Mentre i due fidanzati si godevano il loro lussuoso soggiorno a Londra, i nemici storici di Roberto Monterovere, nel "natio borgo selvaggio" di Forlì, si erano incontrati anche d'agosto, senza però gli altri congiurati, per meglio preparare i primi passi della loro controffensiva di settembre.
Può sembrare eccessivo parlare di congiurati, controffensiva e nemici, ma tali termini sono giustificati dall'odio feroce di questi personaggi nei confronti della vittima designata, un diciassettenne i cui unici "peccati" erano, all'epoca, il suo cognome, il cognome di sua madre, il fatto di avere la media del nove e soprattutto di essere stato clamorosamente prescelto da Aurora Visconti-Ordelaffi come suo ragazzo (il fidanzamento ufficiale non era stato reso pubblico, data la giovane età dei "promessi sposi"), tanto da portarlo con sé a Londra.
Dobbiamo ammettere che non è stato facile ricostruire la dinamica degli eventi forlivesi di quell'estate del 1992, eventi, lo ripetiamo, che avrebbero avuto come conseguenza, per Roberto, la trasformazione degli ultimi due anni di Liceo in un incubo destinato a lasciare ferite profonde nella sua psiche.
Questa precisazione ci serve per giustificare un tipo di narrazione che potrebbe sembrare troppo sprezzante, sarcastica e a tratti persino derisoria e caricaturale.
E' stato lo stesso Roberto, come nostra fonte, a insistere su questo aspetto, come se volesse rendere pan per focaccia a coloro che avevano deciso di utilizzare, come prima arma, proprio lo stesso tipo di approccio derisorio.
E tuttavia c'è una differenza sostanziale, perché il Roberto di allora era solo un adolescente e si trovò a subire cose che nessun adolescente dovrebbe subire, mai, per nessuna ragione al mondo, perché ci sono ferite destinate a non rimarginarsi se non dopo troppo tempo, e danni morali così gravi e laceranti da risultare, in parte, irreparabili.
Forse alcune vicende che raccontiamo in questa narrazione possono sembrare improbabili o irrealistiche, e invece ce ne sono molte che, proprio nelle loro parti più incredibili, si avvicinano a quella "mezza verità" che Roberto decise di rivelarci, perché potessimo in un certo senso rendergli giustizia.
Le nostre altre fonti hanno confermato la versione di Roberto, ipotizzando quale potesse essere l'altra mezza verità di cui lui preferì non parlare, e cioè la serie di misfatti che l'Azienda "Fratelli Monterovere" commise prima che le inchieste giudiziarie portassero al suo fallimento.
Useremo quindi i termini di cui lui stesso si avvalse, e anche lo stesso approccio all'argomento.
I tre Clan che guidavano la Congiura, e cioè i Braghiri, i Porcu e i Panza, erano capeggiati dalle famose Tre Madri: Elisabetta De Gubernatis, madre di Vittorio Braghiri, Maria Carolina Tartaglia, madre di Felice "Felix" Porcu e Fiorella Prinsivalli, madre di Alessandro "Alex" Panza.
Delle prime due ricordiamo i legami originari con il clan Ricci-Orsini: Elisabetta era figlia di Ginevra Orsini, "la Regina della Canasta e del Bridge", (e unica sorella vivente della contessa Diana), e del giudice Guglielmo De Gubernatis, grande amico del compianto cavalier Ettore Ricci; Carolina Tartaglia era nipote dell'ispettore Onofrio Tartaglia, l'infiltrato dei Ricci-Orsini nella Questura di Forlì, davanti alla cui sede campeggiava lo stemma cittadino, con l'aquila nera del Sacro Romano Impero.
Prima di parlare della Terza Madre, la vera protagonista di questo capitolo, sono necessarie alcune note introduttive sulla dinamica interna che rende Forlì, città apparentemente fin troppo tranquilla, un luogo ancora diviso, come nel Medioevo, in varie fazioni che fanno riferimento ad alcune famiglie di rilievo.
Lo stemma allude a diversi momenti della sua storia: la città ottenne lo scudo vermiglio con una croce bianca, in ricordo della partecipazione dei Forlivesi alla Prima Crociata; un secondo scudo, bianco, attraversato dalla scritta LIBERTAS, testimonia dei periodi in cui la città si erse a repubblica (la prima volta nell'889, l'ultima nel 1405): i colori della città, pertanto, sono il bianco ed il rosso; l'aquila sveva in campo d'oro fu invece concessa da Federico II, per l'aiuto datogli nella presa di Faenza (1241), essendosi Forlì schierata dalla parte dei ghibellini.
Queste benemerenze consentirono ai forlivesi di intercedere poi a favore dei faentini e di convincere Federico a risparmiare la città di Faenza, che egli intendeva invece distruggere.
La città rimase ghibellina anche dopo la morte di Federico II e Corrado IV e la fine della Casa di Svevia.
Rifiutò di riconoscere, nel 1278, la cessione della Romagna al Papato, da parte di Rodolfo d'Asburgo.
Forlì è ancora fiera della sua militanza ghibellina, portata avanti sia come Comune che come Signoria degli Ordelaffi.
E' una cosa che va ricordata, anche perché Aurora Visconti era l'ultima erede del sangue degli Ordelaffi, che si opposero fieramente a papa Niccolò III Orsini, il cui pronipote fu antenato di Roberto.
L'eventualità di un matrimonio tra una Ordelaffi e un Orsini era vista come un tentativo di ricomporre l'antica frattura, il che trovava pochi sostenitori nella città che per tanto tempo aveva difeso la propria indipendenza e che non aveva mai amato i Papi, e meno di tutti i Papi della famiglia Orsini.
Ai nostri lettori potrà apparire strano che ci fosse ancora qualcuno interessato a tali minuzie, e altri potranno trovare ridicolo il passaggio da un macrocosmo come Londra a un microcosmo modesto e assolutamente aspecifico come quello di Forlì, dove, a prima vista, c'è solo Piazza Saffi, su cui si affacciano l'Abbazia di San Mercuriale con la sua basilica e il suo campanile, e il Palazzo Comunale con la sua Torre dell'Orologio, che non è certo il Big Ben.
La storia è nota, ma merita di essere ricordata.
Il primo atto si ebbe quando, il 25 settembre 1277, papa Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini (Roma, 1216 – Soriano nel Cimino, 22 agosto 1280) iniziò a trattare personalmente con Rodolfo d'Asburgo, Re di Germania e Duca d'Austria e di Stiria.
Nel maggio 1278, Rodolfo venne riconosciuto come legittimo Imperatore, e in cambio il Pontefice raggiunse l'obiettivo che si era prefissato: ottenne la cessione da parte dell'Impero. della Provincia Romandiolæ, della Marca d'Ancona e del Ducato di Spoleto e la conferma della sovranità della Chiesa sul Patrimonium Sancti Petri (corrispondente a parte dell'odierno Lazio).
Il cardinale Malabranca ottenne il titolo di Legato per la Romagna, la Marca e Spoleto e fu affiancato da Bertoldo Orsini (Roma, 1230 – Spoleto, 1319), nominato Conte di Romagna da suo zio, Niccolo III, che lo insignì anche del titolo onorifico di Governatore di Bologna.
