martedì 20 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 127. Fulsere quondam candidi tibi soles


Roberto Monterovere, in tutta la sua vita, non pronunciò mai la frase "Sto bene", nemmeno nei momenti più felici.
E questo non tanto, o non solo, perché c'era quasi sempre qualche problema che gli procurava disagio, ma anche e soprattutto per motivi scaramantici: una simile frase infatti, a suo parere, poteva scatenare l'invidia degli uomini e degli dei.
Per non parlare poi della frase: "Andrà tutto bene". che, come è noto, nei film viene detta dal personaggio che morirà per primo, quasi sempre in maniera atroce.
E comunque è un dato di fatto che quelle due frasi portino una sfiga tremenda, e tutti ne sono consapevoli, anche nel Ducato della Romagna Centrale, compreso Roberto Monterovere, il quale, pur essendo incline a dubitare di tutto, di una sola cosa non dubitò mai e cioè dell'esistenza della Sfiga come principio ontologico e parte integrante dell'entropia che opera nell'universo.

La scaramanzia era una tradizione di famiglia: il massimo che i Ricci-Orsini-Monterovere potevano concedere era un "non c'è male", pronunciato con così scarsa convinzione da dare l'idea che invece le cose andassero malissimo.
Quando poi le cose incominciarono ad andare male sul serio, nonostante tutte le precauzioni e gli scongiuri, la risposta standard alle domande del tipo: "Come va?", divenne invariabilmente un "si tira a campare" di sapore decisamente andreottiano,
Queste abitudini scaramantiche, molto diffuse nelle campagne, potevano essere considerate quasi uno stile di vita, sintetizzato molto efficacemente da un colorito proverbio napoletano:
"Chiagni e fotti".

E così, anche in quello splendido agosto del 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto cercò di tenere per sé la propria gioia, quasi fosse un peccato mortale.

Persino adesso, quando ormai sono passati tre decenni da quel periodo, Roberto è reticente a parlare di gioia, e chiama in causa Francesca da Rimini e Dante Alighieri.
"Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria"





Oppure si identifica con Catullo, disperato per la fine della relazione con Lesbia, alias Clodia Pulchra:

"Fulsere quondam candidi tibi soles..." "...desinas ineptire, et quod vides perisse, perditum ducas"

Splendettero per te, un tempo, giorni scintillanti... [ma ora] ...smetti di vaneggiare, e ciò che vedi essere perduto, consideralo perduto per sempre.






L'altra frase che tende a ripetere sempre più spesso, come per sminuire la gioia autentica e profonda di quei giorni, è poi diventata uno dei suoi cavalli di battaglia:

<<Il ricordo della felicità non è più felicità, ma il ricordo del dolore è ancora dolore>>

E chi potrebbe dargli torto, in tutta onestà?
Questo era ed è il suo atteggiamento mentale, disilluso, scettico e disincantato, quando gli si chiede di raccontare le gioie della sua giovinezza.
Molti però sospettano che ancora si avvalga della strategia del "chiagni e fotti", reputandolo un uomo ozioso, pigro e ingordo, dagli appetiti insaziabili, a cui i piaceri non bastano mai, un vizioso "nella cui pancia ci sono tutti e sette i peccati capitali".

Ma soprattutto lo considerano un uomo finito, "interminabilmente sopravvissuto a se stesso".

Ed ecco che allora lui, per reazione, si riscuote e il suo eloquio prende il volo, come un'aquila, librandosi nei cieli, e poi,  atteggiandosi a novello Zarathustra assume un tono solenne e si esprime come un oracolo:

<<Sono sopravvissuto, sì, ma non a me stesso: io sono sopravvissuto a mille battaglie, tra cui, lo ammetto, molte sconfitte e poche vittorie inutili, ma questo soltanto perché, poeticamente, amo le cause perse, specialmente quando sono perse davvero.

Però io sono sempre sopravvissuto, e se volete conoscere l'arte della sopravvivenza, ascoltate ciò che vi dico: spesso sopravvivere si può, persino quando le ferite sono state gravi e profonde, ma è necessario avere almeno una valida, importante, percepibile e plausibile ragione di vita.

Sì, io confesso che ho vissuto e il tempo è fuggito così velocemente che il mio animo non è riuscito ad invecchiare. 
Eppure una cosa ho compreso: il saggio ricorda tutto, perdona molto e poi passa oltre, proseguendo per la propria strada.

E così io proseguo, come un cavaliere errante, in una terra desolata, in un mondo senza speranza.
Eppure è bello contemplare i papaveri sull'orlo della scarpata...

Io sono un uomo del secolo scorso, e forse il mio tempo è finito, ma non è finito il mio impegno di essere testimone trasparente e cronista fedele della Storia.

Io sono un rudere pieno di crepe, e non le nascondo, perché c'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.




In tempi remoti di sogni si nutriva il mondo,
ma ora boschi d'Arcadia sono morti.
Eppure la fantasia resta un diritto umano.
Continuate a sognare, perché anche questo è verità.

E ora che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l'ho studiato, senza saperne nulla.
Ma vi sono ancora ragioni di vita, prima tra tutte la curiosità dell'avvenire.

Per questo io vi dico che i tempi sono maturi per un evento fin troppo atteso.
Tarda è l'ora, un sole tramonta e un altro presto sorgerà.
Per questo io attendo, e per questo sarò ricompensato.

Presto verranno i giorni del Maestro, e saranno benedetti, poiché il Maestro ha atteso più di chiunque altro>>




Ora i lettori si chiederanno cosa possano significare quelle oscure parole, che sembrano i vaneggiamenti di un pazzo o di un licantropo che abbaia alla luna. 
A tempo debito tutto sarà spiegato.
Ma c'è anche un'altra domanda, ossia com'è stato possibile che l'ingenuo diciassettenne entusiasta diventasse un solenne, folle ed enigmatico Predicatore, i cui occhi hanno visto sin troppe cose?
La risposta a tutto è una sola: continuate a leggere questa narrazione e lo saprete, ma non subito.
Torniamo dunque agli eventi mirabili e terribili che avvennero trent'anni fa.

Nell'agosto 1992, a Londra, al Savoy, con Aurora, Roberto era felice.
Nel secondo giorno di vacanza, decisero di rilassarsi nell'area Pool and Spa dell'Hotel.

