domenica 6 giugno 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 138. Forse gli automi hanno ragione

 

Lorenzo Monterovere aveva avvertito Jessica soltanto all'ultimo momento, ma lei non era rimasta sorpresa nell'apprendere che il Maestro stava per arrivare a Londra.
Le premonizioni l'avevano avvertita, con il consueto insieme di segnali che soltanto un Iniziato agli Arcani Supremi sapeva interpretare.
Non era particolarmente felice per quella visita: non amava le sorprese e meno che mai quelle del Maestro, che in genere si muoveva soltanto se c'erano motivi piuttosto gravi.
E di certo i motivi non mancavano, ma per una volta Jessica si era illusa di poter gestire la situazione da sola, senza che il Maestro si scomodasse di persona.
Le questioni in sospeso, tuttavia, erano troppe.
E così, si era ritrovata ad aspettarlo all'aeroporto, con una limousine in attesa.

Era facile riconoscere Lorenzo Monterovere persino in un luogo affollato come l'aeroporto di Heathrow, perché era l'unico che anche d'agosto vestiva interamente di viola. Era il suo marchio, la sua firma e la sua cifra, il suo modo di comunicare al mondo che non aveva paura di niente e di nessuno. Solo lui poteva permetterselo senza correre rischi e senza rovinarsi la reputazione.
Al Maestro nessuno osava opporsi: la sua mente era in grado di presentire i pericoli, di piegare le menti più deboli, di leggere le intenzioni delle menti più forti, di reagire con prontezza ad ogni evenienza, anche grazie al risveglio delle memorie ancestrali, che gli conferivano abilità e conoscenze come diretta eredità.
Tutto questo era difficile da capire, e non a caso faceva parte dei Misteri, anche se non di quelli supremi, a cui solo alcuni Maestri avevano accesso.

Tra gli Iniziati, Lorenzo era considerato il più potente, persino più dell'onorevole e venerabile lord Francis George Burke-Roche, Duca di Albany, Grande Maestro dell'Ordine dal 1958.
Il Venerabile aveva 107 anni e le sue forze ormai erano in declino.
Da alcuni mesi, la Reggenza dell'Ordine degli Iniziati era stata affidata al Maestro Consigliere don Fernando Maria Albedo Jerez de Mendoza y Salamanca, Duca di Alcazar de las Altas Torres, Vicepresidente Vicario del Consiglio Ristretto.

Albedo era stato Maestro dello stesso Lorenzo Monterovere, ed insieme a lui guidava la fazione del Serpente Rosso, che gestiva il Programma Genetico, punto cardine del Grande Disegno degli Iniziati.
Il Grande Maestro Burke-Roche capeggiava invece la fazione dell'Aristocrazia Nera, che partecipava al Programma come supervisore e contributore per la Seconda Classe, quella dei nobili senza sangue reale.
Era il bisnonno di lady Jessica, ma non aveva mai mostrato interesse e tantomeno stima nei suoi confronti, tanto da indurre i genitori di lei ad un volontario esilio in Italia.
Jessica si era sentita esclusa e svalutata, ma incominciava a pensare che il suo bisnonno avesse soltanto fatto finta, per motivi di sicurezza, di non appoggiare i propri discendenti.
Forse lo ha fatto per proteggerci. E non ci è riuscito.
Tante volte si era chiesta se l'incidente stradale dove i suoi genitori avevano perso la vita, a Firenze, quando lei aveva solo 11 anni, fosse stato davvero un incidente.

I genitori di Jessica, entrambi Iniziati di alto rango, avevano lavorato al Programma Genetico, seppure con incarichi diversi.
Sua madre, la biologa Marie Gabrielle Tessier-Ashpool (sempre due cognomi, se si voleva lavorare al Programma), di madre francese aristocratica e padre australiano, proprietario di un conglomerato di aziende farmaceutiche, si occupava in particolare di clonazione umana.

Il padre di Jessica, sir James Burke-Roche, era stato un allievo del professor Luigi Luca Cavalli-Sforza, (sempre i due cognomi!) il fondatore della moderna Genetica delle Popolazioni.
Mentre i genitori erano spesso in viaggio per lavoro, Jessica era stata educata da istitutori privati inglesi, francesi e italiani, risiedendo soprattutto a Roma, a Firenze e a Bologna.

Dopo l'incidente, i nonni paterni di Jessica, entrambi Iniziati, ma di rango minore, l'avevano affidata, dietro sollecitazione del Consigliere Albedo, al Maestro Monterovere, il mentore più brillante che un allievo dotato potesse avere.
Lui, colpito dalle notevoli doti intellettive di Jessica, ne aveva ottenuto l'affidamento, e, insieme agli Istitutori, l'aveva scelta come Allieva principale.
Era un grande onore, perché il Maestro Monterovere, oltre ad essere il migliore, l'aveva ammessa ai corsi avanzati, quelli in cui si impartiva agli Allievi più dotati, il cosiddetto "Insegnamento Profondo", teso ad estendere le Virtù Cardinali nella direzione dei Quattro Talenti Superiori: premonizione (per la prudenza), memorie ancestrali (per la giustizia), equilibrio psico-fisico (per la temperanza) e mentalismo (per la forza).
Si trattava di corsi molto duri ed era molto difficile ottenere un risultato sofficiente in tutti e quattro i talenti, anche dopo averli affinati e persino dopo la Prova e dopo l'Iniziazione.

Jessica lo sapeva bene: aveva diciannove anni, aveva superato la Prova a sedici e l'Iniziazione a diciotto. Aveva i talenti, ma ancora non riusciva a dominarli e in alcuni casi persino a risvegliarli.
Ci vuole tempo per queste cose.
I risultati dipendevano molto dalla linea genetica di appartenenza: nel suo caso il mentalismo era molto forte, e proveniva dalla misteriosa Bessie Montague, un'Iniziata di Rango Segreto che era stata allieva e poi compagna di Francis George Burke-Roche, quando erano entrambi molto giovani.
Di lei Jessica non sapeva niente, se non che era la madre di suo nonno, il quale però non aveva ricordi di lei ed era stato educato da Istitutori scelti dal padre. 
C'erano troppi segreti nella sua famiglia, ma forse un giorno le memorie ancestrali si sarebbero risvegliate.

Le lezioni del Maestro Monterovere erano state sempre illuminanti. Solo i profani non si rendevano conto dell'importanza dei suoi insegnamenti. Una volta, un collega universitario, ovviamente profano, si era opposto ad un suo corso monografico che, a proprio avviso, era "del tutto inutile".
La direttrice del Dipartimento, Iniziata di rango intermedio, aveva subito preso le difese del Maestro, sentenziando che: "Mai inutile è stata una sua parola o una sua azione nella vita".
Jessica era d'accordo, almeno per la parte di vita in cui lei l'aveva conosciuto.
Una volta, quando aveva all'incirca quindici anni, aveva detto al Maestro che, secondo lei, la maggior parte delle persone era mediocre, e i giovani erano volgari, ignoranti e prepotenti.
E il Maestro le aveva impartito una lezione importante:
"Bisogna stare attenti alle generalizzazioni e alle parole che si usano: "mediocre" è un dispregiativo che interpreta i limiti delle capacità umane soltanto in maniera negativa.
Si enfatizzano i limiti dell' "essere umano medio", che è un concetto astratto, e poi si usa quell'etichetta per incasellare le persone.
E' un procedimento pericoloso. Ogni persona è diversa dalle altre, per questo è sempre meglio non generalizzare"
Ed era certo un principio molto giusto, ma all'epoca lei non conosceva la verità riguardo alla sperimentazione della clonazione umana nei laboratori della Tessier-Ashpool Corporation, l'azienda dei genitori di sua madre.
I nonni materni di Jessica non erano Iniziati, ma "alleati esterni" dell'Ordine, che avevano stretto un patto di reciproco vantaggio, grazie al quale ottenevano suggerimenti importanti nel versante farmaceutico in cambio di favori all'interno dei laboratori riservati.
Quando Jessica aveva capito cosa era accaduto in quei laboratori era rimasta sconvolta.
Io ero l'embrione originario. I duplicati furono tenuti in ghiaccio fino al momento opportuno.
I miei genitori non erano d'accordo, e sono morti. E gli embrioni clonati sono stati impiantati nell'utero di Iniziate volontarie. 
Persino il Grande Maestro, suo bisnonno, era rimasto sconvolto quando aveva appreso ciò che Albedo gli stava nascondendo.
E guarda caso, dopo la lite con Albedo, il Grande Maestro Burke-Roche era stato colpito da un'emorragia cerebrale, che lo aveva messo fuori gioco.
Ora l'Aristocrazia Nera cercava un nuovo Principe.
Sta accadendo tutto troppo in fretta. I presagi sono infausti. Devo mantenere l'equidistanza e soprattutto l'equilibrio interiore.
Facile a dirsi, ma quasi impossibile da realizzare.
Le rimbombavano nella mente le parole del suo Maestro, sempre in cattedra ad insegnare:
"Se proprio vogliamo trarre conclusioni dalle statistiche, dobbiamo almeno prendere atto che ciò che noi vediamo come limiti a volte possono essere considerati dei vantaggi dal punto di vista degli obiettivi di sopravvivenza e riproduzione della specie.
Il "giovane medio" ha le caratteristiche che tu gli attribuisci, ma possiamo dire che quello è proprio il modo in cui ci si aspetta che lui agisca, prima di mettere la testa a posto.
Il "giovane medio" diventerà un "essere umano medio" e secondo gli Iniziati  l' "essere umano medio" è funzionale al contesto, in maniera spontanea e quasi automatica. L'uomo medio si comporta come ci si aspetta da lui"
Jessica avrebbe voluto zittire quella voce insinuante, ma il ricordo non intendeva retrocedere nell'oblio.
La lezione del Maestro si faceva strada nella mente confusa di Jessica:
"Tutto questo è un bene o un male?
Se lo consideriamo un bene, possiamo dire che l'essere umano medio è una persona normale.
Se ne vediamo gli aspetti negativi allora l'uniformazione alla "media" può farci pensare che l'uomo medio si comporti come un automa. Anche questo è un dispregiativo, ma almeno ci fa riflettere su come i limiti possano essere funzionali alle esigenze primarie della società. 
Gli uomini medi sembrano automi  perché, almeno in base alle statistiche su campioni rappresentativi, tendono ad agire meccanicamente, hanno una sensibilità limitata, una intelligenza settoriale e pragmatica, una conoscenza esperienziale più che sufficiente, una conoscenza teorica bassa o specializzata in ambiti ristretti. Tutte queste caratteristiche garantiscono gli obiettivi primari per la sopravvivenza della specie e la sua riproduzione, ma non sono sufficienti per garantirne l'evoluzione. 
L'evoluzione infatti non si basa solo sulla selezione naturale, ma anche, e direi quasi soprattutto sulla variabilità genetica: gli "inventori", gli "innovatori", possono essere persone disfunzionali rispetto al contesto, ma vanno oltre l' "orizzonte di attesa".
Noi li chiamiamo: i Profeti"
Ecco, quello era stato il punto chiave della lezione.
Era stato così che Jessica aveva conosciuto, per la prima volta, le finalità di base del Programma Genetico.
"Rispetto agli Automi, i Profeti si collocano apparentemente ai margini della società, anche se a volte possono raggiungere il vertice, e questo è uno degli obiettivi del nostro Ordine degli Iniziati.
Senza il nostro intervento, purtroppo, i Profeti morirebbero senza riconoscimenti sociali, in particolare gli artisti o i poeti di talento, e questo ci deve far riflettere su quanto la società abbia bisogno di noi. Il nostro contributo va nella direzione evolutiva, nella costante ricerca del miglioramento"
Naturalmente le rivelazioni andavano centellinate, anche nei corsi avanzati, per cui il Maestro aveva scelto di consolidare i concetti introdotti, prima di andare oltre:
"Gli Automi non leggono, se non manuali, riviste o testi facilmente fruibili, ma sempre e solo nei ritagli di tempo,  non si pongono domande esistenziali, e se anche se le ponessero, si accontenterebbero di risposte preconfezionate, non si "curano della loro ombra", direbbe Eugenio Montale, non percepiscono cose che, in effetti, sarebbe meglio non percepire, e quindi si sentono più tranquilli: non possono preoccuparsi per cose di cui ignorano l'esistenza.
Montale stesso li aveva chiamati automi, e aveva il sospetto che fossero felici proprio grazie a questa visione limitata. 
Ma c'è un rischio.
Ogni epoca ha la sua elite: i nostri padri, e intendo la generazione precedente alla mia, sono stati i Pionieri, quelli che hanno conquistato il mondo. La mia generazione è quella dei Maestri.
La tua generazione, Jessica, è quella dei Profeti.
Voi sognate in grande, ma il pericolo si nasconde dietro al microscopio.
I cambiamenti saranno radicali, ma potrebbero non vedersi ad occhio nudo.
Abbandonate i sogni delle città fantascientifiche: quel futuro, se mai verrà, sarà soltanto dopo che il nemico sarà stato sconfitto"





