mercoledì 29 maggio 2024

La Quarta Era. Capitolo 5. La principessa Ancalime, "primogenita" di Aragorn, gemella di Eldarion

 


Dopo la cerimonia di incoronazione del nuovo re Eldarion ed i festeggiamenti che ne erano seguiti, si tenne nella reggia di Osgiliath una riunione del Consiglio Reale a cui presenziarono le delegazioni di tutti i regni della Terra di Mezzo.
Data la numerosità dei partecipanti, l'assemblea si tenne nella Sala del Trono, che era rimasta immutata dai tempi gloriosi in cui Elendil l'Alto, primo re di Arnor e Gondor, l'aveva edificata, a immagine e somiglianza di quella dei sovrani di Numenor, i suoi antenati.
Re Eldarion prese posto finalmente sull'alto Trono dorato di Osgiliath, commissionato ai Nani da suo padre, e pareva simile ai Valar per aspetto e imponenza.





Intorno a lui vi erano i principali componenti della Famiglia Reale: la regina vedova Arwen, in gramaglie, appariva ancora giovane e bellissima, grazie a quella natura elfica che, pur avendovi rinunciato, era difficile da cancellare.




Prima di prendere posto, Arwen si tolse la corona, manifestando così la propria intenzione di rinunciare al suolo di Regina Madre e ad ogni tipo di partecipazione al governo del Regno.

A destra la Principessa Reale (ossia la più anziana delle principesse figlie del sovrano), di nome Ancalime, portava sia una corona che uno scettro, mentre, a sinistra, la principessa Silmarien, appariva invece estranea a quel contesto di esibizione del potere.




Non vi era una regina consorte
, poiché Eldarion, dopo la morte di sua moglie Anduril, principessa dell'Ithilien, non si era più risposato.

Ne faceva le veci la principessa reale Ancalime, a cui era stato dato il nome della prima regina regnante di Numenor.

Ancalime era la gemella di Eldarion, uscita prima di lui dal ventre della madre, e per tale ragione si riteneva "la primogenita" e non nascondeva il fatto di ritenersi la legittima e più meritevole erede del trono dei Reami Uniti di Arnor e Gondor.






Mentre Eldarion, nel suo primo discorso, aveva esaltato la memoria di suo padre Aragorn Elessar, e si era impegnato a seguire il suo esempio per mantenere la pace e la prosperità del regno, la gemella lo aveva osservato con un sorriso ironico e scettico, come per dire che dietro tutta quella scenografia allestita per comunicare sicurezza a tutti coloro che erano convenuti da ogni dove per osservare il nuovo Re, in realtà ci fosse poca sostanza.

Era un giudizio severo, ma del resto Ancalime aveva un carattere molto severo e autoritario. In lei riviveva l'antica ferrea determinazione dei re di Numenor, ma anche la loro arroganza e sete di potere.
la Principessa Reale aveva sposato Faradan, Primo Ministro di Gondor, figlio di Faramir ed Eowyn di Rohan, e da quel matrimonio, peraltro non particolarmente felice, era nato un figlio maschio, Barahir.

Dopo la morte di Faradan, suo figlio Barahir era stato nominato Governatore di Pelargir, la terza città del regno, dopo Osgiliath e Minas Tirith, mentre il seggio scuro che un tempo era stato di Denethor, figlio di Echtelion, fu concesso ad Ancalime da suo padre Elessar, sperando che la carica di Primo Ministro placasse la sua rivendicazione al trono.

La Principessa Reale si era dedicata attivamente e pragmaticamente alla politica e all'amministrazione del Regno, diventando di fatto il vero "Sovrintendente di Gondor" e il popolo aveva imparato a temerne la durezza e l'inflessibilità.
Ora poi che il vecchio re era morto e che la regina Arwen era affranta dal dolore e logorata dal peso degli anni, l'influenza di Ancalime era divenuta ancora più forte.





Quando sul trono sedeva suo padre, Ancalime, pur dandogli la schiena, ne percepiva la potente presenza, cosa che invece non accadeva con il nuovo re.
Eldarion è troppo tormentato e dubbioso per reggere il governo con mano ferma. Pensava Ancalime. Per mantenere unito il regno è necessario il pugno di ferro.
A questo pensava la Principessa Reale, mentre prendeva posto sul suo seggio alla base della scalinata che conduceva al trono.

La cosa non piaceva affatto ai figli di Eldarion, ossia all'erede al trono, Vardamir, Principe dell'Ithilien, che a Minas Ithil cingeva una corona d'oro e si atteggiava a sovrano, e al secondogenito Valandil, Principe di Dol Amroth, che impugnava uno spadone virilmente fallico, lungo e alto quasi quanto lui e forse ancora più pesante. 