L'impostazione delle piscine del Savoy era come quella delle terme romane, unita alla tecnologia moderna e alle attuali conoscenze mediche.
C'erano un calidarium, un tepidarium e un frigidarium.

Il calidarium era una piscina di medio/piccole dimensioni, vicino alle palestre, con acqua salsobromoiodica a temperatura elevata, e forti getti idromassaggio.





Il tepidarium era una piscina più grande, con acqua tiepida, e senza idromassaggio. 
Quando si usciva dalla piscina, gli inservienti portavano subito un accappatoio caldo con cui avvolgersi, e poi invitavano gli ospiti a sdraiarsi sui lettini.





Per chi volesse proprio esercitarsi col nuoto c'era la piscina grande con acqua fresca.




Quando Roberto vide queste tre piscine, gli venne in mente non tanto il modello delle terme romane, ma quello della Villa Adriana, a Tivoli, dove era stato in gita scolastica.
L'enorme parco della Villa presentava vari bacini d'acqua simili a piscine, tra cui i più importanti erano il Canòpo e il Pecile.

Il Canopo era indubbiamente il più bello, con il colonnato di cariatidi da un lato e il Serapeo dall'altro, per quanto il suo nome derivasse dal ricordo di un evento tragico.
L'imperatore Adriano e il suo favorito Antinoo, durante un viaggio in Oriente, si erano fermati per un po' di tempo ad Alessandria d'Egitto, dove avevano osato aprire il sarcofago di Alessandro Magno, il cui corpo era stato imbalsamato, per poter guardare in faccia quel grande re e condottiero.

Ma così facendo avevano violato un antichissimo precetto romano, risalente alle leggi delle XII tavole: Deorum Manium iura sancta sunto: siano sacri i diritti degli dei Mani, ossia dei defunti. 
Foscolo pone questa frase in epigrafe al carme de i Sepolcri.
Inoltre, anche Virgilio ci ricorda un dovere morale, nel terzo libro dell'Eneide, al verso 41, ossia il "Parce sepulto", l'avere rispetto e pietà per i defunti.
In generale valeva il proverbio: "De mortuis nihil nisi bonum". Riguardo ai morti non si dica nient'altro se non il bene.
Per uno storico è quasi impossibile rispettare queste leggi, per cui è giustificato, entro certi limiti, a esprimere il proprio parere.
Ma la violazione di questi precetti da parte di chiunque altro è nefasta, e questo presagio spinse Adriano e Antinoo a far visita ad una veggente, che si trovava nella città di Canopo, alla foce del ramo più occidentale del Nilo, detto anch'esso Canopo o Ramo canopico. 

Purtroppo, come ci racconta Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, il responso dell'oracolo fu infausto. Non c'era più niente da fare.
E la veggente aveva ragione, poiché il bellissimo Antinoo dai riccioli d'oro morì poco tempo dopo, giovanissimo, annegato nelle acque del Nilo.








Mentre Roberto, disteso sul lettino, raccontava ad Aurora questa storia, ecco che fece il suo ingresso il Duca di Ravensbourne, per quanto, sul momento, sia Aurora che Roberto lo avessero scambiato per una ragazza.
Se non fosse stato per l'assenza dei seni, sarebbe anche potuto essere una fanciulla, ma come giovane uomo era poco credibile.
Perfino l'imperatore Adriano lo avrebbe considerato troppo effeminato per i suoi gusti.
I lunghi capelli biondi e ondulati gli arrivavano fino alle spalle, il volto era femminile.
Portava una camicia bianca aperta sul petto glabro.




Il suo sguardo era quello di chi è consapevole del proprio rango, del proprio prestigio e della propria ricchezza, ma c'era anche una vena di tristezza, o forse di noia, e un atteggiamento languido e vagamente lascivo.

Nonostante ci fossero molti sdrai liberi, si sedette vicino ad Aurora, la quale, infastidita, cambiò lettino, andando in quello alla destra di Roberto.

Il Duca, sorpreso, si sentì in dovere di scusarsi e lo fece con voce flautata, in un italiano perfetto e senza inflessioni:
<<Mi dispiace di aver violato la vostra privacy. Il fatto è che ho saputo che siete italiani, ed io sono per metà italiano, per parte di madre, e nella fattispecie lombardo: mia madre si chiama Elena Borromeo ed è imparentata con l'antica famiglia>>

Roberto, che da sempre provava una certa soggezione verso quelli che lui chiamava "i nobili veri", ossia con quattro quarti di nobiltà, e in particolare coloro che detenevano un titolo elevato, si sentì in dovere di scusarsi a sua volta:
<<Ci perdoni, Lord Ravensbourne, ma io e la mia fidanzata, in effetti, amiamo molto la privacy, ma in questo caso faremo volentieri un'eccezione>>