Ecco allora che il Maestro aveva introdotto l'ultimo passaggio:
"Verrà un giorno in cui la tecnologia si rivelerà concretamente superiore all'umanità degli "esseri umani medi", e allora ai nostri nemici basterà un supporto tecnologico per rendere gli uomini medi dei cyborg.
Capisci cosa intendo dire? Quelli che ora sembrano Automi lo diventeranno sul serio, e molto presto, anche!
Non è necessario neppure che tale supporto sia impiantato: basterà averlo in tasca.
L'abbiamo previsto da tempo e ormai manca poco. 
A quel punto avrà inizio l'età post-umanail regno della Bestia, e ciò che resta dell'umanesimo dovrà essere pronto a difendersi.
Angeli e Demoni guideranno i loro eserciti , ma la cosa più difficile sarà capire quali sono gli uni e quali sono gli altri.
I Profeti dovranno essere in grado di distinguere e porre gli altri di fronte alla scelta.
Gli Automi potrebbero però scegliere la schiavitù, perché la libertà costa molti sacrifici.
Loro scelgono sempre la via più comoda, la via più facile, quella dove puoi avere tutto tranne la libertà>>

Da allora il termine automi era diventato parte del loro linguaggio in codice, così come le parole di Montale, tratte da "Le Occasioni", che il Maestro citava sempre, riferendosi alla poesia con il termine il "Mottetto":

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. E' l'ora. 
Forse gli automi hanno ragione. 
Come appaiono, dai corridoi, murati!
- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -





In seguito, quando lei aveva appena incominciato l'università, e preparava l'esame di letteratura italiana, il Maestro le spiegò il significato di quella poesia e disse:
<<Alle volte mi pongo la stessa domanda di Montale, e mi chiedo se abbiano ragione loro>>
Lei non era sicura di aver capito bene:
<<Gli automi? Hanno già avuto la loro ricompensa, ed è ben poca cosa>>
Lorenzo divenne improvvisamente serio:
<<Forse sbagliamo a chiamarli così: sono esseri umani, condividono con noi la Condizione Umana e la spaventosa sorte del vivere, un'espressione coniata dal cattolico tradizionalista Tolkien, che riteneva la morte "un dono di Dio", non la vita terrena. Questa terra, specie dopo la rivoluzione industriale, era diventata "un inferno di metallo e carbone": quella era Mordor e gli orchi erano gli automi veri, senza niente di umano. Ma gli altri avevano ancora un luce interiore, una scintilla, il Fuoco Segreto che alberga in ciascuno di noi. C'è ancora del buono da salvare, il più è saperlo riconoscere. In fondo, Tolkien era uno Gnostico senza saperlo, uno dei nostri, un Iniziato "selvatico", e la sua Iniziazione fu lunga: dalla morte dei genitori quando era ancora bambino alla Battaglia della Somme, a cui scampò perché aveva contratto la Spagnola, e fu portato in infermeria prima della parte più devastante del massacro.
Tutto questo per dire che, anche se spesso ci fanno rabbia, per la loro visione semplicistica delle cose, dobbiamo rispettare i cosiddetti automi, perché sono persone, hanno un'anima, qualunque cosa ciò possa significare a seconda dei vari punti di vista, e ognuno di loro, anche il più piccolo, può cambiare il corso della storia.
Spesso io sono insofferente verso l' "opaca trafila delle cose" della quotidianità: per me quel tempo non passa mai, e la noia mi assale, eppure, come Maestro, ho il dovere di ricordare che sono i piccoli gesti quotidiani quelli che mandano avanti il mondo.
Senza di essi, noi intellettuali moriremmo di fame.
In un certo senso noi dipendiamo da quelli che ci sembrano automi, ma non lo sono, fintanto che la tecnologia non li avrà schiavizzati del tutto.
Noi ci crediamo superiori, ma per quale motivo?>>
Jessica allora aveva risposto:
<<Perché "Maria ha scelto la parte migliore, quella che non le sarà tolta", Luca, 10, 38-42. La vita contemplativa è più importante>>
Il Maestro aveva annuito, compiaciuto:
<<Così è scritto, Cristo però donava il Regno dei Cieli ai "poveri in spirito" e qui i filologi, i traduttori e gli esegeti hanno incontrato qualche difficoltà. 
L'ablativo spiritu, che la Vulgata del vangelo secondo Matteo (ma non secondo Luca, 6,20 che riporta solo «μακάριοι οἱ πτωχοί», beati pauperes) aggiunge a questa prima beatitudine, ha il valore d'un complemento di limitazione: Gesù dichiara beati quelli che son poveri "in spirito, nello spirito" (nell'originale greco, τῷ πνεύματι, to(i) pnèumati). Si discute sull'interpretazione di questa limitazione: forse essa intende riferire il concetto di povertà a una disposizione interiore, dell'animo di quanti riconoscono che nulla appartiene a loro stessi, ma tutto a Dio. Secondo altri esegeti l'apparente restrizione esprimerebbe invece, all'opposto, un rafforzamento del concetto: i "poveri in spirito" sono, secondo questa tesi, quelli che son così derelitti da sentire fin nell'animo il disagio e la vergogna della loro miseria.
Nel momento della Prova, ogni aspirante all'Iniziazione diventa consapevole di entrambe le concezioni.
Noi Iniziati, in ogni caso, riteniamo la conoscenza intellettiva come "vita autentica", nel senso in cui la intendeva Heidegger, ma se ci sbagliassimo? 
Se fossimo noi la zavorra del mondo, il ramo secco da potare, la variante destinata all'estinzione?
Abbiamo dato per scontata la nostra superiorità morale, culturale, intellettuale, ma a volte mi sembra che questo sia un inaccettabile eccesso di supponenza, da parte nostra, nei confronti di coloro che chiamiamo sprezzantemente "automi".
Li disprezziamo, e non va bene. Il disgusto è un'emozione meschina ci può indebolire.
Ci impedisce di capire il punto di vista altrui, di essere oggettivi ed equanimi nei nostri giudizi. 
Certo, a volte sono davvero stupidi ed esasperanti, però è proprio in quei momenti che io mi chiedo: e se fosse quello il modo corretto di vivere? Se i paraocchi servissero davvero per salvarsi dalla pazzia?
Allora saremmo noi i malati, noi i pazzi, noi gli inferiori.
Ti invito a meditare su questo, Jessica
Sei la mia allieva più brillante e questo tipo di riflessioni sono riservate all' "insegnamento profondo". 
Un giorno tutte queste riflessioni ti saranno utili, quando i tempi saranno maturi>>

Il Maestro era così, parlava per enigmi, formulava paradossi, insinuava dubbi.
Il dubbio ci serve per allenare la mente e renderla pronta all'inaspettato.
Jessica se lo ripeteva spesso.
Forse è la mia unica difesa contro le stilettate del mostro bicefalo: non dare mai nulla per scontato, nemmeno le ovvietà. Problematizzare l'ovvio. 
Abolire l'idolatria del fatto compiuto.  Non dobbiamo necessariamente trarre conclusioni dal modo in cui è finita una vicenda. A volte non ci sono ragioni, è andata così per puro caso.
L'Invincibile Armata è stata sconfitta dal mare in tempesta, non dalla flotta inglese.
Se il mare fosse stato calmo, forse oggi parleremmo spagnolo.
Certo, se il caso si ripete troppe volte, abbiamo diritto a un legittimo sospetto.

Jessica ormai era un'Iniziata di Rango Segreto, con delicati incarichi "in partibus infidelium", una delle più giovani della storia, insieme alla sua bisnonna Bessie Montague, con diritto di tribuna, ma non di voto in seno al Consiglio, come delegata delle Quattro Fazioni che avevano la maggioranza dei voti nell'Assemblea Generale (il Serpente Rosso, l'Aristocrazia Nera, la Fraternitas Draconis e gli Hyperborei Solis Invicti).
Il Duca di Ravensbourne apparteneva alla fazione degli Iperborei.
Jessica, sposandolo, doveva spiare i progetti di questa fratellanza un tempo così potente.
Ma quello non sarà il mio compito più difficile.
Waldemar Richmond era buono come il pane, ed era trasparente come cristallo attraversato da un raggio di sole.
Ma il nipote del Maestro, a quale fazione sceglierà di appartenere?
I Monterovere appoggiavano il Serpente Rosso, i Ricci-Orsini facevano parte dell'Aristocrazia Nera, ma i Lanni, la famiglia della madre di Lorenzo, erano Iperborei, come gli Ordelaffi.







Roberto non sa ancora nulla. 
Quanto dolore lo attendeva, prima di poter conseguire la Sapienza.
E lei, un giorno, avrebbe dovuto fagli da guida.
Il suo Maestro l'aveva preparata e il Consiglio le aveva spiegato cosa l'Ordine si aspettava da lei.
Ma non era tutto l'Ordine: le fazioni all'Opposizione avrebbero dato battaglia.
Con chi si schiererà Roberto?
Nemmeno il Maestro era stato in grado di dirglielo, o forse non l'aveva ritenuto opportuno.












Ogni volta che incontrava Lorenzo, Jessica si sentiva in agitazione.
Era una lotta tra cervelli e quello del Maestro era infinitamente più forte.
Aveva ricevuto anche lui l' "insegnamento profondo" da parte dei suoi due Maestri.
Il primo era stato il defunto professor Erich von Tomaten (senza l'intermediazione di Franz Kranz, che era stato solo un collega, non un Iniziato), autore del fondamentale tomo "Das tausendjaehrige Reich", scritto senza la Umlaut, per non confonderlo con altre opere considerate minori.
Il secondo Maestro era fin troppo vivo, e molto più vecchio di quanto il suo aspetto mostrasse: il consigliere Albedo.
Dal primo aveva ricevuto l'insegnamento teorico, mentre dal secondo aveva appreso quello pratico, il più pericoloso: il mentalismo. Sapeva dare la giusta interpretazione ad ogni minimo movimento del proprio interlocutore e riusciva a leggergli il pensiero e a persuaderlo a stare dalla propria parte.
In teoria tutti gli Iniziati ne erano in grado, ma concretamente nessuno era mai riuscito a sconfiggere Lorenzo Monterovere, nemmeno il Consigliere Albedo.
Quando c'è uno che vince sempre, ci possono essere soltanto due possibilità, per gli altri: o si accetta la sua supremazia, o ci si coalizza tutti contro di lui.
Jessica non riusciva a decidere cosa fosse meglio, perché, pur temendo Lorenzo e il programma che intendeva realizzare insieme ad Albedo, sentiva che soltanto loro la valorizzavano adeguatamente, al contrario degli altri membri della propria famiglia e della propria fazione.
Lorenzo lo sa, e fa leva su questo. Ma il suo programma è troppo azzardato. O forse mi nasconde qualcosa? Lo conosco da una vita, ma la sua mente rimarrà per me sempre un mistero.
Lo vide avvicinarsi col solito sguardo sorridente, leggermente ironico, e il suo aspetto bizzarro, con i capelli argentati e un po' crespi, gli occhi grigi perspicaci, ma insondabili, e la pelle arrossata del fototipo 2, resa quasi viola dalla fluidità del sangue venoso dei capillari.