Anche lui sedeva su un trono, quello di legno levigato dal mare, che era stato di suo nonno materno Imrahil, padre della defunta principessa Anduril, che non era riuscita a vivere abbastanza per diventare Regina consorte.

In una Famiglia Reale così ambiziosa e divisa, che tanto differiva da ciò che Aragorn ed Arwen avevano sperato ai tempi del loro matrimonio, era una fortuna che la sorella minore del Re, la principessa Silmarien, si distinguesse per la propria imparzialità.
La Principessa Reale, sua sorella maggiore, ne era compiaciuta:
Fortunantamente la mia sorellina non ha mai mostrato interesse per gli affari di governo. Preferisce i vestiti e i gioielli e la cura della propria bellezza. Tanto meglio per lei e per tutti noi.





L'unica cosa che Silmarien aveva chiesto alla sorella maggiore era di non essere costretta a sposare qualcuno per motivi politici.
Una scelta che ho approvato, dal momento che ci evita il rischio di ulteriori parenti altolocati con pretese di potere.
Quel pensiero fece volgere immediatamente lo sguardo di Ancalime verso i figli di Eldarion.
Dovrò inventarmi qualcosa per tenere a bada la loro ambizione.

Ma non erano solo le questioni interne alla famiglia reale a preoccupare la principessa.
Ora che mio padre è morto, tutti gli avvoltoi che hanno roteato intorno al Trono per anni, ci si getteranno addosso. I nemici non esiteranno a colpire.
Il vero problema in quel momento era riuscire a distinguere gli amici dai nemici e riconoscere coloro che sarebbero rimasti neutrali.
E poi c'è la presenza ingombrante degli amici di mio padre. 
Il parere di Legolas e Gimli è molto ascoltato nel Consiglio, ed Eldarion si farà influenzare dal loro giudizio. 
Del resto, chi mai era riuscito a resistere al fascino di Legolas e alla sua destrezza?

Be', caro Legolas, ho una notizia per te. Potrai anche affascinare mia madre e mia sorella, ed essere influente presso mio fratello, ma la principessa reale Ancalime non si farà incantare dai tuoi occhi di elfo o dalla tua destrezza con le armi!




Forse un tempo, quando era giovane, sarebbe stata più sensibile al fascino del figlio di Thranduil, ma ormai erano passati troppi anni ed Ancalime aveva incanalato ogni suo desiderio verso il potere.
Aveva assistito pazientemente ad un numero incalcolabile di riunioni del Consiglio, a tante discussioni, a troppe sconfitte e a poche vittorie inutili.
Presto la mia voce si farà sentire. Prima però devo fare in modo che Legolas e Gimli partano per Valinor. Fintanto che ci saranno loro di fianco ad Eldarion, i miei piani non potranno avere successo. 

Aveva atteso tanto a lungo quel momento.
Anche colei da cui prendo il nome dovette sottostare per lungo tempo al mutevole umore del padre e dei familiari, ma quando prese lo scettro, divenne la più  potente delle regine: Tar-Ancalime, il cui nome ancor oggi è ricordato con timore e reverenza in tutti i regni di Arda!
Che ironia, la donna il cui nome significava "Splendore" in alto elfico quenya, divenne una sovrana cupa e tenebrosa, che amava circondarsi di gatti neri, tranne l'unico bianco che teneva sulle ginocchia.
Tale era il potere dei nomi: essere un presagio, oppure una negazione del loro stesso significato.

Per il suo gemello era stato un presagio.
Eldarion significa "figlio degli Elfi", e assomiglia a loro molto più che agli uomini. Ha scelto di essere umano perché nostro padre voleva che lui fosse il suo erede, e quello è stato l'inizio di tutti i guai.



Ancalime era stata la prima ad accorgersi che il suo gemello avrebbe dovuto scegliere la razza elfica, e partire con gli Elfi verso il Reame Beato, lasciando a lei il ruolo di erede al trono.
Eldarion è un poeta, un menestrello, suona l'arpa, canta gli antichi Lai del Beleriand, ma più di tutti ama la Caduta di Gil-Galad.
La Principessa Reale ricordava ancora il giorno in cui suo fratello aveva suonato l'arpa e cantato di fronte al Re e alla Regina, e a tutta la corte, la Caduta di Gil-Galad.