Per dominare la Romagna, Bertoldo e suo figlio Bernardo costruirono una fortezza all'incrocio tra la via Cervese (che collega Cervia a Forlì) e la via Decumana (odierna via Dismano, che collega Ravenna a Cesena dal tempo de Romani).
Da lì Bertoldo cercò di ampliare i territori sotto il suo dominio, ma dovette chiedere rinforzi al Papa.
Nell'autunno del 1281, il nuovo papa Martino IV inviò un esercito italo-francese guidato da Giovanni d'Appia per conquistare la capitale ghibellina, Forlì.
Ma nel 1282 i ghibellini, capitanati da Guido di Montefeltro, riuscirono clamorosamente, con un abile trucco, a rompere l'assedio nella celebre battaglia di Forlì.
L'episodio è ricordato da Dante Alighieri: "la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno XXVI, 43-44).
Bertoldo Orsini si era arroccato nella fortezza di Casa Murata, che suo figlio Bernardo aveva circondato da una prima cinta muraria.
Quando gli Ordelaffi ripresero il controllo di Forlì, nel 1295, Bertoldo tornò nel suo palazzo di Palestrina e fu poi nominato Podestà di Spoleto e Orvieto.
Suo figlio Bernardo, invece, rimase alla Casa Murata e riuscì a costituire un proprio feudo, ottenendo da Bonifacio VIII il pieno riconoscimento del titolo di primo Conte di Casemurate (la variazione del nome era dovuta al fatto che la fortezza e il villaggio erano stati circondati da una seconda cerchia muraria, di cui restano poche tracce nella zona dell'incrocio tra il Dismano e la Cervese.
Morale della favola, gli Ordelaffi, ghibellini di origine tedesca, pur riuscendo a scacciare i guelfi Orsini dalla città, se li ritrovarono installati nel Contado, a Casemurate.
Le due famiglie si fecero la guerra per i successivi sessant'anni.
La storia locale evita di scendere in particolari, ed è proprio questa reticenza che desta sospetto.
La potenza degli Ordelaffi si stava troppo allargando, e questo aveva attirato ai Signori di Forlì molte inimicizie sia locali, sia a livello più generale.
La prova che non si trattasse affatto di una minuzia si ebbe nel 1353, quando l'Arcivescovo di Toledo, il Cardinale spagnolo Egidio Álvarez Carrillo de Albornoz (Carrascosa del Campo, 1310 – Viterbo, 24 agosto 1367) grande condottiero e abile politico e diplomatico, fu nominato Vicario Generale Pontificio "terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italiane partibus" da Sua Santità, papa Innocenzo VI, il quale, trovandosi ad Avignone, gli concesse ulteriori poteri da esercitare come Legato Pontificio per le "recuperazioni" delle Romagne e delle Marche con l'incarico di restaurare l'autorità papale nei territori della Chiesa in Italia.
L'Albornoz non aspettava altro ed ebbe tanto successo da essere considerato il vero fondatore dello Stato Pontificio, anche per aver redatto le celeberrime Constitutiones Sanctæ Matris Ecclesiæ, più note come "Costituzioni egidiane".
Dopo essersi abilmente sbarazzato di Cola di Rienzo (lnciato dalla folla romana nel 1354), il cardinale Albernoz ristabilì l'autorità papale nel Lazio e ottenne la sottomissione di Giovanni di Vico, l'Ultimo Ghibellino, arroccatosi nel Ducato di Spoleto e nelle città di Orvieto, Spineto, Terni e Todi.
L'Albornoz, a questo punto, rivolse la sua attenzione al recupero della Marca di Ancona e della Marca di Fermo, in mano ai Malatesta di Rimini, che si erano impadroniti delle Marche nel 1348, approfittando della peste nera che allora imperversava ad Ancona.
Nel 1355 il Cardinal Legato iniziò le operazioni militari contro i due potenti Malatesta di Rimini e Ancona, che si chiamavano Galeotto e Guastafamiglia.
I Malatesta si allearono col capo dei Ghibellini supestiti, Francesco II Ordelaffi (Forlì, 1310 circa – Venezia, 1374), Conte di Forlì, che aveva esteso il suo potere su una larga fetta di Romagna.
Il Cardinale riportò una vittoria schiacciante su Galeotto I Malatesta intorno a Paterno, un castello di Ancona. Il 2 giugno 1355 fu sottoscritto il trattato di pace con i Malatesta, che fu approvato da Innocenzo VI il 20 giugno. Da quel momento in poi i Malatesta divennero fedeli alleati delle forze pontificie. La sottomissione dei Malatesta fu presto seguita da quella dei Montefeltro, che portò i distretti di Urbino e Cagli sotto l'influenza del cardinale. Poco dopo, la città di Senigallia e i signori di Ravenna e Cervia (i fratelli Bernardino e Guido da Polenta) e i Manfredi di Faenza.
si sottomisero al cardinale.
Rimanevano ormai soltanto gli Ordelaffi e la loro Contea di Forlì, che comprendeva anche le viscontee di Forlimpopoli, Bertinoro e Castrocaro.
Nel 1356 l'Albornoz si recò di persona ad assediare Forlì con truppe mercenarie e "con l'aiuto degli Orsini di Casa Murata", di cui si fa menzione in numerose lettere che l'Albornoz inviò a papa Innocenzo VI, il quale incominciava a impensierirsi per il troppo potere del Cardinale spagnolo.
Il 4 luglio 1359, il Cardinale prese possesso di Forlì, insediando nel palazzo del Comune sia la sua cancelleria sia la propria residenza. Il fatto che il Cardinal Legato risiedesse proprio in Forlì, dalle lunghe tradizioni ghibelline e ultima città ribelle al Papa, aveva il chiaro valore simbolico di indicare che il processo di "normalizzazione" dello Stato della Chiesa poteva dirsi compiuto.
Nella pace conclusa in seguito si stabilirono due punti per noi estremamente rilevanti.
Gli Ordelaffi furono degradati a visconti di Bertinoro e Castrocaro, mentre gli Orsini di Casemurate ottennero un ampliamento della loro Contea, annettendo i territori contigui di San Zaccaria, Caserma e Pievequinta.
L'Albornoz riconobbe inoltre ai Conti di Casemurate la proprietà di un enorme appezzamento di terreno, che fu chiamato Feudo Orsini (impropriamente, perché si trattava di un Allodio, e solo della Pars Dominica, mentre la Pars Massaricia era gestita dai fittavoli o dai mezzadri)
Tutto questo ci conferma una cosa nota, ossia che il macrocosmo e i microcosmi sono costantemente legati gli uni agli altri da legami più profondi di quanto possa sembrare.
Poi però, per sdrammatizzare, va anche detto che quando si confronta una grande metropoli con la propria città natale, vale sempre la battuta pugliese: "se Parigi avesse lu mari sarebbe una piccola Bari".
Roberto, pur considerando Forlì una "morta gora" dove non succedeva mai niente, un non-luogo, un po' come il Molise, che non viene nominato nemmeno nelle previsioni del tempo, era però consapevole di alcune verità incontrovertibili.