<<Jessica, ti trovo in forma smagliante, come sempre>> e quello era il suo modo di salutare, anche se avesse avuto davanti a sé un moribondo.
<<"Non c'è mestier lusinghe", Lorenzo. Le belle parole non costano niente, ma si inflazionano, specie in momenti come questo>>
Forse la citazione dantesca se la poteva risparmiare, ma era sempre uno scudo per distrarre l'attenzione dal vero problema.
<<Rilassati, è tutto sotto controllo, come sempre>>
Risposta prevedibile, stava prendendo tempo.
<<E allora perché hai sentito l'esigenza di venire qui, a controllare di persona?>>
Lui fece uno sguardo meravigliato:
<<Ma io sono qui dietro invito del mio caro allievo e pupillo, il giovane Duca di Ravensbourne, tuo fidanzato. Festeggeremo insieme il Ferragosto, ci sarai anche tu, e altri ospiti importanti.
Waldemar è molto felice, per come stanno andando le cose.
Da tempo gli avevo promesso una mia visita a Ravensbourne Mansion e ora ben volentieri...>>
Jessica non era in vena di giochetti:
<<Faresti meglio ad andare direttamente là, allora. Qui a Londra possiamo sopportare soltanto un Monterovere alla volta, e tuo nipote ci ha già...>>
Lorenzo rise, avendo intuito il resto della frase:
<<E' un tipo impegnativo, vero?>>
Lei sorrise, suo malgrado:
<<Mi hai tolto le parole di bocca. E' un ossimoro viventeE' ossessivo, ma imprevedibile. E' puntiglioso e caotico nello stesso tempo. E' logorroico, salta di palo in frasca, mescola verità e menzogna in modo così inestricabile da confondere anche i più esperti. E' un istrione che indossa infinite maschere. Non si sa mai se reciti o faccia sul serio. 
Quando credi di aver capito il suo schema, ecco che lui confonde le carte, con qualche asso nella manica. Il suo schema è il non avere schemi, o cambiarli in continuazione.
Ecco perché sarà difficile incastrarlo, nonostante la sua plateale sbadataggine.

Stanno emergendo il lui anche i talenti tipici della sua linea genetica: l'intuizione, la premonizione il mentalismo e le memorie ancestrali.
Queste ultime stanno già facendo pressione sulla sua mente, ma per fortuna non sono in grado di prendere il controllo: si sono dovute ritagliare i loro piccoli spazi. 
Dopo la Prova riuscirà a usarle a suo vantaggio, e si spera anche a nostro vantaggio.






 Riguardo alle premonizioni, non sa ancora discernerle dal resto e tanto meno interpretarle, ed è un bene, altrimenti ci avrebbe già neutralizzati.
E' estremamente ricettivo, ma finge di non aver capito e rimanda la reazione.
Bisogna sempre stare sulla difensiva, perché gli viene spontaneo sferrare l'attacco nel momento più inaspettato
Si tratta solo di stilettate verbali, ma lasciano il segno. 
Non si dimenticano. 
Forse gli viene spontaneo, ma l'effetto pratico è come un avvertimento: so chi sei, conosco i tuoi punti deboli e, se non mi rispetti, troverò la parola adatta per demolirti dicendo semplicemente e con linguaggio politicamente corretto la verità che ti fa più male e che cerchi di nascondere persino a te stesso.
Si potrà dimenticare lui, ma non si dimenticheranno mai delle sue parole, sono come un tatuaggio sull'anima.
Tutto corrisponde al profilo che speravi di ottenere>>
Il Professore sprizzava gioia da tutti i pori:
<<E tu che hai dubitato di me! Ma ora, naturalmente, questo purosangue va protetto. Credi che Aurora ne sia capace?>>
Era già arrivato al cuore del problema, in meno di un minuto.
Jessica faticava ancora a star dietro al suo ritmo:
<<Sì, ne sono certa. E' molto determinata e direi anche possessiva nei suoi confronti. Ho percepito una complessità, nella sua mente, che è in linea con le proiezioni del Programma Genetico.
Intuisce il nostro gioco. E' molto più furba di quel che sembra, e alla lunga questo potrebbe crearci dei problemi>>
Mentre camminavano diretti verso la limousine che li avrebbe condotti all'Hotel Ritz di Londra,
Lorenzo assunse l'espressione placidamente serena di un monaco zen:
<<Non ne avrà il tempo e le energie. Dovrà sostenere Roberto nei momenti più duri. E' l'unica concessione che faccio a mio nipote>>
L'Allieva però non era del tutto convinta:
<<Ma la Prova potrebbe protrarsi, se lui, come è prevedibile, commetterà errori gravi nelle scelte future. Aurora potrebbe servirci ancora per molti anni. Se gli starà accanto per tutto quel tempo, non avremo né la forza, né il diritto di separarla da lui>>
Il Maestro annuì:
<<Vero, ma se lui supererà la Prova, vedrà le cose in maniera diversa. Diventerà una persona diversa, e avrà bisogno di una diversa anima gemella, il cui profilo, secondo le nostre proiezioni, corrisponde al tuo, Jessica.
Ma per il momento, dobbiamo pensare al fatto che sono solo due adolescenti senza una identità definita, che stanno facendo esperimenti anche di tipo sessuale>>
Jessica non ne era affatto felice, ma non aveva una mentalità proibizionista:
<<Quello che fanno nel loro privato non mi riguarda. Ma in base alle mie percezioni, sento che non dev'essere qualcosa di convenzionale>>
Lorenzo rise:
<<Le proiezioni del Programma ipotizzavano anche questo. Aurora è una brava ragazza, ma non è pura come acqua di fonte.
Credo che Roberto l'abbia capito subito. Sa distinguere una sorgente da un fosso.
E' cresciuto di fianco ad un fiumiciattolo, ma un giorno ha scoperto che quel presunto fiume non aveva una sorgente, era soltanto un fosso di scolo più grande degli altri.
Ah, quanto è rimasto deluso quando glielo feci sapere! 
Un'altra volta, ero con lui e i suoi in montagna, e lì vedemmo le sorgenti della Drava, tra Dobbiaco e San Candido, quasi al confine con l'Austria.
Speravo che almeno quella gli sarebbe andata bene, ma sospettavo che avrebbe avuto qualcosa da ridire e infatti dichiarò ad alta voce:
"Sarebbe bella se non l'avessero manomessa gli uomini. Fanno sempre così. Rovinano tutto. Trasformano una sorgente naturale in una banale fontana"







Bisogna ammettere che su certe cose è molto intuitivo.
Fu allora che gli parlai dell'ingegner Francesco Lanni, suo bisnonno, il padre di mia madre, detto "Il Profeta delle Acque":  gli spiegai che aveva trovato un modo per preservare le sorgenti originarie del Bidente di Ridracoli e creare, con una diga, un lago purissimo e nel contempo l'acquedotto più grande della Romagna. E nello stesso momento progettava il Cer per irrigare i campi.
Lanni era un Profeta e un uomo puro. Credo che sia stato il primo a risvegliarsi, nelle memorie ancestrali di Roberto, insieme a mia madre Giulia, la nonna che lui non ha mai conosciuto, e forse è grazie a loro che tutti gli altri ricordi sono tenuti a bada.
Roberto dovrà seguire i loro suggerimenti, perché i Lanni non presero mai decisioni meschine, al contrario di tutti i Monterovere, i Ricci e gli Orsini. 
Se non dovesse farlo, cadrà nell'oblio, insieme a quel che resta della mia stirpe>>

Jessica aveva ascoltato, prendendo nota di molte questioni. Una però rimaneva aperta:
<<Tu mi hai detto che Roberto non può avere rapporti completi a causa di una fimosi non serrata, e questo annulla il rischio di una gravidanza di Aurora, che darebbe vita a qualcosa che il nostro Programma Genetico ha definito: "abominevole". Ma se lui decidesse di sottoporsi alla circoncisione, allora, in un momento di passione, quei due sarebbero capaci anche di...>>
Lorenzo sollevò una mano, come per dire che aveva capito e sapeva la risposta:
<<Roberto è terrorizzato dagli interventi chirurgici. E' la conseguenza di quella assurdità, decisa da un medico inesperto, di eseguire il distacco della parte serrata senza alcuna anestesia, quando lui aveva solo nove o dieci anni. No, non si farà circoncidere, non prima di aver concluso la Prova.
Solo allora troverà la forza e il coraggio per vincere le sue fobie>>
Jessica non poteva evitare di prendere nota di tutte quelle debolezze di Roberto:
<<Questo complica le cose in altro verso. Una ragazza bellissima come Aurora non potrà certo aspettare anni per avere un rapporto completo col suo presunto fidanzato!
Immagino che ne avrai tenuto conto, quando hai dato il tuo benestare, accordando protezione e favori al visconte Ordelaffi di Bertinoro>>
Il Maestro parve annoiato da tutti quei dettagli materiali:
<<E' ovvio, e quando conoscerai tutte le simulazioni che il nostro Programma Genetico è in grado di fare anche a livello di interazione parziale, te ne renderai conto anche tu.
 Come ti ho già detto, a volte le ossessioni o le perversioni condivise sono un collante eccezionale, nei rapporti di coppia. Quel che conta non è l'atto in sé, ma il livello di piacere raggiunto e condiviso. A noi può sembrare strano o addirittura ripugnante, ma per molti altri potrebbe persino essere la norma.
Ho dato il mio benestare ad Aurora anche in considerazione di questo. 
Anzi, è stata una fortuna che lei si sia fatta avanti in maniera così esplicita: quando esistono delle anomalie, è meglio mettere subito le carte in tavola.
Come dicono le "massaggiatrici" negli annunci: solo distinti, no perditempo.
Ma anche questo finirà, tra pochi anni.
Nel frattempo Aurora è la soluzione migliore: la manifestazione della sua ossessione idraulica, pur mostrandosi in modo impuro e insano, non è stata arbitraria.
Inconsciamente ha operato come fattore di attrazione in entrambi.
Ma dopo la Prova, Roberto andrà oltre tutto questo, non avrà paura di fare ciò che va fatto e a quel punto tu dovrai fare la tua mossa, e pensare che questo non è un favore che fai a me, ma a te stessa>>
L'Allieva provava una certa preoccupazione, quando vedeva il Maestro disporre delle vite altrui come se fossero pedoni in un'immensa scacchiera.
<<Che ne sarà di Aurora? Non illuderti di potertene sbarazzare facilmente. Lei sa combattere>>
Lorenzo tornò al suo consueto sorriso da monaco zen:
<<Può darsi, anche se io la vedrei meglio come Grande Sacerdotessa delle Paludi. Si tratterebbe di una forma di giustizia poetica, non trovi?>>
Jessica scosse il capo:
<<Tu ridi, ma sai meglio di me i rischi che stiamo correndo>>
Erano arrivati alla Limousine.
Lorenzo appariva soddisfatto:
<<Ed è per questo che ti sto addestrando, come Albedo fece con me. 
Spetterà a te il compito neutralizzare Aurora, nel modo che ritieni più giusto, quando i tempi saranno maturi.
Adesso sei ancora troppo emotiva e vulnerabile, ma quando il tuo addestramento sarà completo, potrai tenere testa all'intero Consiglio RistrettoE il tuo parere peserà molto, nella decisione finale.
La tua famiglia e la tua fazione hanno opinioni un po' diverse dalle mie, ma solo su ciò che è opinabile. E in questi casi si è sempre trovato un accordo>>

Entrarono e l'automobile partì.
Jessica mise subito in chiaro una cosa:
<<Non sarò l'automa di nessuno, Lorenzo>>
Lui annuì con decisione:
<<Nessun Iniziato lo è. E tu meno che mai>>

Lei sapeva, naturalmente, che Roberto, in un modo o nell'altro, sarebbe caduto ai suoi piedi, ma non le piaceva barare, specialmente in questo caso.
Ho già avuto una premonizione su ciò che potrebbe accadere, se Aurora dovesse accorgersi di ciò che io sono incaricata di fare.
L'aveva previsto, in un sogno, perché i sogni premonitori esistono davvero, anche se sono difficili da ricordare.
Ma Jessica ricordava bene quel sogno e spesso ne riascoltava la registrazione, effettuata immediatamente dopo il risveglio, prima che la memoria lo cancellasse:

Aurora appoggia la schiena a quella di Roberto, e mi dice:  "Osservaci bene, Jessica. Questo è il modo in cui io e lui staremo sempre, perché lui è il mio gemello in spirito, e dovremo difenderci a vicenda da persone come te.
Guardaci bene: siamo schiena contro schiena, ciascuno con gli occhi puntati dietro le spalle dall'altro. Se agirai contro di me lui ti vedrà e se cercherai di ingannare o di tradire lui, io ti vedrò e ti punirò in un modo che non puoi nemmeno immaginare. 
Si allontana senza dire altro. 
Roberto la fissa mentre scompare nel buio e poi, finalmente, si volta e si rivolge a me:
"Jessica, non sottovalutare quello che ha detto. Si è sottoposta anche lei alla Prova, e ha mostrato di possedere grandi talenti. Ha capito molte cose e ha deciso in autonomia. 
La Prova ci ha cambiati entrambi, rivelando due diverse attitudini: io sono il Veggente, lei è la Combattente. 
Siamo stati felici insieme, ma la Prova ha diviso le nostre strade. Io ho scelto la contemplazione e la pace, lei ha scelto l'azione e la guerra. 
Uno di noi due doveva dimostrare di saper sopportare il dolore, e lei è sempre stata la più forte" 