Le sembrava ieri, quella sera in cui Eldarion, da ragazzo, con voce intrisa di nostalgia insanabile aveva intonato l'incipit:
"Gil-Galad sugli Elfi solea regnare / quando i giorni erano giovani e belli. / Ora tristi cantano i menestrelli / del suo regno perduto tra i monti e il mare"
Erano bastati quei primi quattro versi cantati in modo così sublime e malinconico per commuovere tutti, persino i più duri, persino lei, Ancalime, che non aveva versato lacrime nemmeno nell'infanzia.
Il Re e la Regina lo ascoltavano incantati e con le lacrime agli occhi, perché sapevano che  A udirlo suonare la sua arpa dalle corde d’argento, a udirlo cantare di crepuscoli, lacrime, e morti di re, era impossibile non percepire che era di se stesso che stava cantando, e di coloro che amava.











Aragorn ed Arwen rivedevano il lui tutta la loro stirpe: Elrond Mezzelfo, Earendil, Elwing, Turgon, Fingon, dama Galadriel, Celebrian sua figlia e lo stesso Gil-Galad. Ognuno di loro aveva compiuto un sacrificio, per alcuni era stata la morte, per altri era la perdita dei propri cari, la rinuncia a tutto ciò che possedevano e infine, persino nella vittoria, la via dell'esilio.
Il canto di Eldarion avrebbe commosso persino le pietre, come quello di Finrod Felagund. Con la sua voce ci teneva in pugno tutti. Ma soltanto io, dopo, mi resi conto che essere un eccellente menestrello non lo avrebbe necessariamente reso un grande Re, e nemmeno un bravo governante.
Un giorno Ancalime aveva trovato il coraggio e aveva detto al fratello ciò che pensava e lui, spiazzandola, le aveva risposto: "Vorrei che tu avessi ragione, perché non è mio desiderio regnare. Eppure io credo che se nel cuore di un Re alberga un sentimento di pietà, allora eviterà al suo popolo le inutili sofferenze che i sovrani vanagloriosi impongono ai sudditi in nome della propria presunzione".

Era una frecciata rivolta a lei, Ancalime l'aveva capito subito e gli aveva risposto con spietata sincerità:
"La tua pietà non servirà a nulla, quando l'Ombra ritornerà, perché tu sai bene quanto me che l'Ombra ritorna sempre e che il nostro destino, pur costellato di vittorie, altro non è che una lunga sconfitta, come ebbe a dire dama Galadriel".
Eldarion lo sapeva, perché anche lui aveva accesso alla memoria elfica, che riportava alla luce vaghi ricordi dei suoi antenati, e quindi anche di dama Galadriel, che era sua bisnonna, in quanto sua figlia Celebrian aveva sposato Elrond Mezzelfo e dato alla luce Arwen Undomiel.
"Prima della caduta di Nargothrond o Gondolin valicai le montagne, e insieme attraverso le ere del mondo abbiamo lottato contro la lunga sconfitta".
Aveva pronunciato quelle parole come se si fosse trovato lì, quando la bisavola le aveva dette a Frodo Baggins e lui le aveva riportate nel Libro Rosso dei Confini Occidentali.
Ancalime aveva sentito un brivido scorrerle lungo la schiena, come sempre quando lei e il gemello scavavano troppo in profondità nelle memorie ancestrali.
"Dovremo lottare ancora, ma tu non sei un guerriero, Eldarion. Cercheresti la pace ad ogni costo e ti ritroveresti il nemico in casa".
Eldarion allora, con autentico dolore, le rispose in un modo che la lasciò senza parole, per l'unica volta nella sua vita:
"Il nemico è già in casa. Si annida nella tua sete di potere, un potere che ti lascerei ben volentieri se tu non fossi vittima della tua stessa ambizione"
Ancalime non poteva negarlo, e temeva che suo fratello potesse aver intuito altre cose che non dovevano essere dette.
Gli Stregoni Blu... loro hanno sempre sostenuto la mia rivendicazione al trono, ma ci si può fidare di loro?
Alatar e Pallando erano giunti dall'Est e dal Sud, inaspettati e misteriosi e il re Elessar diffidava di loro, e la regina Arwen ancor di più.
Hanno trovato accoglienza solo presso di me, e credo che se lo aspettassero. Non ho mai pensato, e non lo penso tutt'ora, che siano malvagi. Eppure un dubbio mi perseguita sempre: "E se mi sbagliassi?".

martedì 21 maggio 2024

La nuova strategia di Chiara Ferragni: presenzialismo, frequentazioni in stile Vacchi, attacchi a Fedez e il tentativo di riciclarsi come concorrente di talent-show, reality e attrice

 


Chiedo scusa ai miei lettori se, per una volta, al posto delle mie tesi di storia o dei miei capitoli di romanzi, dedico qualche riga al gossip riguardo a un personaggio che, da circa 15 anni, ronza un po' dappertutto come una mosca o una cimice, imperversando ovunque, anche dopo la caduta in disgrazia.