Il volto del Duca si illuminò:
<<Ne sono felice! Ma vi prego, chiamiamoci per nome e diamoci del tu: io sono Waldemar>>
Roberto guardò Aurora, la quale non pareva affatto contenta di quell'intrusione, e poi rispose:
<<Io sono Roberto e lei è la mia fidanzata Aurora>>
Si scambiarono una stretta di mano: quella di Waldemar apparve debole, ma calda.
<<Fidanzati ufficialmente? Così giovani?>>
Roberto e Aurora si guardarono di nuovo in faccia e si sorrisero a vicenda:
<<L'amore non ha età. Ma ci sposeremo soltanto dopo aver finito gli studi universitari. Tu sei studente all'università?>>
<<Ho appena ottenuto il Bachelor in storia dell'arte e storia delle religioni, a Oxford. 
Sono stato anche sei mesi a Bologna, per l'Erasmus. Intendo continuare lo studio di queste materie fino al Master e poi mi piacerebbe fare il Dottorato a Bologna. Voi siete di quelle parti, mi pare di capire dal vostro accento>>
Aurora e Roberto si scambiarono, per la terza volta, uno sguardo tra l'allarmato e il divertito.
Fu lei a rispondere:
<<Siamo di Forlì, in Emilia-Romagna, a settanta chilometri da Bologna. E tu come mai sei qui, d'agosto, e non in qualche isola greca a festeggiare la laurea?>>
Waldemar si rabbuiò:
<<Purtroppo, da quanto mio padre è morto improvvisamente d'infarto a giugno, devo occuparmi di persona degli affari di famiglia, specie in questo periodo in cui la sterlina, come del resto anche la lira italiana, sotto sotto attacco dello speculatore George Soros, detto "lo Squalo">>
Roberto ne aveva sentito parlare:
<<L'Italia è messa molto peggio del Regno Unito. La lira dovrà uscire dal sistema monetario dei cambi fissi. La Banca d'Italia non può continuare a vendere le sue riserve auree per comprare titoli in lire ed evitare la svalutazione. Soros è troppo potente, molto più del governatore Ciampi>>
Waldemar mostrò ammirazione per il fatto che Roberto, per quanto adolescente, fosse preparato su un argomento che per lui era piuttosto ostico:
<<E' proprio come tu dici, ma credimi, anche la sterlina non è mai stata così debole. 
E' un anno terribile per la Gran Bretagna. Domani dovrò incontrare i soci di mio padre, per prendere decisioni rischiose, ma mi fido del suo più caro amico, sir Alfred Burke-Roche>>
Aurora e Roberto si guardarono in faccia per la quarta volta, e il loro sguardo era decisamente preoccupato, perché c'erano troppe "singolari coincidenze".
A parlare fu Roberto:
<<Burke-Roche? E' per caso parente della baronessa lady Ruth Fermoy, la nonna materna della Principessa di Galles>>
Il Duca sorrise:
<<Sì, certo, vedo che sei informato anche su questi dettagli. Credo che Alfred sia un nipote o un lontano cugino di lady Fermoy, ma purtroppo, di questi tempi, non è certo un vantaggio essere imparentati con Diana Spencer>>
A quel punto intervenne Aurora:
<<Tu da che parte stai? Dalla parte del Principe o da quella della Principessa?>>
Waldemar rise:
<<In generale è consigliabile non interferire in alcun modo con le dinamiche interne della Famiglia Reale, ma la fedeltà e la lealtà dei Ravensbourne vanno sempre alla Corona e quindi al Principe di Galles. 
Gli stessi membri della famiglia Burke-Roche hanno preso le distanze da lady Diana e dalla famiglia Spencer in generale. 
Persino la madre di Diana, lady Frances Shand-Kydd, si è ritirata dalla scena pubblica e si è convertita al Cattolicesimo ed ora si dedica esclusivamente ad opere di carità.
Adesso i Burke-Roche stanno puntando tutto su lady Jessica, la figlia di sir Alfred, che credo abbia la vostra età, più o meno>>
Roberto intervenne:
<<Abbiamo diciassette anni>>
Il giovane Duca annuì:
<<Allora siete suoi coetanei. E' una ragazza davvero brillante, e anche lei conosce l'italiano. 
Credo che sir Alfred gliel'abbia fatto studiare per favorire il nostro avvicinamento. 
Lei ha intenzione di studiare lettere classiche e anche storia delle religioni: è molto affascinata dal tema delle religioni esoteriche dell'antichità e delle loro sopravvivenze durante l'era cristiana.
Del resto, questo è anche il mio campo di studi, mi piacerebbe specializzarmi su questo argomento>>
Per l'ennesima volta Aurora e Roberto si guardarono in faccia, e questa volta non ebbero dubbi: quell'incontro non era affatto una coincidenza.
Roberto decise di arrivare subito al dunque:
<<Hai detto di aver fatto un Erasmus a Bologna. Per una singolare coincidenza, lì insegna anche mio zio, Lorenzo Monterovere, non so se...>>
Il viso di Waldemar divenne più splendente del sole:
<<Lorenzo! Ma certo! E' stato il mio mentore e mi seguirà lui quando farò il Dottorato. 
Ho letto tutti i suoi libri. E' un vero genio e un docente brillante, carismatico e di straordinaria cultura, non a caso è stato un allievo del grandissimo professor Franz Kranz, il Filosofo Metafisico, a sua volta allievo di Erich von Tomaten, l'autore dell'imprescindibile testo "Das tausendjaehrige Reich", l'Impero dei Mille Anni>>
Aurora non apparve per nulla entusiasta di tutto questo:
<<Lorenzo ha amici ovunque. E' quasi impossibile sfuggire al suo controllo>>
Il Duca parve non capire:
<<E perché mai dovrebbe controllarvi?>>
Roberto preferì tagliare corto:
<<E' una lunga storia, e questo non è il luogo adatto per parlarne. Ammesso che ve ne siano>>
Waldemar era molto incuriosito:
<<Sarei veramente lieto se una di queste sere mi faceste l'onore di essere miei ospiti a cena nella Royal Suite, potrei organizzare anche un incontro con lady Jessica Burke-Roche, che ammira l'Italia più di ogni altro paese, e la ama come solo uno straniero può amarla>>
Aurora era sempre meno contenta della piega che stava prendendo la conversazione:
<<Immagino che lady Jessica preferisca cenare da sola con te>>
Il Duca scosse il capo, amaramente, e la sua chioma riccioluta gli coprì per un attimo il viso:
<<No, non credo. Penso anzi che mi trovi noioso. Forse non sono il suo tipo, chissà. Ma se ci foste anche voi due, si divertirebbe molto di più>>
Roberto stava per accettare l'invito, ma Aurora intervenne:
<<Grazie, ci penseremo senz'altro e ti faremo sapere>>
Waldemar annuì, con quel sorriso lievemente imbronciato, come se, nonostante tutte le sue fortune, il suo cuore fosse gravato da un segreto inconfessabile, e forse più di uno.
Alla fine si congedò, si spogliò, e si tuffò in acqua.









sabato 17 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 126. Cenerentola al maschile e un altro Principe Azzurro.