Forum Livii era stata fondata secoli prima di Londinium, non era mai caduta in mano ai barbari, conservava un centro storico medievale di tutto rispetto, ed aveva una qualità della vita molto elevata in termini di sicurezza, di ambiente e di organizzazione urbanistica del territorio.
La sua vicinanza all'Appennino Romagnolo, garantiva aria fresca e acquedotti alimentati da sorgenti purissime, come quella di Ridracoli, la cui diga era stata costruita proprio dall'Azienda Monterovere, su commissione dell'azienda municipale Romagna Acque.
La vicinanza al mare Adriaco, invece, rendeva più mite il clima, tanto che Francesco Monterovere ripeteva spesso al figlio, che da bambino si lamentava perché d'inverno non c'era la neve, la stessa identica risposta: "E' perché da noi c'è un microclima marittimo".
Alcuni detrattori dei Monterovere non erano d'accordo, e come vedremo tra essi spiccava Fiorella Prinsivalli, madre di Alessandro Panza, per motivi ben precisi.
Roberto rimaneva scettico, non tanto per il microclima, quanto riguardo al "noi", come se Forlì non fosse nemmeno la sua città.
Era forse una premonizione del suo Lungo Esilio (1994-2017), durato 23 anni: 5 a Milano e quasi 17 a Bologna?
Domanda inutile: non gli piace parlare delle premonizioni e non piace nemmeno a Lorenzo.
Fu Jessica a raccontarci tutto, perché alla fine "ogni tassello del mosaico troverà il suo posto nel quadro d'insieme".
Roberto ricordava ai suoi familiari, a partire da suo padre, che: <<"I Monterovere sono di origine emiliana e modenese, e lì i Longobardi ci sono arrivati. Per cui, oltre ad essere dei Galli, e quindi dei "barbari celtici", potremmo avere anche qualche goccia di sangue "barbarico germanico". E del resto, da giovane il nonno Romano sembrava un Tedesco cosiddetto"ariano">>
Tutte queste informazioni, che sembrano buttate lì a casaccio, torneranno utili entro la fine del capitolo, e ancor più utili in seguito, per capire meglio come mai alcuni personaggi considerassero i Monterovere e i Ricci-Orsini al pari di una calamità naturale, capace di estendersi in tutta l'Emilia-Romagna, come il Canale Emiliano-Romagnolo, altro filo conduttore di questa narrazione, così come le nostre mappe.
Ma torniamo finalmente narrazione, che, come anticipato, riguarderà in particolare un personaggio da film horror, magari il remake de "La Terza Madre" di Dario Argento. Facendo un parallelo con le Tre Madri di Suspiria de Profundis di Thomas de Quincey, la Mater Suspiriorum è Elisabetta De Gubernatis, colei che sussurra i segreti della città, mentre la Mater Lacrimarum è Carolina Tartaglia, colei che sarebbe pronta ad avvalersi della tortura, come faceva suo padre Capo-Manipolo della Milizia ai tempi del Duce.
La Terza Madre, la Mater Tenebrarum, quella che agisce nell'ombra, vive di odio, colpisce alle spalle e toglie ogni luce dalla vita delle sue vittime, godendo delle loro disgrazie e traendo linfa vitale dal loro dolore, nel nostro racconto, è Fiorella Prinsivalli, donna di origini altolocate, ma ripudiata dalla sua famiglia a soli 15 anni, a causa di un gravissimo errore di gioventù, in conseguenza del quale dovette sposare un certo Ottone Panza, venditore a domicilio, già gravida del suo unico figlio Alessandro.
Delle Tre Madri era la più giovane (all'epoca aveva solo 32 anni), ma la più motivata e la più pericolosa.
Il suo rancore nei confronti dei Monterovere aveva origini lontane nel tempo, per quanto gli stessi Monterovere l'avessero conosciuta solo un anno prima.
Tale rancore si era trasformato in odio all'inizio del Liceo, a causa dei successi scolastici di Roberto, che aveva avuto l'ardire di ottenere voti migliori del figlio di lei,"Alex" Panza, che era comunque molto bravo, ma per sua madre Fiorella non lo era abbastanza.
Questo risultava inconcepibile sia a lui che a Roberto, i quali avevano fatto amicizia, anche per il fatto di condividere la sventura di avere voti alti.
A parte il fatto che essere primo della classe non è affatto piacevole, anche perché si diventa bersaglio delle frustrazioni altrui, l'essere secondi non è da considerarsi un disonore, perché la scuola non è una gara sportiva e non sono previste premiazioni su un podio, va aggiunto che soltanto un pazzo sociopatico (e la signora Prinsivalli lo era) potrebbe dire a suo figlio una frase del genere:
"Ricorda sempre, Alex, che il Secondo è soltanto il primo nella lista dei perdenti".
Ma questo era niente in confronto alla quotidiana, ossessiva e severissima ammonizione secondo cui, come disse Cesare (secondo Plutarco, nelle Vite parallele, il capolavoro che ci ha fornito anche l'idea per il nostro ossimorico titolo): "Meglio essere primi in Gallia che secondi a Roma".
E con un evidente non sequitur, Fiorella spiegava che ai tempi di Cesare, Forlì era in Gallia, la famosa Gallia Cisalpina, di cui il divo Giulio fu governatore proconsole insieme alla Gallia Narbonese e all'Illirico, prima di conquistare la Grande Gallia di Vercingetorige. La Res Publica Romanorum incominciava dal Rubicone e dall'Arno.
La Terza Madre, però, faceva notare a suo figlio che Cesare era sì diventato il Dictator Romanus, ma si era fatto ammazzare "come uno sciocco", proprio prima di poter muovere guerra ai Parti Arsacidi che avevano conquistato la Persia.
Alessandro Magno, invece, con un i suoi Eteri e Pezeteri, partendo dal piccolo Regno di Macedonia, e portandosi dietro i "mistofori di Caria" e altri venuti "dall'Haemo e dal Carmelo", come ci assicura Pascoli in una delle sue poesie più belle, si era assicurato l'egemonia sull'Ellade e poi aveva clamorosamente conquistato l'Impero Persiano fino al fiume Indo, diventando il Primo sovrano assoluto dell'Oikoumene.
Ma sì, un po' ce la vediamo, la Terza Madre, come una versione moderna della perfida Olimpiade, che, sempre secondo Plutarco, era stata Iniziata ai Misteri di Samotracia, dove aveva appreso l'arte di incantare i serpenti.
Però il paragone finisce qui, perché Olimpiade aveva sposato il grande Filippo, Re di Macedonia, e forse lo aveva anche fatto ammazzare, quando lui l'aveva rispedita nell' "Epiro aspra e montana" insieme alle "vergini sorelle".
Niente di tutto questo valeva per Fiorella Prinsivalli, moglie di un fannullone che rendeva onore al suo cognome, Panza, e madre di un ragazzo che, pur chiamandosi Alessandro, non aveva assolutamente niente in comune col suo illustre omonimo.
Va chiarito che, al contrario di sua madre, Alex non era pazzo, non era invidioso e non odiava nessuno.
E se fosse rimasto tale, gli avremmo fatto tanto di cappello. Chapeau!
Purtroppo però, con una madre del genere, se non ci si ribella da adolescenti, si diventa quasi sempre schiavi della sua volontà, e questo portò Alex a commettere quello che Dante considerava il più grave dei peccati, il tradimento.