Dopo un periodo di disorientamento, la signora Ferragni sembra aver trovato una nuova "narrazione" che riporti i suoi post su Instagram ai fasti del passato, cercando di frenare l'emorragia dei follower (ne perde circa 3000 al giorno) e ampliare l'area dei fedelissimi, che sono all'incirca i 550.000 che esprimono il "like", con uno zoccolo duro di 1500 che commentano l'outfit del giorno, (per lo più stroncandolo), ma soprattutto la location e il contesto.

Ecco, in mancanza di outfit convincenti, e dopo la separazione da Fedez e la decisione di non postare più i volti dei figli (cosa giustissima, ma che ha allontanato il pubblico delle mamme, in particolare delle "milf"), Chiara era apparsa un po' disorientata, prima nella fase di depressione totale a Cremona con la madre, poi nelle peregrinazioni in giro per eventi marginali o per ritrovi con amiche impietosite con le quali finge forzatamente di darsi alla pazza gioia a Los Angeles (tristissime e imbarazzanti le foto di lei nella discoteca, più simili alla sbornia di un ubriaco che a un reale divertimento).

Poi, ecco l'idea che potrebbe rivelarsi quantomeno "il male minore", e dare un po' di vitalità al mortorio degli ultimi mesi, pur avvalendosi di mezzi alla Gianluca Vacchi: ossia "vado dove vanno i vip e mi faccio vedere insieme a loro per essere considerato uno di loro".

Sto parlando dell'improvviso interesse di Ferragni per il tennis, che l'ha condotta agli internazionali di Roma, nella panchina a fianco di un'altra vip in crisi esistenziale e cioè Ilary Blasi afflitta da numerose calamità: la causa di divorzio con Totti, nota come "la Guerra dei Rolex", il dover cedere la conduzione dei reality a Vladimir Luxuria, il ritocco col botox venuto male e il cambio di colore dei capelli che non le dona.

Chiara e Ilary, presentate dai gossippari in stile Fabrizio Corona come "molto amiche", sembrano leccarsi le ferite a vicenda: è solo una metafora, absit iniuria verbis. Da sole, ognuna per conto suo Ferragni e Blasy avrebbero dato l'idea di un pulcino che si è perso, mentre insieme sembrano due celebrità che fingono grande interesse per il tennis o quantomeno per i tennisti.

Sempre il solito Corona si è inventato di sana pianta un presunto flirt di una notte tra Chiara e un tennista di punta tanto famoso che non ne ricordo neppure il nome.

Però il cambio di strategia sembra funzionare: i giornalisti ci stanno ricascando, con titoli o sottotitoli ridicoli come "Chiara e Ilary: tutti pazzi per loro agli Internazionali" (Corriere dello Sport, giornale impegnato). Non si sa bene chi siano questi "pazzi per loro", ma a quanto pare la gente va agli Internazionali di Tennis per qualsiasi motivo tranne il tennis, di cui proprio non gliene può fregare di meno. Del resto: Wimbledon insegna.

Proprio dall'esempio di Wimbledon, si intravede il futuro di questa strategia: non lasciarsi sfuggire ogni vetrina dove farsi fotografare insieme ai vip per sembrare una vip senza essere niente più che un attaccapanni stagionato alla disperata ricerca di un pubblico che non sia sempre quello delle coetanee dei tempi di Diavoletta87. E allora, ecco aprirsi un mondo di possibilità: le potremmo suggerire il torneo di Ascot, se trova un accompagnatore munito di cilindro e tight, oppure un ritorno alle origini quando, non si sa bene come né perché, calcò il red carpet del festival di Cannes per la première di un film di Nanni Moretti (che non credo abbia mai sentito parlare di lei in vita sua). 

E' chiaro che, se si è ancora ignoti, il red carpet lo conquista versando emolumenti, non c'è niente di scandaloso, e "The Blonde Salad" investì sempre molto in questa direzione: "io pago pur di sembrare un'attrice che sfila lungo il tappeto rosso con la disinvoltura di una diva sulla cresta dell'onda" o con una brillante carriera alle spalle.

Può funzionare, anche se "non ci bagna mai due volte nello stesso fiume" e ciò che andava bene per una fashion blogger emergente o una influencer rampante, può andare meno bene per una sedicente imprenditrice digitale indagata per truffa e in piena crisi sia aziendale che matrimoniale.