C'è qualcosa di sbagliato in quel sogno. Aurora non deve sottoporsi alla Prova. Chi  glielo potrebbe consentire?
Jessica decise di non parlarne, per il momento. C'erano già fin troppi motivi di preoccupazione e ad ogni giorno bastava la sua pena:
<<Siamo così vicini all'obiettivo che ci eravamo prefissati, eppure così lontani! 
Sto parlando in generale, naturalmente. 
I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari.  Me l'hai insegnato tu. L'unica cosa che conta è il cambiamento reale che abolisce lo stato di cose del presente. 
Sta accadendo troppo in fretta, e temo che non saremo mai preparati del tutto.>>
Lorenzo sapeva che Jessica esprimeva i dubbi di molti Iniziati:
<<La prossima era sarà l'Età dei Profeti. Sarete voi a contrapporvi agli Automi, ed è necessario ampliare i vostri poteri mentali.
Certo, risvegliare troppi Talenti è pericoloso, e capisco la perplessità delle altre fazioni.
Il Consiglio è al corrente dei rischi, ma non si oppone, perché ne conosce la necessità.
Ci stiamo lavorando da millenni. Sarebbe assurdo fermarsi proprio adesso, quando siamo in dirittura di arrivo.
Ogni membro del Consiglio interpreta il Grande Disegno a modo suo, ma non siamo apprendisti stregoni. 
Su questo tutte le fazioni sono d'accordo>>
Era vero, e Jessica lo sapeva, ma sentiva che, come sempre, era solo una mezza verità.
Le rimaneva soltanto una domanda:
<<Le ultime generazioni, secondo il Programma Genetico, sono state classificate come l'età dei Pionieri, l'età dei Maestri e l'età dei Profeti.
Ma la prossima generazione, quelli che nasceranno dopo il Duemila, i nostri figli: che nome avete assegnato a loro?>>

Lorenzo vedeva troppa preoccupazione negli occhi di Jessica e questo non andava bene.
Dovrò rinforzare le sue capacità di riequilibrio. E questo non è compatibile, almeno per il momento, con le mezza verità su cui fino ad ora io e Albedo abbiamo mantenuto il silenzio.
Il suo volto si rasserenò e il suo sorriso Zen ricomparve:
<<Ancora non l'abbiamo scelto. Ci penseremo solo quando tutti i Profeti avranno superato la Prova e saranno Iniziati>>
Il vero motivo era un altro, ma lo tenne per sé.
Le mie premonizioni non sono chiare e quelle degli altri Maestri ancor meno.
La prossima generazione, per quel che ne sappiamo, potrebbe essere l'ultima. 
Sì, gli Ultimi, questo rischierà di essere il nome, se dovessimo fallire.
E allora sapremo che l'Inca morente aveva ragione.
C'erano alcuni testi, di cui solo il consigliere Albedo aveva una copia, e tra questi anche l'ultimo esemplare dei Mirabilia Providentiae di padre Saverio Gomez, della Compagnia di Gesù.
Lorenzo ne aveva letto un passaggio inquietante;
"Prima di essere giustiziato mediante la garrota, l'ultimo Imperatore Inca, Atahualpa  (Cusco, 20 marzo 1497 – Cajamarca, 26 agosto 1533) aveva vaticinato:
 «I cristiani domineranno il mondo per altri quattro secoli, poi il mondo si ribellerà e le colpe dei padri ricadranno sui figli». 
Sgomento, Padre Gomez aveva chiesto: 
«Non c'è dunque speranza per i figli?». 
E nelle sue ultime parole, l'Inca morituro aveva predetto: 
«Per i figli, niente!» "




E di nuovo il dubbio lo sfiorò.
Forse gli automi hanno ragione... meglio non sapere, non sentire, non accorgersi, non ricordare
 non finire nella trappola delle profezie che si autorealizzano.

Ma poi tutte le memorie ancestrali gli ricordavano le sue responsabilità.
No! Mai! L'ho giurato al mio Maestro, prima che la Nuova Camelot fosse distrutta. 






E allora anche lui, Lorenzo Monterovere, l'uomo che non si faceva mai turbare dalle emozioni minori, fu preda della nostalgia e del rimpianto.
La nuova Tavola Rotonda non esiste più. Io sono l'ultimo dei Cavalieri. 
Quel pensiero lo opprimeva, lo schiacciava.
Persino respirare era uno sforzo.
Cercò di dissimulare il turbamento, fingendo di appisolarsi.
Lentamente riprese il controllo della sua psiche e si ricordò chi era e cosa rappresentava per i suoi seguaci.
La mia lealtà non verrà meno. I Monterovere mantengono sempre la parola data.
La parola dei Monterovere è una sola, da sempre e per sempre.
Quando il momento verrà, io e i miei seguaci saremo pronti.
Tra quindici anni esatti, la Bestia dell'Apocalisse sarà tra noi, anche se pochissimi lo capiranno.
E quando tutto sembrerà perduto, allora noi usciremo allo scoperto, e il Grande Disegno si compirà.




Non poteva dirlo apertamente: le sue parole sarebbero sembrate peggio dei guaiti di un cane che abbaia alla luna!
Ma il paragone era un altro: la sua era la "voce di uno che grida nel deserto".
E il deserto risponderà.
Bisognava solo avere pazienza, e lui ne aveva avuta tanta, come gli ricordavano le Memorie Ancestrali.
L'attesa dura da sempre.
Io ho aspettato più di chiunque altro.
La mia pazienza sarà ricompensata.
Io vedrò l'inizio dell'Impero Millenario.




















martedì 1 giugno 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 137. Cosa succede in città?



Mentre i due fidanzati si godevano il loro lussuoso soggiorno a Londra, i nemici storici di Roberto Monterovere, nel "natio borgo selvaggio" di Forlì, si erano incontrati anche d'agosto, senza però gli altri congiurati, per meglio preparare i primi passi della loro controffensiva di settembre.

Può sembrare eccessivo parlare di congiurati, controffensiva e nemici, ma tali termini sono giustificati dall'odio feroce di questi personaggi nei confronti della vittima designata, un diciassettenne i cui unici "peccati" erano, all'epoca, il suo cognome, il cognome di sua madre, il fatto di avere la media del nove e soprattutto di essere stato clamorosamente prescelto da Aurora Visconti-Ordelaffi come suo ragazzo (il fidanzamento ufficiale non era stato reso pubblico, data la giovane età dei "promessi sposi"), tanto da portarlo con sé a Londra.

Dobbiamo ammettere che non è stato facile ricostruire la dinamica degli eventi forlivesi di quell'estate del 1992, eventi, lo ripetiamo, che avrebbero avuto come conseguenza, per Roberto, la trasformazione degli ultimi due anni di Liceo in un incubo destinato a lasciare ferite profonde nella sua psiche.
Questa precisazione ci serve per giustificare un tipo di narrazione che potrebbe sembrare troppo sprezzante, sarcastica e a tratti persino derisoria e caricaturale.
E' stato lo stesso Roberto, come nostra fonte, a insistere su questo aspetto, come se volesse rendere pan per focaccia a coloro che avevano deciso di utilizzare, come prima arma, proprio lo stesso tipo di approccio derisorio.
E tuttavia c'è una differenza sostanziale, perché il Roberto di allora era solo un adolescente e si trovò a subire cose che nessun adolescente dovrebbe subire, mai, per nessuna ragione al mondo, perché ci sono ferite destinate a non rimarginarsi se non dopo troppo tempo, e danni morali così gravi e laceranti da risultare, in parte, irreparabili.

Forse alcune vicende che raccontiamo in questa narrazione possono sembrare improbabili o irrealistiche, e invece ce ne sono molte che, proprio nelle loro parti più incredibili, si avvicinano a quella "mezza verità" che Roberto decise di rivelarci, perché potessimo in un certo senso rendergli giustizia.
Le nostre altre fonti hanno confermato la versione di Roberto, ipotizzando quale potesse essere l'altra mezza verità di cui lui preferì non parlare, e cioè la serie di misfatti che l'Azienda "Fratelli Monterovere" commise prima che le inchieste giudiziarie portassero al suo fallimento.
Useremo quindi i termini di cui lui stesso si avvalse, e anche lo stesso approccio all'argomento.

I tre Clan che guidavano la Congiura, e cioè i Braghiri, i Porcu e i Panza, erano capeggiati dalle famose Tre Madri: Elisabetta De Gubernatis, madre di Vittorio Braghiri, Maria Carolina Tartaglia, madre di Felice "Felix" Porcu e Fiorella Prinsivalli, madre di Alessandro "Alex" Panza.

Delle prime due ricordiamo i legami originari con il clan Ricci-Orsini: Elisabetta era figlia di Ginevra Orsini, "la Regina della Canasta e del Bridge", (e unica sorella vivente della contessa Diana), e del giudice Guglielmo De Gubernatis, grande amico del compianto cavalier Ettore Ricci; Carolina Tartaglia era nipote dell'ispettore Onofrio Tartaglia, l'infiltrato dei Ricci-Orsini nella Questura di Forlì, davanti alla cui sede campeggiava lo stemma cittadino, con l'aquila nera del Sacro Romano Impero.




Prima di parlare della Terza Madre, la vera protagonista di questo capitolo, sono necessarie alcune note introduttive sulla dinamica interna che rende Forlì, città apparentemente fin troppo tranquilla, un luogo ancora diviso, come nel Medioevo, in varie fazioni che fanno riferimento ad alcune famiglie di rilievo.

Lo stemma allude a diversi momenti della sua storia: la città ottenne lo scudo vermiglio con una croce bianca, in ricordo della partecipazione dei Forlivesi alla Prima Crociata; un secondo scudo, bianco, attraversato dalla scritta LIBERTAS, testimonia dei periodi in cui la città si erse a repubblica (la prima volta nell'889, l'ultima nel 1405): i colori della città, pertanto, sono il bianco ed il rosso; l'aquila sveva in campo d'oro fu invece concessa da Federico II, per l'aiuto datogli nella presa di Faenza (1241), essendosi Forlì schierata dalla parte dei ghibellini. 
Queste benemerenze consentirono ai forlivesi di intercedere poi a favore dei faentini e di convincere Federico a risparmiare la città di Faenza, che egli intendeva invece distruggere.
La città rimase ghibellina anche dopo la morte di Federico II e Corrado IV e la fine della Casa di Svevia.
Rifiutò di riconoscere, nel 1278, la cessione della Romagna al Papato, da parte di Rodolfo d'Asburgo.
Forlì è ancora fiera della sua militanza ghibellina, portata avanti sia come Comune che come Signoria degli Ordelaffi.

E' una cosa che va ricordata, anche perché Aurora Visconti era l'ultima erede del sangue degli Ordelaffi, che si opposero fieramente a papa Niccolò III Orsini, il cui pronipote fu antenato di Roberto.
L'eventualità di un matrimonio tra una Ordelaffi e un Orsini era vista come un tentativo di ricomporre l'antica frattura, il che trovava pochi sostenitori nella città che per tanto tempo aveva difeso la propria indipendenza e che non aveva mai amato i Papi, e meno di tutti i Papi della famiglia Orsini.

Ai nostri lettori potrà apparire strano che ci fosse ancora qualcuno interessato a tali minuzie, e altri potranno trovare ridicolo il passaggio da un macrocosmo come Londra a un microcosmo modesto e assolutamente aspecifico come quello di Forlì, dove, a prima vista, c'è solo Piazza Saffi, su cui si affacciano l'Abbazia di San Mercuriale con la sua basilica e il suo campanile, e il Palazzo Comunale con la sua Torre dell'Orologio, che non è certo il Big Ben.




