La sala del trono del palazzo di
Cnosso non era mai stata così piena come quel giorno.
Per festeggiare il ritorno del
principe Althamenes tutti i parenti della dinastia e i sovrani alleati erano
stati invitati con i massimi onori.
Il vecchio re Catreus sedeva sul Trono del Toro, affiancato
come sempre dalle due regine Indis e Pasifae, dall'Enuco Capo Edelmas e dal Primo Consigliere Amasis.
Catreus appariva decrepito: i vizi
di tutta una vita gli erano scritti sul volto cadente. Il colore giallognolo
della pelle era dovuto all’abuso di vino. Le occhiaie alle notti insonni, alle
orge sfrenate che negli anni si erano fatte sempre più stravaganti per
mantenere viva la sua declinante virilità. I poveri vecchi Edelmas e Gabaal si
erano dovuti sforzare oltre ogni limite per trovare giovani che riuscissero a
soddisfare i gusti sempre più difficili e perversi del re.
Catreus sentiva che la sua vita
stava giungendo alla sera, e solo per questo aveva permesso il ritorno del
figlio che secondo tutti gli indovini lo avrebbe sicuramente ucciso. Sentiva
freddo, e si avvolse il manto reale intorno al corpo, come in una vestizione
funebre.
«Amasis!» chiamò e il Primo Consigliere
si chinò verso di lui «Amasis… voglio che tu sappia che per me tu resti il solo
e l’unico…»
«Sire, io…»
«No, lasciami finire… oggi ritorna
qui un figlio che per me è un estraneo. Tu sei per me più di un figlio… nella
mia vita dissoluta tu sei stata l’unica luce… la mia stella del mattino e della
sera…» la sua voce si incrinò ed egli ricadde sfinito sullo schienale del Trono
del Toro.
Le presentazioni degli invitati
stavano per avere inizio. C’erano volute settimane per stabilire con la massima
scrupolosità l’ordine di chiamata, per rispettare tutte le gerarchie e i gradi
di parentela e alleanza.
Edelmas aprì
il rotolo del papiro, si schiarì la voce e chiamò: «Sua Maestà il Grande Re
degli Achei Atreo, sovrano di Micene, con la regina Erope e le loro altezze i
principi loro figli Agamennone e Menelao»
La famiglia reale degli Achei si
avvicinò.
Il Re Atreo era tremendamente
invecchiato: i capelli e la barba erano grigi, il viso solcato di rughe e di
cicatrici, gli occhi erano cupi e infossati.
Non sono state solo le guerre a ridurlo così pensò Indis,
chiedendosi se erano fondate le dicerie secondo cui sua figlia Erope era stata
una moglie difficile e infedele.
Ora è qui davanti a me, lo scoprirò di persona
Guardò Erope e vide subito negli
occhi di lei un’arroganza ostentata, nella piega ironica del suo sorriso
un’impudenza evidente, nell’eccessiva pesantezza del suo trucco, come
nell’esagerato sfarzo del suo abbigliamento e della sua acconciatura una
civetteria divenuta abitudine e regola di vita.
Dei immortali! Allora le voci erano vere! Erope ha imboccato la strada
proibita alle donne achee
La bocca di Indis divenne una piega sottile e triste.
Mentre Atreo porgeva i suoi omaggi
al re, Erope avanzò verso Indis, la quale affrontò lo sguardo insolente della
figlia: «Bentornata, figlia mia»
«Nei contesti formali mi si saluta
come Grande Regina degli Achei» fu la fredda replica di Erope.
«Sono tua madre!»
«Tu sei la regina Indis, che
diciotto anni fa mi mandò tra i barbari senza farsi troppi problemi»
«Fu un ordine di Pasifae! E solo
gli Dei sanno quanto mi sono opposta» sussurrò Indis
Erope rise maliziosamente:
«Non
hai alcuna credibilità come madre affettuosa»
Indis la affrontò:
«Mi sono giunte
delle voci allarmanti sul tuo comportamento! Prega gli Dei che tuo marito non
ti scopra mai in flagrante!»
«Gli Dei non esistono! E tu sei solo
una vecchia patetica...» queste parole uscirono dalla bocca di Erope senza che il
finto sorriso si scomponesse.
Indis impiegò alcuni istanti a
riprendersi.
Nel frattempo Atreo le aveva
rivolto un inchino:
«Reali di Creta, vi presento i miei figli: Agamennone, che
mi succederà come Grande Re e sovrano di Micene e Menelao, che sposerà Elena di
Sparta e ne diverrà re»
Erano entrambi alti, slanciati:
Agamennone aveva occhi e capelli castani, Menelao assomigliava di più al padre,
ed era biondo con gli occhi azzurri, ma entrambi avevano acquisito la grazia
dei lineamenti di Erope.
«Agamennone ha già sposato
Clitennestra, la sorella minore di Elena. Entrambe le fanciulle sono al seguito
di Tindaro e Leda, i reali di Sparta» disse Atreo.
«Veramente io avrei preferito che
Agamennone sposasse Pelopia, la figlia di Tieste, per consolidare il nostro
potere sull’Argolide» commentò Erope ad alta voce, mettendo tutti in imbarazzo.