Insomma, pur essendo Ferragni ancora giovane e grintosa, l'effetto di queste comparsate è un po' a metà strada tra Gloria Swanson in "Viale del tramonto" e il prezzemolismo molesto del già citato Gianluca Vacchi, divenuto influencer solo grazie al fatto che aveva tempo e denaro in abbondanza per farsi fare selfie con i vip in ogni occasione, partendo da locali come il Billionaire di Briatore, che sanno un po' troppo di "new money", pieni come sono di parvenù. 

Certo sarà difficile rivedere Chiara davanti alla Venere del Botticelli agli Uffizi: quella speranza di essere culturalmente legittimata si è dissolta come lo zucchero a velo sui pandori. 

Il tempo dei sogni della prima giovinezza è finito, annegato nel botox e stirato dai ritocchi chirurgici e cosmetici, nonché dai fotoritocchi. Il tempo passa per tutti, persino per lei, perché l'eterna giovinezza non si può comprare.



Però, pur essendo infranto il sogno di entrare nei salotti buoni dell'universo radical-chic, Ferragni può rilanciarsi in altro modo: il presenzialiamo mondano paga sempre, considerando anche la fame di notizie dei cronisti dei giornali letti principalmente dal pubblico femminile di fascia non culturalmente eccelsa, e poi c'è questa voce che circola riguardo ad un suo ruolo cinematografico in un film sulla famiglia Maserati. Chissà, finalmente questa sarebbe la volta buona in cui Chiara può calcare il red carpet da vera attrice, senza dover sborsare contributi agli organizzatori dei festival.

Si parla poi di una sua possibile partecipazione a "Ballando con le stelle", idea della stessa Selvaggia Lucarelli la cui inchiesta ha scoperchiato "Il vaso di pandoro" (vi consiglio di leggere questo libro ben fatto e ben scritto, molto spassoso) per una specie di risarcimento danni in nome della solidarietà femminile e femminista. Ferragni accetterebbe questi inviti in tv come chi, attraversando un deserto, accetta la borraccia d'acqua.

Infine c'è da rilevare il fatto che Chiara, che via social (in fondo la sua vita è lì dentro) si mette a lanciare frecciatine ironiche all’ex marito, con un video su Tik Tok. Scherzare su Fedez che attraversa una nuova adolescenza, fa "marachelle" (se così vogliamo chiamare così il pestaggio organizzato di un personal trainer che gli dava fastigio) e, dopo vari flirt ha finalmente trovato un nuovo amore, una modella vera, Garance Authié, una ventenne che non è piaciuta affatto all'ex signora Ferragnez, soprattutto perché è rea di essere troppo giovane.

Ma anche Chiara non ha perso tempo: oltre a frequentare rapper nemici di Fedez solo per farle dispetto, pare che abbia una liason con un medico toscano.

Sarà poi presente al matrimonio di Diletta Leotta, con l'intento (impossibile e privo di tatto) di rubare la scena alla sposa.

Non è detto come reagiranno i follower, perché quei 500.000 circa che in realtà guardano davvero le sue foto (e quindi una cifra enormemente minore di quei 28,8 milioni che comunque sono già calati di un intero milione, tanto da far parlare di follower in fuga) almeno un terzo sono molto critici e non solo negano il like se la foto non è proprio esaltante o se l'outfit è ancor peggiore e più pacchiano e volgare del solito, ma sono anche pronti a scrivere critiche molto mordaci e apertamente canzonatorie. Una piccola parte dei fedelissimi è poi costituita dagli hater che sono molto maliziosamente abili nel trovare i punti deboli di Chiara.


C'è poi un'altra considerazione che, da osservatore critico da tempi non sospetti, mi sento di fare: gli haters non mollano facilmente l'osso e la dimostrazione è che quando Ferragni si reca in un ristorante o in un albergo o persino in un volo aereo low cost (data l'emorragia di milioni di euro) e si fa fotografare gratis (cosa che prima non accadeva mai: ogni foto era compensata dai 50.000 ai 500.000 euro in media che andavano alle sue società) gli haters sommergono di critiche il ristorante in questione, l'albergo o l'aereo od ogni altra struttura che lei frequenta. Ho l'impressione che ora i ristoratori, gli albergatori, i piloti e le imprese in generale l'abbiano capito e non siano affatto felici di associare il proprio nome col brand Ferragni e tantomeno con l'immagine eternamente beata di Chiara.