Ma per Roberto non era così: lui prendeva molto sul serio le responsabilità degli Orsini nel passaggio di Forlì da feudo dell'Impero a feudo del Papato, nel 1278.
La storia è nota, ma merita di essere ricordata. 
Il primo atto si ebbe quando, il 25 settembre 1277, papa Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini (Roma, 1216 – Soriano nel Cimino, 22 agosto 1280) iniziò a trattare personalmente con Rodolfo d'Asburgo, Re di Germania e Duca d'Austria e di Stiria.
Nel maggio 1278, Rodolfo venne riconosciuto come legittimo Imperatore, e in cambio il Pontefice raggiunse l'obiettivo che si era prefissato: ottenne la cessione da parte dell'Impero. della Provincia Romandiolæ, della Marca d'Ancona e del Ducato di Spoleto e la conferma della sovranità della Chiesa sul Patrimonium Sancti Petri (corrispondente a parte dell'odierno Lazio).
Il cardinale Malabranca ottenne il titolo di Legato per la Romagna, la Marca e Spoleto e fu affiancato da Bertoldo Orsini (Roma, 1230 –  Spoleto, 1319), nominato Conte di Romagna da suo zio, Niccolo III, che lo insignì anche del titolo onorifico di Governatore di Bologna.
Per dominare la Romagna, Bertoldo e suo figlio Bernardo costruirono una fortezza all'incrocio tra la via Cervese (che collega Cervia a Forlì) e la via Decumana (odierna via Dismano, che collega Ravenna a Cesena dal tempo de Romani).
Da lì Bertoldo cercò di ampliare i territori sotto il suo dominio, ma dovette chiedere rinforzi al Papa.
Nell'autunno del 1281, il nuovo papa Martino IV inviò un esercito italo-francese guidato da Giovanni d'Appia per conquistare la capitale ghibellina, Forlì. 

Ma nel 1282 i ghibellini, capitanati da Guido di Montefeltro, riuscirono clamorosamente, con un abile trucco, a rompere l'assedio nella celebre battaglia di Forlì. 

L'episodio è ricordato da Dante Alighieri: "la terra che fe' già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno XXVI, 43-44). 

Bertoldo Orsini si era arroccato nella fortezza di Casa Murata, che suo figlio Bernardo aveva circondato da una prima cinta muraria.

Quando gli Ordelaffi ripresero il controllo di Forlì, nel 1295, Bertoldo tornò nel suo palazzo di Palestrina e fu poi nominato Podestà di Spoleto e Orvieto.
Suo figlio Bernardo, invece, rimase alla Casa Murata e riuscì a costituire un proprio feudo, ottenendo da Bonifacio VIII il pieno riconoscimento del titolo di primo Conte di Casemurate (la variazione del nome era dovuta al fatto che la fortezza e il villaggio erano stati circondati da una seconda cerchia muraria, di cui restano poche tracce nella zona dell'incrocio tra il Dismano e la Cervese.
Morale della favola, gli Ordelaffi, ghibellini di origine tedesca, pur riuscendo a scacciare i guelfi Orsini dalla città, se li ritrovarono installati nel Contado, a Casemurate.

Le due famiglie si fecero la guerra per i successivi sessant'anni.
La storia locale evita di scendere in particolari, ed è proprio questa reticenza che desta sospetto.
La potenza degli Ordelaffi si stava troppo allargando, e questo aveva attirato ai Signori di Forlì molte inimicizie sia locali, sia a livello più generale. 
La prova che non si trattasse affatto di una minuzia si ebbe nel 1353, quando l'Arcivescovo di Toledo, il Cardinale spagnolo Egidio Álvarez Carrillo de Albornoz (Carrascosa del Campo, 1310 – Viterbo, 24 agosto 1367) grande condottiero e abile politico e diplomatico, fu nominato Vicario Generale Pontificio "terrarum et provinciarum Romane Ecclesie in Italiane partibus" da Sua Santità, papa Innocenzo VI, il quale, trovandosi ad Avignone, gli concesse ulteriori poteri da esercitare come Legato Pontificio per le "recuperazioni" delle Romagne e delle Marche con l'incarico di  restaurare l'autorità papale nei territori della Chiesa in Italia. 
L'Albornoz non aspettava altro ed ebbe tanto successo da essere considerato il vero fondatore dello Stato Pontificio, anche per aver redatto le celeberrime Constitutiones Sanctæ Matris Ecclesiæ, più note come "Costituzioni egidiane".
Dopo essersi abilmente sbarazzato di Cola di Rienzo (lnciato dalla folla romana nel 1354), il cardinale Albernoz ristabilì l'autorità papale nel Lazio e ottenne la sottomissione di Giovanni di Vico, l'Ultimo Ghibellino, arroccatosi nel Ducato di Spoleto e nelle città di Orvieto, Spineto, Terni e Todi.
L'Albornoz, a questo punto, rivolse la sua attenzione al recupero della Marca di Ancona e della Marca di Fermo, in mano ai Malatesta di Rimini, che si erano impadroniti delle Marche nel 1348, approfittando della peste nera che allora imperversava ad Ancona.
Nel 1355 il Cardinal Legato iniziò le operazioni militari contro i due potenti Malatesta di Rimini e Ancona, che si chiamavano Galeotto e Guastafamiglia. 
I Malatesta si allearono col capo dei Ghibellini supestiti, Francesco II Ordelaffi (Forlì, 1310 circa – Venezia, 1374), Conte di Forlì, che aveva esteso il suo potere su una larga fetta di Romagna.

Il Cardinale riportò una vittoria schiacciante su Galeotto I Malatesta intorno a Paterno, un castello di Ancona. Il 2 giugno 1355 fu sottoscritto il trattato di pace con i Malatesta, che fu approvato da Innocenzo VI il 20 giugno. Da quel momento in poi i Malatesta divennero fedeli alleati delle forze pontificie. La sottomissione dei Malatesta fu presto seguita da quella dei Montefeltro, che portò i distretti di Urbino e Cagli sotto l'influenza del cardinale. Poco dopo, la città di Senigallia e i signori di Ravenna e Cervia (i fratelli Bernardino e Guido da Polenta) e i Manfredi di Faenza.
si sottomisero al cardinale.




Rimanevano ormai soltanto gli Ordelaffi e la loro Contea di Forlì, che comprendeva anche le viscontee di Forlimpopoli, Bertinoro e Castrocaro.
Nel 1356 l'Albornoz si recò di persona ad assediare Forlì con truppe mercenarie e "con l'aiuto degli Orsini di Casa Murata", di cui si fa menzione in numerose lettere che l'Albornoz inviò a papa Innocenzo VI, il quale incominciava a impensierirsi per il troppo potere del Cardinale spagnolo.

Il 4 luglio 1359, il Cardinale prese possesso di Forlì, insediando nel palazzo del Comune sia la sua cancelleria sia la propria residenza. Il fatto che il Cardinal Legato risiedesse proprio in Forlì, dalle lunghe tradizioni ghibelline e ultima città ribelle al Papa, aveva il chiaro valore simbolico di indicare che il processo di "normalizzazione" dello Stato della Chiesa poteva dirsi compiuto.
Nella pace conclusa in seguito si stabilirono due punti per noi estremamente rilevanti.
Gli Ordelaffi furono degradati a visconti di Bertinoro e Castrocaro, mentre gli Orsini di Casemurate ottennero un ampliamento della loro Contea, annettendo i territori contigui di San Zaccaria, Caserma e Pievequinta.
L'Albornoz riconobbe inoltre ai Conti di Casemurate la proprietà di un enorme appezzamento di terreno, che fu chiamato Feudo Orsini (impropriamente, perché si trattava di un Allodio, e solo della Pars Dominica, mentre la Pars Massaricia era gestita dai fittavoli o dai mezzadri)

Tutto questo ci conferma una cosa nota, ossia che il macrocosmo e i microcosmi sono costantemente legati gli uni agli altri da legami più profondi di quanto possa sembrare.
Poi però, per sdrammatizzare, va anche detto che quando si confronta una grande metropoli con la propria città natale, vale sempre la battuta pugliese: "se Parigi avesse lu mari sarebbe una piccola Bari". 
Roberto, pur considerando Forlì una "morta gora" dove non succedeva mai niente, un non-luogo, un po' come il Molise, che non viene nominato nemmeno nelle previsioni del tempo, era però consapevole di alcune verità incontrovertibili.
Forum Livii era stata fondata secoli prima di Londinium, non era mai caduta in mano ai barbari, conservava un centro storico medievale di tutto rispetto, ed aveva una qualità della vita molto elevata in termini di sicurezza, di ambiente e di organizzazione urbanistica del territorio.





La sua vicinanza all'Appennino Romagnolo, garantiva aria fresca e acquedotti alimentati da sorgenti purissime, come quella di Ridracoli, la cui diga era stata costruita proprio dall'Azienda Monterovere, su commissione dell'azienda municipale Romagna Acque.
La vicinanza al mare Adriaco, invece, rendeva più mite il clima, tanto che Francesco Monterovere ripeteva spesso al figlio, che da bambino si lamentava perché d'inverno non c'era la neve, la stessa identica risposta: "E' perché da noi c'è un microclima marittimo".







Alcuni detrattori dei Monterovere non erano d'accordo, e come vedremo tra essi spiccava Fiorella Prinsivalli, madre di Alessandro Panza, per motivi ben precisi.

Roberto rimaneva scettico, non tanto per il microclima, quanto riguardo al "noi", come se Forlì non fosse nemmeno la sua città.
Era forse una premonizione del suo Lungo Esilio (1994-2017), durato 23 anni: 5 a Milano e quasi 17 a Bologna?
Domanda inutile: non gli piace parlare delle premonizioni e non piace nemmeno a Lorenzo.
Fu Jessica a raccontarci tutto, perché alla fine "ogni tassello del mosaico troverà il suo posto nel quadro d'insieme".

Roberto ricordava ai suoi familiari, a partire da suo padre, che: <<"I Monterovere sono di origine emiliana e modenese, e lì i Longobardi ci sono arrivati. Per cui, oltre ad essere dei Galli, e quindi dei "barbari celtici", potremmo avere anche qualche goccia di sangue "barbarico germanico". E del resto, da giovane il nonno Romano sembrava un Tedesco cosiddetto"ariano">>

Tutte queste informazioni, che sembrano buttate lì a casaccio, torneranno utili entro la fine del capitolo, e ancor più utili in seguito, per capire meglio come mai alcuni personaggi considerassero i Monterovere e i Ricci-Orsini al pari di una calamità naturale, capace di estendersi in tutta l'Emilia-Romagna, come il Canale Emiliano-Romagnolo, altro filo conduttore di questa narrazione, così come le nostre mappe.





Ma torniamo finalmente narrazione, che, come anticipato, riguarderà in particolare un personaggio da film horror, magari il remake de "La Terza Madre" di Dario Argento. Facendo un parallelo con le Tre Madri di Suspiria de Profundis di Thomas de Quincey, la Mater Suspiriorum è Elisabetta De Gubernatis, colei che sussurra i segreti della città, mentre la Mater Lacrimarum è Carolina Tartaglia, colei che sarebbe pronta ad avvalersi della tortura, come faceva suo padre Capo-Manipolo della Milizia ai tempi del Duce.
La Terza Madre, la Mater Tenebrarum, quella che agisce nell'ombra, vive di odio, colpisce alle spalle e toglie ogni luce dalla vita delle sue vittime, godendo delle loro disgrazie e traendo linfa vitale dal loro dolore, nel nostro racconto, è Fiorella Prinsivalli, donna di origini altolocate, ma ripudiata dalla sua famiglia a soli 15 anni, a causa di un gravissimo errore di gioventù, in conseguenza del quale dovette sposare un certo Ottone Panza, venditore a domicilio, già gravida del suo unico figlio Alessandro.

Delle Tre Madri era la più giovane (all'epoca aveva solo 32 anni), ma la più motivata e la più pericolosa. 
Il suo rancore nei confronti dei Monterovere aveva origini lontane nel tempo, per quanto gli stessi Monterovere l'avessero conosciuta solo un anno prima.
Tale rancore si era trasformato in odio all'inizio del Liceo, a causa dei successi scolastici di Roberto, che aveva avuto l'ardire di ottenere voti migliori del figlio di lei,"Alex" Panza, che era comunque molto bravo, ma per sua madre Fiorella non lo era abbastanza.
Questo risultava inconcepibile sia a lui che a Roberto, i quali avevano fatto amicizia, anche per il fatto di condividere la sventura di avere voti alti.
A parte il fatto che essere primo della classe non è affatto piacevole, anche perché si diventa bersaglio delle frustrazioni altrui, l'essere secondi non è da considerarsi un disonore, perché la scuola non è una gara sportiva e non sono previste premiazioni su un podio, va aggiunto che soltanto un pazzo sociopatico (e la signora Prinsivalli lo era) potrebbe dire a suo figlio una frase del genere:
"Ricorda sempre, Alex, che il Secondo è soltanto il primo nella lista dei perdenti".
Ma questo era niente in confronto alla quotidiana, ossessiva e severissima ammonizione secondo cui, come disse Cesare (secondo Plutarco, nelle Vite parallele, il capolavoro che ci ha fornito anche l'idea per il nostro ossimorico titolo): "Meglio essere primi in Gallia che secondi a Roma".