L’arroganza con cui prende partito pubblicamente non depone certo a favore della sua
intelligenza pensò Indis e, trattenendo a stento le lacrime, dovette
ammettere a se stessa di averla perduta.
I miei nipoti però sono ancora in tempo per salvarsi. Che gli Dei concedano loro delle spose più degne della loro madre.
Il gruppo reale prese congedo.
Indis si voltò verso Pasifae e ne
notò il sorriso beffardo.
Ora vedremo se la tua Fedra è stata una moglie migliore!
Il gran cerimoniere annunciò:
«Teseo, Re di Atene, sua moglie la regina Fedra e il principe Ippolito»
Anche nei confronti di Teseo il tempo non era stato
clemente: il re di Atene era canuto, molto dimagrito, quasi rinsecchitto. Il suo volto aveva
un’espressione severa.
Pasifae guardò immediatamente sua
figlia Fedra e suo nipote, il figlio di Arianna.
Ippolito era un bel giovane, ma i suoi occhi erano tristi, come velati da
una nebbia di malinconia.
Fedra lo teneva a braccetto e
quasi si appoggiava a lui.
Ma che fa quella
sciocca? fu il primo pensiero di Pasifae.
«Madre!» salutò Fedra con un gridolino vezzoso «hai visto
com’è bello il mio Ippolito?»
Pasifae la fissò con occhi gelidi.
Ma cosa significa questa buffonata?
«Fedra, dovresti dare il braccio a
tuo marito» la rimproverò.
«Madre, ma che dici, non è meglio
essere a fianco di questo adorabile…»
Pasifae la prese con forza per un
braccio:
«Ma che cosa ti salta in mente? Ippolito è figlio di tua sorella! Stai dando uno spettacolo
indegno!»
Fedra pareva non udire nemmeno:
«Madre, perché mi stai strattonando, non vuoi conoscere tuo nipote, guardalo…»
Pasifae la spintonò verso Teseo: Dio Sole aiutami! Mia figlia è impazzita!,
poi guardò Ippolito e gli lesse negli occhi quello che mai avrebbe voluto
vedere: in quello sguardo triste e disorientato c’era scritto a lettere
scarlatte l’abominio commesso da Fedra, il peccato indicibile.
Per la prima volta nella sua vita
Pasifae si sentì impotente di fronte al destino.
«Ippolito… nipote mio» disse piano
con voce imbarazzata «assomigli tanto a tua madre, la mia povera Arianna. Speravo che Fedra sarebbe potuta essere come una madre, per te, ma forse...»
Non riuscì ad aggiungere altro.
Lui chinò il viso imbronciato per
nascondere una lacrima.
Pasifae non osava neppure
toccarlo, come se temesse di contaminarsi.
Poi prese da parte sua figlia.
«Fedra! Come hai osato!» le disse
nell’orecchio.
Fedra si
mostrò molto stupita e rispose: «Ma se Ippolito non è mio figlio… dov’è lo
scandalo?»
Pasifae non replicò neppure: non
era il caso.
Dov’è lo scandalo? E’ il figlio di Arianna, maledizione! Sangue del
suo sangue!
Ed il figlio di suo marito!
Incontrò lo sguardo cupo di Teseo,
lo fissò con un misto di pietà e disperazione.
Il re di Atene annuì, come a
confermarle l’indicibile.
E ha dovuto far finta di niente per evitare che lo scandalo scoppiasse
Ma non poteva durare all’infinito.
La tragedia era dietro l’angolo, Pasifae se lo sentiva nella pelle: Arianna… ovunque sia migrato il
tuo spirito, proteggi tuo figlio!
Indis aveva osservato tutta la
scena, ma non aveva capito molto, se non che Fedra era diventata ancora più
stupida di quanto fosse da ragazza.
Quando però vide lo sguardo terreo
di Pasifae, si rese conto che anche sua figlia doveva aver commesso qualcosa di
molto grave.
E così siamo pari pensò fissando Pasifae, che per la prima volta in
vita sua non riuscì a reggere lo sguardo e si voltò, con una mano sugli occhi.
Dunque anche la donna di ghiaccio può sciogliersi in lacrime! Ma non mi
è concesso di godere della sua sventura, ora che anche mia figlia mi ha
disonorata
Così pensò Indis, mentre seguiva
il congedo del Re di Atene da quello di Creta.
Poi si appoggiò ad Amasis e gli
chiese: «Hai visto?»
«Purtroppo sì» rispose lui.
Indis sospirò:
«E pensare che
credevo che i barbari fossero gli Achei e invece ora Atreo e Teseo hanno tutti
i motivi per maledirci» Istintivamente
toccò una statuetta d’avorio della Dea Madre, che teneva in tasca: «Minosse
aveva maledetto Pelope ed Egeo per aver ucciso il suo amato primogenito,
Adregin. Ora la maledizione agisce sui loro figli, che ce la stanno scagliando
addosso. Gli oracoli l’avevano previsto, come hanno previsto la fine della
dinastia. Proprio ora che torna mio figlio Althamenes!»