L'atmosfera magica e raffinata del Savoy Hotel di Londra deriva dall'armonizzazione di due elementi molto diversi tra loro, ma entrambi presenti nella giusta misura, ossia l'estetica della Belle Epoque e il comfort del XXI secolo.
Quando Roberto ne fu ospite per due settimane nell'agosto del 1992, si era ancora nel secolo scorso, anzi, nello scorso millennio (e anche questa considerazione ci fa sentire sufficientemente attempati), ma i comfort erano così avveniristici che era come se si fosse già entrati nel secolo nuovo e nel millennio nuovo.
Ma andiamo con ordine.
Le suites prenotate dai Visconti per Aurora, Roberto e Battista erano diverse tra loro, ma comunque di alto livello.
Il livello di partenza era quello delle camere normali, che comunque avevano già una qualità molto elevata.
Al secondo livello c'erano le suites da due o tre stanze e al terzo c'erano le royal suites, che erano proprio dei grandi appartamenti di lusso.
Le stanze normali, si trovano soprattutto nell'edificio anteriore, con vista sullo Strand, mentre le suites si trovano nell'edificio retrostante, con vista sul Tamigi.
Una caratteristica dell'Hotel era quella di avere anche le suite "a tema", dal cui nome si potevano dedurre le   qualità.
Per esempio la suite di Roberto era, almeno all'epoca, un bilocale Edwardian Spring River View, il che implicava colori primaverili, stile floreale edoardiano, ampia vetrata con splendida vista sul Tamigi (naturalmente all'epoca non c'erano ancora il London Eye e il Millennium Bridge), camera da letto matrimoniale ampia e spaziosa, con armadi a muro, un salotto luminoso con divano, poltrone, tavolino, frigobar e scrivania appoggiata alla vetrata, e un bagno lussuoso, con una enorme vasca con diversi tipi di idromassaggio, ampio box doccia, due lavandini e due specchi, il che gli fece capire meglio gli standard a cui Aurora era abituata.




La suite di Aurora era un trilocale Luxury Rococò River View, più grande, sfrarzosa e con più comfort: il bagno era a dir poco principesco.
Quella di Battista era più più piccola e più spartana, una Art Deco River View in stile geometrico e avanguardista.
Il vertice del lusso era naturalmente quello della Royal Suite, che era un vero e proprio appartamento, così straordinariamente elegante e pieno di comfort che soltanto qualche sceicco arabo, oligarca russo o lord inglese che avesse fatto buoni investimenti avrebbe potuto permettersi.
All'epoca era occupato proprio da un giovane rampollo di qualche stirpe importante, di vent'anni circa, e la sua presenza lì non era un caso.

Per riuscire ad orientarsi all'interno del Savoy, all'inizio era necessaria una mappa, o in alternativa, una persona che avesse già avuto la fortuna di trascorrere un periodo di tempo in quel paradiso terrestre.
Aurora fece dunque da guida a Roberto.
Gli spiegò che l'Hotel prendeva il nome dal fatto che lì in passato c'era una residenza dei Duchi di Savoia, poi divenuti Principi di Piemonte e Re di Sardegna, che vi fecero costruire anche una cappella reale.

L'Hotel occupava un intero isolato, compreso tra il viale dello Strand, la Carting Lane, il Savoy place, cioè l'entrata nel retro e la Savoy street, parallela alla Lancaster Way, continuazione del Waterloo Bridge.
Comprendeva molti edifici, collegati tra loro per mezzo di passaggi interni ed esterni.
C'era persino un Teatro, a cui si accedeva da Carting Lane.



Dietro al teatro c'era una delle sale più belle del Savoy e cioè il Thames Foyer, col suo gazebo centrale in stile libery e la cupola a vetrata sovrastante.
Era una stanza dove si respirava un'aria magica, come se veramente si fosse ancora ai tempi del regno di Edoardo VII, quando Londra era il centro dell'universo.




L'accesso principale al Savoy rimaneva comunque quello sullo Strand.





Il Savoy Compound comprendeva anche il Casino Royale di Londra.
Dietro al Casino c'era l'edificio della Savoy Spa, con la piscina, la palestra, e il centro benessere con sauna e hammam.
Sarebbe troppo complesso descrivere subito tutto nel dettaglio, per cui, almeno all'inizio, è preferibile concentrarsi su alcuni luoghi emblematici e mappe  di riferimento.




In questa specie di palazzo reale, Roberto si sentiva come una versione maschile di Cenerentola, e temeva che tutto, allo scoccare della mezzanotte, si sarebbe trasformato in una zucca.
E lui non avrebbe lasciato una scarpetta, ma uno scarpone di taglia 42.
A Roberto, pur di stare insieme ad Aurora, sarebbe bastato anche un sottoscala.
Il vero paradiso terrestre era essere con lei, non importava dove. 
Ma lei era abituata a vivere nel lusso, e questo implicava la disponibilità di enormi somme di denaro, che andava in qualche modo o ereditato per pura fortuna e amministrato con oculatezza o guadagnato con grandi sacrifici.
Era quello il suo punto principale di preoccupazione: lui preferiva avere più tempo libero e meno lusso, non era disposto a diventare una di quelle persone che si identificano con il proprio lavoro, a meno che quel lavoro non fosse una vocazione.
Insomma la domanda era sempre quella: perché proprio io sono stato scelto da Aurora?
Più ci pensava e più rimaneva senza risposta.
Certo, lui era innamorato perso, era dolce, docile, disposto a tutto per lei, ma tantissimi altri, migliori di lui, lo sarebbero stati con una ragazza così bella e oltre tutto anche ricca, elegante, intelligente, colta e nobile.
E invece lei non aveva accettato il corteggiamento di nessun altro e aveva aspettato per sei anni che lui fosse pronto.
Quelle sue insicurezze aumentarono quando scesero nella dinner room per cenare.

Durante la cena, infatti l'attenzione di Aurora e Roberto fu catalizzata dall'ingresso di un giovane uomo, biondissimo, quasi etereo, con occhi celesti, tratti dolci e lievemente effemminati, ma comunque di angelica bellezza, che sembrava uscito dall'Ottocento per l'eccentricità del suo aspetto e abbigliamento.
La capigliatura era lunga e ondulata, più simile a quella di una donna, e indossava una specie di camicia bianca con un fiocco di pizzo e anche i polsini lo erano.
Insomma era un aspetto efebico, ma un po' troppo androgino,  anche se la sicurezza e la disinvoltura con cui si presentava al mondo, rendevano meno equivoci tutti questi particolari.




