Di ritorno dal viaggio di nozze, Silvia e Francesco presero dimora, temporaneamente, a Villa Orsini.
All'epoca l'antica residenza dei Conti di Casemurate ospitava molte persone.
Oltre ai padroni di casa, Ettore Ricci e Diana Orsini, c'erano le loro anziane madri Clara Torricelli vedova Ricci ed Emilia Paolucci de' Calboli, vedova Orsini, e in più la sorella nubile di Ettore, Adriana, la ferrea governante Ida Braghiri con l'astuto marito Michele e spesso erano presenti anche i nipoti di Ettore e Diana, e cioè Fabrizio Spreti e Alessio Zanetti, figli delle sorelle di Silvia.
La convivenza si rivelò subito difficile.
Francesco Monterovere aveva uno stile di vita completamente diverso da quello della famiglia Ricci-Orsini.
Una primissima avvisaglia di questo si ebbe quando Francesco decise di preparare il caffè ai suoceri, dopo pranzo.
Dichiarò di essere un mago nel preparare il caffè e non volle nessuno attorno, nemmeno l'onnipresente Ida Braghiri.
Dopo qualche minuto, una terribile puzza di bruciato si levò da sopra i fornelli.
Francesco si era dimenticato di mettere l'acqua nella caffettiera, che era rovente e affumicata.
Poiché la cosa gli accadeva di frequente, a causa della sua proverbiale distrazione, rimase imperturbabile e tornò in sala da pranzo dicendo:
<<Ho bruciato la caffettiera, ormai è da buttare. Dove posso trovarne un'altra?>>
Ettore Ricci, la cui tirchieria era altrettanto proverbiale, lo fissò con occhi infuocati e poi si rivolse alla figlia in dialetto come faceva sempre quando era infuriato:
<<Ma quest che que, din dad'venal?>> che tradotto significava "Ma questo qui da dove viene?"
Ida Braghiri, trionfante nel vedere le prime crepe dell'immagine reverenziale del Professore, gli prestò con ostentazione la propria caffettiera, premurandosi di osservare da vicino l'imbarazzo generale della situazione.
Il secondo episodio di tensione tra Ettore Ricci e il genero si ebbe quando Francesco portò a Villa Orsini il suo stereo di Faenza.
Lo collocò in uno studiolo vicino all' "ufficio" dove Ettore Ricci esaminava i conti delle sue aziende.
Una scelta più inopportuna di questa era decisamente inimmaginabile, e infatti, quando per la prima volta Francesco decise di ascoltare la marcia trionfale dell'Aida di Verdi a tutto volume,
nel giro di una frazione di secondo, Ettore, imbestialito, si diresse verso lo studiolo bestemmiando pesantemente, ma fu fermato da sua moglie.
Diana Orsini gli disse:
<<Lascia che parli io al Professore>>
Ma Ettore era fuori controllo e come sempre, in quelle situazioni, passò al dialetto:
<<E fa salté vi la ca!>> (Fa saltar via la casa)
E poi, spalancando la porta:
<<Se non spegni quell'accidente di disco, te lo butto dalla finestra! Tu e le tue diavolerie! Come quell'altro aggeggio... come si chiama? Quella macchina che costa un occhio della testa...>>
Francesco, meravigliato, rispose con aria innocente:
<<E' un microprocessore, un Intel 8080. Me lo sono fatto mandare da mio zio Alfredo, che vive in America>>
Ettore sgranò gli occhi:
<<Lo zio Alfredo! L'unico zio d'America che invece di mandare soldi li chiede! Guarda che lo so quanto ti ha fatto spendere per quell'aggeggio. E poi tu e Silvia venite da me a piangere miseria e a battere cassa! Comunque è chiaro che quella macchina non serve a niente, come dice il professore Giovannelli, lui sì che una persona seria!>>
Francesco guardò il suocero sorridendo:
<<Piero Giovannelli è un uomo all'antica. Per il momento i microprocessori sono in fase sperimentale. Ma tra un anno o due faranno miracoli. Potrebbero servire persino a lei>>
Ettore cacciò un'ennesima bestemmia e uscì scuotendo la testa e borbottando tra sé.
Poi incominciarono ad arrivare i volumi rilegati della Grande Enciclopedia De Agostini, con annesse rate di pagamento.
Ettore Ricci all'inizio credette che si trattasse di un errore del postino e lo cacciò in malo modo.
Quando Francesco chiese se era passato qualcuno con il nuovo volume dell'Enciclopedia, Ettore sbiancò:
<<Ma con quelle rate ci potresti pagare un mutuo! E quanti libri sono? E' impossibile leggere così tanti libri!>>
<<L'Enciclopedia non è un libro da leggere, ma da consultare>>
Ettore scosse la testa, sdegnato:
<<Va' là, va' là, va' là!>> bofonchiò e poi passò al dialetto <<Dal robi acsè, me dég a e mond!>>
L'espressione è quasi intraducibile in italiano, perché perderebbe la sua efficacia, volendo dire, più o meno: "Delle cose così non possono esistere al mondo, dico io".
Poi arrivarono le rate della macchina, una Citroen azzurra dalla forma aerodinamica, comprata da Francesco poco prima del matrimonio.
Ettore questa volta andò a protestare direttamente da sua figlia, investendola con un profluvio di parole in dialetto:
<<Cun toti'oman cu i'era a e mond, t'avivta da tu propri quel che lè? Un sgrazié cun al pezi in te cul!>> che tradotto suonava all'incirca: "Con tutti gli uomini che erano al mondo, proprio quello ti dovevi prendere? Un disgraziato con le pezze al culo!"
Silvia era esasperata;
<<Presto ci trasferiremo a Forlì, babbo, così non dovrai più sopportarci>>
Ed Ettore la fulminava con lo sguardo:
<<A Forlì... ma se non avete ancora trovato un appartamento? E con cosa lo pagherete che non avete un centesimo da sbattere nell'altro? Non avete già abbastanza rate che vi mangiano lo stipendio?>>
<<Troveremo un modo, papà. Ma nel frattempo, dobbiamo cercare di convivere in maniera civile>>
Ettore sbuffò e alla fine cedette:
<<Entro giugno vi trovo una casa! Non voglio neanche che mi paghiate l'affitto, basta che vi togliete dai c... una volta per tutte!>>
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