Se nella realtà esistesse un equivalente della Contea degli Hobbit,
sarebbe senza dubbio la Contea di Casemurate, in Romagna, avente
come centro il paese che le dà il nome, un nome strano, ma molto appropriato, se si considera il tacito, ma radicato desiderio, da
parte dei suoi residenti, di non essere disturbati dal resto
del genere umano..
La storia di questo discreto angolo di mondo affonda le sue radici nel
Medioevo.
Secondo le non troppo affidabili Cronache casemuratensi della
maestra elementare Clara Marinelli, coniugata Ricci (unica docente della scuola locale),
pubblicate nel 1933 con tanto di prefazione di Sua Signoria, l'illustrissimo don Achille Orsini
Balducci, XVII Conte di Casemurate, l'etimologia del luogo sarebbe da attribuirsi al fatto che il villaggio e il torrione centrale, fin dalla loro fondazione, nel Duecento, erano stati cinti di mura così solide da reggere a qualunque
calamità, tranne le riforme urbanistiche di fine Ottocento, che portarono all'abbattimento di quasi tutte le cinte murarie presenti in Italia.
L'unico dato relativamente certo consisteva nel fatto che la fortezza e il
villaggio di Casemurate erano sorti presso l'incrocio tra due strade di una
certa importanza, e cioè la Cervese, che collegava, e collega
tutt'ora la città di Forlì con la cittadina costiera
di Cervia, e il Dismano (antica Via Decumana) che collegava e ancor
oggi collega Ravenna e Cesena.
Quelle due strade dividono tuttora la Contea di Casemurate in quattro parti,
come i Decumani della Contea di Tolkien,
Pare anche assodato che i confini dell'antico feudo casemuratense fossero molto
più estesi di quelli dell'attuale frazione, e pertanto il territorio della
Contea tradizionale poteva essere all'incirca simile a un cerchio
avente come centro l'incrocio tra la Cervese e il Dismano, e un diametro di circa dieci chilometri.
Per quanto, negli anni '30 del Novecento, le terre di Casemurate fossero
suddivise in varie proprietà più o meno grandi, le Cronache
casemuratensi ci ricordano che per molti secoli la signoria
territoriale fu nelle mani di due sole potenti famiglie, i conti Orsini
Balducci, le cui fortune andarono poi decadendo nei secoli e i marchesi Spreti di Serachieda,
che invece ebbero grande fortuna.
Le Cronache asseriscono inoltre che la fondazione di Casemurate si debba far risalire alla precisa data del 21 aprile 1278,
quando Bertoldo Orsini, nipote di papa Niccolo III (quello con cui Dante
ebbe un furente alterco in un Canto dell'Inferno, dopo averlo scambiato per
Bonifacio VIII), della potente famiglia romana degli Orsini, fu
nominato Conte di Romagna e affidò al fratello minore Bernardo il
compito di presidiare la bassa pianura al centro del quadrilatero compreso tra Ravenna, Forli, Cesena e
Cervia.
Fu così che, sempre secondo le Cronache della Maestra
Ricci, nel 1278, Bernardo Orsini costruì una fortezza all'incrocio
della Cervese e del Dismano dove c'era un piccolo, anonimo villaggio, e la
cinse di mura, dandole appunto il nome di Case Murate, che solo in seguito divenne un'unica parola.
Il documento probante tale atto di fondazione, secondo la scrupolosa
indagine della Maestra Ricci, risultava conservato nell'archivio privato
del Conte Achille Orsini Balducci di Casemurate, che si proclamava
diretto discendente del fondatore Bernardo, basandosi sempre su documenti
gelosamente custoditi nel suddetto archivio, talmente segreto che, escludendo
il Conte e la Maestra, non era mai stato visto da anima viva.
Questa segretezza aveva suscitato le ironie dei feudatari confinanti, sulle cui nobilissime origini vi erano prove evidenti. Stiamo parlando di casati insigni, come quello dei già citati marchesi Spreti di Serachieda, patrizi ravennati, o gli illustri signori della viticoltura, i conti Zanetti Protonotari Campi, per non parlare dei Paulucci de' Calboli, che per secoli avevano conteso agli Ordelaffi la signoria di Forlìì.
Gli Orsini Balducci avevano comunque provveduto a rinvigorire il proprio sangue blu con una politica matrimoniale che avrebbe fatto invidia all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo ("bella gerant alii, tu felix Austria Nube"). Il matrimonio più prestigioso era stato proprio quello del conte Achille Orsini con la contessina Emilia Paulucci de' Calboli, la quale, pur non portando neanche un centesimo di dote, aveva innalzato i signori di Casemurate nell' "Almanacco di Gotha" della nobiltà romagnola.
Eppure i dubbi sulla ricostruzione storica asserita dalle Cronache casemuratensi continuavano a persistere.
In effetti, a voler essere del tutto sinceri, non rimanevano tracce
archeologiche né delle mura, né del castello, della qual cosa
le Cronache colpevolizzavano, testuali parole, "l'iconoclastia
positivista e modernista delle pubbliche istituzioni del Regno d'Italia, nonché la barbarie distruttiva dell'avanguardia
futurista e dell'architettura razionalista littoria", parole che sembravano piuttosto improbabili
nell'ambito del lessico famigliare della Maestra Ricci, mentre esprimevano in
pieno l'eloquio infuocato, nonché le idee ardite, del Conte Orsini.
L'unico motivo per cui il contenuto delle Cronache non fu
messo in discussione dalla censura fascista potrebbe essere attribuito al numero
piuttosto ristretto delle copie stampate, tenendo conto anche delle ristrettezze
nelle quali la famiglia dei Conti di Casemurate era venuta a
trovarsi.
Se però la sorte degli Orsini pareva inesorabilmente orientata verso la
bancarotta, al contrario la condizione finanziaria della famiglia
Ricci, di cui la maestra Clara faceva parte, era del tutto florida, tanto che
suo marito Giorgio, agiato agricoltore e fervente fascista, stava ampliando i propri
possedimenti e accumulando diritti d'ipoteca sulle stesse
terre del Conte.
E di certo la fortuna dei Ricci a Casemurate era anche legata al fatto
che Giorgio Ricci era stato uno dei primi aderenti al Fascismo, potendo vantare un'amicizia personale e di antica data col Duce in persona,
suo coetaneo e forlivese come lui.
Giorgio Ricci e Clara Vallicelli avevano avuto molti figli dai nomi
altisonanti suggeriti da un parroco fin troppo colto tra cui Oreste, Roderico, Caterina, Carolina, Maria Teresa, Liliana, ma soprattutto Ettore, che aveva ereditato dal padre il bernoccolo per gli affari e
dalla madre la sconfinata ammirazione mista ad invidia nei confronti degli Orsini.
Da tempo Ettore Ricci aveva messo gli occhi addosso alla figlia
primogenita del Conte, la bella e raffinata contessina Diana, che tuttavia non pareva ricambiare tali attenzioni.
Se ci è concessa qualche similitudine letteraria, Ettore Ricci era come il Mastro-Don Gesualdo della situazione, mentre Diana Orsini sembrava uscita da un romanzo
di Jane Austin o Margaret Mitchell.
Date queste premesse, era già chiaro fin dall'inizio che le cose,
per entrambi e le rispettive famiglie, per non parlare dell'intera Contea di
Casemurate, avrebbero preso molto presto una brutta piega.