Battista, che conosceva tutti i camerieri e si era già informato chi fosse quel personaggio, assunse un'espressione di grande deferenza e poi dichiarò:
 <<E' l'attuale inquilino della Royal SuiteSua Grazia l'onorevole lord Waldemar Richmond-Stuart, sedicesimo Duca di  Ravensbourne, Pari del Regno Unito, Cavaliere di Gran Croce dell'Impero Britannico. Nelle sue vene scorre il sangue degli Stuart, il Sangue Reale, tramite uno dei figlio illegittimi di re Carlo II>>
Aurora ne fu meravigliata:
<<E' molto giovane per essere un Duca>>
Battista, che sapeva già tutto, svelò ogni particolare:
<<Suo padre è morto di infarto a giugno e lui ha ereditato tutto: titolo, seggio alla Camera dei Lords, castello di Ravensbourne, terre sconfinate, ricchezze ancor più sconfinate.
Ah, dimenticavo di dirvi che sua madre è italiana! Chi l'avrebbe mai potuto pensare, vero, considerando che è così biondo... e biondo naturale, intendo dire.
Sua madre è una nobildonna lombarda, credo imparentata con i Borromeo.
Lui sa parlare l'italiano altrettanto bene che l'inglese, è bilingue.
Poi ne conosce tante altre, intendiamoci.
Avrete senz'altro modo di parlare con lui, è una persona che ama intrattenersi con interlocutori di alto livello come voi certamente siete.
C'è una cosa strana però: è il classico Principe Azzurro, ma è ancora single!>>

Roberto, gelosissimo e pure invidioso, ne aveva già le tasche piene:
<<Se uno così è ancora ufficialmente single, c'è una sola spiegazione. E' sicuramente gay, ma non lo dice per non far soffrire sua madre>>
Aurora sorrise:
<<Staremo a vedere>>
Roberto annuì.
Però poi ricordò la profezia della sacerdotessa Elvira:

"Tu conoscerai il piacere e lo perderai. Tu conoscerai l'amore e lo perderai. Tu conoscerai la felicità e la perderai. 

Tu ti sentirai un Principe, ma un giorno verrà qualcuno più grande di te e migliore di te, e ti porterà via ciò che hai di più caro.

E quando non ti resteranno più lacrime, perché il tuo corpo e il tuo spirito saranno prosciugati, allora l'Iniziato ti svelerà i Misteri, ti cingerà la veste, e ti porterà dove tu non vorrai"
 
Alla fine, quando Battista tornò al suo tavolo, Roberto dovette ammettere; 
<<Lui sarebbe un buon partito per te. Avreste dei figli meravigliosi.
Biondi naturali, come dice il nostro Battista, mettendo in ridicolo la mia tinta.
Aurora, io non ti merito. Ci penso sempre e non riesco a darmi una spiegazione: perché mi hai scelto, perché hai atteso me per sei anni? Le risposte che hai dato non mi hanno convinto. 
Lo dico a costo di apparire un insicuro, perché in realtà lo sono, così come sono vulnerabile e inetto>>
Lei aveva sorriso:
<<Sei spietato con te stesso. Non ho mai conosciuto una persona così pronta a rivelare i propri difetti e a condannarli apertamente.
Però io non credo che questo sia un segno di insicurezza, anzi, penso che ci voglia molta forza d'animo per guardare in faccia ciò che consideriamo un difetto e per assumere, contro se stessi, il ruolo di pubblica accusa.
E questa è già in parte una risposta: ho sempre ammirato il fatto che tu accettassi le critiche altrui e persino le prese in giro, senza scomporti, con una specie di "divina indifferenza">>
Lui scosse il capo:
<<Non era indifferenza, e sicuramente non era "divina". No, era soltanto il fatto che ciò che gli altri dicevano era qualcosa che conoscevo già, oppure una falsità verosimile, facile da attribuire a un inetto, per non usare termini più volgari anche se più efficaci.
In ogni caso io ci stavo male, ma sapevo che lamentarmi o reagire con violenza non avrebbe migliorato la situazione>>
Aurora sospirò:
<<Un inetto, tu dici. Ma soltanto nelle questioni pratiche, perché in tutto il resto non lo sei affatto. Vedi, io non ho bisogno di sposare un uomo "pratico": sono ricca e se ho bisogno di qualcuno che si occupi di questioni pratiche, lo chiamo e lo pago, punto.
Ma un ragazzo come te non lo trovo da nessuna parte. E quando dico "come te" intendo tutta la personalità nel suo complesso, compresi quelli che tu consideri difetti>>
Roberto non era convinto:
<<Potresti trovare ragazzi infinitamente più belli e di sicuro sessualmente più preparati.
E magari anche più prestigiosi, come l'onorevole lord Waldemar>>
Aurora scosse il capo:
<<Più belli, ma tremendamente vanitosi, più belli ma egocentrici, più belli ma stupidi, più belli ma ignoranti, più belli ma noiosi, più belli ma rozzi, più belli ma incapaci di accettare i miei difetti, quelli che non si vedono, ma ci sono.
Più esperti sessualmente, ma più incapaci di amare, più esperti sessualmente ma inclini alla violenza, più esperti sessualmente ma solo su ciò che piace a loro.
Più prestigiosi, ma in un ambiente che non è il mio, più prestigiosi, ma con la puzza sotto il naso, più prestigiosi, ma con più obblighi sociali noiosissimi, più prestigiosi ma con famiglie che non conosco e che forse non mi reputerebbero all'altezza.

Potrei andare avanti per ore, ma credo che questa risposta ti offra spunti di riflessione sufficienti per un po'.
E concludo dicendo che proprio perché ho studiato i tuoi comportamenti per tanto tempo, sono riuscita a indovinare ciò che poi si è rivelato giusto. 
La mia scelta, per quanto inizialmente influenzata dall'interesse di mia madre nei confronti della tua famiglia, è stata molto ponderata, ed io ero sicura che un giorno anche tu ti accorgessi di me, e del fatto che siamo destinati l'uno all'altra e se tu mi lasciassi io non potrei più vivere>>
Roberto aveva nella mente un'altra domanda:
Cosa c'era tra te e Felix. Hai forse detto anche a lui le stesse parole dolci che ora dici a me?
Ma non poteva chiederglielo, perché Aurora non meritava un'offesa tanto grande come il sospetto che ci fosse stato, anche solo a parole o nella fantasia, un incesto tra lei e il cugino.
<<Anch'io non potrei più vivere se tu mi lasciassi. E' per questo che ho paura, perché un giorno o l'altro potresti conoscere qualcuno che ha tutti i pregi che tu mi hai attribuito, ma che è anche più bello, più bravo a letto e magari ha anche altre qualità. Può succedere, e io vivrò nel terrore, con questa spada di Damocle sulla testa, per sempre>>
Aurora divenne seria:
<<E' il prezzo che si paga quando si mette il proprio cuore nelle mani di un altro. 
Vale per tutti e vale anche per me. Questa spada di Damocle è anche sulla mia testa. 
Tu ritieni che sia più probabile che io mi innamori di un altro, rispetto all'eventualità che sia tu a innamorarti di un'altra, ma dovresti aver capito, non fosse altro che per la mia testardaggine, che io tendo sempre a perseverare nei miei comportamenti.