Alla fine Alex tradì l'amicizia di Roberto, e questo fu un duro colpo per il giovane Monterovere.
Con gli anni Roberto capì e perdonò Alessandro, perché quel povero ragazzo era terrorizzato dalla madre, e ne aveva tutte le ragioni, ma non perdonò mai Fiorella Prinsivalli.
Le radici dell'odio della Terza Madre erano profonde e le riveleremo una per una, ma emersero solo dopo l'Affaire du Savoy, che le fornì il pretesto per scagliare la sua offensiva, da lungo tempo meditata e organizzata.
Invitiamo i lettori a non sottovalutare l'effetto che l'Affaire du Savoy produsse nei confronti dei tanti che, per invidia o per altre ragioni, già nutrivano un pregiudizio negativo nei confronti del clan Ricci-Orsini-Monterovere, e specialmente nei confronti di Roberto, che per ingenuità, sbadataggine ed eccessiva emotività, non seppe nascondere sufficientemente bene la fortuna che gli era toccata in sorte fino a quel momento.
Anche chi inizialmente era neutrale, incominciò in quel periodo a dire che "i Monterovere si stanno allargando un po' troppo" e che "a quel principino viziato ci vorrebbe una bella lezione di umiltà", il che poteva anche essere legittimo come auspicio, se si fosse mantenuto entro i limiti con cui la normale esperienza della realtà insegna a tutti noi ad essere più equilibrati.
Ma nessuno di loro aveva tenuto contro delle Tre Madri e di ciò che erano disposte a fare.
Questa sorta di Trimurti si era data una ben precisa ripartizione di compiti, come quella induista.
Elisabetta De Gubernatis, che aveva spiccate doti di spionaggio, ed abitava nell'appartamento di fronte a quello dei Monterovere e della "cara cugina" Silvia Ricci-Orsini, con cui ancora fingeva una parvenza di cortesia, teneva d'occhio tutto ciò che accadeva a Forlì e che potesse risultare utile per i loro piani.
La sua supervisione partiva dalla propria stessa abitazione, "er condominio de lusso" (secondo il celebre epiteto formulato dall'avvocato romano Semenzana "de sotto") ed era in perenne ricerca di notizie fresche, sondando gli altri condomini di quello che a Forlì era soprannominato, non senza ironia e intento polemico, il Palazzo Monterovere.
Anche d'agosto, infatti, il condominio, per quanto ospitasse solo otto famiglie, non rimaneva mai vuoto: i vari condomini andavano e venivano, dalle loro seconde case al mare o in montagna o dalle loro villeggiature di vario genere che però non duravano mai troppo, perché a nessuno di loro piaceva stare lontano per troppo tempo da ciò che consideravano l'Ombelico del Mondo, e cioè il glorioso "Marchesato di Forlì", come Roberto ironicamente lo chiamava, nella sua immaginaria suddivisione dell'altrettanto immaginario Ducato di Romagna, “tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno”.
In quest'ottica, anche "er condominio de lusso", aveva una sua ben precisa, anche se informale, organizzazione burocratica e gerarchica.
Il Presidente Emerito, Decano e Censore dei costumi era l'anziano ingegnere in pensione Adolfo Casadei, ex dirigente dell'Eni, ultra-ottantenne, detto anche "il Rospo" per il suo volto da batrace (che la sua buon'anima ci perdoni) e uomo severissimo, inflessibile, integerrimo, rigorosissimo, parco, frugale, estremamente risparmioso e, per dirla tutta, taccagno, che non riusciva a concepire il fatto che i Monterovere e i Ricci-Orsini, "anche dopo tutto quello che è successo a quella canaglia di Ettore", continuassero a spendere al di sopra delle loro possibilità economiche e avessero un tenore di vita "che neanche la Famiglia Reale...".
Era poi disgustato dal fatto che Roberto fosse andato al Savoy di Londra a scrocco della fidanzata Visconti-Ordelaffi: <<E' un'indecenza! Quel ragazzo si comporta già come una "escort" in versione maschile>> aveva dichiarato, furibondo e in preda all'indignazione, alla signora Elisabetta Braghiri, alla quale non bastò altro che soffiare sul fuoco e lasciare che l'incendio divampasse.
In fondo i Ricci-Orsini-Monterovere, nel microcosmo forlivese, erano, all'epoca, la versione mignon e burlesque quello che i Mountbatten-Windsor sono ancora per il Regno Unito e cioè non i più ricchi, non i più potenti, ma certamente i più famosi, per via delle origini, dei matrimoni, ma soprattutto degli scandali.
Noi crediamo sia anche per questo che Roberto è così ossessionato dalle loro vicende, cosa che un tempo lo rendeva benemerito presso le parrucchiere e le estetiste di sua madre.
Ma torniamo "ar condominio de lusso" (de via Merulana, ci verrebbe da aggiungere).
L'Amministratore veniva cambiato in continuazione, poiché nessuno sulla faccia della Terra avrebbe mai potuto sopravvivere sano di mentre alle guerre intestine che dilaniavano gli illustri condomini, e questo andava ad accrescere le rispettive aree di competenza che i suddetti condomini si erano auto-attribuiti.
Il sedicente Direttore Generale era proprip l'avvocato Benito Semenzana "de sotto", nato a Trastevere in Roma ed ex dirigente di una filiale della Reale Mutua Assicurazione, nonché nostalgico e cultore del Duce.
Il suo epiteto "de sotto" derivava, oltre che dal suo eloquio romanesco, anche dalla inconfutabile affermazione che il suo appartamento si trovava fisicamente di sotto a quello dei Monterovere, accusati costantemente di disturbare le sue meditazioni e i lavori domestici di sua moglie con il rumore prodotto nell'ordine dalle indecorose liti familiari, dal pianoforte suonato dal Professore e dall'abitudine "de quer pazzo der fijo" di guardare videocassette di film thriller fino a tarda sera.
A tutto questo si aggiungeva il fatto che i cani del Semenzana terrorizzavano i gatti dei Monterovere, e come si sa, tra cacciatori cinofili e "gattofili" animalisti, le cose prima o poi "vanno a finì 'n caciara".
Ed era tutto un fiorire di "ma va a morì ammazzato, tu e li mortacci tua! Ammazzete 'na bona vorta, mannaggia la mignotta de tu..." e qui si fermava, perché comunque, per quanto romano de Roma, era pur sempre un avvocato, consapevole peraltro, proprio per le origini romane, che le donne della stirpe Orsini non potevano essere sfiorate neanche con il pensiero.
Anche il Semenzana, ogni volta che tornava "ar condominio de lusso", dalla sua villa di Bagno di Romagna, con annesso bosco divenuto sua personale riserva di caccia, portava qualche indiscrezione sui Monterovere, riferitagli dal suo carissimo amico e camerata, il notaio Papisca, oltre che dai suoi "parenti de mamma" che lavoravano presso le famiglie della Nobiltà Nera, (tra cui il ramo principale degli Orsini), cosiddetta per due ragioni: era rimasta fedele a Pio IX dopo la Breccia di Porta Pia, continuando ad indossare l'abito nero, ed era politicamente schierata all'estrema destra, come lo stesso Benito Semenzana e i suoi camerati (oltre a Papisca, c'erano anche i vari membri della famiglia Tartaglia e quindi anche il ragionier Porcu, padre di Felix).