Se tutti gli imprenditori fanno quest'ultimo ragionamento, allora gli utili delle imprese, uniti alle inevitabili multe che Ferragni dovrà pagare per le questioni ancora in sospeso, come quella delle uova di Pasqua (che inevitalbente finirà con un patteggiamento e una sanzione finanziaria che lei pretenderà comunque essere una donazione, giusto per salvare quel poco di immagine che ancora non è crollata) o delle bambole Trudy, allora all'emorragia di follower e di clienti, si aggiungerà un drastico calo degli utili delle sue imprese.

Teniamo conto che a livello concreto Chiara Ferragni possiede degli uffici molto ampi e di lusso nel centro di Milano, come anche la famosa boutique ormai deserta ed evitata come la peste, e ha alle sue dipendenze un esercito di persone. Ora, con l'aria che tira, queste spese notevoli a fronte di un calo di utili e di una conseguente lamentazione da parte dei soci, potrebbero essere in gran parte tagliate, con conseguenze molto spiacevoli: chiusura della boutique, dismissione di alcuni uffici e altri immobili, ma soprattutto, e lo dico con sincero dispiacere, il licenziamento di molti dipendenti.

E' tutto molto incerto, così come la strategia che lei sta seguendo e che ho analizzato in questo post, e a meno che Chiara non riesca a proporre qualcosa di realmente efficace, il rischio di trovarsi in una crisi più seria si fa più concreto.

Lei cercherà di provare ogni tipo di strategia e di escamotage, per cui non possiamo che attendere gli sviluppi della situazione ed eventuali colpi di scena.

Ne vedremo delle belle, si fa per dire...

In conclusione, qualcosa mi dice, riguardo a Chiara, che non ce la toglieremo dai piedi facilmente... 

lunedì 20 maggio 2024

Il Regno di Lotaringia, lo stato perduto.


Se Carlo il Temerario, Duca di Borgogna e Conte delle Fiandre e sovrano di tutti i ducati e le contee che univano quei due centri di potere in un unico stato borgognone, avesse vinto la battaglia di Nancy, confermando la sua annessione del Ducato di Lorena, e forse anche quello di Savoia e Nizza, allora sarebbe sorto un nuovo regno, che Carlo aveva intenzione di chiamare Secondo Regno di Lotaringia, in memoria della Lotaringia di cui furono sovrani i discendenti di Carlo Magno. 



Il Ducato di Borgogna e la Franca Contea di Borgogna, nascevano come eredi dell'antico Regno di Borgogna di epoca carolingia, estintosi sotto i Capetingi. A sua volta il Regno di Borgogna era l'evoluzione del Regno dei Burgundi dopo la sua conquista da parte dei Merovingi, i figli di Clodoveo, considerato il "primo re di Francia".


La Borgogna, in epoca capetingia, si era frazionata in varie entità: il Ducato di Borgogna propriamente detto, a sua volta comprendente varie contee create in età carolingia; la Contea di Borgogna era spesso contesa tra Francia e Sacro Romano Impero Germanico, in età ottoniana; la Transgiurania, al di là del fiume Giura, (oggi parte della Svizzera francofona) che poi divenne il nucleo del Ducato di Savoia e Moriana, il cui primo duca, Umberto Biancamano, fondatore di Casa Savoia nel XI secolo, fu un fedelissimo grande feudatario dell'Imperatore; la Cisgiurania ebbe un'evoluzione che nel tempo la portò a diventare il Principato del Delfino, o Delfinato, dal nome dello stemma, che poi divenne il titolo dell'erede al trono francese; infine la Provenza fu per molto tempo feudo imperiale e solo dopo la caduta della dinastia sveva degli Hohenstaufen (1268) entrò nell'orbita francese, divenendo il feudo della seconda dinastia degli Angioini, fondata da Carlo d'Angiò, fratello del Re di Francia, che poi divenne Conte di Provenza e successivamente anche Re di Napoli.



Sotto la dinastia dei Valois, il re di Francia Carlo V (da non confondere con l'omonimo imperatore asburgico), affidò ai figli cadetti le contee e i ducati che richiedevano particolare attenzione per essere consolidati all'interno del regno francese. Il primo Duca di Borgogna del ramo Valois, Filippo l'Ardito, sposò la ricca erede della Contea delle Fiandre e loro figlio, Giovanni Senza Paura, tramite unioni matrimoniali e guerre, ottenne il Ducato di Brabante e la Franca Contea di Borgogna.




Il figlio di Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono, riuscì, sempre con una accorta politica matrimoniale a espandere ulteriormente il suo regno sia nelle terre basse del nord (Artois e Zelanda), sia nei territori centrali come il Ducato di Lussemburgo e Limburgo, sia nelle zone circostanti la Borgogna propriamente detta, con l'acquisizione definitiva del Ducato di Nevers e della Contea di Charolais. La sua influenza si estese anche sui domini ecclesiastici, tra cui l'arcivescovato di Bruxelles, che insieme a Bruges e Gand divenne una delle città preferite dai borgognoni, specie durante la Guerra dei Cent'anni.