Ma leggo nei tuoi occhi una domanda che tu temi di esprimere, per paura che io me ne abbia a male.
Ti chiedi cosa c'è stato tra me e mio cugino e hai paura che io possa comportarmi con te allo stesso modo in cui mi sono comportata con Felix.
Sì, ho visto giusto, e rispondo subito anche a questa domanda inespressa, ma facile da intuire.
Non c'è mai stato niente di incestuoso tra me e lui, e io gli ho sempre detto che dovevamo trovare ognuno la propria strada. Lui ce l'aveva con te da anni, perché sapeva che io provavo sempre più interesse per te, un interesse che con gli anni è diventato attrazione e poi innamoramento e, quando ho avuto modo di conoscerti, è diventato amore. 
Felix lo sapeva da anni e non l'ha mai voluto accettare, ma io non gli ho mai mentito, e in generale io preferisco non mentire>>

Roberto sapeva di non poter chiedere di più, per cui si limitò a esprimere un pensiero che gli era venuto in mente mentre lei parlava:
<<Io ti credo e ti ringrazio per avermi parlato con tanta franchezza.
Il fatto è che io, prima di conoscere che persona meravigliosa tu sei, credevo che questo tipo di amore, come quello che ora ci unisce, esistesse solo nei romanzi o nei film o nelle serie televisive. 
Sul serio, per me questo amore così romantico e perfetto non poteva esistere nella realtà.
Io vengo da una famiglia dove non ci sono stati amori travolgenti.
I miei genitori si vogliono bene, ma, come si suol dire, tamquam frater et soror e questo da prima che mia madre non fosse più in età fertile. 
Certo, non me l'hanno detto esplicitamente, ma io l'ho capito.
Nessuna grande passione, però, niente di paragonabile con ciò che c'è tra noi>>

Aurora aveva ascoltato con particolare interesse:
<<Forse è perché i tuoi si sono sposati tardi e hanno vissuto i loro sentimenti nella maniera più controllata che si acquisisce con l'età.
Comunque, è sempre meglio di quel che c'è stato tra i miei, e cioè una grande passione all'inizio, e poi più niente. Quando mio padre ha capito che mia madre non era nelle condizioni di avere altri figli, ha perso interesse, e lei non se n'è particolarmente dispiaciuta.
I miei è come se fossero separati, non fanno neanche finta di nasconderlo.
Magari fossero "tamquam frater et soror", dico sul serio, sarebbe un grande conforto se almeno fosse così.
Ma non dobbiamo essere pessimisti solo perché i nostri genitori o i nostri nonni non sono stati un modello di amore romantico passionale ed eterno: questo tipo di amore è molto raro, e anch'io, in certi momenti di sconforto, ho temuto che esistesse solo nei romanzi, o al cinema o in televisione, ma poi ho capito che il vero amore è quello che riesce a sopravvivere alla quotidianità.

Siamo stati cresciuti con finali del tipo: e vissero felici e contenti.
Nessuno ci è certo venuto a raccontare se Cenerentola ha provato una delusione tremenda sentendo russare sonoramente il suo principe azzurro, o comunque dovendo fare i conti con certe sgradevolezze che fanno parte della nostra corporeità e quotidianità.
L'amore può reggere a questo?
Certo, l'amore deve reggere a questo, altrimenti non è amore, ma soltanto un'attrazione passeggera. Però per capirlo bisogna prima mettersi reciprocamente alla prova.
Io credo che noi una prima prova importante l'abbiamo superata: tu hai accettato con molta gentilezza e signorilità certi miei comportamenti avrebbero suscitato sdegno, disgusto o ilarità in altri, e io credo di averti dimostrato che, al contrario di quello che crede Felix, non sono venuta qui per valutare quella che tu chiami "esperienza sessuale" o "essere bravi a letto". 
Siamo entrambi abbastanza fantasiosi per riuscire a procurarci piacere a vicenda senza necessariamente avere un rapporto sessuale, completo o incompleto che sia.
L'immaginazione è il più grande afrodisiaco, non trovi?>>
Roberto sorrise e annuì:
<<E' una delle poche certezze che sorreggono la mia esistenza>>

giovedì 15 aprile 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 125. Vita et Victoria



Aurora fu silenziosa per quasi tutto il tragitto dall'aeroporto all'hotel, che aveva richiesto due ore e mezzo, quasi più tempo di quello da Milano a Londra in aereo.

Roberto, invece, era completamente preso dall'osservazione di quella città di cui aveva sentito tanto parlare e che era stata l'ambientazione di numerosissimi romanzi e saggi che aveva letto.
E per quanto non riuscisse proprio ad abituarsi alla questione della guida a sinistra, decise di fidarsi del tassista e immerse lo sguardo nel paesaggio circostante.

Gli venne in mente che non aveva mai visitato una capitale, neppure Roma.

Possiamo però anticipare il fatto che i suoi numerosi viaggi a Roma avvennero in seguito, nell'estate del 1994, sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II, e poi numerose volte tra il Giubileo del 2000 e il 2005, dopo l'elezione di papa Benedetto XVI, e di questi viaggi si parlerà quando la narrazione raggiungerà quegli anni.
Diciamo solo che, in seguito, ripensando ai suoi primi quarantacinque anni, Roberto provava quel senso di smarrimento e di senilità dovuto alla consapevolezza che nell'arco di tempo della sua vita fino ad allora, si erano succeduti cinque Papi (uno dei quali aveva guidato la Chiesa per 27 anni) e la sua memoria era in grado di ricordare persino la morte di papa Paolo VI.
Aveva solo tre anni, nel 1978, ma era già pienamente consapevole dell'importanza della memoria e della Storia.
Spesso ci ripeteva e ci ripete ancora: <<Io non sono mai stato e non sarò mai un protagonista, per fortuna mia e vostra, ma sono sempre stato e sarò sempre un testimone dotato di grande memoria>>
 E queste considerazioni ci saranno utili proprio nel presente capitolo.

