Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 23 febbraio 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 36. Scene da un matrimonio. Ettore e Diana si affrontano.
Forse, se l'incidente fosse avvenuto in tempi più recenti, i moderni mezzi di indagine sarebbero riusciti a scoprire qualcosa di più sulle circostanze della morte del giovane Augusto Orsini,
Ma era il 1954, e il fatto era avvenuto nelle campagne di una cittadina sperduta in un'Italia ancora rurale e arretrata.
Fu comunque avviata un'inchiesta, coordinata da un magistrato molto amico del giudice Papisco.
Nel frattempo, a Villa Orsini, le cose andavano di male in peggio.
Ettore Ricci era tornato a casa col cappello in mano, strascicando i piedi, scarmigliato e con un'espressione affranta disegnata sul volto.
Non aveva concesso a nessuno il tempo di dire alcunché:
<<Ah, che tragedia! Sono sconvolto... questo è il giorno peggiore della mia vita. Io e Augusto avevamo le nostre divergenze, si sa, ma per me era come un fratello. No, no... non dite niente, non è neanche il caso di parlarne... >>
Diana, che non credeva a una mezza parola di quella sceneggiata, riuscì a interrompere il monologo del marito:
<<Sì, immagino il tuo dolore, un po' come dopo la morte di Isabella>>
Ettore incassò il colpo:
<<Mi hai tolto le parole di bocca. Povera ragazza, dopo quello che aveva subito dal tenente Muller, quel maledetto nazista. Ah, che perdita! E adesso questa... Povero Augusto, pace all'anima sua, correva troppo forte con quella moto. Quante volte io stesso gli ho detto di fare attenzione! Sono sconvolto, non mi reggo in piedi, devo stendermi...>>
Diana allora gli si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio:
<<Io so chi sei. Non si può vivere per quasi vent'anni a fianco di un uomo, senza capire chi è. Conosco la potenza distruttrice della tua rabbia, della tua invidia, della tua sete di vendetta.
Mi fa disperare il pensiero che le mie figlie siano anche figlie tue, e possano trasmettere ai loro eredi queste tue caratteristiche.
Prego il Signore che mi possa far vivere più a lungo di te. Almeno vent'anni più di te, in modo da poter rimediare ai tuoi danni e salvare quello che resta della mia famiglia e di coloro che nasceranno>>
Ettore scosse il capo:
<<Sei sconvolta, Diana... è naturale! Capisco il tuo bisogno di sfogarti. se ti fa sentire meglio... Sfogati pure come. Insultami... Non me ne avrò a male...>>
Lei rispose sempre a voce bassa:
<<Smettila di fare il buffone. Almeno una volta nella vita, sii sincero!>>
Ettore si passò una mano sulla guancia non rasata:
<<Sincero? Anche se le cose che penso realmente possono urtare i tuoi sentimenti?
Vuoi che smetta di fare il buffone? Va bene, allora sarò molto serio, e tu rimpiangerai i tempi in cui ti facevo ridere.
Li rimpiangerai, ma sarà troppo tardi.
E pensare che c'è stato un tempo in cui ti amavo.
Non ti voglio rimproverare, tu non mi volevi. Tu hai sempre desiderato un uomo della tua stessa classe sociale, uno come Federico Traversari Anastagi.
So dei tuoi tradimenti. Avrei potuto fare delle storie, e invece ho sopportato in silenzio.
Ho sopportato le lunghe notti in un letto freddo, abbandonato.
Non sei stata capace di vegliare neanche un'ora insieme a me.
Ma io ho rispettato la tua decisione. Non ti ho voluto imporre la mia presenza a letto.
Certo, ho smesso di amarti e anch'io mi sono innamorato di altre persone, ma non ho mai consumato il tradimento. Eppure sei tu ad accusare me.
Cosa vorresti fare, adesso, Diana? Mi vuoi lasciare? E dove vuoi andare? Dal tuo amante? Allora non potrai più rivedere le tue figlie.
Vuoi portami via anche loro? Tu e le tue figlie non avreste di che vivere, se non fosse per me. Non è bello da dire ma dipendete da me, tutti quanti, in questa casa. Se succede qualcosa a me, siete rovinati. Non sapreste da che parte farvi per gestire gli affari che ho a mezzo.
I miei fratelli e le mie sorelle vi farebbero a pezzi nel giro di due giorni, per non parlare di quegli avvoltoi della famiglia Braghiri, che gioiscono delle nostre debolezze.
No, Diana, pensaci bene prima di tagliare i ponti con me.
Pensaci bene, e lo dico per te, non me per me.
Il nostro matrimonio è finito da un pezzo, ma bisogna salvare le apparenze, almeno per le nostre figlie.
E' inutile aggrapparsi ai fantasmi del passato.
Degli Orsini resta solo il nome e quel nome si estinguerà con te, mia cara Diana.
Devi fartene una ragione.
Ma non dare la colpa a me. Nessuno degli Orsini può darmi la colpa.
E' stata la vostra superbia a condurvi alla rovina...>>
Diana si voltò, ma prima di uscire disse:
<<Ci saranno delle indagini. E se troveranno che la moto è stata manomessa...>>
Ettore si limitò a fissarla:
<<Non troveranno niente. Non c'è niente da trovare, Diana. Avete fatto tutto da soli, tu e i tuoi fratelli. Siete stati troppo sicuri di voi stessi, troppo pronti a scaricare sempre le colpe sugli altri, Ma la mia unica colpa è stata quella di non essere raffinato come voi. I miei modi diretti, i miei appetiti manifestati rozzamente, queste sono le mie uniche colpe. Sono colpevole di non appartenere a quel mondo che la presunzione dei nobili chiama "l'alta società">>
Detto questo si trascinò a passi lenti verso le sue stanze.
Diana rimase immobile, come una statua di marmo levigata dal tempo.
Un dubbio atroce la tormentava.
E se avesse ragione lui? Siamo stati davvero troppo arroganti? Troppo sicuri di noi stessi? Troppo snob?Troppo pronti a scaricare la colpa sugli altri?
In cuor suo non poteva negarlo.
Come per una premonizione, Diana si immaginò il suo futuro, gli interminabili decenni che l'attendevano, oltre mezzo secolo, oltre il nuovo millennio, e si chiese come avrebbe fatto ad arrivare fino all'età estrema, trascinandosi, giorno dopo giorno, nell'oscurità e nel dubbio, come una notte d'inverno che arriva, incombe e si dilunga senza una stella.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento