venerdì 1 settembre 2023

All'ombra del Trono di Spade. Capitolo 1. Dorian Ashford e Jenny di Oldstones

 



Nell'anno 253 dopo la Conquista, lady Sibilla Reyne di Castamere, nobile decaduta e moglie di ser Roger Ashford, Comandante dei guardiacaccia della foresta di Summerhall, diede alla luce un figlio, Dorian Ashford, che crebbe sotto la protezione di lady Jenny di Oldstone, la consorte del principe Duncan Targaryen, primogenito diseredato di re Aegon V e della regina Betha Blackwood.
Già da queste prime righe si può intuire che questo Dorian, sebbene ignoto ai più, era più o meno segretamente collegato alle principali casate aristocratiche di Westeros e alle loro trame più oscure.






Il ragazzo ebbe in dono una singolare bellezza, che tutti attribuirono al sangue materno, quello dei biondi Reyne di Castamere, che all'epoca non erano ancora stati sterminati dai Lannister.
C'era però qualcosa che destò qualche sospetto tra gli osservatori più accorti, in quanto gli occhi di Dorian erano di un singolare color indaco che sfumava pericolosamente nel viola, il tratto distintivo dei Targaryen.
Ma quale, tra i numerosi maschi Targaryen dell'epoca, avrebbe potuto essere il vero padre del ragazzo?
Il palazzo di Summerhall era la residenza di campagna della Famiglia Reale, e ospitava quasi sempre alcuni esponenti della Casa del Drago.
Quando poi lady Jenny di Oldstones prese il giovane sotto la sua protezione, incominciò a girare la voce che il vero padre fosse il principe Duncan, ma questa fu un'ipotesi contestata, poiché Duncan non avrebbe mai tradito la sua Jenny, per amore della quale aveva rinunciato ai suoi diritti di successione. Inoltre il principe aveva preso i tratti dei Blackwood, compresi i capelli neri, mentre Dorian era biondo.
Escludendo poi il principe Jaehaerys, che era sempre malaticcio e debole, i candidati alla presunta paternità potevano essere solo due: o il re Aegon V in persona o suo nipote Aerys.




Nel 253, Aegon V aveva cinquantatré anni e regnava da vent'anni esatti. La sua presenza a Summerhall era frequente, poiché quella era la sua dimora preferita.

Suo nipote Aerys Targaryen, ne aveva solo quindici, ma non perdeva occasione per dar prova della propria virilità. Mettere incinta una Reyne di Castamere sarebbe stato poi un modo per acquistare prestigio agli occhi del suo amico e rivale, Tywin Lannister, che aveva qualche anno in più.




Aerys, destinato a diventare "il Re Folle", disprezzava suo padre, il futuro sovrano Jaehaerys II, scambiando la sua saggezza per debolezza, mentre idolatrava il nonno Aegon V, senza averne però il carisma, il valore e la simpatia.
Nonostante Dorian sperasse di essere riconosciuto come figlio di Aegon o di Duncan, o persino di Jaehaerys, alla fine divenne sempre più chiaro che il suo padre biologico era Aerys Targaryen.
L'allora giovane principe, di umore bipolare, quando era euforico si vantava pubblicamente di aver sedotto la bellissima e inarrivabile lady Sybilla Reyne di Castamere, moglie di ser Roger Ashford, cadetto dell'omonima nobile casata, ottenendo addirittura l'omaggio feudale di entrambe le famiglie, cosa che irritava tremendamente l'allora giovanissimo Tywin Lannister, il cui padre lord Tytos era sbeffeggiato sia dai Reynes che dai Tarbeck, a loro volta lontani parenti degli Ashford. 
Ma c'era un altro elemento che, se mai ce ne fosse bisogno, confermava il fatto che Dorian fosse figlio del futuro Aerys II il Folle e cioè che tra il giovane Ashford e Rhaegar Targaryen nacque un'amicizia così profonda e fraterna: tutti coloro che ebbero modo di conoscere Dorian dissero di lui che il principe Rhaegar lo considerava il suo migliore amico e confidente.
Sei anni di età separavano i due amici, essendo Rhaegar nato nel 259, proprio a Summerhall, nella notte terribile del rogo, meglio conosciuta come la Tragedia di Sala dell'Estate.
Rhaegar era nato "nel dolore", come ebbe a dire ser Barristan Selmy a sua sorella Daenerys, "un'ombra che lo perseguitò per tutta la vita".
Ma non sapeva che Dorian ebbe un ruolo centrale nel salvataggio di Rhaegar e di Jenny.
In realtà le cronache ufficiali dicono ben poco riguardo a ciò che accadde la notte della Tragedia.
Rimanevano solo pochi frammenti.
Ma per fortuna, nella sua vecchiaia, il maestro rinnegato Dorian Ashford, detto il Sopravvissuto, scrisse un memoriale intitolato "Le confessioni", in cui svelò i retroscena di tutti gli eventi più misteriosi dell'ultimo secolo in cui il Trono di Spade fu conteso tra i Targaryen, i Baratheon, i Lannister e gli Stark.
Nel memoriale, Dorian scrive: "Giunto ormai nella vecchiezza e sopravvissuto a calamità di ogni genere e a quasi tutti i miei coetanei, mi impegno ad essere testimone trasparente e cronista fedele degli eventi terribili e mirabili che ebbero luogo tra la Tragedia di Summerhall, nell'anno 259, e le spaventose guerre che si succedettero nei cinquant'anni successivi"
Le informazioni contenute nel suddetto memoriale ci permettono di far luce su molte questioni che fino ad oggi erano rimaste un mistero.
Per esempio, è grazie a quel testo che conosciamo le origini e la vita di Jenny di Oldstones, che sopravvisse alla Tragedia e per lungo tempo non volle lasciare le rovine di Summerhall, dove alcuni la vedevano danzare nelle notti di luna piena.





Jenny risiedette nella dimora degli Ashford e furono le sue danze a ispirare la più nota canzone composta da Rhaegar Targaryen, che la cantava nelle corti del grandi lord, suonando la sua arpa d'argento.
Persino il cuore di pietra di Cersei Lannister si sciolse nell'ascoltare la canzone di Jenny, nella notte che Rhaegar trascorse a Castel Granito.
Ogni ricordo collegato a Jenny e a Rhaegar, che furono per Dorian come una madre e un fratello, è nel contempo commovente, sognante e intriso di nostalgia del bel tempo andato.
Nel seguito del memoriale, un solo altro personaggio suscitò tanto amore e tanta nostalgia, e si tratta di Daenerys, colei che fu per un solo giorno la Regina dei Sette Regni, e l'ultima a toccare il Trono di Spade.
La fedeltà assoluta e l'eterna devozione di Dorian Ashford nei suoi confronti non hanno solo un significato politico e dinastico, ma anche e soprattutto una valenza di affetto quasi paterno.
Come si può ben vedere, nelle Confessioni non c'è solo la narrazione, ma anche e soprattutto i dialoghi che Dorian ebbe con gli illustri personaggi storici che ebbe modo di incontrare nell'arco della sua lunga e avventurosa esistenza.
Si tratta di dialoghi arguti o commoventi, ma sempre utili per ricostruire la personalità di quei grandi personaggi, svelandone il lato privato, quello che era nascosto dietro la maschera.
Con abili parole, Dorian era riuscito a stabilire con quei grandi uomini e donne un livello di confidenza tale da far loro abbassare la guardia e mettere a nudo la propria anima, come non era mai accaduto prima tra uno storico e i personaggi che avevano fatto la Storia.
Questa fonte storiografica è dunque ritenuta credibile, nonostante a Dorian Ashford fosse stato revocato il titolo di maestro per "sospetta stregoneria ed esperienza nelle arti oscure", un'accusa molto ingigantita, ma non del tutto priva di fondamento.
Nei prossimi capitoli esamineremo le testimonianze contenute nel memoriale e le metteremo a confronto con i dati empirici riguardanti gli eventi storici di cui si parla, il che, ne siamo convinti, avrà ripercussioni significative a Westeros e non solo.
Ciò che possiamo dire fin d'ora è che, a prescindere dal giudizio storiografico, il "memoriale Ashford" ha un suo valore letterario che da solo ne giustifica la lettura e l'interpretazione.
Per esemplificare questa affermazione, citiamo ciò che lo stesso Dorian Ashford scrisse per presentare se stesso:
"Mi hanno chiamato in molti modi nella mia fin troppo lunga vita: prima Dorian il Biondo, Dorian il Paggio, Dorian il Bastardo, Dorian di Summerhall, Dorian di Castamere, poi il maestro Dorian, Dorian lo Stregone, Dorian il Vendicatore, Dorian l'Eterno, ma la verità è che non sono stato un protagonista e nemmeno un personaggio di rilievo, ma sono stato un testimone delle gesta e degli errori dei protagonisti e dei personaggi storici. 
Dorian il Testimone, dovrebbero chiamarmi, o anche Dorian il Sopravvissuto
Sulla base di ciò che ho visto e sentito in prima persona, durante gli eventi cardine del passato, e delle atrocità a cui sono sfuggito, considero me stesso un sopravvissuto in un mondo ostile, in un tempo spietato, in una terra senza speranza"

English version

In the year 253 after the Conquest, Lady Sibilla Reyne of Castamere, fallen nobleman and wife of Ser Roger Ashford, gamekeeper of Summerhall Forest, gave birth to a son, Dorian Ashford, who grew up under the protection of Lady Jenny of Oldstone, the consort of Prince Duncan Targaryen, disinherited eldest son of King Aegon V and Queen Betha Blackwood.
Already from these first lines we can understand that this Dorian, although unknown to most, was more or less secretly connected to the main aristocratic houses of Westeros and their darkest plots.

The boy was gifted with a singular beauty, which everyone attributed to his maternal blood, that of the blond Reyne of Castamere, who at the time had not yet been exterminated by the Lannisters.
However, there was something that aroused some suspicion among the most astute observers, as Dorian's eyes were of a singular indigo color that shaded dangerously into purple, the distinctive trait of the Targaryens.
But which, among the numerous Targaryen males of the time, could have been the boy's true father?
Summerhall Palace was the country residence of the Royal Family, and almost always hosted some members of the House of the Dragon.
Then when Lady Jenny of Oldstones took the young man under her protection, a rumor began to spread that the real father was Prince Duncan, but this was a disputed hypothesis, since Duncan would never have betrayed his Jenny, for whose love he had renounced his inheritance rights. Furthermore, the prince had taken on the features of the Blackwoods, including black hair, while Dorian was blond.
Excluding Prince Jaehaerys, who was always sickly and weak, there could only be two candidates for the alleged paternity: either King Aegon V himself or his nephew Aerys.

In 253, Aegon V was fifty-three years old and had reigned for exactly twenty years. His presence in Summerhall was frequent, for that was his favorite home.
His nephew Aerys Targaryen was only fifteen, but he never missed an opportunity to demonstrate his virility. Impregnating a Reyne of Castamere would then have been a way to gain prestige in the eyes of his friend and rival, Tywin Lannister, who was a few years older.

Aerys, destined to become "the Mad King", despised his father, the future ruler Jaehaerys II, mistaking his wisdom for weakness, while he idolized his grandfather Aegon V, but without having the charisma, valor and sympathy.
Although Dorian hoped to be recognized as the son of Aegon or Duncan, or even Jaehaerys, it eventually became increasingly clear that his biological father was Aerys Targaryen.
The then young prince, in a bipolar mood, when he was euphoric, publicly boasted of having seduced the beautiful and unattainable lady Sybilla Reyne of Castamere, wife of Ser Roger Ashford, even obtaining the feudal homage of both families, which irritated him tremendously. the then very young Tywin Lannister, whose father Lord Tytos was mocked by both the Reynes and the Tarbecks, themselves distant relatives of the Ashfords.
But there is another element which, if ever it were needed, confirmed the fact that Dorian was the son of the future Aerys II the Mad and that is that such a profound and fraternal friendship was born between the young Ashford and Rhaegar Targaryen: all those who had the opportunity to know Dorian said of him that Prince Rhaegar considered him his best friend and confidant.
Six years of age separated the two friends, Rhaegar being born in 259, right in Summerhall, on the terrible night of the fire, better known as the Tragedy of Summerhall.
Rhaegar was born "in pain", as Ser Barristan Selmy told his sister Daenerys, "a shadow that haunted him all his life".
But he didn't know that Dorian played a central role in saving Rhaegar and Jenny.
In reality the official news says very little about what happened on the night of the Tragedy.
Only a few fragments remained.
But fortunately, in his old age, the renegade master Dorian Ashford, known as the Survivor, wrote a memoir entitled "The Confessions", in which he revealed the background of all the most mysterious events of the last century in which the Iron Throne was contested between the Targaryens, the Baratheons, the Lannisters and the Starks.
In the memoir, Dorian writes: "Now having reached old age and survived calamities of every kind and almost all my peers, I undertake to be a transparent witness and faithful chronicler of the terrible and wonderful events that took place between the Tragedy of Summerhall, in year 259, and the frightening wars that followed one another in the following fifty years"
The information contained in the aforementioned memorial allows us to shed light on many issues that until now had remained a mystery.
For example, it is thanks to that text that we know the origins and life of Jenny of Oldstones, who survived the Tragedy of Summerhall.
Rhaegar was born "in pain", as Ser Barristan Selmy told his sister Daenerys, "a shadow that haunted him all his life".
But he didn't know that Dorian played a central role in saving Rhaegar and Jenny.
In reality the official news says very little about what happened on the night of the Tragedy.
Only a few fragments remained.
But fortunately, in his old age, the renegade master Dorian Ashford, known as the Survivor, wrote a memoir entitled "The Confessions", in which he revealed the background of all the most mysterious events of the last century in which the Iron Throne was contested between the Targaryens, the Baratheons, the Lannisters and the Starks.
In the memoir, Dorian writes: "Now having reached old age and survived calamities of every kind and almost all my peers, I undertake to be a transparent witness and faithful chronicler of the terrible and wonderful events that took place between the Tragedy of Summerhall, in year 259, and the frightening wars that followed one another in the following fifty years"
The information contained in the aforementioned memorial allows us to shed light on many issues that until now had remained a mystery.
For example, it is thanks to that text that we know the origins and life of Jenny of Oldstones, who survived the Tragedy and for a long time did not want to leave the ruins of Summerhall, where some saw her dancing on full moon nights.

Jenny resided in the Ashford mansion and it was her dances that inspired the best-known song composed by Rhaegar Targaryen, who sang it in the courts of the great lords, playing his silver harp.
Even Cersei Lannister's stony heart melted when she heard Jenny's song on the night Rhaegar spent in Casterly Rock.
Every memory connected to Jenny and Rhaegar, who were like a mother and a brother to Dorian, is at the same time touching, dreamy and full of nostalgia for the good times gone by.
In the sequel to the memorial, only one other character aroused so much love and nostalgia, and it was Daenerys, the one who was the Queen of the Seven Kingdoms for a single day, and the last to touch the Iron Throne.
Dorian Ashford's absolute loyalty and eternal devotion towards him not only have a political and dynastic meaning, but also and above all a value of almost paternal affection.
As can be clearly seen, in the Confessions there is not only the narration, but also and above all the dialogues that Dorian had with the illustrious historical figures that he had the opportunity to meet during his long and adventurous existence.
These are witty or moving dialogues, but always useful for reconstructing the personality of those great characters, revealing their private side, the one that was hidden behind the mask.
With skillful words, Dorian had managed to establish a level of confidence with those great men and women that made them lower their guard and lay bare their soul, as had never happened before between a historian and the characters who had made history. .
This historiographical source is therefore considered credible, despite the fact that Dorian Ashford had his master's title revoked for "suspected witchcraft and experience in the dark arts", a much exaggerated, but not entirely unfounded, accusation.
In the next chapters we will examine the testimonies contained in the memorial and compare them with empirical data regarding the historical events discussed, which, we are convinced, will have significant repercussions in Westeros and beyond.
What we can say right now is that, regardless of the historiographical judgement, the "Ashford memorial" has its own literary value which alone justifies its reading and interpretation.
To exemplify this statement, we quote what Dorian Ashford himself wrote to introduce himself:
"I have been called many things in my all-too-long life: first Dorian the Blond, Dorian the Page, Dorian the Bastard, Dorian of Summerhall, Dorian of Castamere, then Master Dorian, Dorian the Sorcerer, Dorian the Avenger, Dorian the 'Eternal, but the truth is that I was not a protagonist or even an important character, but I was a witness to the deeds and mistakes of the protagonists and historical figures.
Dorian the Witness, they should call me, or even Dorian the Survivor
Based on what I have seen and heard firsthand during pivotal events of the past, and the atrocities I have escaped, I consider myself a survivor in a hostile world, in an unforgiving time, in a land without hope."

martedì 1 agosto 2023

Vite quasi parallele. Capitolo 197. L'Età Post-Umana





Come tutti sanno, nel 1996 si manifestarono apertamente due fenomeni le cui conseguenze erano destinate a cambiare, in modo rapido e radicale, la vita dell'umanità intera: 1) la diffusione, in massa, dei telefoni cellulari di prima generazione e 2) l'altrettanto grande diffusione di massa della connessione dei singoli PC con Internet, il World Wide Web che metteva in rete tutti i terminali del mondo. Certo il tipo di connessione, all'epoca, era ancora molto lento, primitivo e costoso, ma le potenzialità della telematica, che già allora si intravvedevano, erano immense, sconfinate e irreversibili.

In quell'anno anche l'allora giovane Roberto Monterovere comprò il suo primo telefono cellulare, un Motorola dalle dimensioni gigantesche, che regnò fino alla fine del Millennio, quando venne sostituito dal piccolo e indistruttibile Nokia, che il nostro anti-eroe amò profondamente e lo rimpianse per il resto della vita, perché quelli che vennero dopo lo spaventarono fin dall'inizio. Lui aveva infatti capito, prima di tutti gli altri, che i cellulari di seconda generazione, gli smartphone (Apple o Samsung che fossero)avrebbero schiavizzato i loro presunti padroni.

Ma nel 1996 nessuno poteva prevederlo, nemmeno Roberto, che con grande entusiasmo scoprì Internet e lo accolse con gioia, perché era una fonte di conoscenza.

 Ognuno era consapevole che una nuova era stava incominciando, con una rivoluzione tecnologica paragonabile a quella scientifico-copernicana, che toglieva l'uomo dal centro dell'universo, alla rivoluzione industriale, che dava il via all'automatismo, alla rivoluzione darwinista, che faceva discendere l'uomo dalle scimmie e da quella freudiana, che rendeva il soggetto cosciente non più padrone in casa propria.

Internet e l'i-phone furono l'esito finale della Terza Rivoluzione Industriale, quella telematica, elettronica, informatica, cibernetica e delle telecomunicazioni.
Chi appartiene alla generazione del nostro protagonista non poteva però immaginare che la prospettiva di unire Internet alla telefonia mobile avrebbe creato la bolla speculativa della New Economy e del Nasdaq, scoppiata nel 2001.
Era invece più facile prevedere, per la generazione di Roberto, quella dei Pionieri, il fatto che, dopo la successiva invenzione dell'i-pod, si sarebbe infine giunti, nel 2007, a quella dell'i-Phone, che rendeva l'uomo un'appendice biologica della rete e della tecnologia mobile che lo teneva connesso al web.

Tornando alla nostra narrazione, e al nostro personaggio, va detto che gli Internet Points dell'università che frequentava negli Anni Novanta, erano pochi e avevano enormi limitazioni, ma Roberto ne diventò subito dipendente. L'ennesima dipendenza, perché lui era fatto così: sapeva di aver bisogno delle stampelle, per poter tenere il passo con gli altri, e non aveva nessun problema ad usarle, anche a costo di aggirare astutamente le regole, con le sue solite mezze verità e la sua innata vocazione teatrale, con la quale, se avesse voluto, avrebbe saputo far ridere o piangere persino le pietre.

Naturalmente nel '96 si era ancora agli albori dell'Età Post-Umana. Le tecnologie telematiche erano ancora rudimentali e agli occhi della generazione successiva sarebbero apparse ridicole, ma qualcosa di positivo c'era.
C'era una grande libertà nell'Internet delle origini, culminata nella prima decade del nuovo Millennio, poi arrivarono le regole, la censura, il copyright e tutto è fu lottizzato e venduto al miglior offerente. La chiamarono "civiltà", ma era l'ennesimo imperialismo sotto nuove vesti. Divenne sempre più difficile trovare terre vergini persino nel mondo virtuale.
Ma nel periodo aureo tra il 1996 e il 2007, Internet era un far west da colonizzare, e i pionieri che ci riuscirono ottennero un potere e una ricchezza tali da imporsi per i decenni successivi.
Chi in quegli anni era stato in grado di crearsi un proprio sito internet e poteva contare su una certa intraprendenza, organizzazione, consulenza e disponibilità a livello di tempo e di denaro, così come, nel caso della moda, di una certa fotogenia e immaginazione, in molti casi era riuscito a creare i fondamenti di un impero.
Nulla di tutto questo, ovviamente, rientrava nelle possibilità di Roberto, il cui analfabetismo in materia tecnologica, informatica ed elettronica era notorio e irrecuperabile.

Il giovane Monterovere utilizzava quel primo, rudimentale, Internet, come una specie di bizzarra enciclopedia dove spulciare per trovare informazioni sulle materie più disparate.
Molti non lo ricorderanno, alcuni forse non erano ancora nati, ma risulta strano anche a noi che abbiamo memoria di quei giorni, pensare a quel primo Internet lentissimo, con motori di ricerca preistorici, con chat scalcagnate e volgari finestre pornografiche che spuntavano indesiderate da tutte le parti, per rubare il mercato ai numeri di telefono a luci rosse ("i pipparoli", si diceva, ai tempi).
Probabilmente il maggiore impulso "dal basso" per la diffusione di internet fu proprio collegato al sesso e non solo per il materiale pornografico e osceno di cui si è detto, ma anche perché il fine ultimo delle chat e, successivamente, dei social network, era, nella maggior parte dei casi, quella di conoscere persone disposte a incontri e appuntamenti.
Erano cose rischiose e lo sono ancora, ma molte relazioni destinate ad aver successo nacquero così.
Nel bene o nel male, Internet rappresentava un universo di occasioni e possibilità a cui era difficile resistere, persino quando, agli albori, nella sua versione cosiddetta 1.0, il Web era lento e costoso.

Riuscite a ricordare un Internet senza adsl, senza Google, senza Social Network, senza Wikipedia?
Quello era il Web di fine Millennio, prima di MySpace, prima delle fashion blogger, prima degli influencer, prima dell'I-Phone, prima della mercificazione della vita prima, insomma, prima dell'Impero del Male dominato dai cloni di Chiara Ferragni.
I lettori potrebbero giustamente puntare il dito contro chi scrive dicendo: "guarda che anche l'Imperatrice del Male è partita usando la stessa piattaforma Blogger su cui tu stai scrivendo queste minchiate".
Chi scrive è approdato qui molto tempo dopo l'Età dei Pionieri, quando ormai il far west era stato colonizzato, conquistato e spartito, e tutti gli altri vivevano come nelle riserve indiane.
Ma la nostra intenzione dichiarata, in quanto "voce di uno che grida nel deserto", è sempre stata quella di essere, con umiltà e spirito di servizio, testimoni trasparenti e cronisti fedeli degli eventi terribili e mirabili che avvennero negli anni compresi tra il 1996 e il 2016, quando Roberto Monterovere, dopo innumerevoli viaggi, odissee, imprese e peripezie, si ritirò a vita privata e segreta, come le grandi dive del passato.
La famiglia Monterovere, nel suo insieme, ebbe una parte singolare e sperimentale, nei casi più controversi e negli affari misteriosi che, tramite lo zio Lorenzo e poi il suo delfino Roberto, videro la grande "guerra dei cloni e dei cyborg" che avrebbe dato il via all'Età Post-Umana.
Mentre a San Francisco si costruivano gli attuali Pilastri della Terra (Apple, Microsoft, Google, Facebook-Instragram, Twitter e tutti gli altri che vennero dopo), e mentre l'I-Phone faceva strage dei cervelli umani, in segreto si consumava una guerra ancora più spietata, quella tra i sostenitori dell'evoluzione biologica, rappresentati dalla Tessier-Ashpool Corporation, e i propugnatori delle Intelligenze Artificiali, guidati dalla Mizuhara Electronics.
Nel 1996 ancora la situazione era quella di una tregua armata e vigilata, ma si sapeva che nel giro di pochi anni si sarebbe scatenato l'inferno.

Roberto Monterovere percepiva nell'aria l'elettricità che precede le tempeste, ma non poteva immaginare che, per tutta una serie di decisioni sbagliate (in pochi commisero tanti errori quanti ne commise lui), si sarebbe trovato coinvolto nelle cospirazioni più abiette e nelle trame più allucinanti che si svolsero nei vent'anni successivi, che videro l'inizio dell'Età Post-Umana, quella in cui la tecnologia andò oltre l'umanesimo, dando dalla luce una generazione di idioti.
Eppure le premonizioni non erano mancate, Roberto percepiva il pericolo, ne intravedeva i contorni, scorgeva l'abisso e se ne ritraeva, disgustato.
Lo zio Lorenzo sosteneva che quelle premonizioni erano il suo retaggio ancestrale, l'unico vero motivo per cui era stata consentita la sua nascita e la sua formazione.
Ci sono due tipi di persone che affermano di avere poteri sovrannaturali: quelle che ci credono davvero e quelle che credono di poter nascondere per sempre i loro trucchi. Sbagliano entrambe.
Ciò che noi chiamiamo sovrannaturale è semplicemente ciò a cui ancora non abbiamo saputo dare una spiegazione scientifica, che un giorno scopriremo.
Nessuno può prevedere il futuro, altrimenti costui adesso sarebbe l'Imperatore della Galassia, ma le premonizioni esistono e sono come i sogni: improvvise, vaghe e difficili da ricordare e ricostruire.
Svaniscono come lacrime nella pioggia.
Eppure qualche traccia rimaneva, qualche intuizione, qualche impressione, come la descrizione degli occhi di lady Jane Tessier-Ashpool, così come l'aveva scritta William Gibson.

 Her eyes were eggs of unstable crystal, vibrating with a frequency whose name was rain and the sounds of trains, suddenly sprouting a humming forest of hair-fine spines
The spines split, bisected, split again, exponential growth under the dome of the Tessier-Ashpool ice.” ― William Gibson, Neuromancer

Le intuizioni di Gibson in "Neuromante" erano state notevoli, e il suo romanzo divenne giustamente la Bibbia del genere Cyberpunk, tanto che l'autore poteva essere considerato il primo Profeta dell'Età Post-Umana, intendendo con il termine "profeta" non tanto un filosofo, e men che meno un informatico, quanto piuttosto un chiaroveggente. 
Era il tipo di intuizione alla Thomas Eliot, quando ci ammoniva dicendo che "Il mondo finirà non con uno schianto, ma con un gemito".
E il gemito è stato talmente lieve ed evanescente che nessuno si è accorto che il mondo è già finito e che noi siamo tutti ormai le ombre di noi stessi, nell'inferno di una terra senza speranza.
I profeti ci avvertono, i poeti veggenti ci ammoniscono: "Non a lungo brilleranno le luci nell'Acropoli" (Montale), "Le persone felici non hanno storia" (Simone de Beauvoir), "ma è ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, nessuno lo sa (Socrate). 
Ci soffermiamo su quest'ultimo. Le sue ultime parole furono: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!» Com'era possibile che un così grande uomo lasciasse questo mondo con parole così assurde. 
Lo capì, molti secoli dopo, Friedrich Nietzsche, che Socrate ringraziava il dio della medicina per averlo guarito dalla malattia del vivere:
«Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano, per chi ha orecchie: O Critone, la vita è una malattia!»
L'inferno e il paradiso convivono, sono qui tra noi, ci sfiorano ogni giorno, insieme ai nostri fantasmi, quelli che portiamo con noi, quelli che abbiamo perduto e quelli che abbiamo trovato, quelli che se ne sono andati da così tanto tempo che ormai non ce ne ricordiamo nemmeno il nome, e quelli invece cha abbiamo amato di più, e non riusciamo a dimenticare neppure se lo vogliamo.
Questi sono i fantasmi, non quelli dei film horror o dei racconti gotici: il soprannaturale vero ha un impatto meno spaventoso, ma può infliggere un dolore più grande.
All'inizio pensiamo: sono andati via tutti. E zitti, come se niente fosse. Restano solo voragini di inesistenza. Ed è quest'ultima che rimane l'unica compagna dei sopravvissuti.
Ma non è vero: non sono mai andati via, sono dentro di noi, e ci parlano e noi sappiamo le loro risposte, sappiamo già cosa direbbero, non c'è bisogno di un altro mondo per comunicare.
La stessa cosa vale per le premonizioni.
E' come quando cerchi con lo sguardo una maglia e non la vedi perché ci sei seduto sopra.
Il veggente se ne accorge, gli altri no, e allora lui ci fa la figura del pazzo.
Dicono che il veggente si sia nascosto in un mondo che nel mondo non c'è. I medici liquidano la questione in due secondi: ""E' una persona emotiva, non saprebbe come gestire la situazione".
Ma poi la situazione viene data da gestire a quei tipi di persone che vanno in bicicletta senza tenere le mani sul manubrio. 
Peggio di tutti sono gli economisti alla Monti, lo diceva spesso Roberto: "L'economia è una pseudoscienza: ha meno credibilità dell'oroscopo."
Aveva frequentato un'università costosa e quotata, ma alla fine cos'era rimasto? Solo teoria e nessuna esperienza. Era il guaio della sua generazione, i cosiddetti Millennials, per i quali valeva il detto: affacciarsi al mondo lavorativo da neolaureato senza esperienza è come tuffarsi in una piscina vuota.
Roberto attribuiva molte colpe al fatto di essere stato distratto dall'amore che provava per Aurora, e certamente non aveva tutti i torti, e chi lo conosce bene può concordare.
In fondo è sorprendente come il modello comportamentale umano dell'amore sia simile a quello della demenza.
Un delirio costante, in cui le emozioni opposte sono sempre in contatto tra loro, "schiena contro schiena", per coprirsi le spalle a vicenda.

L'essere stato tradito da Aurora rappresentò senza dubbio uno dei più grandi dolori della sua vita, perché Roberto l'ha amata veramente, invece lei... be', non ne siamo del tutto sicuri.
Se una persona tradisce il partner e dice "quella storia non ha significato niente", raddoppia la gravità di quello che ha fatto, perché non solo si rivela essere indegno di fiducia, ma anche meschino nelle motivazioni che l'hanno spinto al tradimento. 
Se proprio hai tradito, almeno doveva valerne la pena, ma se sei una persona che tradisce spinta solo da futili motivi, allora come ci può fidare di te?
Roberto avrebbe dovuto troncare con lei molto prima, un po' come si fa adesso, che ci si lascia con un messaggino su WhatsApp (o come diavolo si scrive!).
Lui e Aurora si lasciarono molto prima di WhatsApp, ma gli sms c'erano già, e molto veleno poteva scorrere tramite i messaggini.
Ma Roberto preferiva dire le cose guardando le persone dritte negli occhi e già sapeva cosa avrebbe detto, alla fine, come addio finale a quella ragazza bellissima e crudele.
"Soltanto Dio, mia cara, potrebbe amarti per te stessa, e non per i tuoi capelli biondi" (era una citazione da William Butler Yeats, perché Roberto, come sappiamo, aveva imparato a memoria molte citazioni, ma aveva persino la presunzione di correggerle e migliorarle, per renderle più efficaci)

Ma a prescindere da Aurora, Roberto non avrebbe comunque combinato gran che, perché la sua attenzione era verso quel mondo di libri che gli aveva aperto le porte dell'infinito. 
"Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto", disse una volta Jorge Louis Borges. Il venerabile Jorge. Il veggente nel suo luminoso buio.
Bruciare i libri è grave, ma non leggerli è ancora più grave. E questo lo disse Josif Brodskij.

Ancora citazioni! Ma non dovete pensare che Roberto le usasse per mostrarsi colto, perché non era uno sbruffone. Era un novizio, un accolito, destinato ad essere iniziato agli antichi Misteri, gli Arcani Supremi, e fu allora che la situazione gli sfuggì di mano, ma non vogliamo anticipare troppo. 
L'unica cosa che vogliamo sia chiara fin dall'inizio del resoconto dei venti anni più oscuri della sua vita, quelli di cui si è saputo ben poco perché lui è stato molto abile a confondere le acque e a rimestare nel torbido, è che il suo ritiro non fu dovuto a una sconfitta, ma a una scelta molto ponderata, una scelta altruistica, anche se a saperlo sono in pochi.

In ogni caso, da Iniziato, lui scelse l'Antica Via, quella "biologica" e respinse la Nuova Via, quella che aprì la strada al predominio degli Automi, gli arconti dell'Età Post-Umana.

C'è infine un'ultima questione su cui occorre dire la verità.
Alcuni hanno insinuato che la sua critica all'Età Post-Umana fosse dovuta ad una frustrazione personale antecedente-
In realtà è l'esatto contrario.
Le grandi frustrazioni sono giunte, per tutti, quando la tecnologia è andata oltre la nostra umanità.
Ognuno di noi ne ha risentito, persino voi che leggete, e persino quelli che ne hanno tratto vantaggio, che hanno avuto successo grazie all'eco dei social media, compresi alcuni grandi nomi facilmente intuibili, sono diventati persone insicure, che hanno bisogno dei like dei loro follower per sentirsi qualcuno.
Per Roberto non è mai stato così: lui parlava ai pochi che potevano capire, agli happy few: "Noi pochi, noi felici pochi, noi, manipolo di fratelli!".
Però noi non abbiamo vinto la battaglia di Azincourt. 
Ma se ci cita l'Enrico V del Grande Bardo di Stratford upon Avon, non è permessa alcuna correzione.

Noi gridiamo nel deserto, ma non lo facciamo con astio: non siamo haters, per usare il linguaggio di adesso.
Lo diciamo con umana compassione, perché l'esposizione costante sfianca anche i più esibizionisti, che spesso crollano per malattie che sono conseguenza dello stress, e quel disperato tentativo di far parlare di sé, li rende così esposti alla negatività e alle maledizioni altrui, che alla fine, quando la sorte li colpisce, essi meritano la nostra pietà.

Tutto questo per dire che non bisogna farsi abbagliare dal modello di vita degli influencer.
Riflettiamoci.
E' forse questo il futuro che vogliamo per i nostri figli? 
La nostra frustrazione sta anche nel fatto che non siamo in grado di proteggerli da questo bombardamento mediatico che li disorienta e li rende prematuramente cinici e tormentati.
Chi dice che non è così mente a se stesso. 

Ammettiamolo! Di fronte ai nativi digitali siamo disarmati, non sappiamo cosa fare, cosa dire.
Ma frustrazione che proviamo e che provano i nostri figli è gestibile solo se ci sono risposte adeguate all'esistenza della realtà post-umana in cui ci troviamo.
E la negazione della realtà è sempre una risposta inadeguata.








domenica 16 luglio 2023

Medioevo: mappe e stemmi del Centro-Sud Italia


Il ducato bizantino di Calabria sorse nel VI secolo aggregando la regione del Brutium, cioè l'odierna area cosentina, con le terre ancora possedute nel Salento (la Calabria dei Romani) i cui confini settentrionali sarebbe stati costituiti dal cosiddetto "Limite dei greci", una sorta di muraglia difensiva costruita a salvaguardia del territorio dalla minaccia dei longobardi. 

Il nome Calabria (che in origine designava la penisola salentina) cominciava così a essere utilizzato per designare il Bruzio, mentre il Salento prendeva il nome di Terra d'Otranto, progressivamente conquistato dai Longobardi.

Il sacro romano imperatore Enrico II il Santo, della dinastia sassone, nominò il nobile cavaliere ser Melo da Bari, nel 1016, duca di Puglia e Calabria.
Tale ducato rimase unito fino alla conquista normanna.




Sviluppi successivi



Nel 1059 papa Niccolò II assegnò il titolo ducale al conte di Puglia e Calabria Roberto d'Altavilla. In realtà anche stavolta il titolo era stato inizialmente concepito per comprendere soltanto i due territori della Puglia e della Calabria (separati l'uno dall'altro proprio dal principato di Salerno) occupati dai Bizantini ma apertamente rivendicati dalla Chiesa romana dopo che questi ultimi avevano consumato il grande scisma; tuttavia i duchi normanni, grazie ad eccellenti capacità militari, politiche e matrimoniali, nel volgere di pochi decenni riuscirono ad appropriarsi anche dell'intero principato di Salerno oltre che di una parte del principato di Benevento, fino a creare un unico grande dominio esteso su tutta quella parte dell'Italia meridionale situata a est del ducato di Napoli (destinato anch'esso, peraltro, a cadere in mano normanna entro il secolo successivo).










sabato 1 luglio 2023

Vite quasi parallele. Capitolo 196. L'anno "senza estate"

 

Forse oggi pochi se lo ricordano, ma nel 1996, in alcune zone della riviera romagnola, la stagione estiva, pur essendo cominciata con un giugno caldo, vide, a partire da luglio, un'instabilità termica e pluviale che creò la percezione che il bel tempo non arrivasse mai. 
I vecchi guardavano il cielo col naso per aria e si chiedevano: "Ma quando arriva l'estate?"
I dibattiti in materia, presso le bocciofile degli stabilimenti balneari duravano ore e ore, nei giorni in cui non pioveva, mentre negli altri giorni la conversazione riguardante "l'anno senza estate" si spostava nei saloni dei barbieri oppure sotto i portici delle villette. 
A Cervia, in via Giove, sia i proprietari che gli inquilini villeggianti attendevano, come ogni anno, l'arrivo della famiglia Monterovere, che da sempre era oggetto di chiacchiere, pettegolezzi e congetture, specie da quando il Professore e la Signora avevano atteso invano, l'estate precedente, il ritorno del Figliol Prodigo, su cui erano circolate voci di ogni genere, specie sulle "cattive compagnie" da lui frequentate a Milano, sulla convinzione (infondata) secondo cui "non aveva dato neanche un esame", sulle località in cui era stato in viaggio "a scrocco della fidanzatina ricca e viziata... ma sì, quella biondina anoressica che gli fa le corna sia con i maschi che con le femmine... come si chiama... Alba, no, Aurora, sì sì, una poco di buono che fa colazione sniffando cocaina: solo una così si poteva prendere quel matto di Roberto" e infine concludevano unanimemente su un punto indubitabile, ossia che il giovane Monterovere, fin da bambino, aveva "sempre avuto molte rotelle fuori posto".
"Diventerà pazzo" profetizzavano alcuni.
"No, è già pazzo" sentenziavano gli altri.
I villeggianti annuivano e pensavano ai poveri genitori: "Certo che avere un figlio così è proprio una disgrazia. Loro fanno finta di niente, ma si vede che quel buono a nulla gli ha spezzato il cuore, quando l'anno scorso ha passato l'estate a Saint-Tropez, a far baldoria, senza studiare, e dimenticandosi di avere una famiglia che lo stava aspettando. Che indecenza!"

La cosa strana era che in passato le stesse persone avevano detto più o meno le stesse cose riguardo ai coniugi Monterovere e alla loro presunta ingratitudine nei confronti di Ettore Ricci.
All'epoca le lamentele erano state del tipo: "Al povero Ettore gli è preso un colpo quando ha saputo che la signorina Silvia si era fidanzata con quel tipo che viene dai monti, che si mangia le parole, che si dimentica di mettere l'acqua nella caffettiera... ma questo è il meno. La catastrofe era che un terzo dell'eredità prendeva la strada dei Monterovere, noti fannulloni comunisti e teste calde"
C'era voluto molto tempo prima che i residenti e i villeggianti di Via Giove accettassero quel matrimonio così inopportuno, ma alla fine impararono a rispettare e persino ad ammirare il Professore e la Signora (la quale era anche lei professoressa, ma forse, agli occhi dei villeggianti, aveva un'aria meno professorale; e poi era figlia di Ettore Ricci, e dunque un'ereditiera, la qual cosa era stimata più che una professione).
Non che questo rendesse i vicini più indulgenti, ma almeno ci si odiava con rispetto, si sapeva che la sconfitta del nemico non era necessariamente una propria vittoria, come i fatti poi dimostrarono.
Col tempo il bersaglio, fin troppo facile, del gossip, era diventato il figlio, specie dall'affaire du Savoy in avanti.
I guai che ne erano seguiti, per Roberto, avevano fatto la gioia di così tante persone che quasi a lui sembrava di essere un benefattore.
E il meglio, per i "paparazzi", doveva ancora venire!
Roberto Monterovere si rivelò una cornucopia di scandali, uno dietro l'altro, tanto che alla fine, persino i suoi più accaniti detrattori incominciarono a sentirsi come quelli che sparano sull'ambulanza.
Ma questo accadde solo trent'anni dopo.
Invece nel '96, nell' "anno senza estate", Roberto aveva solo 21 anni e, come si suol dire, "tutta la vita davanti".
Con grande sorpresa di tutti, ai primi di agosto, il giovane Monterovere comparve da solo, senza fidanzata, a bordo di una scalcagnata Punto sicuramente di seconda mano, che parcheggiò in maniera discutibile, a riprova, se mai ce ne fosse stato bisogno, del fatto che era un pessimo guidatore, tanto che ben pochi osavano chiedergli un passaggio.
E nonostante quell'arrivo dimesso, in punta di piedi, e il basso profilo che cercò di mantenere con un aplomb quasi inglese, tutti si accorsero di lui.
La signora Marchesi dal terrazzino lo osservava col binocolo che usava per andare all'opera, e anche l'ingegner Reggiani, stravaccato sull'amaca, tra due vecchi pini che avevano visto tempi migliori, per non parlare delle varie vedove proprietarie delle villette di cui affittavano i piani nobili, tenendo per sé il seminterrato e il portico, da cui, mentre sferruzzavano, controllavano l'intero vicinati.
Prima tra tutte, a farsi avanti, fu la vicina sulla destra, la Rosina, che all'anagrafe risultava essere nominata come la vedova Zotici Maldenti Ventosi Teresa. Aveva seppellito tre mariti e da ognuno di loro aveva ricevuto una consistente eredità, ma aveva mantenuto i modi schietti e ruspanti della sua infanzia rurale, e così pure una spontaneità che alternava slanci d'affetto fin troppo focosi con scatti d'ira feroce contro chiunque avesse l'ardire di parcheggiare davanti a casa sua, rovinandole la visuale della strada e di tutti i passanti.
<<Roberto, da quant'è che non ti vedevo!>>  strillò in modo sufficientemente acuto per essere certa di aver dato per prima la notizia a tutto l'isolato.
Poi corse a baciarlo sulle guance, con la bocca umida a ventosa e un forte odore di aglio e cipolla.
Il giovane Monterovere le permise di fargli il terzo grado proprio lì, sul marciapiede, ma cercò di svincolarsi rispondendo a monosillabi. Alla fine, l'anziana vedova, a riprova del suo buon cuore, disse:
<<Aspetta mo', che ti vado a prendere un pesce che ho appena cucinato, così lo mangi per cena. E' uno sgombro pescato dal mio inquilino nel porto canale. L'ho pulito per bene e gli ho tolto tutto il petrolio delle barche, poi l'ho cotto con la mia ricetta segreta e vedrai che delizia!>>
Roberto detestava mangiare il pesce: se qualcuno avesse voluto fargli un dispetto, gli sarebbe bastato invitarlo a cena e servigli soltanto un menu di pesce e frutti di mare.
Nonostante tutto, però, il giovane Monterovere, all'epoca, era ancora capace di atti di pura gentilezza e sacrificio, per cui alla sera mangiò quel maledetto sgombro e ne pagò le conseguenze.
Era una notte molto umida, per cui Roberto decise di dormire in mansarda, dove si stava più caldi e asciutti.
Alle 3 di notte circa, l'Ora del Lupo, fu svegliato da un enorme senso di nausea a cui seguirono ripetuti conati di vomito.
Capì subito che quel malessere era legato al pesce della Rosina, che sicuramente era andato a male o conteneva sostanze dannose o microbi di vario genere.
Nel giro di un'ora, Roberto aveva rimesso anche l'anima, ma la situazione, invece di migliorare, peggiorò: un dolore addominale acuto si fece strada, sommandosi alla nausea.
Essendosi già trovato in situazioni simili, cercò di tamponare i sintomi con il Plasil e il Buscopan, ma lo stomaco rigettava qualsiasi cosa, persino l'acqua.
All'alba, consapevole di aver contratto un'intossicazione alimentare, Roberto chiamò il Pronto Soccorso.
L'ambulanza arrivò a sirene spiegate.
Potrete immaginare la gioiosa curiosità dei vicini nel constatare che "la campana suonava per Roberto Monterovere".
I genitori, ancora insonnoliti e increduli, riuscirono a dirgli che l'avrebbero raggiunto alla sede dell'ex ospedale di Cervia, dove ormai era attivo soltanto il presidio delle emergenze.
Il medico sentenziò: <<Gastroenterite da escherichia coli. Mi ci gioco le palle. Mettetelo nello stanzino, a letto, con una flebo di acqua e Bimixin. Si procederà con l'antibiotico fino a remissione>>
Roberto, piegato in due dalle coliche, chiese un antidolorifico:
<<Me lo deve iniettare, perché se no rimetto tutto>>
Il medico lo fissò, come per valutare se avesse davanti un tossicodipendente, poi, con magnanimità, concesse:
<<Va be', le faccio un'iniezione di morfina, ma solo per stavolta!>>
E così, mentre gli mettevano la flebo e gli iniettavano l'antidolorifico, Roberto scivolò lentamente nel sonno.
Al risveglio si ritrovò davanti i genitori stravolti e preoccupati.
<<Come stai? Va un po' meglio?>>
Il figlio sentiva ancora un notevole malessere, ma cercò di non drammatizzare:
<<Un po'. Ho molta sete>>
Cercò di bere a piccolissimi sorsi, perché ancora lo stomaco era sottosopra.
Poi:
<<Giuro che non mangerò più pesce in vita mia, e che non accetterò mai più cibo da quella vecchia strega che ha tentato di avvelenarmi!>>
Il padre commentò:
<<Non esageriamo...>>
E la madre, rivolta al padre:
<<E' la morfina che lo fa delirare. L'unica volta che me la somministrarono, vedevo tutto di colore violetto>>
Nel pomeriggio riuscirono a riportare il figlio a casa, sempre a Cervia, ma facendolo dormire nell'appartamento grande, nella stanza vicino alla loro.
E quello fu il "divertentissimo" primo giorno di ferie.

Seguì una settimana di forte debolezza, accentuata dall'umidità e dalle zanzare onnipresenti.
L'umore di Roberto, già basso prima di arrivare alla residenza estiva, sprofondò in una crescente malinconia, e i suoi fantasmi lo assalirono tutti in una volta.
Ombre di un passato ancora breve, ma già sufficientemente affollato e molesto, gli giravano intorno, nella mente e gli rimproveravano ogni singolo errore, ogni minimo cedimento, senza tregua.
"E' tutto così confuso" pensò "ma questa confusione sono io, io per quello che realmente sono, non come vorrei o come dovrei essere, e non ne ho più paura. Non sono un leader e non sono un gregario. Non so cosa farò, ma di certo preferirei diventare un docente universitario di materie umanistiche piuttosto che un impiegato di banca. E' il momento di dirlo, ma quali saranno le reazioni? La nonna mi appoggerà senza riserve, e anche i miei genitori. Lo zio Lorenzo gioirà e sentenzierà: 'Te l'avevo detto!". Il resto della famiglia capirà, ma gli altri? 
Amici e conoscenti, cosa diranno? La penseranno come i villeggianti di via Giove? 
Cari vicini di casa: perché non comprendete le mie ragioni? Che cos'ho fatto, se non tentare di assaggiare la vita prima di richiudermi definitivamente dietro un muro di libri?"
Aurora gli avrebbe rinfacciato il suo vittimismo, la sua eterna strategia del "chiagni e fotti", ma questo era un elemento scaramantico, non una truffa.
"Ho cercato di essere umile, di non prendermi troppo sul serio, di scherzare sui miei tanti difetti: perché allora c'è stata tanta invidia contro di me? Perché mi hanno accusato di superbia?
Ho studiato duramente, giorno e notte, per anni e anni. Perché mi accusano di essere ozioso?"
Ancora una volta la risposta consisteva in un solo nome proprio: Aurora.
"Da quando mi sono innamorato di Aurora è andato tutto storto. Se ho sbagliato, l'ho fatto per amore di lei. Ma adesso Aurora mi sta uccidendo, eppure non riesco a vivere senza di lei. L'estate stessa non esiste senza di lei.".
Ricordò ancora una volta la "poetica dell'Assenza" di Montale.
"...piove, perché se non sei, è solo la mancanza, e può affogare..."
E poi:
"...tu non ricordi, altro tempo frastorna la tua memoria... tu non ricordi, ed io non so più chi va e chi resta..."
E ancora:
"Assente, come manchi a questa plaga che ti presente e senza te consuma: sei lontana e perciò tutto divaga dal suo solco, dirupa, spare in bruma."
Avrebbe potuto continuare all'infinito, poiché l'assenza della persona amata è una delle colonne portanti della letteratura di ogni luogo e di ogni tempo.

Aurora era andata in Giappone, a conoscere il clan Mizuhara, insieme ad Ayami e a Jenny Burke-Roche.
Roberto aveva preferito tornare nelle sue terre natie e passare l'estate con la sua famiglia, ma non riusciva a provare il conforto che aveva sperato.
L'acqua del mare era troppo fredda, quell'anno, o almeno così pareva a lui.
"Questo mare si è infranto sul mio cuore per tutta la vita."
E avrebbe continuato a farlo: ogni estate un amore, ogni estate un tormento, era sempre andata così, non importava quale fosse il bilancio finale, perché in amore si dà molto più di quanto si riceve, altrimenti non è vero amore. L'amore è incondizionato, oppure non è amore.
Camminava lungo la spiaggia, guardava le ragazze, ma gli sembrava che nessuna fosse in grado di fargli dimenticare Aurora.
Alzava lo sguardo verso il porto, vedeva il grattacielo di Milano Marittima, ricordava che lì vicino c'era la villa estiva dei Visconti e senz'altro la madre di Aurora l'avrebbe accolto a braccia aperte.
Se lui fosse piaciuto alla sua ragazza almeno un decimo di quanto piaceva alla madre di lei, allora sì che le cose sarebbero andate per il verso giusto.
Ritornava all'ombrellone e crollava sul lettino, distrutto come se avesse corso la maratona di New York. E aveva solo ventun anni!
I conoscenti avevano voglia di parlare con lui, ma la cosa non era reciproca.
Andava al bar della spiaggia, si comprava un gelato, si metteva a sedere nel gruppo di quelli che guardavano in tv le prime vittorie di Valentino Rossi al motomondiale, in quella che all'epoca era la classe 125, e pensava: "Beato lui, che fa quel che gli piace, guadagna un sacco di soldi e può avere tutte le ragazze che gli pare".

Alla radio, uno dei tormentoni era la canzone "Più bella cosa" che com'è noto Eros Ramazzotti dedicò alla prima moglie, Michelle Hunziker, negli anni felici del loro amore.
Michelle aspettava una figlia e aveva deciso di chiamarla Aurora.
Gira e rigira si tornava sempre a quel nome, non c'era via di scampo.
"Com'è cominciata io non saprei, la storia infinita con te..."
Quella canzone lo ossessionava.
"Com'è che non passa con gli anni miei, la voglia infinita di te, cos'è quel mistero che ancora sei, che porto qui dentro di me..."
Perché gli altri trovavano le parole giuste e lui invece non ci riusciva?
Non riusciva più a studiare, non riusciva nemmeno a leggere, tanto forte era il "magone" che lo opprimeva.
Non dormiva più e poi al mattino non riusciva ad alzarsi dal letto e all'ora di pranzo la nausea continuava a tormentarlo.
Non si poteva andare avanti così.
Si confidò con i genitori e chiese loro consiglio, e come sempre i pareri del padre e della madre erano non solo discordanti, ma agli antipodi.
Secondo il padre non c'era altra soluzione che riprendere la relazione con Aurora, perdonandole le sue stranezze e le sue infedeltà.
Secondo la madre, invece, bisognava sradicare persino il ricordo di quella ragazza e sancirne la "damnatio memoriae".
Era sempre andata così: Roberto si trovava a un bivio, chiedeva un consiglio e i suoi gli davano pareri opposti, rendendo ancor più difficile la decisione.
"Ma è colpa mia. Non posso più rimandare le scelte all'infinito. Ci dovrà pur essere una risposta, da qualche parte, dentro o fuori di me, oppure sto andando irrimediabilmente alla deriva?".
L'ultima parola, come sempre, la ebbe sua nonna Diana:
<<Adesso non sei lucido e quindi non è il momento di prendere decisioni, ma di curarsi. Avevo sperato che a te non toccasse la maledizione di famiglia, ma ormai è chiaro: questi sono i sintomi della depressione maggiore e per uscirne c'è un unico modo. Bisogna rivolgersi a uno specialista e per tua fortuna ce n'è uno che ha lo studio a Milano Marittima>>
Era chiaro che per "specialista" si intendeva uno psichiatra, ma naturalmente la parola non doveva essere pronunciata.
E così iniziò la "storia infinita" di Roberto con gli antidepressivi.
Ancora non se ne parlava molto, almeno in Italia, ma da lì a poco sarebbe incominciata la più grave epidemia di fine millennio, e cioè la depressione. Tale morbo deriva da uno squilibrio chimico dei neurotrasmettitori, e i farmaci servono per riequilibrarlo, dando la forza ai malati di risolvere i loro problemi personali e sociali.
Il primo antidepressivo che veniva prescritto all'epoca era l'ormai celeberrimo Prozac, in termini chimici chiamato fluoxetina, la prima molecola degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Però poi i maschi preferirono sostituire il Prozac con altri farmaci, a causa del più nefasto degli effetti collaterali, ossia una lieve, ma preoccupante, disfunzione erettile.
Il dosaggio però era basso e quell'effetto collaterale, per almeno un anno, non si presentò.
La depressione regredì, temporaneamente.
Roberto ritrovò il sonno e l'appetito (fin troppo!), e l'umore risalì e così anche l'interesse e il piacere per le quotidiane occupazioni. Si rimise anche a studiare, perché le date degli esami si avvicinavano.
E così l'estate del 1996 terminò senza essere nemmeno cominciata.


Nota dell'autore

Il reale "anno senza estate", conosciuto anche come l'anno della povertà e Eighteen hundred and froze to death (1800 e si moriva di freddo nei paesi di lingua inglese), fu il 1816, anno durante il quale gravi anomalie al clima estivo distrussero i raccolti nell'Europa settentrionale, negli stati americani del nord-est e nel Canada orientale[1]. Lo storico John D. Post lo ha battezzato "l'ultima grande crisi di sopravvivenza nel mondo occidentale".

Oggi si ritiene che le aberrazioni climatiche furono causate dall'eruzione vulcanica del Tambora, nell'isola di Sumbawa dell'attuale Indonesia (allora Indie orientali olandesi), avvenuta dal 5 al 15 aprile 1815, eruzione che immise grandi quantità di cenere vulcanica negli strati superiori dell'atmosfera. Il vulcano Soufrière nell'isola di Saint Vincent nei Caraibi nel 1812, e il monte Mayon nelle Filippine nel 1814, avevano già eruttato abbondanti polveri e gas pesanti nell'atmosfera. Come è comune a seguito di grandi eruzioni vulcaniche, la temperatura globale si abbassò poiché la luce solare faticava ad attraversare l'atmosfera. Tali fenomeni si sovrapposero ad un periodo in cui si verificò il minimo di Dalton, durante il quale si ritiene che il Sole abbia emanato meno energia. In quel periodo, inoltre, era ancora in corso la cosiddetta piccola era glaciale, periodo di raffreddamento generale del pianeta che, dal medioevo, si protrasse fino al 1850.

Le inusuali aberrazioni climatiche del 1816 ebbero l'effetto peggiore nell'America del nordest, nelle province canadesi del Maritimes e di Terranova e nel nord dell'Europa. Tipicamente la tarda primavera e l'estate in quelle regioni americane sono sì relativamente instabili, ma mai fredde: le temperature minime raramente scendono sotto i 5 °C, praticamente mai in Europa, e la neve d'estate in quelle zone del Nord America è estremamente rara, sebbene a maggio talvolta cada del nevischio.

Nel maggio 1816, invece, il ghiaccio distrusse la maggior parte dei raccolti; a giugno, nel Canada orientale e nel New England si abbatterono due grandi tempeste di neve che provocarono numerose vittime; inoltre, all'inizio di giugno quasi trenta centimetri di neve ricoprirono Québec, e a luglio ed agosto i laghi e i fiumi ghiacciarono in Pennsylvania e altre tre gelate colpirono il New England distruggendo tutti gli ortaggi, tranne quelli poco sensibili al freddo. Furono comuni rapide ed improvvise variazioni di temperatura.

Come risultato, vi fu un notevole incremento dei prezzi dei cereali. Grandi tempeste, piogge anomale e inondazioni dei maggiori fiumi europei (incluso il Reno) sono attribuite all'eruzione, così come la presenza di ghiaccio nell'agosto del 1816. L'eruzione del Tambora fu anche la causa, in Ungheria, della caduta di neve "sporca", e qualcosa di simile accadde anche in Italia, dove per un anno circa cadde della neve rossa, si crede dovuta alle ceneri presenti nell'atmosfera.

Effetti

L'Europa, che stava ancora riprendendosi dalle guerre napoleoniche, soffrì per la mancanza di cibo: in Gran Bretagna e in Francia vi furono rivolte per il cibo e i magazzini di grano vennero saccheggiati. La violenza fu peggiore in uno Stato senza sbocchi sul mare come la Svizzera, il cui governo fu costretto a dichiarare un'emergenza nazionale. La mancanza di foraggio ispirò Karl Drais, allora ancora un barone, a cercare nuovi modi di trasporto senza cavalli, il che portò all'invenzione della draisina, detta anche Dandy horse o velocipede, il prototipo della moderna bicicletta (e della motocicletta), e diede un impulso decisivo ai successivi mezzi di trasporto personale a motore.