Sotto, Carlo il Temerario



Purtroppo Carlo il Temerario, nella Battaglia di Nancy, in Lorena, trovò la morte nel 1477 e i suoi possedimenti furono spartiti tra il re di Francia, Luigi XI, e l'Arciduca d'Austria, il futuro imperatore Massimiliano d'Asburgo, marito di Maria di Borgogna, l'unica figlia ed erede di Carlo il Temerario. 







Sopra, Maria di Borgogna, sotto, suo figlio Filippo


L'ultimo borgognone fu Filippo I d'Asburgo, detto il Bello, che divenne, iure uxorio, re di Castiglia, come consorte di sua moglie Giovanna.






Se Carlo il Temerario avesse avuto un figlio dalla sua seconda moglie Margherita di York, sorella di Riccardo III, sarebbe potuta nascere un'alleanza dinastica tale da creare un legame sempre più stretto tra Inghilterra e "Lotaringia". Ma qui siamo proprio nell'ambito dell'ucronia.




Le cose andarono diversamente e la parte orientale dei domini dei Valois-Borgogna divenne parte dell'Impero dominato dagli Asburgo e poi del regno di Spagna dominato da Filippo II, così chiamato in onore di suo nonno Filippo I.

mercoledì 15 maggio 2024

Medioevo: i motivi per cui il Papato non si chiamava Stato Pontificio e controllava solo il Patrimonium Petri.

 


Durante il Medioevo avvenne la trasformazione del Patrimonium Sancti Petri, ossia le proprietà della diocesi del pontefice di Roma (sede apostolica petrina che però ancora non deteneva un primato amministrativo sulle altre diocesi della Chiesa cattolica, ma solo un primato in termini di prestigio) in un'entità che i documenti chiamano Patrimonium Sanctae Romanae Ecclesiae (rivendicando il primato di Roma) e che gli storici medievisti chiamano Papato. 
Sarebbe infatti anacronistico usare il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa, in quanto lo stesso termine Stato designa un'entità centralistica che controlla politicamente e burocraticamente un territorio , cosa che nel Medioevo, almeno fino al Trecento, non esisteva.
Nel periodo medievale centrale il territorio poteva essere controllato da un regno, un principato o un repubblica che esercitava tale autorità in maniera indiretta e decentrata, per mezzo del sistema vassallatico-beneficiario, base del feudalesimo.

Il termine Stato, che prima significava solo "status Regni", ha iniziato ad avere l'accezione moderna dal XV secolo, e si è poi affermata attraverso l'uso che ne fa Niccolò Machiavelli nell'incipit della sua celebre opera Il principe (1513), in cui lo usa come termine analogo a dominio. Il mutamento che ha portato la parola "Stato" da un significato generico di situazione a uno specifico di condizione di possesso di un territorio (e di comando sui suoi cittadini) non è ancora stato ben chiarito. Il concetto di sovranità è invece stato introdotto da Jean Bodin (1586), che ha definito le caratteristiche dello Stato assoluto.

Una cosa è certa, fino al Rinascimento non si usò mai il termine Stato Pontificio o Stato della Chiesa. C'era il Patrimonium Petri, che coincideva, all'incirca, all'ex ducato romano di età bizantina, e poi c'erano altri patrimonia sui quali la Curia Romana avanzava diritti di proprietà o di signoria feudale.

In molti atlanti storici e manuali scolastici di Storia si commette un errore grossolano mostrando, negli anni successivi alla Promissio Carisiaca, o Donazione di Pipino (754) e alla Donazione di Carlo Magno (774), l'effettivo controllo, da parte del Papato di Roma, della Romagna, o Romandiola, in precedenza costituita dall'Esarcato bizantino di Ravenna poi conquistato dal Regno dei Longobardi sotto i re Liutprando, Astolfo e Desiderio e da parte della Pentapoli bizantina (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona), che ben presto fu spartita tra la Marca di Ancona e il Ducato di Spoleto.

Papa Adriano I, con molto senso della realtà, avanzò richieste solo su territori che confinavano con il Lazio. Fu così che ottenne da Carlo Magno una parte della Sabina (781); una serie di città da Soana a Populonia a nord e, a sud, Sora, Arpino, Arce e Aquino (787).