C'era anche una terza ragione per cui l'Aristocrazia Nera aveva contattato il Semenzana, ma su questo argomento, che ci porterebbe agli Iniziati, è opportuno, per il momento, non aggiungere altro.
Il Condirettore del Palazzo era ovviamente Massimo Braghiri, figlio di Michele e Ida, marito di Elisabetta e padre di Vittorio. Era il Leader della Fronda contro il clan Ricci-Orsini-Monterovere.
E proprio nel suo appartamento, dato che i Monterovere erano a Cervia (e uno di loro a Londra), si tenevano senza alcun timore le riunioni dei congiurati.
Poco prima della festività di San Lorenzo, che in Romagna è particolarmente sentita e dà l'inizio ad una settimana di pazza gioia fino alle Feriae Augusti, Massimo Braghiri e suo figlio Vittorio ebbero come ospite Felix Porcu in persona, poiché i suoi erano già migrati a Valverde di Cesenatico, avendo già assolto al loro compito, e cioè mantenere il filo diretto con Antonietta Visconti, la madre di Aurora.
Per la Terza Madre, invece, quella era la prima riunione e la prima volta che entrava nel condominio dove gli appartamenti dei Monterovere e dei Braghiri si fronteggiavano, come i loro abitatori nella vita.
Quando anche Fiorella Prinsivalli prese posto "dalla parte del torto", il padrone di casa diede avvio alla seduta.
<<Allora, ci sono novità da Londra?>> chiese Massimo Braghiri.
<<Pessime>> rispose Felix <<Stando a quel che dice mia zia, sembra che Aurora sia entusiasta, lo ha detto persino il Visconte, che fino a un mese fa non voleva neanche sentir nominare i Monterovere e adesso scodinzola dietro di loro come un cagnolino ammaestrato. Io non capisco>>
<<Capisco io>> disse Massimo <<un cambiamento così verso i Monterovere si giustifica solo in un modo: Lorenzo ha dato la sua "benedizione" e i Visconti-Ordelaffi potranno trovare accoglienza presso certi ambienti ad altissimo livello>>
<<Ma allora siamo rovinati!>> sbottò Felix <<Come può una piccola congiura di provincia tener testa a questi pezzi grossi ad altissimo livello?>>
<<Abbiamo ancora due speranze>> dichiarò Vittorio Braghiri, il Candidato Alternativo, alzando la mano destra e facendo il segno V di vittoria.
<<La prima è che l'appoggio di Lorenzo sarà condizionato alla prova che Roberto darà di sé quando dovrà affrontare tutti noi. Sono molto selettivi, i suoi amici.
Per essere cooptati non basta essere parenti di qualcuno: bisogna anche avere determinati requisiti, tra cui la capacità di resistere ad un accerchiamento. E noi gli stiamo preparando un accerchiamento molto maggiore di quanto possa aspettarsi.
La seconda speranza riguarda il fatto che, se anche Roberto dovesse superare vivo e sano i due anni di fuoco che lo attendono, non è detto che Lorenzo abbia una sola candidata al ruolo di futura moglie o amante di suo nipote.
Anzi, è probabile che un uomo così astuto abbia un piano B che potrebbe persino rivelarsi preferibile a quello A.
La partita è ancora aperta, anzi, a dire il vero, non è nemmeno cominciata!>>
La Terza Madre, Fiorella Prinsivalli, aveva ascoltato tutto con grande attenzione e trepidazione, poiché era una vita che desiderava di recuperare influenza e credibilità, dopo che una gravidanza prematura, un matrimonio riparatore di basso rango e una lunghissima depressione post partum l'avevano esclusa da tutti i salotti e i circoli che contavano, persino quello della Canasta di Ginevra Orsini, vedova De Guvernatis, che fino all'ultimo aveva espresso alla figlia Elisabetta la sua perplessità nei confronti di quella "pazza furiosa e isterica, che a quindici anni sembrava una cagna in calore e adesso si mette a fare la moralista".
L'anziana Ginevra, infatti, era comunque una Orsini, e sapeva essere obiettiva nel valutare le persone, comprese le amiche di sua figlia (e detto tra noi, conosceva bene anche i limiti della figlia, perché delle due gemelle che aveva avuto, preferiva di gran lunga Anna, la moglie del Sommo Poeta. Ginevra diceva "la mia Anna", ma riguardo ad Elisabetta non usava alcun aggettivo possessivo).
Eppure, alla fine, Ginevra Orsini De Benedictis dovette cedere, e il Circolo della Canasta riaprì le porte a Fiorella Prinsivalli.
Quest'ultima le aveva varcate trionfalmente, dopo aver spedito il marito e il figlio al mare nel loro puzzolente bugigattolo, in un brutto cubo di cemento a Lido Adriano, ennesima località marittima costruita con denaro di dubbia origine, e definito da lei stessa
"uno dei luoghi più squallidi e deprimenti del pianeta Terra, anzi, di tutto l'universo".
Se mai, per somma sfiga, questo scritto dovesse essere letto da qualcuno che ha una buona opinione di Lido Adriano, teniamo a precisare che riportiamo qui le opinioni discutibili e prevenute di una persona che visitò quel luogo trent'anni fa, nel 1991.
All'epoca la sua fama era questa, ma oggi è molto cambiata.
Il sarcasmo con cui Roberto riferì la sua impressione riguardo a quel luogo va preso con cautela, dal momento che per lui il viaggio a Lido Adriano fu l'inizio di una serie di disgrazie connesse alla famiglia Prinsivalli-Panza.
L'anno precedente, infatti, Roberto Monterovere, preso da un immotivato spirito di amicizia e di azione, era andato a trovare Alex Panza e famiglia proprio nel suddetto locus horridus, con un viaggio in corriera che era stato deprimente già di per sé.
Prima di riferirci i punti salienti di quella visita, Roberto ci disse:
"Io ero sinceramente amico di Alessandro Panza, un ragazzo intelligente e cordiale, che mi invitò spesso a casa sua, non solo a Forlì al mare, d'estate, in una località un po' fuori mano.
Io riuscii a trovarlo, e sua madre mi parve contenta di quella mia prova di amicizia, eppure già da allora, come in seguito venni a sapere, meditava di pugnalarmi alla schiena".
Chiariamo subito che si trattava di una pugnalata metaforica, ma quel tradimento, per il tempo, il luogo e il modo in cui si realizzò, fu quello che fece più male a Roberto, e che continuò a tormentarlo con incubi ricorrenti.
Forse è per esorcizzare tali incubi che cercò di vedere il lato comico di tutta quella situazione.
Il pullman aveva lasciato la via Adriatica per inoltrarsi in una mulattiera, di nome Via Bonifica, che percorreva una "terra di nessuno", bonificata dai Fratelli Monterovere, ma con un terreno così sabbioso e salino da risultare poco adatto all'agricoltura.
Quelle zone, che fino a pochi anni prima erano ricoperte da una delle tante lagune salmastre che circondavano Ravenna, apparivano come una landa desolata in mezzo al nulla.