Le "incessanti nevicate" del luglio 1816 durante un'"estate umida e non congeniale" costrinsero Mary Shelley, John Polidori e i loro amici a restare al chiuso durante le loro vacanze svizzere. Essi decisero di gareggiare a chi avrebbe scritto la storia più spaventosa, e così Mary Shelley scrisse Frankenstein, or The Modern Prometheus e Polidori Il vampiro. Gli alti livelli di cenere nell'atmosfera resero spettacolari i tramonti di quell'anno, tramonti celebrati nei dipinti di Turner.

Secondo un'ipotesi formulata da J.D.Post della Northeastern University, il freddo fu responsabile, in qualche modo, della prima pandemia colerica del mondo.[2] I testi medici descrivono che, prima del 1816, il colera era circoscritto alla zona del pellegrinaggio sul Gange, mentre la carestia di quell'anno contribuì alla nascita di una epidemia nel Bengala, che si diffuse poi in Afghanistan e nel Nepal. Dopo aver raggiunto il Mar Caspio, l'epidemia si trasferì in occidente toccando il mar Baltico ed il Medio Oriente. La diffusione della malattia fu lenta, ma costante.

Un esempio: la carestia a Heiligenstein. Iscrizione su di un muro a ricordo della carestia.

Sul muro di una casa a Heiligenstein, in Alsazia, si legge:

(DE)

«Im Jahr 1817 ist diese Hütte gebauet worden, in welchem Jahr man für ein Furtel Waißen bezahlte 120 fr für ein Sack Erdapfel 24 fr für ein Ohmen Wein 100 fr»

(IT)

«Nell'anno 1817 è stato costruito questo cottage; quell'anno abbiamo pagato 120 franchi per una misura di grano, 24 franchi per un sacchetto di patate, 100 franchi per un Ohmen (50 litri) di vino»

(secondo i dati di Jacob Stiedel)

giovedì 1 giugno 2023

Vite quasi parallele. Capitolo 195. Il castello delle cose perdute.



"Gli oggetti sono ancora al loro posto
a custodire muti la quiete polverosa 
delle stanze, nell'oppiaceo incantesimo 
che inutilmente finge un'illusione,
come se i decenni non fossero sfumati 
nell'inconcludenza di un tempo nascosto 
già negli interstizi e sotto i tappeti. 
E non serve a nulla fare l'inventario 
delle cose perdute, per soffocare poi
l'urlo dei rimpianti nella finzione 
di un presente uguale, ed appoggiarsi 
a questi muri fragili come fossero pilastri, 
mentre tutto frana intorno e i volti 
a poco a poco si congedano."

Quando, dopo un così lungo periodo di assenza, Roberto tornò al Maniero Orsini, la magione neogotica dei suoi antenati materni, non poté fare a meno di notare gli inequivocabili segni di declino che la affliggevano. La residenza era stata fatta costruire nell'Ottocento dal suo trisavolo, il conte Ludovico, studioso del Medioevo e grande ammiratore delle dimore inglesi dell'età vittoriana.
Le spese di costruzione avevano prosciugato le finanze degli Orsini di Casemurate, a cui si pose rimedio soltanto due generazioni dopo, col famoso matrimonio tra Diana Orsini ed Ettore Ricci.
La ricchezza della famiglia Ricci aveva riportato il Maniero agli antichi splendori,
ma da quando Ettore era morto, la manutenzione era stata trascurata perché le spese erano enormi, e non rientravano nei limiti delle disponibilità degli eredi e dell'azienda agricola che circondava la residenza, dove ormai l'ottantatreenne Diana viveva sola in compagnia della governante.
Nei piani di Ettore, Roberto avrebbe dovuto salvare la situazione diventando ricco come gli altri bocconiani, e questo rendeva ancora più amaro il suo fallimento, perché era ormai chiaro a tutti che non aveva minimamente ereditato il senso degli affari di suo nonno.
Questo era il suo tormento, mentre ritornava nel luogo che aveva amato più di ogni altro.
Il parco intorno al Maniero si stava inselvatichendo, il che aveva comunque un certo fascino romantico-decadente, pur essendo doloroso da accettare.
Allo stesso modo della sua grande dimora, anche Diana Orsini era invecchiata, ma conservava ancora il sorriso radioso, e l'intensità dei suoi penetranti occhi neri, che in un giorno lontano avevano conquistato il cuore di Ettore Ricci.
Dopo un lungo abbraccio, nonna Diana chiese al nipote:
<<Allora, com'è Milano?>>
Roberto si era fatto un'opinione precisa al riguardo:
<<E' una città grande, ma non una grande città>>
Diana sorrise, mentre si sedevano nel Salotto Liberty, che aveva decisamente visto tempi migliori:
<<Capisco. E la Bocconi?>>
Il nipote sorrise amaramente:
<<Diversa da come me l'immaginavo. Credevo che, data la sua retta esosa, fosse meno affollata e gli studenti fossero seguiti meglio. Invece siamo in troppi e i professori sono distanti, poco chiari, circondati da assistenti acidi che agli esami sparano sul mucchio, come nelle università statali. 
Le materie, poi, mi hanno messo in crisi fin dall'inizio.
Io, da sciocco illuso, mi aspettavo di conoscere i segreti per comprendere dottrine infallibili ed esaltanti e invece, come c'era da aspettarsi, le cose sono molto diverse.
L'economia aziendale è aria fritta, a parte i bilanci, che avrebbero richiesto una vocazione ragionieristica che io non ho. Mea culpa. L'economia politica è fatta di modelli matematici molto astratti e totalmente inutili. La statistica oscilla tra la noia e l'incomprensibilità fino ad arrivare alle fumisterie metafisiche dell'econometria, che in teoria dovrebbe prevedere l'andamento economico futuro, nella realtà non spiega nemmeno ciò che è accaduto nel passato. L'economia finanziaria è un bluff che nasconde dietro "strumenti derivati" dai nomi stranissimi, una pratica da usurai, truffatori e giocatori d'azzardo. E poi ci sono gli esami di diritto per i quali serve molta memoria e purtroppo la mia è drasticamente calata>>
La nonna evitò di pronunciare il suo fatidico "te l'avevo detto" e cercò di sdrammatizzare:
<<Be', almeno non hai perso il tuo senso dell'umorismo e la tua predisposizione verso la satira. 
In ogni caso, dopo ormai due anni, la tua media è buona e hai dato molti esami, per cui la situazione è meno catastrofica di come la dipingi>>
Roberto era sollevato dal tono conciliante di lei, ma non poteva nasconderle la verità:
<<Il problema è che il mio umore oscilla continuamente tra l'ansia e la tristezza. Prima o poi dovrò iniziare una psicoterapia>>
Diana cercò di sdrammatizzare:
<<Spero che non salti fuori che la tua infanzia con me è stata la causa di tutti i mali!>>
Lui rise e scosse il capo:
<<Se sono ancora vivo è grazie al "bambino della campagna" che è la parte più sana della mia mente. I miei ricordi più belli sono qui e sono la mia ancora di salvezza, in mezzo alla tempesta che sto attraversando>>
Lei annuì e poi chiese:
<<Come sta Aurora? Riesce a conciliare tutti i suoi impegni?>>
Roberto capì che le dolenti note stavano arrivando:
<<Lei è sempre euforica. Ha trovato il suo mondo ideale, ma è cambiata, e non certo in meglio. Vorrei essere più preciso ma non è facile: la situazione è molto complessa>>
Diana lo sapeva fin troppo bene:
<<Posso immaginarlo. Questa situazione, dall'esterno, appare molto "mondana", il che non è necessariamente un male. Mio padre, il Conte, era un "uomo di mondo", che si è lasciato travolgere dagli eventi e ci ha portato alla rovina, per questo io ho rifiutato ogni forma di mondanità, cosa peraltro molto facile a Casemurate, così come a Forlì.
Se fossi vissuta a Milano, chissà cos'avrei combinato. 
Non credo però che tutti i tuoi amici siano mondani: ci saranno pure studenti seri e capaci di profonde riflessioni>>
Il nipote scosse il capo:
<<Ce n'è uno solo, Leonardo Monza. Negli altri, in apparenza "seri", vedo troppa ambizione. Sarebbero disposti a pugnalare alle spalle anche le persone più care pur di arrivare di salire di grado nella loro scalata verso un maggior prestigio sociale, una maggiore ricchezza, un maggiore potere. Non hanno scrupoli, non hanno pace e né pietà>>
La nonna sospirò:
<<Capisco. Mi ricordano un po' Ettore, ma solo nella sua parte peggiore. Tu non sei come lui, sei come me. Noi non siamo fatti per quel tipo di scalate. Possiamo solo cercare di trovare la nostra nicchia, ma c'è sempre un prezzo da pagare. 
Nel tuo caso il prezzo consiste nel ridimensionare l'orgoglio. E' una lezione che ho dovuto imparare anch'io. Per molto tempo ho cercato di salvare le apparenze, ma a un certo punto mi sono accorta che non ne valeva la pena. Che la gente dica pure quel che vuole: ciò che conta è che noi troviamo una tana sicura dove ritagliarci il nostro discreto angolo di pace.>>
Roberto era sostanzialmente d'accordo, ma c'era un'obiezione che si sentì in dovere di esprimere:
<<Il Maniero Orsini è molto più di un "discreto angolo di pace". Ci vuole molto denaro per mantenere una residenza così straordinaria. Un denaro che non abbiamo più. Un denaro che io avrei dovuto guadagnare e invece ho già capito che non ne sarò in grado.
Questo luogo è ciò che io considero la mia vera casa, non l'appartamento di Forlì, in quel condominio pieno di vicini impiccioni. 
Io avrei voluto vivere qui e invece prima o poi, a causa della mia inettitudine, saremo costretti a vendere tutto>>