Ma ora torniamo a Londra.
La prima sorpresa furono le cosiddette "new towns", o città-giardino, che ricoprivano la fascia periferica della Outer London.
Si trattava di una concezione urbanistica innovativa e potenzialmente valida, che però alla lunga, dopo aveva cosparso non solo la periferia di Londra, ma quella di tutte le città del Regno Unito, incominciò a mostrare i suoi limiti.

Chi ha visto i film del ciclo di Harry Potter avrà capito che la Privet Drive, dove risiedevano gli zii del protagonista, era proprio un esempio perfetto di strada delle New Towns riservata alla piccola borghesia impiegatizia.
I punti essenziali erano i seguenti: 

1) piccole villette a schiera unifamiliari, o al massimo bifamiliari, con un giardinetto davanti e una veranda con cortiletto dietro

2) le abitazioni si affacciavano su vialetti alberati, curvi, inframmezzati da parchi con laghetti e cigni, spesso vicini a fiumi o boschi, che si immettevano, tramite rotonde, in viali più grandi, circolari, i quali a loro volta erano ben collegati con le principali strade, autostrade, treni, metropolitane a cielo aperto, autobus, tram.

3) ogni singola new town aveva un suo centro commerciale, con nelle vicinanze tutti i tipi di attività ludiche, sportive e ricreative, scuole materne ed elementari, edifici di culto, ambulatori per medici di base con infermeria per i casi urgenti.






4) Le abitazioni più vicine alle strade che conducevano alla città vera e propria, compensavano quello svantaggio del rumore e dell'inquinamento, a parità di prezzo, con una maggiore ampiezza della casa e del giardino, dotato anche di piscina.

5) Questi quartieri erano concepiti come zone residenziali ecosostenibili per la classe media.

Durante l'era di governo di Margaret Thatcher, tra il 1979 e il 1991 ci fu una immensa proliferazione di questi quartieri residenziali, e fu allora che divennero un imprescindibile modello di riferimento per gli urbanisti di tutto il mondo.

L'idea delle new towns trovò riscontro anche in Italia, dove il più entusiasta imprenditore edile degli anni Settanta, il cavaliere Silvio Berlusconi, acquistò un enorme terreno nelle vicinanze di Segrate e lì costruì la sua prima new town chiamata, con un eccesso di ottimismo, Milano Due.
Questo però aprì la strada a progetti successivi, specie quelli realizzati sotto l'amministrazione del sindaco Sala, e cioè la riqualificazione della Darsena e dei Navigli (purtroppo in questo caso i Fratelli Monterovere non furono interpellati, anche se Roberto, nei suoi anni milanesi, era preparatissimo sull'argomento e aveva fatto sopralluoghi di persona nelle aree critiche del Naviglio Pavese), la zona Fiera col progetto di creare una via navigabile tra Milano e Venezia, ma soprattutto l'avveniristico quartiere di City Life, molto simile al modello della nuova City londinese.
Le new towns erano state il primo passo.
Il nostro vecchio Silvio, però intervenne con una "miglioria": siccome i cigni reali finivano per diventare ingestibili, li sostituì con cigni bianchi di plastica e in questo egli manifestò tutta la sua essenza.

E quindi, pur ammettendo che ci siano state eccessive ambizioni urbanistiche tradottesi in una omologazione architettonica alla lunga un po' troppo banale e piuttosto estraniante, le new towns indicarono la via nella direzione di quelle che adesso vengono chiamate smart cities.

Quando nell'estate del 1992, Roberto Monterovere, con gli occhi sgranati, osservava per la prima volta nella sua vita questo genere di quartieri, la neo-baronessa lady Thatcher si era da poco dimessa a vantaggio dello scialbo John Major, che fu una specie di cuscinetto tra l'era della "lady di ferro" e quella di Tony Blair.

Va detto, comunque la si pensi su questo argomento, che le New Towns, insieme al National Trust, hanno permesso all'Inghilterra di conservare molte grandi distese di aree verdi, infatti ogni new town è circondata da una "Cintura Verde" fatta di boschi, foreste, prati, brughiere, stagni, piccoli laghi e ruscelli.





Tutte le strade principali delle varie new towns della Outer London, erano collegate, in direzione del West End, alla superstrada A4 che, nel tratto tra l'aeroporto e la Inner London, aveva tre corsie per ogni lato, ed era affiancata da piste ciclabili, marciapiedi piastrellati, siepi e alberi.

E per un bel po' il panorama fu solo quello, perché, nonostante fosse agosto, c'erano ancora moltissimi lavoratori che andavano in ufficio, diversamente dal caso italiano, in cui sembra che ad agosto l'intera popolazione della penisola sparisca. 

Emblematico a tal proposito (e i lettori ci perdonino la nostra senile tendenza alle digressioni) fu un aneddoto del defunto Marchionne, grande dirigente della Fiat, divenuta FCA dopo la fusione con Chrysler. L'ingegnere dal maglioncino blu, raccontò che quando, dopo essere vissuto in Canada e negli USA per molto tempo, tornò in Italia per assumere l'incarico di Amministratore Delegato dell'azienda degli Agnelli-Elkann era agosto. 
Trovò Torino completamente deserta e quando salì sull'auto aziendale che lo attendeva, chiese subito al tassista, col suo italiano americaneggiante: "Posso farle una domanda?", al che l'autista naturalmente assentì, e Marchionne chiese: "Ma dove diavolo sono finiti gli Italiani?".

A Londra questo non succede, né succedeva all'epoca della nostra narrazione,
A un certo punto le new towns incominciarono a cedere il posto a quartieri periferici degradati e poi ad un'ampia zona industriale, dopo la quale la A4 si trovò ad essere letteralmente sotto la M4.
Seguì una zona con centri commerciali del tipo "ipermercato", con qualche palazzo nei dintorni, fino ad arrivare, dopo un'ora di traffico sempre crescente, ad Hammersmith, da dove si entrava nella Inner London.

E a quel punto le aspettative di Roberto crebbero, perché si era giunti finalmente nel West End della Londra propriamente detta. Purtroppo l'alta siepe alla sinistra della A4 gli impedì un primo sguardo nella direzione del Tamigi. 