Ai margini del Lido, molte case erano ancora invendute, altre già abbandonate. Sopravvivevano solo i palazzoni, le erbacce e qualche pino marittimo (Pinus Pinaster)
La Via Bonifica sprofondava a causa delle voragini causate dal bradisismo e dalla subsidenza.
Ma, niente paura! I mitici Fratelli Monterovere, avevano una soluzione per tutto, e infatti si erano aggiudicati l'appalto l'apporto di nuove terre dalle loro cave, sia per la messa in sicurezza della Via Bonifica, sia per l'arricchimento biologico della Landa e per la costruzione di canali di irrigazione che utilizzavano acqua dolce proveniente da Fosso Ghiaia dove possedevano un'infinità di cave, molti pozzi e un bacino idraulico.
Precisiamo che si tratta di dati risalenti al 1991, e che quindi non hanno nulla a che vedere con la situazione attuale.
Tutta l'acqua che mancava a Lido Adriano si trovava nel Bacino Idraulico di Fosso Ghiaia, di cui i Fratelli Monterovere erano soci di maggioranza.
Le conseguenze erano facili da immaginare: l'Azienda Monterovere vendeva l'acqua dolce come se fosse petrolio, e con la storia dell'arricchimento biologico della Landa, erano riusciti a risolvere un annoso problema.
Tutti i liquami e gli scarichi delle bonifiche erano stati fatti passare per concimi biologici.
Nel frattempo le macchine escavatrici si erano messe al lavoro e la zona si era riempita di canali ghiaiosi in mezzo al deserto.
Precisiamo che di tutto questo Roberto Monterovere non sapeva nulla, poiché suo nonno e i suoi prozii e altri parenti avevano tenuto nascosta ogni cosa a suo padre.
L'unico indizio che Roberto vide furono le Idrovore realizzate dai Fratelli Monterovere.
Ma quelle erano ovunque, nel ravennate, per cui non diede importanza al fatto.
Fiorella Prinsivalli, al contrario, sapeva tutto sui Monterovere.
Ogni maledetta domenica e ogni maledetta estate, per diciassette anni, suo marito l'aveva obbligata a "rilassarsi" (ossia annoiarsi a morte) a Lido Adriano.
Ad ogni viaggio, settimana dopo settimana, Fiorella aveva visto le idrovore moltiplicarsi come funghi, i canali di irrigazione sventrare quella parte di Landa che non era stata già occupata dai canali di bonifica, e intanto la Bolletta del Consorzio di Bonifica lievitava, a causa del latrocinio dei Monterovere.
E come se non bastasse, l'unico acquedotto esistente all'epoca, recuperava "ecologicamente", acqua degli impianti di desalinizzazione e dei depuratori che i Monterovere avevano costruito su commissione della municipalizzata per rendere pulita anche se non potabile, l'acqua recuperata dalle idrovore.
La Regione e gli altri Enti, in cui Edoardo Monterovere era Assessore o Consgliere, incensato da tutti, compresi i Verdi, per la sua "sensibilità ecologica", dovevano inevitabilmente reperire nuovi fondi, per finanziare quelle infrastrutture all'avanguardia, e dunque, nelle bollette dell'acqua, vi era una maggiorazione, che andava direttamente nelle tasche dell'Azienda Monterovere, per remunerare le sue miracolose opere.
E tutto questo per avere in cambio nei rubinetti un'acqua giallastra e fetida, che risultava ancora più nauseabonda in quel loro claustrofobico bilocale acquistato con grandi sacrifici e grazie a un mutuo trentennale, con tassi da usura; un buco umido/afoso a seconda della stagione, dove ci si pestava i piedi a vicenda, condividendo in tre un orribile bagnetto dalle piastrelle giallo/marroni che sembravano sporche e puzzolenti anche dopo averle pulite col Cif, dai sanitari (senza bidet) screpolati, dello stesso colore delle piastrelle, con tubature e rubinetti provenivano esalazioni mefitiche.
L'acqua della doccia, altrettanto gialla e sulfurea, finiva per lo più direttamente nel wc, o altrimenti seguiva un piano inclinato che la portava a tracimare verso la camera da letto.
Roberto stesso ci disse: "Sarebbe meschino da parte mia deridere chi si trova in condizioni di degrado, però capisco le esigenze di chi, dovendo scrivere un romanzo, ha bisogno di alleggerire un po' il discorso cercando di descrivere le cose in maniera grottesca.
Io sono schizzinoso e credetemi se vi dico che quel giorno dovetti lottare contro i conati di vomito. Immaginatevi, adesso, che cosa può aver provato Fiorella Prinsivalli, dopo aver trascorso diciassette estati in quella galera, quando venne a sapere che un Monterovere avrebbe trascorso due settimane in una suite del Savoy di Londra spesato da una fidanzata più ricca di tutti i Fratelli Monterovere messi insieme.
Avrei dovuto capirlo prima, e farle sapere almeno che mio padre non c'entrava nulla con gli abusi dell'Azienda Monterovere, da cui noi non avevamo mai accettato un centesimo, proprio per rimanere estranei alla gestione opaca di mio nonno e dei suoi fratelli e sorelle>>
Ma si sa: del senno di poi son piene le fosse.
Precisiamo ancora una volta che tali ricordi di Roberto risalgono a trent'anni fa e che adesso invece avere un appartamento a Lido potrebbe essere come avere una villa a Santa Barbara come i Duchi di Sussex, o a Malibù come i divi di Hollywood. Più o meno.
Ogni volta che i Panza, nella loro scalcagnata Fiat Duna, impiegavano ore per raggiungere quel luogo dimenticato da Dio, ma non dai Fratelli Monterovere, la Terza Madre si rodeva il fegato, per ciascun nuovo cantiere su cui i suddetti Fratelli piantavano bandiera!
Loro però, i Monterovere, in vacanza, se ne stavano da tutt'altra parte, in una villa in cima a una collina artificiale, con fontane, laghetti, piscine, gazebo, verande, pergole "e via andare".
E anche quella era frutto dell'eredità di un personaggio ancora più spregiudicato di Romano Monterovere, ossia il cavalier Ettore Ricci, di cui Fiorella Prinsivalli, nobili genere nata, ma caduta in disgrazia, conosceva le "imprese".
Era solo una quindicenne nei guai quando seppe delle nozze di Silvia Ricci-Orsini con Francesco Monterovere, e li vide uscire da San Mercuriale tra chicchi di riso, voli di colombe e lanci di bouqué, e anche lei sentì la gente livida d'invidia commentare:
"Piove sempre sul bagnato. Quelle due canaglie di Ettore Ricci e Romano Monterovere, facendo sposare i loro eredi, si sono proprio spartiti tutta la torta: ai Ricci-Orsini le terre e le case, ai Monterovere le acque.
Se gli sposini faranno un figlio cosa succederà?
Metterà su un inceneritore dietro casa nostra? Darà fuoco alle pinete?".
Ecco, questa è la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che l'invidia e l'odio spesso vanno a braccetto.
Ma l'odio ha anche altre origini, forse più nobili, ma mai e poi mai giustificabili.
L'odio può derivare dal dolore, dall'umiliazione, dal senso di ingiustizia, dall'impressione che i pezzi grossi l'abbiano sempre vinta, perché, come cantava il compianto maestro Battiato, "si sentono potenti e gli va bene / quello che fanno e tutto gli appartiene".
