e incantati, mi rendevo conto che quegli occhi non sapevano, non potevano sapere, non avevano la minima idea di cosa fosse la vita reale della gente comune.
Su quel punto non ci saremmo mai capiti, e non era l'unico punto in cui eravamo in disaccordo.
Fu il senso di responsabilità che mi spingeva ad allontanarla da me. L'assurda, incomprensibile contraddizione che ci porta a fare del male a qualcuno per non farlo alla sua vita, un piccolo male adesso per evitare un grande male domani. La contraddizione mostruosa che ha fatto apparire me un uomo cinico e asociale e indecifrabile anche per lei e persino per gli amici più intimi. Se ho una colpa è di aver tenuto tutti a distanza senza una spiegazione convincente. Forse avrei dovuto dirvi la verità, ma credo che sarebbe stato ancora più offensivo>>
<<Siamo già consapevoli che non hai una buona opinione di noi>>
<<Il mio è solo un giudizio politico, non personale, Angelo. So distinguere chi ha scelto questa strada in buona fede, per vocazione, da chi lo ha fatto per interesse. All'inizio ci ho creduto anch'io. Eravamo entusiasti. Poi è sopravvenuto il grigiore, che di per sé, comunque non è una colpa. Si può essere grigi, ma giusti; grigi, ma buoni; grigi, ma capaci di empatia. Ebbene ad alcuni dei vostri capi è proprio questo che manca. L'empatia. La capacità di mettersi nei panni degli altri. Da tutto questo dipenderà il modo in cui verrete ricordati. Se ciò che vedrete dall'alto della vostra Torre Eburnea non sarà confrontato con la realtà di chi vive con i piedi per terra, allora la Confraternita sarà destinata a diventare un mero ricettacolo dogmatico dedito all'autoidolatria e privo di ogni contatto la gente comune. Volete davvero essere ricordati soltanto come una società segreta?>>
<<Le tue parole colpiscono sempre il segno e agitano il coltello nella piaga. Forse è anche per questo che Monterovere aveva paura di te. Diceva: "E' un ragazzo talmente capace in tutto che può diventare capace di tutto">>
<<Davvero? Mi ha sempre sopravvalutato, nel bene e nel male. Io invece ho sempre cercato di attenermi a un consiglio che mi diede una volta una mia bisnonna contessa lievemente alcolizzata: "Cerca di non farti invidiare e di non farti compatire". Da giovane ho fallito nella prima, da adulto ho fallito nella seconda>>
<<E qui ti sbagli, Luca. Non è ancora detta l'ultima parola. Se Monterovere e Virginia Dracu hanno deciso di perdonarti e di richiamarti, probabilmente la percezione che hanno di te non è quella di un "caso umano" da compatire. Io non sono stato informato delle loro intenzioni, ma la mia impressione è che tu sia diventato molto più forte di prima, e che le tue capacità di intuizione si siano rese indispensabili, ora più che mai>>
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