Diana Orsini non poteva ignorare una convocazione ufficiale da parte della signorina De Toschi, i cui agganci nell'alta società erano necessari per far fronte alla situazione di crisi finanziaria in cui si trovava la sua famiglia.
L'invito si estendeva anche alla madre, la contessa Emilia.
Vennero ricevute, come sempre, dalla cameriera Assuntina, la madre del parroco, nel salottino degli ospiti, al piano terra della Villetta De Toschi.
Nessuno, tranne il personale di servizio, era mai stato ammesso nei piani superiori.
Gli appartamenti privati della professoressa Mariuccia De Toschi erano una specie di Sancta Sanctorum, inaccessibile da parte dei comuni mortali.
Dopo il classico quarto d'ora accademico, la De Toschi comparve in tutta la sua massiccia imponenza, con il faccione obeso arrossato, gli occhi da batrace fuori dalle orbite, l'immancabile sigaretta nella mano destra e l'altrettanto immancabile fazzoletto bagnato nella mano sinistra. L'espressione del suo viso era sdegnata e nel contempo eccessivamente affranta.
Sia Diana che la contessa Emilia si alzarono in piedi, come se fosse entrato il Papa.
La signorina De Toschi ne fu compiaciuta.
«Avete fatto bèene a rivolgervi a mée» disse con spiccato accento fiorentino fasullo.
La contessa Emilia, colma di gratitudine, le prese la mano sinistra, quella del fazzoletto umido:
«Lo so. Quando la situazione si fa critica, il mio primo pensiero è sempre: “non c’è che la Signorina!” Lei è l’unica che ha l’autorità morale, culturale…»
La signorina De Toschi si schermì ritraendo la mano grassoccia e agitando il fazzoletto, ma lasciando trapelare una certa soddisfazione e una malcelata aria d’importanza.
«Per mée Diana è come una figlia…» e guardò con occhio possessivo la ragazza «e i Conti Orsini di Casemurate… so’ i parenti della mi’ povera mamma» (e qui sospirò, indicando con il fazzoletto bagnato una vecchia foto della compianta Violetta Orsini, coniugata De Toschi).
La contessa Emilia si unì al sospiro e aggiunse:
«Il fatto è che Diana non vuol sentir ragioni>>
Mariuccia De Toschi spalancò i grandi occhi da batrace:
«Mi
dica, mi dica tutto!»
Emilia Orsini guardò la figlia e poi, a testa bassa e a mezza voce, spiegò: «Se Diana continuerà a rifiutare la proposta di matrimonio da parte di Ettore Ricci, il padre di lui farà valere le ipoteche sul Feudo e sulla Villa, e ci sbatterà fuori di casa»
La signorina De Toschi scosse ripetutamente il testone, mentre le gote e il doppio mento tremolavano e la sigaretta che teneva nella mano destra faceva cadere tutta la polvere sul tavolino di mogano:
«Nooo! Nooo! Dio liberi da certe idee! Il buon nome degli Orsini non dovrà mai essere macchiato da uno scandalo del genere! Io non potrei mai permetterlo, ne va anche della mia reputazione… Gli Orsini ridotti sul lastrico? Ma scherziamo?
Ricordatevi che in questi momenti di difficoltà io ci sono sèmpre!»
Ricordatevi che in questi momenti di difficoltà io ci sono sèmpre!»
Diana fraintese il discorso:
<<Intende dire che ci concederà un prestito?>>
Il volto della De Toschi da paonazzo divenne viola:
<<Ah, bambina cara, mi piacerebbe tanto, ma purtroppo io so' povera. Eh, sì... so' povera, ma avvezza a viver nel pulito. Ora spiegami perché insisti nello spezzare il cuore a quel povero ragazzo, che tra l'altro è così ben piantato che se solo fossi un po' più giovane e il mi’ babbo fosse d’accordo… me lo sposerei io!>>
Diana, conoscendo i gusti dozzinali della De Toschi, non ne aveva dubbi.
«Io non lo amo»
La signorina Mariuccia rimase per un attimo indecisa se ridere o indignarsi, poi alla fine scoppiò in una risata la cui eco fu avvertita a tre isolati di distanza.