Roberto però non sapeva proprio niente di tutto questo, non avendo alcun rapporto con suo nonno Romano e considerando invece l'altro nonno, Ettore, un martire, vittima di una congiura.
Possibile che fosse così ingenuo? Stentiamo a crederlo, ma lo stesso Lorenzo ci ha detto:
<<Mio nipote viveva in un mondo immaginario, tra le nuvole, proprio come suo padre. Ma a differenza di mio fratello, Roberto aveva un'incredibile capacità di mettersi nei guai>>
E così, in quel giorno dell'agosto del 1991, l'unico erede maschio della famiglia Monterovere, era andato fin laggiù, in un giorno torrido, facendosi tutta la Via Bonifica in corriera, a 40 gradi celsius, per andare a trovare il suo compagno e amico Alex Panza, in segno di amicizia e di stima.
Per un attimo Fiorella Prinsivalli credette di avere le allucinazioni. Era certamente un miraggio, dovuto alla canicola, ma poi aveva visto, per una frazione di secondo, le buone intenzioni di Roberto, l'innocenza della sua faccia pulita, ancora dolce e imberbe, e la sua gentilezza spontanea, e il grande rispetto che mostrava verso suo figlio e verso di lei.
Per quell'attimo, quel solo, unico e irripetibile istante, la Terza Madre fu colta da un dubbio:
"E se mi sbagliassi, sul suo conto? Se lui davvero non c'entrasse niente con le malefatte delle famiglie dei suoi genitori?"
Ma quel dubbio durò solo un momento.
Fiorella Prinsivalli si riscosse e si rimproverò.
"Ma che diavolo pensi, stupida sciocca? Quello che hai davanti è il primo nemico nel milione di pianeti!"
Pensò proprio questo: nel "lessico famigliare" dei Pansa il "milione di pianeti" era l'Impero Galattico, di cui suo figlio Alex, grande appassionato di fantascienza e di Guerre Stellari, le parlava in continuazione.
Lei ormai, constatato che suo figlio non sarebbe diventato un secondo Alessandro Magno, aveva comunque un'aspirazione più realistica, ossia che diventasse un ingegnere, ragion per cui non si opponeva all'aspetto "nerd" degli interessi di Alex: computer, scienza, fantascienza, astrofisica, nuove tecnologie, simulatori di volo, videogiochi "intelligenti" e cose simili.
Alla fine, a furia di sentirlo parlare dell'Impero Galattico e del Milione di Pianeti (che poi in realtà l'espressione era di Frank Herbert, non di George Lucas, ma queste sono raffinatezze comprensibili solo tra appassionati di letture fantascientifiche topiche alla Isaac Asimov e distopiche alla Philip Dick).
Eccolo lì dunque, il giovane Skywalker pronto a passare al Lato Oscuro, proprio come suo padre, Lord Darth Vader, braccio destro dell'Imperatore!
Questo era Roberto ai suoi occhi, anche se quel giorno si limitò ad osservarlo con sospetto, cercando di coglierlo in fallo, di trovare in lui una traccia della tracotanza dei Monterovere.
E invece niente.
Ma questo ragazzino, che adesso sembra così innocente, un giorno diventerà peggio dei suoi antenati. Meglio eliminarli quando ancora non hanno avuto tempo e modo di far danni.
Se avessero ucciso Hitler quando era adolescente...
E con pensieri deliranti di questo tipo, la Terza Madre sistemava una volta per tutte, e senza rimorso, quel poco che restava della sua coscienza.
Ma forse l'odio di Fiorella Prinsivalli si sarebbe potuto arginare se non fossero stati commessi, in serie, alcuni errori di superficialità, un peccato che può costare la testa, quando si ha a che fare con i pazzi.
Il primo errore di Roberto fu quello di invitare i Panza a ricambiare la visita, come ospiti dei Monterovere a cena, nella loro residenza di Cervia, presso il famoso Ricci Compound.
Un errore grossolano, perché i Panza, fatti gli inevitabili paragoni, rimasero indignati nel vedere cosa significava concretamente essere nipoti, nel contempo, di Ettore Ricci e Diana Orsini, di Romano Monterovere e della compianta Giulia Lanni, la figlia del Profeta delle Acque, l'ingegner Francesco Lanni, l'ideatore del CER e della Diga di Ridracoli, l'uomo che miracolosamente, quasi come in un ossimoro, aveva nel contempo bonificato e irrigato la terra con il Cer, e creato, con la Diga, un acquedotto di acqua potabile che riforniva mezza Romagna.
Era troppo per Fiorella Prinsivalli!
Certo, lei era nata da un'illustre famiglia, ma si era fatta mettere incinta a quindici anni da uno sbandato, che per giunta l'aveva convinta a tenere il bambino e l'aveva pure sposata, costringendola a una vita di m...
Quella villa era (non per colpa dei Monterovere, ma lei non poteva saperlo) un'ostentazione pacchiana da arricchiti, come quel ruscello artificiale.
E quella cena di Trimalcione era stata un affronto a lei, sì, a lei in persona, Fiorella Prinsivalli, la quale per tutta la sera giurò a se stessa che avrebbe trovato un modo per farla pagare a quella famiglia spregevole, colpendola laddove tutti i membri del clan Ricci-Orsini-Monterovere avevano riposto le loro speranze: il giovane Roberto, amico di suo figlio Alex.
La Terza Madre giurò a se stessa che avrebbe annientato quel principino ereditario dalla finta faccia di bravo ragazzo.
E Roberto avrebbe dovuto capirlo, quando, invece di una bottiglia di vino, la signora Prinsivalli aveva regalato agli anfitrioni una copia economica di "Umiliati e offesi" di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Un anno dopo, l'Affaire du Savoy le aveva finalmente fornito il pretesto ufficiale per passare dalla parte della Fronda senza sembrare una traditrice.
E qui torniamo all'8 agosto 1992, consapevoli del perché lei era lì, a "Palazzo Monterovere", ospite del Clan Braghiri-De Gubernatis ed alleata del Clan Porcu-Tartaglia, ad ascoltare i piani dei Congiurati.
Era venuto il momento di dire la sua:
<<Dobbiamo portare dalla nostra parte anche le altre famiglie dei compagni di classe. Non sarà difficile, dal momento che nessuno ama i secchioni>>
Vittorio Braghiri, che, al contrario di suo padre e di suo nonno, aveva nel sangue la supponenza degli Orsini e dei De Benedictis, dichiarò:
<<E' vero, nessuno ama i secchioni, ma allora come mai suo figlio Alex tiene tanto a diventare il Primo della Classe?>>
La Terza Madre prese l'appunto mentale di far pagare, un giorno, anche a quel fighetto di Vittorio Braghiri, le sue maledette frecciatine, ma non era ancora il momento, perché le guerre non si combattono mai su troppi fronti:
<<E' quello che i Monterovere vogliono far credere. Il mio Alex prende bei voti perché è intelligente e apprende con grande rapidità, ma non è un secchione. Non è uno che studia sei ore al giorno, come Roberto>>
E qui intervenne Felix Porcu:
<<Magari studiasse ancora sei ore al giorno! Adesso, da quanto ho capito, lui e mia cugina si fanno certi lavoretti a vicenda, di notte, e poi di giorno se ne stanno al centro benessere, a fare amicizia con i rampolli della nobiltà inglese. Mia zia ha detto che hanno conosciuto persino un Duca la cui fidanzata è una specie di cugina della Principessa del Galles! Ma vi rendete conto?>>
Questo era troppo. la Terza Madre ne fece un caso personale:
<<Stavolta hanno fatto il passo più lungo della gamba, quei montanari e contadini rifatti!