E con un evidente non sequitur, Fiorella spiegava che ai tempi di Cesare, Forlì era in Gallia, la famosa Gallia Cisalpina, di cui il divo Giulio fu governatore proconsole insieme alla Gallia Narbonese e all'Illirico, prima di conquistare la Grande Gallia di Vercingetorige. La Res Publica Romanorum incominciava dal Rubicone e dall'Arno.

La Terza Madre, però, faceva notare a suo figlio che Cesare era sì diventato il Dictator Romanus, ma si era fatto ammazzare "come uno sciocco", proprio prima di poter muovere guerra ai Parti Arsacidi che avevano conquistato la Persia. 
Alessandro Magno, invece, con un i suoi Eteri e Pezeteri, partendo dal piccolo Regno di Macedonia, e portandosi dietro i "mistofori di Caria" e altri venuti "dall'Haemo e dal Carmelo", come ci assicura Pascoli in una delle sue poesie più belle, si era assicurato l'egemonia sull'Ellade e poi aveva clamorosamente conquistato l'Impero Persiano fino al fiume Indo, diventando il Primo sovrano assoluto dell'Oikoumene.

Ma sì, un po' ce la vediamo, la Terza Madre, come una versione moderna della perfida Olimpiade, che, sempre secondo Plutarco, era stata Iniziata ai Misteri di Samotracia, dove aveva appreso l'arte di incantare i serpenti.
Però il paragone finisce qui, perché Olimpiade aveva sposato il grande Filippo, Re di Macedonia, e forse lo aveva anche fatto ammazzare, quando lui l'aveva rispedita nell' "Epiro aspra e montana" insieme alle "vergini sorelle".
Niente di tutto questo valeva per Fiorella Prinsivalli, moglie di un fannullone che rendeva onore al suo cognome, Panza, e madre di un ragazzo che, pur chiamandosi Alessandro, non aveva assolutamente niente in comune col suo illustre omonimo.

Va chiarito che, al contrario di sua madre, Alex non era pazzo, non era invidioso e non odiava nessuno.
E se fosse rimasto tale, gli avremmo fatto tanto di cappello. Chapeau!
Purtroppo però, con una madre del genere, se non ci si ribella da adolescenti, si diventa quasi sempre schiavi della sua volontà, e questo portò Alex a commettere quello che Dante considerava il più grave dei peccati, il tradimento.
Alla fine Alex tradì l'amicizia di Roberto, e questo fu un duro colpo per il giovane Monterovere.
Con gli anni Roberto capì e perdonò Alessandro, perché quel povero ragazzo era terrorizzato dalla madre, e ne aveva tutte le ragioni, ma non perdonò mai Fiorella Prinsivalli.

Le radici dell'odio della Terza Madre erano profonde e le riveleremo una per una, ma emersero solo dopo  l'Affaire du Savoy, che le fornì il pretesto per scagliare la sua offensiva, da lungo tempo meditata e organizzata.

Invitiamo i lettori a non sottovalutare l'effetto che l'Affaire du Savoy produsse nei confronti dei tanti che, per invidia o per altre ragioni, già nutrivano un pregiudizio negativo nei confronti del clan Ricci-Orsini-Monterovere, e specialmente nei confronti di Roberto, che per ingenuità, sbadataggine ed eccessiva emotività, non seppe nascondere sufficientemente bene la fortuna che gli era toccata in sorte fino a quel momento.

Anche chi inizialmente era neutrale, incominciò in quel periodo a dire che "i Monterovere si stanno allargando un po' troppo" e che "a quel principino viziato ci vorrebbe una bella lezione di umiltà", il che poteva anche essere legittimo come auspicio, se si fosse mantenuto entro i limiti con cui la normale esperienza della realtà insegna a tutti noi ad essere più equilibrati.
Ma nessuno di loro aveva tenuto contro delle Tre Madri e di ciò che erano disposte a fare.
Questa sorta di Trimurti si era data una ben precisa ripartizione di compiti, come quella induista.

Elisabetta De Gubernatis, che aveva spiccate doti di spionaggio, ed abitava nell'appartamento di fronte a quello dei Monterovere e della "cara cugina" Silvia Ricci-Orsini, con cui ancora fingeva una parvenza di cortesia, teneva d'occhio tutto ciò che accadeva a Forlì e che potesse risultare utile per i loro piani.
La sua supervisione partiva dalla propria stessa abitazione, "er condominio de lusso" (secondo il celebre epiteto formulato dall'avvocato romano Semenzana "de sotto") ed era in perenne ricerca di notizie fresche, sondando gli altri condomini di quello che a Forlì era soprannominato, non senza ironia e intento polemico, il Palazzo Monterovere.
Anche d'agosto, infatti, il condominio, per quanto ospitasse solo otto famiglie, non rimaneva mai vuoto: i vari condomini andavano e venivano, dalle loro seconde case al mare o in montagna o dalle loro villeggiature di vario genere che però non duravano mai troppo, perché a nessuno di loro piaceva stare lontano per troppo tempo da ciò che consideravano l'Ombelico del Mondo, e cioè il glorioso "Marchesato di Forlì", come Roberto ironicamente lo chiamava, nella sua immaginaria suddivisione dell'altrettanto immaginario Ducato di Romagna, “tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno”.
In quest'ottica, anche "er condominio de lusso", aveva una sua ben precisa, anche se informale, organizzazione burocratica e gerarchica.

Il Presidente Emerito, Decano e Censore dei costumi era l'anziano ingegnere in pensione Adolfo Casadei, ex dirigente dell'Eni, ultra-ottantenne, detto anche "il Rospo" per il suo volto da batrace (che la sua buon'anima ci perdoni) e uomo severissimo, inflessibile, integerrimo, rigorosissimo, parco, frugale, estremamente risparmioso e, per dirla tutta, taccagno, che non riusciva a concepire il fatto che i Monterovere e i Ricci-Orsini, "anche dopo tutto quello che è successo a quella canaglia di Ettore", continuassero a spendere al di sopra delle loro possibilità economiche e avessero un tenore di vita "che neanche la Famiglia Reale...".
Era poi disgustato dal fatto che Roberto fosse andato al Savoy di Londra a scrocco della fidanzata Visconti-Ordelaffi: <<E' un'indecenza! Quel ragazzo si comporta già come una "escort" in versione maschile>> aveva dichiarato, furibondo e in preda all'indignazione, alla signora Elisabetta Braghiri, alla quale non bastò altro che soffiare sul fuoco e lasciare che l'incendio divampasse.
In fondo i Ricci-Orsini-Monterovere, nel microcosmo forlivese, erano, all'epoca, la versione  mignon e burlesque quello che i Mountbatten-Windsor sono ancora per il Regno Unito e cioè non i più ricchi, non i più potenti, ma certamente i più famosi, per via delle origini, dei matrimoni, ma soprattutto degli scandali.
Noi crediamo sia anche per questo che Roberto è così ossessionato dalle loro vicende, cosa che un tempo lo rendeva benemerito presso le parrucchiere e le estetiste di sua madre.
Ma torniamo "ar condominio de lusso" (de via Merulana, ci verrebbe da aggiungere).

L'Amministratore veniva cambiato in continuazione, poiché nessuno sulla faccia della Terra avrebbe mai potuto sopravvivere sano di mentre alle guerre intestine che dilaniavano gli illustri condomini, e questo andava ad accrescere le rispettive aree di competenza che i suddetti condomini si erano auto-attribuiti.

Il sedicente Direttore Generale era proprip l'avvocato Benito Semenzana "de sotto", nato a Trastevere in Roma ed ex dirigente di una filiale della Reale Mutua Assicurazione, nonché nostalgico e cultore del Duce. 
Il suo epiteto "de sotto" derivava, oltre che dal suo eloquio romanesco, anche dalla inconfutabile affermazione che il suo appartamento si trovava fisicamente di sotto a quello dei Monterovere, accusati costantemente di disturbare le sue meditazioni e i lavori domestici di sua moglie con il rumore prodotto nell'ordine dalle indecorose liti familiari, dal pianoforte suonato dal Professore e dall'abitudine "de quer pazzo der fijo" di guardare videocassette di film thriller fino a tarda sera.
A tutto questo si aggiungeva il fatto che i cani del Semenzana terrorizzavano i gatti dei Monterovere, e come si sa, tra cacciatori cinofili e "gattofili" animalisti, le cose prima o poi "vanno a finì 'n caciara".
Ed era tutto un fiorire di "ma va a morì ammazzato, tu e li mortacci tua! Ammazzete 'na bona vorta, mannaggia la mignotta de tu..." e qui si fermava, perché comunque, per quanto romano de Roma, era pur sempre un avvocato, consapevole peraltro, proprio per le origini romane, che le donne della stirpe Orsini non potevano essere sfiorate neanche con il pensiero.
Anche il Semenzana, ogni volta che tornava "ar condominio de lusso", dalla sua villa di Bagno di Romagna, con annesso bosco divenuto sua personale riserva di caccia, portava qualche indiscrezione sui Monterovere, riferitagli dal suo carissimo amico e camerata, il notaio Papisca, oltre che dai suoi "parenti de mamma" che lavoravano presso le famiglie della Nobiltà Nera, (tra cui il ramo principale degli Orsini), cosiddetta per due ragioni: era rimasta fedele a Pio IX dopo la Breccia di Porta Pia, continuando ad indossare l'abito nero, ed era politicamente schierata all'estrema destra, come lo stesso Benito Semenzana e i suoi camerati (oltre a Papisca, c'erano anche i vari membri della famiglia Tartaglia e quindi anche il ragionier Porcu, padre di Felix).
C'era anche una terza ragione per cui l'Aristocrazia Nera aveva contattato il Semenzana, ma su questo argomento, che ci porterebbe agli Iniziati, è opportuno, per il momento, non aggiungere altro.

Il Condirettore del Palazzo era ovviamente Massimo Braghiri, figlio di Michele e Ida, marito di Elisabetta e padre di Vittorio. Era il Leader della Fronda contro il clan Ricci-Orsini-Monterovere.
E proprio nel suo appartamento, dato che i Monterovere erano a Cervia (e uno di loro a Londra), si tenevano senza alcun timore le riunioni dei congiurati. 
Poco prima della festività di San Lorenzo, che in Romagna è particolarmente sentita e dà l'inizio ad una settimana di pazza gioia fino alle Feriae Augusti, Massimo Braghiri e suo figlio Vittorio ebbero come ospite Felix Porcu in persona, poiché i suoi erano già migrati a Valverde di Cesenatico, avendo già assolto al loro compito, e cioè mantenere il filo diretto con Antonietta Visconti, la madre di Aurora.

Per la Terza Madre, invece, quella era la prima riunione e la prima volta che entrava nel condominio dove gli appartamenti dei Monterovere e dei Braghiri si fronteggiavano, come i loro abitatori nella vita.
Quando anche Fiorella Prinsivalli prese posto "dalla parte del torto", il padrone di casa diede avvio alla seduta.
<<Allora, ci sono novità da Londra?>> chiese Massimo Braghiri.

<<Pessime>> rispose Felix <<Stando a quel che dice mia zia, sembra che Aurora sia entusiasta, lo ha detto persino il Visconte, che fino a un mese fa non voleva neanche sentir nominare i Monterovere e adesso scodinzola dietro di loro come un cagnolino ammaestrato. Io non capisco>>

<<Capisco io>> disse Massimo <<un cambiamento così verso i Monterovere si giustifica solo in un modo: Lorenzo ha dato la sua "benedizione" e i Visconti-Ordelaffi potranno trovare accoglienza presso certi ambienti ad altissimo livello>>

<<Ma allora siamo rovinati!>> sbottò Felix <<Come può una piccola congiura di provincia tener testa a questi pezzi grossi ad altissimo livello?>>

<<Abbiamo ancora due speranze>> dichiarò Vittorio Braghiri, il Candidato Alternativo, alzando la mano destra e facendo il segno V di vittoria.
<<La prima è che l'appoggio di Lorenzo sarà condizionato alla prova che Roberto darà di sé quando dovrà affrontare tutti noi. Sono molto selettivi, i suoi amici. 
Per essere cooptati non basta essere parenti di qualcuno: bisogna anche avere determinati requisiti, tra cui la capacità di resistere ad un accerchiamento. E noi gli stiamo preparando un accerchiamento molto maggiore di quanto possa aspettarsi.
La seconda speranza riguarda il fatto che, se anche Roberto dovesse superare vivo e sano i due anni di fuoco che lo attendono, non è detto che Lorenzo abbia una sola candidata al ruolo di futura moglie o amante di suo nipote. 
Anzi, è probabile che un uomo così astuto abbia un piano B che potrebbe persino rivelarsi preferibile a quello A.
La partita è ancora aperta, anzi, a dire il vero, non è nemmeno cominciata!>>

La Terza Madre, Fiorella Prinsivalli, aveva ascoltato tutto con grande attenzione e trepidazione, poiché era una vita che desiderava di recuperare influenza e credibilità, dopo che una gravidanza prematura, un matrimonio riparatore di basso rango e una lunghissima depressione post partum l'avevano esclusa da tutti i salotti e i circoli che contavano, persino quello della Canasta di Ginevra Orsini, vedova De Guvernatis, che fino all'ultimo aveva espresso alla figlia Elisabetta la sua perplessità nei confronti di quella "pazza furiosa e isterica, che a quindici anni sembrava una cagna in calore e adesso si mette a fare la moralista".
L'anziana Ginevra, infatti, era comunque una Orsini, e sapeva essere obiettiva nel valutare le persone, comprese le amiche di sua figlia (e detto tra noi, conosceva bene anche i limiti della figlia, perché delle due gemelle che aveva avuto, preferiva di gran lunga Anna, la moglie del Sommo Poeta. Ginevra diceva "la mia Anna", ma riguardo ad Elisabetta non usava alcun aggettivo possessivo).

