Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
domenica 12 febbraio 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 24. Guerra civile nella Contea.
Pur non trovandosi nel Triangolo Rosso, detto anche Triangolo della Morte, con vertici Bologna, Reggio Emilia e Ferrara, anche la Contea di Casemurate dovette fare i conti con le vendette dei partigiani.
Una mattina, Ettore Ricci, insieme alle figlie maggiori, stava compiendo la sua quotidiana ispezione dei terreni centrali del Feudo Orsini, quando si trovò di fronte a una scena orribile, che rimase impressa nella memoria delle bambine e nei loro incubi.
Il maresciallo dei carabinieri era stato ucciso, quasi sicuramente dai partigiani, e il suo corpo giaceva a terra, con il teschio sfracellato.
Poco distante, altri corpi dilaniati e ammucchiati formavano una specie di avvertimento contro coloro che avevano collaborato con i tedeschi e con la RSI.
Ettore Ricci capì subito che aria tirava e, insieme ai suoi fratelli e ad altri parenti, fuggì in Svizzera, per rimanerci fintanto che le acque non si fossero calmate.
La sua assenza offrì un'occasione alla famiglia Braghiri per aumentare il proprio potere.
Michele Braghiri, che durante il periodo della RSI era rimasto defilato in secondo piano, nei giorni immediatamente precedenti la Liberazione aveva preso contato con i partigiani e aveva offerto il proprio sostegno.
Da quel momento, seppur segretamente, Braghiri divenne il punto di riferimento del Partito Comunista nella Contea di Casemurate.
Il Partito, che intendeva creare in Emilia-Romagna un modello di socialismo compatibile con la proprietà privata, consigliò a Michele Braghiri di far entrare il Feudo in una Cooperativa, una mossa che avrebbe permesso un notevole risparmio fiscale.
Nel frattempo, mentre le vendette continuavano e i cadaveri di ex simpatizzanti fascisti spuntavano da ogni dove, quel che restava della dinastia Orsini Balducci di Casemurate e delle famiglie ad essa legate da vincolo di parentela, ci furono molte "grandi manovre" per cercare coperture politiche.
Per prima, naturalmente, si mosse la Signorina De Toschi, che si iscrisse alla Democrazia Cristiana e divenne il principale referente democristiano forlivese di quegli anni.
La De Toschi, essendo cugina del Conte Orsini, gli fornì una prima protezione.
Poi fu il turno del magistrato Papisco, che si iscrisse al Partito Repubblicano, e incominciò a raccontare alcune sue del tutto improbabili imprese durante la Resistenza.
Poiché Papisco era sposato con Ginevra Orsini, una delle due figlie sopravvissute del Conte, la dinastia poté considerarsi coperta anche sul fianco sinistro.
A quel punto il Conte Achille fece la sua mossa: si iscrisse al Partito Liberale, imparò a memoria i discorsi di Benedetto Croce, e incantò le platee citando l'eterno incipit "Heri dicebamus", con gli occhi gonfi di lacrime, specie quando accennava a sua figlia Isabella, presentata come martire e vittima dell'occupazione nazista.
E così gli Orsini riuscirono a salvare, nell'ordine, la vita, la famiglia, la Villa, il Feudo e la Contea.
Ma non tutti accettarono la situazione.
Un contadino con cui Ettore Ricci aveva litigato, e che era soprannominato "Baracca" per il luogo dove viveva, passava da un'osteria all'altra, ubriaco fradicio, a denunciare come "gli Orsini e la loro cricca si sono parati il culo".
Ma se questo era vero per gli Orsini, non era ancora vero per i Ricci, tanto che Adriana Ricci, sorella di Ettore, era stata fermata dai partigiani e rapata a zero. E così fece ritorno alla Villa, giurando vendetta.
Il vecchio Giorgio Ricci era riuscito a cavarsela versando un'enorme quantità di denaro nelle casse dei partiti che avevano fatto la Resistenza e aveva scritto ai figli che presto l'ordine sarebbe tornato a Casemurate.
E infatti l'ordine tornò nel 1946, permettendo il rimpatrio di Ettore Ricci e dei suoi fratelli.
A Villa Orsini ricevette un'accoglienza gelida.
Diana continuò a negargli l'accesso al talamo nuziale, e lui per il momento decise di soprassedere, in attesa di riprendere in mano il potere di un tempo.
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