Dobbiamo trovare un soprannome per Roberto, qualcosa che metta in ridicolo ciò che sta facendo, la persona che sta diventando. Per esempio, se come dice Felix lui e Aurora si fanno i "lavoretti" a vicenda, potrebbe voler dire che lui non è in grado di portare a termine un rapporto completo, e che quindi deve ripiegare su qualcos'altro. Ma non dobbiamo essere volgari, voglio dire, non possiamo chiamarlo, che ne so, "il Segaiolo", è banale ed è volgare, no bisogna trovare qualcosa che renda l'idea, ma utilizzi termini più originali e altisonanti in tema di erotismo. La stessa Bibbia, quando condanna l'onanismo...>>
E qui Porcu sgranò gli occhi:
<<Cosa?>>
La Terza Madre fulminò con gli occhi quel rozzo ignorante con cui, suo malgrado, era costretta a collaborare:
<<E' un termine che indica l'autoerotismo maschile. Dio condanna Onan perché...>>
Porcu ebbe l'illuminazione:
<<Ho il soprannome! E' geniale, degno di me! Onan il Barbaro! Sono o non sono un genio?>>
Non lo era e tutti lo sapevano, ma quella storia del Barbaro poteva funzionare.
Vittorio Braghiri, che era un ammiratore di Schwarzenegger e aveva visto i due film con protagonista Conan il Barbaro, annuì con vigore.
Sorrise, e poi disse:
<<Può funzionare. Faremo girare il soprannome, dicendo che con le donne fa cilecca e quindi gli resta la soluzione di Onan il Barbaro.
Credo che la cosa lo ferirà profondamente, perché ha un problema a livello fisico: eravamo confidenti una volta, e mi raccontò che nonostante avesse fatto un primo intervento, doloroso e senza anestesia, da bambino, per staccare la pelle del prepuzio dal glande, il frenulo è rimasto corto, e quindi in caso di rapporto sessuale completo rischierebbe di rompersi, con forti dolori ed emorragie. Non mi risulta che abbia mai fatto l'intervento risolutivo, la circoncisione.
Lui ha paura degli interventi chirurgici e sua madre, che potrebbe anche non saperlo, in ogni caso non vuole che lui si metta nei guai seminando figli in giro>>
La Prinsivalli segnò mentalmente anche questo. Lei almeno suo figlio l'aveva tenuto! Tutti le avevano promesso il massimo sostegno se avesse fatto la scelta giusta per il bambino, ma poi l'avevano abbandonata e trattata come una lebbrosa. Avrebbero pagato, tutti, uno dopo l'altro, compreso Vittorio.
Mentre pensava questo, ci fu l'inevitabile domanda buffonesca di Felix Porcu:
<<Cioè, insomma... se ho ben capito... gli è successo, tipo, di aver avuto un tumore al cazzo che gli è rimasto corto? Dico bene?>>
Ci fu qualche sorrisino di commiserazione, fino a che Vittorio non riuscì a spiegare, con terminologia meno specialistica, il significato delle varie parole anatomiche e patologiche da lui usato.
Con grande vergogna, allora, Felix realizzò che anche lui aveva la fimosi, e la sua era serrata, oltre tutto, e che se voleva darsi da fare, doveva operarsi, e non ne aveva alcuna voglia.
Sfogò la sua frustrazione incolpando Roberto di aver rovinato il suo senso di trionfo permettendosi di avere il suo stesso problema e di averlo aggirato facendosi fare "lavoretti" proprio da sua cugina!
L'avrebbe evirato, per aver osato tanto!
Nel frattempo la Terza Madre si compiacque, come se, per la prima volta da diciassette anni, Dio in persona fosse tornato dalla sua parte, condannando la dinastia Monterovere a estinguersi alla terza generazione con un ragazzo vergine e sterile, come era successo ai Tudor con Edoardo VI.
D'accordo, forse il paragone con i Tudor se l'è inventato Roberto, ma ogni storia, bella o brutta che sia, merita un po' di infiorettatura.
Vergine, sterile, ma pervertito e schiavo di una pervertita, che lo ricompensava col suo denaro per gli squallidi ditalini che lei, Fiorella Prinsivalli, aveva il buon gusto di farsi da sola, visto che ormai, di suo marito, le facevano ribrezzo persino le mani.
E tutto il mondo doveva saperlo:
<<Ottimo! Dirò ad Alex di mettere in giro il soprannome, quando riapriranno le scuole.
Nel giro di una settimana lo saprà tutto il Liceo e nel giro di un mese lo saprà tutta Forlì, compreso il salotto culturale di Silvia Ricci-Orsini Monterovere!>> e guardò con odio la porta, oltre la quale c'era un pianerottolo in marmo che dava sull'appartamento dove quel Salotto Culturale aveva la sua sede, e riceveva ogni sabato sera l'elite e l'intellighenzia della città, a Palazzo Monterovere, quella sconcia replica mignon di Versailles che presto avrebbe fatto la fine dell'originale.
Massimo Braghiri, il padrone di casa, aveva ascoltato con scetticismo e mantenuto con un certo distacco: in fondo quella era solo una ragazzata, mentre lui era abituato a passare alle vie di fatto.
Ora però c'erano gli Iniziati a fare da arbitri, e sua zia Iole, la strega della palude, gli aveva fatto sapere che la Prova del Dolore, a cui il giovane Monterovere stava per essere sottoposto, aveva delle regole ben precise, oltre le quali sarebbe intervenuto un membro eminente del Consiglio Ristretto.
Se solo avesse potuto sapere qual era il piano degli Iniziati, il loro Grande Disegno!
Che cosa nascondevano? Perché avevano affidato tanto potere a Lorenzo Monterovere, il Filosofo Metafisico?
Tutto ruotava intorno a quelle domande a cui lui sapeva che nemmeno le sorelle di sua madre, le sacerdotesse delle paludi, avrebbero risposto, perché quelle risposte facevano parte dei Misteri che soltanto un Iniziato poteva conoscere, e non poteva rivelare nemmeno ai parenti più stretti, pena la morte, "e non sarebbe una morte piacevole" gli aveva assicurato la Grande Sacerdotessa.
Cosa succede?
cosa succede in città?
C'è qualche cosa,
qualcosa che non va!
Guarda lì, guarda là
che confusione...
Guarda lì, guarda là
...che maleducazione!
Cosa succede,
cosa succede in città?
c'è qualche cosa,
qualcosa che non va...
cosa succede in città?
C'è qualche cosa,
qualcosa che non va!
Guarda lì, guarda là
che confusione...
Guarda lì, guarda là
...che maleducazione!
Cosa succede,
cosa succede in città?
c'è qualche cosa,
qualcosa che non va...