Eppure, alla fine, Ginevra Orsini De Benedictis dovette cedere, e il Circolo della Canasta riaprì le porte a Fiorella Prinsivalli.

 Quest'ultima le aveva varcate trionfalmente, dopo aver spedito il marito e il figlio al mare nel loro puzzolente bugigattolo, in un brutto cubo di cemento a Lido Adriano, ennesima località marittima costruita con denaro di dubbia origine, e definito da lei stessa 
"uno dei luoghi più squallidi e deprimenti del pianeta Terra, anzi, di tutto l'universo".  

Se mai, per somma sfiga, questo scritto dovesse essere letto da qualcuno che ha una buona opinione di Lido Adriano, teniamo a precisare che riportiamo qui le opinioni discutibili e prevenute di una persona che visitò quel luogo trent'anni fa, nel 1991.
All'epoca la sua fama era questa, ma oggi è molto cambiata.
Il sarcasmo con cui Roberto riferì la sua impressione riguardo a quel luogo va preso con cautela, dal momento che per lui il viaggio a Lido Adriano fu l'inizio di una serie di disgrazie connesse alla famiglia Prinsivalli-Panza.













L'anno precedente, infatti, Roberto Monterovere, preso da un immotivato spirito di amicizia e di azione, era andato a trovare Alex Panza e famiglia proprio nel suddetto locus horridus, con un viaggio in corriera che era stato deprimente già di per sé.

Prima di riferirci i punti salienti di quella visita, Roberto ci disse: 
"Io ero sinceramente amico di Alessandro Panza, un ragazzo intelligente e cordiale, che mi invitò spesso a casa sua, non solo a Forlì al mare, d'estate, in una località un po' fuori mano. 
Io riuscii a trovarlo, e sua madre mi parve contenta di quella mia prova di amicizia,  eppure già da allora, come in seguito venni a sapere, meditava di pugnalarmi alla schiena".
Chiariamo subito che si trattava di una pugnalata metaforica, ma quel tradimento, per il tempo, il luogo e il modo in cui si realizzò, fu quello che fece più male a Roberto, e che continuò a tormentarlo con incubi ricorrenti.
Forse è per esorcizzare tali incubi che cercò di vedere il lato comico di tutta quella situazione.

Il pullman aveva lasciato la via Adriatica per inoltrarsi in una mulattiera, di nome Via Bonifica, che percorreva una "terra di nessuno", bonificata dai Fratelli Monterovere, ma con un terreno così sabbioso e salino da risultare poco adatto all'agricoltura.

Quelle zone, che fino a pochi anni prima erano ricoperte da una delle tante lagune salmastre che circondavano Ravenna, apparivano come una landa desolata in mezzo al nulla.





Ai margini del Lido, molte case erano ancora invendute, altre già abbandonate. Sopravvivevano solo i palazzoni, le erbacce e qualche pino marittimo (Pinus Pinaster)







La Via Bonifica sprofondava a causa delle voragini causate dal bradisismo e dalla subsidenza.

Ma, niente paura! I mitici Fratelli Monterovere, avevano una soluzione per tutto, e infatti si erano aggiudicati l'appalto l'apporto di nuove terre dalle loro cave, sia per la messa in sicurezza della Via Bonifica, sia per l'arricchimento biologico della Landa e per la costruzione di canali di irrigazione che utilizzavano acqua dolce proveniente da Fosso Ghiaia dove possedevano un'infinità di cave, molti pozzi e un bacino idraulico.
Precisiamo che si tratta di dati risalenti al 1991, e che quindi non hanno nulla a che vedere con la situazione attuale.
Tutta l'acqua che mancava a Lido Adriano si trovava nel Bacino Idraulico di Fosso Ghiaia, di cui i Fratelli Monterovere erano soci di maggioranza.
Le conseguenze erano facili da immaginare: l'Azienda Monterovere vendeva l'acqua dolce come se fosse petrolio, e con la storia dell'arricchimento biologico della Landa, erano riusciti a risolvere un annoso problema.
Tutti i liquami e gli scarichi delle bonifiche erano stati fatti passare per concimi biologici.
Nel frattempo le macchine escavatrici si erano messe al lavoro e la zona si era riempita di canali ghiaiosi in mezzo al deserto.





















Precisiamo che di tutto questo Roberto Monterovere non sapeva nulla, poiché suo nonno e i suoi prozii e altri parenti avevano tenuto nascosta ogni cosa a suo padre.

L'unico indizio che Roberto vide furono le Idrovore realizzate dai Fratelli Monterovere.
Ma quelle erano ovunque, nel ravennate, per cui non diede importanza al fatto.




Fiorella Prinsivalli, al contrario, sapeva tutto sui Monterovere.

 Ogni maledetta domenica e ogni maledetta estateper diciassette anni, suo marito l'aveva obbligata a "rilassarsi" (ossia annoiarsi a morte) a Lido Adriano.

Ad ogni viaggio, settimana dopo settimana, Fiorella aveva visto le idrovore moltiplicarsi come funghi, i canali di irrigazione sventrare quella parte di Landa che non era stata già occupata dai canali di bonifica, e intanto la Bolletta del Consorzio di Bonifica lievitava, a causa del latrocinio dei Monterovere.

E come se non bastasse, l'unico acquedotto esistente all'epoca, recuperava "ecologicamente", acqua degli impianti di desalinizzazione e dei depuratori che i Monterovere avevano costruito su commissione della municipalizzata per rendere pulita anche se non potabile, l'acqua recuperata dalle idrovore. 
La Regione e gli altri Enti, in cui Edoardo Monterovere era Assessore o Consgliere, incensato da tutti, compresi i Verdi, per la sua "sensibilità ecologica", dovevano inevitabilmente reperire nuovi fondi, per finanziare quelle infrastrutture all'avanguardia, e dunque, nelle bollette dell'acqua, vi era una maggiorazione, che andava direttamente nelle tasche dell'Azienda Monterovere, per remunerare le sue miracolose opere.
E tutto questo per avere in cambio nei rubinetti un'acqua giallastra e fetida, che risultava ancora più nauseabonda in quel loro claustrofobico bilocale acquistato con grandi sacrifici e grazie a un mutuo trentennale, con tassi da usura; un buco umido/afoso a seconda della stagione, dove ci si pestava i piedi a vicenda, condividendo in tre un orribile bagnetto dalle piastrelle giallo/marroni che sembravano sporche e puzzolenti anche dopo averle pulite col Cif, dai sanitari (senza bidet) screpolati, dello stesso colore delle piastrelle, con tubature e rubinetti provenivano esalazioni mefitiche.
L'acqua della doccia, altrettanto gialla e sulfurea, finiva per lo più direttamente nel wc, o altrimenti seguiva un piano inclinato che la portava a tracimare verso la camera da letto.

Roberto stesso ci disse: "Sarebbe meschino da parte mia deridere chi si trova in condizioni di degrado, però capisco le esigenze di chi, dovendo scrivere un romanzo, ha bisogno di alleggerire un po' il discorso cercando di descrivere le cose in maniera grottesca. 
Io sono schizzinoso e credetemi se vi dico che quel giorno dovetti lottare contro i conati di vomito.  Immaginatevi, adesso, che cosa può aver provato Fiorella Prinsivalli, dopo aver trascorso diciassette estati in quella galera, quando venne a sapere che un Monterovere avrebbe trascorso due settimane in una suite del Savoy di Londra spesato da una fidanzata più ricca di tutti i Fratelli Monterovere messi insieme.
Avrei dovuto capirlo prima, e farle sapere almeno che mio padre non c'entrava nulla con gli abusi dell'Azienda Monterovere, da cui noi non avevamo mai accettato un centesimo, proprio per rimanere estranei alla gestione opaca di mio nonno e dei suoi fratelli e sorelle>>

Ma si sa: del senno di poi son piene le fosse.

Precisiamo ancora una volta che tali ricordi di Roberto  risalgono a trent'anni fa e che adesso invece avere un appartamento a Lido potrebbe essere come avere una villa a Santa Barbara come i Duchi di Sussex, o a Malibù come i divi di Hollywood. Più o meno.









Ogni volta che i Panza, nella loro scalcagnata Fiat Duna, impiegavano ore per raggiungere quel luogo dimenticato da Dio, ma non dai Fratelli Monterovere, la Terza Madre si rodeva il fegato, per ciascun nuovo cantiere su cui i suddetti Fratelli piantavano bandiera!

Loro però, i Monterovere, in vacanza, se ne stavano da tutt'altra parte, in una villa in cima a una collina artificiale, con fontane, laghetti, piscine, gazebo, verande, pergole "e via andare".
E anche quella era frutto dell'eredità di un personaggio ancora più spregiudicato di Romano Monterovere, ossia il cavalier Ettore Ricci, di cui Fiorella Prinsivalli, nobili genere nata, ma caduta in disgrazia, conosceva le "imprese".

Era solo una quindicenne nei guai quando seppe delle nozze di Silvia Ricci-Orsini con Francesco Monterovere, e li vide uscire da San Mercuriale tra chicchi di riso, voli di colombe e lanci di bouqué, e anche lei sentì la gente livida d'invidia commentare: 
"Piove sempre sul bagnato. Quelle due canaglie di Ettore Ricci e Romano Monterovere, facendo sposare i loro eredi, si sono proprio spartiti tutta la torta: ai Ricci-Orsini le terre e le case, ai Monterovere le acque. 
Se gli sposini faranno un figlio cosa succederà? 
Metterà su un inceneritore dietro casa nostra? Darà fuoco alle pinete?".

Ecco, questa è la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che l'invidia e l'odio spesso vanno a braccetto.
Ma l'odio ha anche altre origini, forse più nobili, ma mai e poi mai giustificabili.
L'odio può derivare dal dolore, dall'umiliazione, dal senso di ingiustizia, dall'impressione che i pezzi grossi l'abbiano sempre vinta, perché, come cantava il compianto maestro Battiato, "si sentono potenti e gli va bene / quello che fanno e tutto gli appartiene".

Roberto però non sapeva proprio niente di tutto questo, non avendo alcun rapporto con suo nonno Romano e considerando invece l'altro nonno, Ettore, un martire, vittima di una congiura.
Possibile che fosse così ingenuo? Stentiamo a crederlo, ma lo stesso Lorenzo ci ha detto:
<<Mio nipote viveva in un mondo immaginario, tra le nuvole, proprio come suo padre. Ma a differenza di mio fratello, Roberto aveva un'incredibile capacità di mettersi nei guai>>

E così, in quel giorno dell'agosto del 1991, l'unico erede maschio della famiglia Monterovere, era andato fin laggiù, in un giorno torrido, facendosi tutta la Via Bonifica in corriera, a 40 gradi celsius, per andare a trovare il suo compagno e amico Alex Panza, in segno di amicizia e di stima.

Per un attimo Fiorella Prinsivalli credette di avere le allucinazioni. Era certamente un miraggio, dovuto alla canicola, ma poi aveva visto, per una frazione di secondo, le buone intenzioni di Roberto, l'innocenza della sua faccia pulita, ancora dolce e imberbe, e la sua gentilezza spontanea, e il grande rispetto che mostrava verso suo figlio e verso di lei.