«Eh, cara mia!» sbottò tra una risata e l'altra «mica si può pretendere che
arrivi il principe azzurro a prendersi i debiti degli altri!
E poi cosa ne sai tu dell'amore? Ami forse qualcun altro? Dillo! Sai che a mmméee puoi dire tutto!»
Diana scosse il capo:
<<Non c'è nessun altro. Ma un giorno potrebbe esserci>>
Un'altra risata a tremila decibel della signorina De Toschi la travolse:
«Un giorno? Ma tu sei in età da marito adesso! Se lasci passare questo periodo, non ti vorrà più nessuno!»
<<Meglio soli che male accompagnati>>
La De Toschi si oscurò in volto e assunse l'espressione militaresca e adirata che aveva appreso dal padre e che sfoggiava quasi sempre in classe davanti agli alunni terrorizzati:
<<Tu non sai niente neanche della solitudine! Dell'andare a dormire in un letto freddo, del sentire la mancanza di un abbraccio, del trascinarsi nella vecchiaia senza fremiti, senza palpiti, senza un momento di tenerezza umana.
E non è solo una questione che riguarda il matrimonio.
Io ti conosco come le mie tasche, bambina, e ho notato il tuo atteggiamento di superiorità, il tuo tenere a distanza le persone...>>>
E non è solo una questione che riguarda il matrimonio.
Io ti conosco come le mie tasche, bambina, e ho notato il tuo atteggiamento di superiorità, il tuo tenere a distanza le persone...>>>
Diana la fissò negli occhi, perché questa volta era stata punta sul vivo:
«Non è per presunzione che tengo a distanza la gente. E' che non voglio affezionarmi, perché non voglio soffrire. Chi si affeziona si pone fin da subito in una condizione di inferiorità. Chi si affeziona è ricattabile. L'attaccamento genera la paura di perdere ciò a cui siamo affezionati. La paura di perdere genera rabbia. La rabbia genera odio. Io non voglio seguire questo cammino. Lo hanno seguito i miei avi, ma io non lo seguirò.
Ci sono molti modi di intendere la nobiltà... e questo modo mi ripugna!»
Ci sono molti modi di intendere la nobiltà... e questo modo mi ripugna!»
La De
Toschi aspirò profondamente dalla sigaretta.
L'aria era greve di fumo.
<<Tu della rea progenie degli oppressor discesa... non è così? Non l'hai forse appreso in questa stessa stanza il Coro dell'Adelchi? In un certo senso è anche colpa mia se ti sei messa in testa certe idee strampalate. Ma se da qui è venuta la malattia, da qui verrà la guarigione!
Tu non sei Ermengarda, non ci saranno per te i tepidi lavacri d'Aquisgrano...
Te collocò la Provvida Sventura infra gli oppressi... no, la similitudine non regge.
Sai io non riesco proprio ad immaginare come saresti se fossi povera.
Una come te, schizzinosa come te, non ce la vedo a fare i conti con la miseria»
Espirò una nube di fumo bianco.
Diana guardò fuori dalla finestra, nel cortiletto ghiaioso e arido del Villino De Toschi.
Cercò di prendere tempo:
<<L'unica cosa che sono disposta a concedere è di conoscerlo. Se Ettore Ricci vorrà passare in visita a Villa Orsini, io lo riceverò e cercherò di conoscerlo meglio>>
Un sorriso sornione si dipinse sul volto da ippopotamo della signorina De Toschi, che fece un cenno alla contessa Orsini, come per dire: "Vede... la mia autorità morale, culturale..."
Poi esplose in un'esclamazione:
Poi esplose in un'esclamazione:
<<Bèeeene, bèeeeeeene!!!>>
E si alzò, considerando terminata l'Udienza.
La contessa le baciò il fazzoletto pieno di virus e di microbi.
Diana fu costretta a baciarle la gota dipinta di trucco pesante e screpolato, su una peluria giallastra.
L'odore del fondotinta misto a quello del fumo le fece venire la nausea.
O forse era tutta quella situazione.
O la vergogna di aver ceduto a un ricatto per paura della povertà.