Gli occhi di Diana si velarono di commozione:
<<La salvezza del Maniero Orsini ha richiesto fin troppi "sacrifici umani". La mia vita è stata un inferno e la giovinezza di tua madre non è stata facile, tanto che, appena ha potuto, se n'è andata da questo luogo. Ettore si è ammazzato di lavoro per tenere in piedi la baracca. Abbiamo pagato tutti un prezzo troppo elevato. Questo posto ormai è solo un mausoleo e quando io sarò morta cosa ci rimarrà se non il ricordo delle lacrime che sono state versate e del sudore che è costata ogni singola pietra?
Tutta questa terra, un tempo, prima delle bonifiche, era una palude, la Valle Candiana, o 
Standiana e le streghe di Confluentia controllavano tutto.
Noi credevamo di aver vinto e aver conquistato questa terra, ma ora capisco che siamo stati troppo avidi. 
Credimi se ti dico che un giorno la Palude si riprenderà tutto>>
Roberto, nel sentire quelle parole, percepì che erano profondamente vere:
<<Te l'hanno detto le streghe di Confluentia?>>
Diana annuì:
<<Secondo loro tra pochi mesi ci sarà la prima di una lunga serie di alluvioni. Il nostro clima sta cambiando, stiamo diventando come i paesi tropicali, con due sole stagioni: la stagione secca e la stagione delle piogge, con un alternarsi di siccità e alluvioni.
Non c'è futuro per questa terra>>
Roberto si sentì come defraudato di qualcosa che era profondamente suo:
<<Io qui ho i miei ricordi migliori>>
La nonna annuì:
<<Lo so, e li conserverai nella tua mente, ma non puoi vivere solo di ricordi
Certe cose non tornano più. Non puoi vivere nell'illusione di rimettere in scena un ricordo che appartiene al passato. Niente torna mai come prima>>
Il nipote provò una stretta al cuore:
<<Allora è tutto perduto?>>
La voce di Diana divenne più dolce:
<<Quando ero piccola, mia madre mi diceva: "Se attraversi il sonno, trovi la terra di Mar, e là c'è una vallata dove sono riposte tutte le cose perdute del mondo: regni perduti, ricchezze perdute, ore perdute, amori perduti... le persone ci vanno per ritrovare i loro giorni e i loro ricordi smarriti, e spesso si sorprendono nel ritrovare il loro senno, perché non si erano mai accorti di averlo smarrito.>>
Roberto si rese conto che forse anche il suo senno gli stava sfuggendo:
<<In fondo io chiedevo soltanto un piccolo angolo di quiete, una nicchia, "un cantuccio d'ombra romita". Ma temo che non avrò nemmeno questo>>




La nonna espresse allora parole di saggezza:
<<Io ti invito a pensare a quello che hai e non a quello che non hai.
E non devi vivere tutto questo come una sconfitta. Ettore non aveva il diritto di chiedere ai suoi eredi di sacrificarsi allo stesso modo in cui lui si era sacrificato.
I tempi sono cambiati. L'epoca dei Manieri è finita. Persino in Inghilterra ormai le grandi residenze sono state lasciate al National Trust. 
Non devi farne nemmeno una questione di orgoglio, che è cosa ben diversa dalla dignità. 
Si può essere dignitosi anche nella disgrazia. Bisogna saper lasciar andare le cose che non possono vivere per sempre.
Il mondo cambia e noi dobbiamo adattarci. 
Preferisco pensare che la mia eredità sia qualcosa che possa garantirti quella serenità che ora hai perduto. Mi segui?>>
Roberto intravide in quelle parole un lievissimo spiraglio di luce nel suo tenebroso destino:
<<Credo di sì. Insomma, l'aereo della mia vita sta andando a schiantarsi, ma tu e i miei mi farete avere comunque un salvagente>>
Diana annuì:
<<Esatto! Noi ci siamo sempre capiti bene. E io capisco anche che tu hai bisogno di tempo, che vuoi assaggiare l'uva prima di dire che è acerba, così potrai sempre dire a tutti: "Ehi, ma è veramente acerba!">>
Il nipote tornò a sorridere:
<<Non posso negarlo. Non voglio avere rimpianti. Non voglio gettare la spugna al primo tentativo.
Lo so che finirò con lo sbattere la testa contro il muro, ma voglio comunque verificare se la mia testa è più dura di quel muro. 
Forse avrò bisogno di aiuto, ma so di poter contare su di te>>
La nonna sorrise:
<<Sempre... e come dice la canzone: "grandi braccia e grandi mani avrò per te".
Ma ad una condizione: non dovrai seppellirti vivo in un rudere gotico che cade a pezzi e farci crescere intorno una foresta di rovi, come se fossi la bella addormentata>>
Roberto rise:
<<Ti ringrazio per i tuoi tentativo di farmi ragionare in un momento in cui ho perso la bussola.
Cercherò di vedere le cose con il giusto disincanto, perché non posso continuare a inseguire delle illusioni. Eppure ci sono momenti in cui è difficile saper ridere di se stessi. Io ci proverò sempre, ma non so se ci riuscirò.
Il disincanto può fare questo effetto: sentirsi un sopravvissuto, in un mondo ostile, in una terra senza speranza>>




Diana sospirò:
<<Sì, be'... in effetti non c'è mai stata molta speranza. Ma hai il mio permesso di temporeggiare, di sperimentare...
Rimane da affrontare soltanto il problema dell'elefante bicefalo che si trova metaforicamente in mezzo al salotto>>
Il nipote sapeva che alla fine il discorso sarebbe arrivato a quel punto:
<<Le due teste si chiamano Lorenzo e Aurora, immagino>>
La nonna lo fissò di sottecchi:
<<Sono due teste pericolose, ma grazie al cielo si detestano reciprocamente, il che ti lascia un certo margine di manovra.
Che si azzannino pure tra di loro, ma è chiaro che alla fine Lorenzo prevarrà e a quel punto scatterà il suo piano.
Quando tu ti sentirai solo e bisognoso di una nuova compagna, lui manderà avanti una delle sorelle Burke-Roche.
Non sarà facile resistere al loro canto di sirene... ammesso che tu voglia resistere...>>
Roberto sapeva che la cosa era molto in là nel tempo:
<<Be', lo sai come si dice in questi casi: l'unico modo per togliersi una donna dalla testa è conoscerla bene>>
Diana rise:
<<Sei ancora più misogino di tuo nonno! Però non hai tutti i torti. Intendiamoci: sbatterai di nuovo la testa contro il muro, ma se avrai il buon senso di munirti di un casco forse potrai sopravvivere persino a Jezabel Burke-Roche.
Ma finirà per rivelarsi un'altra Aurora, una per cui ti ritroverai a dire: "avrei dovuto perderti e invece ti ho cercata">>




Il nipote rimase sorpreso dalle informazioni in possesso di sua nonna:
<<Vedo che sei molto informata sui piani degli Iniziati>>
La nonna si meravigliò del suo stupore:
<<Persino in questa landa sperduta abbiamo i nostri chiaroveggenti! Le streghe delle paludi, anche se sembrano solo vecchie erboriste in pensione, sono Iniziate di Rango Segreto e non hanno bisogno di viaggiare per sapere cosa sta succedendo.
Se poi aggiungi le cugine di Albedo, le figlie della mia governante, capirai che qui le voci girano in fretta. Ma noi giriamo più in fretta di loro.
Ascoltami bene: questi per te sono anni difficili e purtroppo ne verranno altri, forse ancora più difficili, ma tutto questo dolore ti servirà per imparare a capire quali sono i tuoi difetti e a trasformarli nei punti di forza.
La tua forza consisterà nel fatto di essere imprevedibile.
I tuoi nemici cercano di attaccarti seguendo gli schemi, ma tu li spiazzerai sempre con "l'inaspettato".
E' così che si vincono le battaglie: colpiscili sempre dove meno se l'aspettano, e fallo d'istinto.
I tuoi nemici periranno prima ancora di aver capito cosa sta succedendo, e gli altri capiranno che è meglio non averti come nemico.
Lorenzo crede di essere l'unico ad averti impartito l'insegnamento profondo, ma le lezioni migliori sono quelle che vengono da me.
Credo di averti fornito quel tipo di educazione non convenzionale e "creativa" per riuscire a improvvisare strategie di sopravvivenza anche di fronte alla tempesta che sta per scatenarsi.>>
Roberto socchiuse gli occhi con aria dubbiosa:
<<A quale tempesta ti riferisci?>>
Diana guardò fuori dalla finestra, verso un cielo dal colore del piombo:
<<Sono sopravvissuta a due guerre mondiali e alla guerra fredda e so riconoscere i segnali. 
E' iniziata così anche le altre volte. C'è una superpotenza egemone che vuole dominare il mondo, ma non tutti sono disposti a lasciarsi dominare.
Potrebbe essere interessante sentire al riguardo il parere postumo di Marie-France Tessier, se dovesse presentarsi l'occasione, ma non lasciarti irretire dalle sue eredi e dalle loro complici e soprattutto non dare troppo nell'occhio.
Verranno tempi pericolosi, tempi in cui sarà meglio rimanere anonimi.
Sai come si dice: "Sii come l'acqua che si fa strada attraverso le fessure. Non forzare, ma adattati all'oggetto, e troverai un modo per aggirarlo o attraversarlo. Se nulla dentro di te rimane rigido, le cose esteriori si riveleranno">>
Roberto riconobbe la citazione e il suo significato:
<<Un'altra perla dell'Insegnamento Profondo. Ed è vero: dovrò essere meno rigido se voglio adattarmi ai tempi che verranno. E tornerò sempre a chiedere il tuo consiglio>>
Diana sorrise:
<<Ho ancora del tempo, prima di salpare per l'ultimo viaggio. Fino ad allora, io ti aspetterò>>