Per quell'attimo, quel solo, unico e irripetibile istante, la Terza Madre fu colta da un dubbio:
"E se mi sbagliassi, sul suo conto? Se lui davvero non c'entrasse niente con le malefatte delle famiglie dei suoi genitori?"
Ma quel dubbio durò solo un momento.
Fiorella Prinsivalli si riscosse e si rimproverò.
"Ma che diavolo pensi, stupida sciocca? Quello che hai davanti è il primo nemico nel milione di pianeti!"
Pensò proprio questo: nel "lessico famigliare" dei Pansa il "milione di pianeti" era l'Impero Galattico, di cui suo figlio Alex, grande appassionato di fantascienza e di Guerre Stellari, le parlava in continuazione.
Lei ormai, constatato che suo figlio non sarebbe diventato un secondo Alessandro Magno, aveva comunque un'aspirazione più realistica, ossia che diventasse un ingegnere, ragion per cui non si opponeva all'aspetto "nerd" degli interessi di Alex: computer, scienza, fantascienza, astrofisica, nuove tecnologie, simulatori di volo, videogiochi "intelligenti" e cose simili.
Alla fine, a furia di sentirlo parlare dell'Impero Galattico e del Milione di Pianeti (che poi in realtà l'espressione era di Frank Herbert, non di George Lucas, ma queste sono raffinatezze comprensibili solo tra appassionati di letture fantascientifiche topiche alla Isaac Asimov e distopiche alla Philip Dick).
Eccolo lì dunque, il giovane Skywalker pronto a passare al Lato Oscuro, proprio come suo padre, Lord Darth Vader, braccio destro dell'Imperatore!
Questo era Roberto ai suoi occhi, anche se quel giorno si limitò ad osservarlo con sospetto, cercando di coglierlo in fallo, di trovare in lui una traccia della tracotanza dei Monterovere.
E invece niente.
Ma questo ragazzino, che adesso sembra così innocente, un giorno diventerà peggio dei suoi antenati. Meglio eliminarli quando ancora non hanno avuto tempo e modo di far danni.
Se avessero ucciso Hitler quando era adolescente...
E con pensieri deliranti di questo tipo, la Terza Madre sistemava una volta per tutte, e senza rimorso, quel poco che restava della sua coscienza.

Ma forse l'odio di Fiorella Prinsivalli si sarebbe potuto arginare se non fossero stati commessi, in serie, alcuni errori di superficialità, un peccato che può costare la testa, quando si ha a che fare con i pazzi.

Il primo errore di Roberto fu quello di invitare i Panza a ricambiare la visita, come ospiti dei Monterovere a cena, nella loro residenza di Cervia, presso il famoso Ricci Compound.
Un errore grossolano, perché i Panza, fatti gli inevitabili paragoni, rimasero indignati nel vedere cosa significava concretamente essere nipoti, nel contempo, di Ettore Ricci e Diana Orsini, di Romano Monterovere e della compianta Giulia Lanni, la figlia del Profeta delle Acque, l'ingegner Francesco Lanni, l'ideatore del CER e della Diga di Ridracoli, l'uomo che miracolosamente, quasi come in un ossimoro, aveva nel contempo bonificato e irrigato la terra con il Cer, e creato, con la Diga, un acquedotto di acqua potabile che riforniva mezza Romagna.





Era troppo per Fiorella Prinsivalli!
Certo, lei era nata da un'illustre famiglia, ma si era fatta mettere incinta a quindici anni da uno sbandato, che per giunta l'aveva convinta a tenere il bambino e l'aveva pure sposata, costringendola a una vita di m...
Quella villa era (non per colpa dei Monterovere, ma lei non poteva saperlo) un'ostentazione pacchiana da arricchiti, come quel ruscello artificiale.
E quella cena di Trimalcione era stata un affronto a lei, sì, a lei in persona, Fiorella Prinsivalli, la quale per tutta la sera giurò a se stessa che avrebbe trovato un modo per farla pagare a quella famiglia spregevole, colpendola laddove tutti i membri del clan Ricci-Orsini-Monterovere avevano riposto le loro speranze: il giovane Roberto, amico di suo figlio Alex.
La Terza Madre giurò a se stessa che avrebbe annientato quel principino ereditario dalla finta faccia di bravo ragazzo.
E Roberto avrebbe dovuto capirlo, quando, invece di una bottiglia di vino, la signora Prinsivalli aveva regalato agli anfitrioni una copia economica di  "Umiliati e offesi" di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.

Un anno dopo, l'Affaire du Savoy le aveva finalmente fornito il pretesto ufficiale per passare dalla parte della Fronda senza sembrare una traditrice.

E qui torniamo all'8 agosto 1992, consapevoli del perché lei era lì, a "Palazzo Monterovere", ospite del Clan Braghiri-De Gubernatis ed alleata del Clan Porcu-Tartaglia, ad ascoltare i piani dei Congiurati.

Era venuto il momento di dire la sua:
<<Dobbiamo portare dalla nostra parte anche le altre famiglie dei compagni di classe. Non sarà difficile, dal momento che nessuno ama i secchioni>>

Vittorio Braghiri, che, al contrario di suo padre e di suo nonno, aveva nel sangue la supponenza degli Orsini e dei De Benedictis, dichiarò:
<<E' vero, nessuno ama i secchioni, ma allora come mai suo figlio Alex tiene tanto a diventare il Primo della Classe?>>

La Terza Madre prese l'appunto mentale di far pagare, un giorno, anche a quel fighetto di Vittorio Braghiri, le sue maledette frecciatine, ma non era ancora il momento, perché le guerre non si combattono mai su troppi fronti:

<<E' quello che i Monterovere vogliono far credere. Il mio Alex prende bei voti perché è intelligente e apprende con grande rapidità, ma non è un secchione. Non è uno che studia sei ore al giorno, come Roberto>>
E qui intervenne Felix Porcu:
<<Magari studiasse ancora sei ore al giorno! Adesso, da quanto ho capito, lui e mia cugina si fanno certi lavoretti a vicenda, di notte, e poi di giorno se ne stanno al centro benessere, a fare amicizia con i rampolli della nobiltà inglese. Mia zia ha detto che hanno conosciuto persino un Duca la cui fidanzata è una specie di cugina della Principessa del Galles! Ma vi rendete conto?>>

Questo era troppo. la Terza Madre ne fece un caso personale:
<<Stavolta hanno fatto il passo più lungo della gamba, quei montanari e contadini rifatti!
Dobbiamo trovare un soprannome per Roberto, qualcosa che metta in ridicolo ciò che sta facendo, la persona che sta diventando. Per esempio, se come dice Felix lui e Aurora si fanno i "lavoretti" a vicenda, potrebbe voler dire che lui non è in grado di portare a termine un rapporto completo, e che quindi deve ripiegare su qualcos'altro. Ma non dobbiamo essere volgari, voglio dire, non possiamo chiamarlo, che ne so, "il Segaiolo", è banale ed è volgare, no bisogna trovare qualcosa che renda l'idea, ma utilizzi termini più originali e altisonanti in tema di erotismo. La stessa Bibbia, quando condanna l'onanismo...>>
E qui Porcu sgranò gli occhi:
<<Cosa?>>
La Terza Madre fulminò con gli occhi quel rozzo ignorante con cui, suo malgrado, era costretta a collaborare:
<<E' un termine che indica l'autoerotismo maschile. Dio condanna Onan perché...>>
Porcu ebbe l'illuminazione:
<<Ho il soprannome! E' geniale, degno di me! Onan il Barbaro! Sono o non sono un genio?>>
Non lo era e tutti lo sapevano, ma quella storia del Barbaro poteva funzionare.
Vittorio Braghiri, che era un ammiratore di Schwarzenegger e aveva visto i due film con protagonista Conan il Barbaro, annuì con vigore.
Sorrise, e poi disse:
<<Può funzionare. Faremo girare il soprannome, dicendo che con le donne fa cilecca e quindi gli resta la soluzione di Onan il Barbaro. 
Credo che la cosa lo ferirà profondamente, perché ha un problema a livello fisico: eravamo confidenti una volta, e mi raccontò che nonostante avesse fatto un primo intervento, doloroso e senza anestesia, da bambino, per staccare la pelle del prepuzio dal glande, il frenulo è rimasto corto, e quindi in caso di rapporto sessuale completo rischierebbe di rompersi, con forti dolori ed emorragie. Non mi risulta che abbia mai fatto l'intervento risolutivo, la circoncisione.
Lui ha paura degli interventi chirurgici e sua madre, che potrebbe anche non saperlo, in ogni caso non vuole che lui si metta nei guai seminando figli in giro>>
La Prinsivalli segnò mentalmente anche questo. Lei almeno suo figlio l'aveva tenuto! Tutti le avevano promesso il massimo sostegno se avesse fatto la scelta giusta per il bambino, ma poi l'avevano abbandonata e trattata come una lebbrosa. Avrebbero pagato, tutti, uno dopo l'altro, compreso Vittorio.
Mentre pensava questo, ci fu l'inevitabile domanda buffonesca di Felix Porcu:
<<Cioè, insomma... se ho ben capito... gli è successo, tipo, di aver avuto un tumore al cazzo che gli è rimasto corto? Dico bene?>>
Ci fu qualche sorrisino di commiserazione, fino a che Vittorio non riuscì a spiegare, con terminologia meno specialistica, il significato delle varie parole anatomiche e patologiche da lui usato.
Con grande vergogna, allora, Felix realizzò che anche lui aveva la fimosi, e la sua era serrata, oltre tutto, e che se voleva darsi da fare, doveva operarsi, e non ne aveva alcuna voglia.
Sfogò la sua frustrazione incolpando Roberto di aver rovinato il suo senso di trionfo permettendosi di avere il suo stesso problema e di averlo aggirato facendosi fare "lavoretti" proprio da sua cugina!
L'avrebbe evirato, per aver osato tanto!

Nel frattempo la Terza Madre si compiacque, come se, per la prima volta da diciassette anni, Dio in persona fosse tornato dalla sua parte, condannando la dinastia Monterovere a estinguersi alla terza generazione con un ragazzo vergine e sterile, come era successo ai Tudor con Edoardo VI.
D'accordo, forse il paragone con i Tudor se l'è inventato Roberto, ma ogni storia, bella o brutta che sia, merita un po' di infiorettatura.

Vergine, sterile, ma pervertito e schiavo di una pervertita, che lo ricompensava col suo denaro per gli squallidi ditalini che lei, Fiorella Prinsivalli, aveva il buon gusto di farsi da sola, visto che ormai, di suo marito, le facevano ribrezzo persino le mani.
E tutto il mondo doveva saperlo:
<<Ottimo! Dirò ad Alex di mettere in giro il soprannome, quando riapriranno le scuole.
Nel giro di una settimana lo saprà tutto il Liceo e nel giro di un mese lo saprà tutta Forlì, compreso il salotto culturale di Silvia Ricci-Orsini Monterovere!>> e guardò con odio la porta, oltre la quale c'era un pianerottolo in marmo che dava sull'appartamento dove quel Salotto Culturale aveva la sua sede, e riceveva ogni sabato sera l'elite e l'intellighenzia della città, a Palazzo Monterovere, quella sconcia replica mignon di Versailles che presto avrebbe fatto la fine dell'originale.

Massimo Braghiri, il padrone di casa, aveva ascoltato con scetticismo e mantenuto con un certo distacco: in fondo quella era solo una ragazzata, mentre lui era abituato a passare alle vie di fatto.
Ora però c'erano gli Iniziati a fare da arbitri, e sua zia Iole, la strega della palude, gli aveva fatto sapere che la Prova del Dolore, a cui il giovane Monterovere stava per essere sottoposto, aveva delle regole ben precise, oltre le quali sarebbe intervenuto un membro eminente del Consiglio Ristretto.
Se solo avesse potuto sapere qual era il piano degli Iniziati, il loro Grande Disegno!
Che cosa nascondevano? Perché avevano affidato tanto potere a Lorenzo Monterovere, il Filosofo Metafisico?
Tutto ruotava intorno a quelle domande a cui lui sapeva che nemmeno le sorelle di sua madre, le sacerdotesse delle paludi, avrebbero risposto, perché quelle risposte facevano parte dei Misteri che soltanto un Iniziato poteva conoscere, e non poteva rivelare nemmeno ai parenti più stretti, pena la morte, "e non sarebbe una morte piacevole" gli aveva assicurato la Grande Sacerdotessa.







Cosa succede?
cosa succede in città?
C'è qualche cosa,
qualcosa che non va!
Guarda lì, guarda là
che confusione...
Guarda lì, guarda là
...che maleducazione!
Cosa succede,
cosa succede in città?
c'è qualche cosa,
qualcosa che non va...