L'insieme dei territori cui la Sede Apostolica aspirò con Stefano II assomigliava molto all'Italia suburbicaria di romana memoria. Quello che ottenne effettivamente invece parve ricalcare il distretto giudiziario del Praefectus Urbis, che si estendeva sul Lazio per cento miglia romane sia nord che a sud dell'Urbe, cioè da Talamone, presso il Monte Argentario, fino a Minturno, sul fiume.

Va quindi ribadito chiaramente che le donazioni di Esarcato e Pentapoli in teoria le avrebbero rese feudi del Papa, ma in pratica, almeno fino ad Innocenzo III, questo vassallaggio fu solo nominale, mentre il potere reale venne detenuto dall'Arcivescovo di Ravenna, che all'epoca non riconosceva la supremazia apostolica del Papa di Roma, e dalle grandi famiglie franche, longobarde e italiche che poi divennero, sotto la dinastia imperiale sveva, il centro delle signorie ghibelline in Italia.

Intorno all'anno 1000, sotto il regno dell'imperatore Ottone III, il centro-nord dell'Italia, si presentava all'incirca come le mappe che vediamo qui sotto. Il Regnum Italiae comprendeva la Longobardia, la Romandiola (che coincide con la Romagna attuale, mentre l'Emilia era longobarda da secoli e poi inserita nei domini dei Franchi), la Pentapoli (da Rimini ad Ancona), la Marca di Toscana, il Ducato di Spoleto e naturalmente il Patrimonium Petri, signoria territoriale del Papa di Roma. 

In riferimento alle mappe sottostanti, va ricordato che la Longobardia Maior si era estesa fino a inglobare l'Esarcato, il quale soltanto in teoria fu donato alla Sede Romana, ma nella pratica la signoria papale era solo nominale e sistematicamente ignorata e anche apertamente contestata, persino dal Arcivescovo di Ravenna (la Diocesi ravennate, infatti, aspirava a diventare qualcosa di simile a ciò che erano i vescovi-conti nell'Impero degli Ottoni e della dinastia Salica).









Il controllo effettivamente esercitato dal Papa sul territorio si estese soltanto gradualmente, a partire dal Tardo Medioevo fino all'inizio dell'Età Moderna.
Negli atlanti e nei manuali non viene spiegata, né rappresentata la lenta gradualità della costruzione dello Stato Pontificio, che, fino alle "recuperationes" di Innocenzo III e successivamente del cardinale Egidio Albornoz, nwi nei confronti della Marca di Ancona, della Marca di Fermo e della Romandiola si limitava esclusivamente al Patrimonium Sancti Petri, il Patrimonio di San Pietro, che in linea di massima, tendeva a coincidere con l'attuale territorio della regione del Lazio, tranne le zone che erano ancora sotto il Ducato di Spoleto (il reatino e il ternano).





Le Constituziones Egidiane del cardinale Albornoz rappresentano la prima fase del passaggio della Signoria Papale all'entità che poi, in Età Moderna, sarebbe diventata lo Stato Pontificio.
Tale documento, redatto a metà del Trecento, durante il periodo avignonese, rivendicava la proprietà o il vassallaggio dei territori donati in base ai seguenti trattati:

Ducato romano (754) donato da Pipino il Breve
Sabina (dal Tevere fino a Farfa, 781) donato da Carlo Magno
(Queste prime due entità costituirono il Patrimonium Petri)

Benevento (1052) donato da Roberto I d'Altavilla, re normanno di Sicilia.
Avignone e Contado Venassino (1229) donati dal re di Francia, Luigi IX il Santo.

Provincia Romandiolæ (1278) ceduta dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo (in cambio dell'incoronazione imperiale che però non ebbe mai luogo, perché Rodolfo a stento riusciva a controllare i feudi tedeschi)
Marca Anconitana e Ducato di Spoleto (1278) ceduti da Rodolfo I d'Asburgo e rinconquistati dal cardinale Egidio Albornoz.

Le successive annessioni furono:

Umbria (1424)
Città di Ancona (1532)
Ducato di Castro (1649)
Ducato di Ferrara, divenuto legazione (1598)
Ducato di Urbino, divenuto legazione (1631)




Bibliografia

Girolamo Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino, UTET Libreria, 1987, ISBN 88-7750-141-3.

^ A. Cortonesi "Il Medioevo: profilo di un millennio", Roma: Carocci Editore 2008, pp. 70-73

^ Stefano II, in Enciclopedia dei Papi, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000.

^ E. Ewig, L'appello romano ai Franchi e l'origine dello Stato Pontificio, in H. Jedin (a cura di), Storia della Chiesa, IV, pag. 32.

^ Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno [1937], Laterza, Roma-Bari 1984, pag. 217.