Ad Hammersmith la A4 conquistò il ruolo di strada sopraelevata, dalla quale si potevano già vedere i tipici quartieri della Londra compresa tra tra il Giubileo di Diamante della regina Vittoria, nel 1897 e la breve, ma idilliaca età edoardiana, tra il 1901 e il 1910, prolungabile però fino al 1914, quando la Grande Guerra scardinò l'ordine sociale precedente, nel bene e nel male.
C'erano palazzine in pietra rossa, con modanature bianche e camini alti in stile Tudor, chiesette in perfetto stile neogotico, viali con grandi platani e ai lati palazzi di maggiore imponenza.

Quando la A4 tornò al "piano terra", e divenne la Cromwell Road, incominciarono le costruzioni in mattoni chiari con finestre bianche e quadrate, di stile più classico, risalente alla prima età vittoriana o addirittura dell'età georgiana (1714-1837, comprendente i regni di Giorgio I, II, III, IV e di Guglielmo IV).

E tuttavia, a parte questi edifici, il resto poteva essere trovato in qualunque parte semiperiferica di qualunque città, e l'unica cosa davvero british continuava comunque ad essere la stramaledettissima guida a sinistra.

Poi però si giunse a South Kensington, e tutto cambiò, assumendo il ruolo di un vero centro storico, con i palazzi neoclassici georgiani dipinti di bianco, alternati con alcuni non intonacati, con alcune chiese, o scuole o edifici più moderni in luoghi dove si era buttato giù quel che c'era prima.

Il cuore di Roberto si mise a battere forte, perché sentiva che stava arrivando al cuore della città tentacolare che un tempo, tramite l'Impero Britannico, aveva controllato quasi tutto il pianeta.
A trent'anni di distanza da quegli eventi, c'era ancora in lui una vena di entusiasmo, quando ci riferiva, il suo stato d'animo con le seguenti parole: 
"Sentivo un forte senso di déjà vu. Era come se ritornassi in una patria ideale che avevo lasciato tanto tempo prima.
Tutto ciò che vedevo ispirava in me la nostalgia di un passato mai vissuto>>

Questo poetico sentimento si fondava su tutto ciò che aveva letto e che ricordava così bene da  sembrargli già noto.
In altri casi poi si trattava addirittura di luoghi comuni, di icone dell'inconscio collettivo, gli autobus rossi a due piani, le cabine rosse del telefono (c'erano ancora, non erano state ancora rese inutili dall'avvento dei cellulari).

Passarono davanti al Museo di Storia Naturale e all'Albert and Victoria Museum, dove la Cromwell Road era diventata Cromwell Gardens, a causa della vicinanza con Kensington Park, e naturalmente con Kensington Palace, dove nacque e crebbe la regina Vittoria, ed attuale residenza del principe William, Duca di Cambridge, che l'ha ereditato da sua madre Diana, Principessa di Galles.

Poi la strada cambiò più volte nome, e sia gli edifici bianchi che quelli rossi diventavano sempre più puliti, eleganti, circondati da giardini ben tenuti e da strade pulite.
Svoltando a sud si sarebbe entrati nel quartiere residenziale centrale dei ricchissimi, e cioè Belgravia, mentre continuando verso ovest, con una leggera inclinazione verso nord, si raggiungeva Kensington Garden, confinante con Hyde Park, e ci si sentiva, finalmente e inequivocabilmente, a Londra.

Arrivati alla grande rotonda del Wellington Arch, ci si trovò proprio di fronte ai luoghi più importanti e famosi. Imboccando la Constitution Hill si fiancheggiava il parco di Buckingham Palace, protetto da una muratura e vari sistemi di allarme, dopo che un intruso, anni prima, era riuscito a penetrare fino agli appartamenti privati di Sua Maestà senza trovare ostacoli.
Proseguendo si arrivava infine alla facciata del Palazzo Reale e alla rotonda del Victoria Memorial, dal quale la statua giunonica della defunta Regina,  con scettro e globo, nelle mani, osservava dall'alto i passanti, con sguardo severo, cupo e vagamente minaccioso.




Il tassista fece un commento ironico, in un londinese talmente cockney da risultare quasi incomprensibile, ma non ad Aurora, la quale, interpellata da Roberto, gli tradusse le parole dell'autista:  "Dice che quella statua lo fa rabbrividire. Ne aveva paura fin da bambino e ancora adesso, ogni volta che ci passa davanti, gli viene la pelle d'oca".
Roberto sorrise, divertito dalla battuta del tassista, che in effetti non aveva tutti i torti, ma evitò di ridere sguaiatamente, sia perché era poco british, sia considerando le condizioni della sua fidanzata.





Era sempre la solita storia, che non vorremmo essere costretti a menzionare, ma qualcosa bisogna comunque dire, per meglio comprendere il finale di questo capitolo.
Nonostante la lunghezza del viaggio, Aurora era stata irremovibile nella sua fobia, al contrario di Roberto, che aveva usufruito dei servizi in aereo, mentre lei dormiva.
Lui si chiese quanto fosse durato in tutto il loro viaggio: erano partiti a mezzanotte da Forlì e in quel momento erano le 15, ora di Greenwich.
Sedici ore. A un certo punto il disagio fisico di Aurora avrebbe dovuto prevalere su quello psicologico e condurla a comportarsi in maniera sensata, ma quando erano saliti sul taxi lei disse di essere perfettamente a suo agio.
Ma dopo quasi tre ore, era nel panico, con gli occhi sgranati e le gambe quasi attorcigliate l'una sull'altra e con la mano destra, stringeva forte la mano di Roberto.
Ma l'altra mano della ragazza, che da un po' era stata destinata a coadiuvare gli arti inferiori nel loro ruolo contenitivo (credo che questa perifrasi, in cui ci siamo arrampicati sugli specchi al fine di non cadere nella volgarità, meriti un encomio) forse svolse il suo compito con un eccesso di zelo, tanto che un certo compiacimento comparve nel volto di lei.
E anche se Roberto fece finta di non accorgersene, non poté fare a meno di ricordare quei discorsi che Aurora gli aveva fatto riguardo a un fantomatico punto del sistema nervoso periferico femminile inferiore, che poteva essere attivato anche senza contatti diretti, purché sussistessero certe condizioni negli organi circostanti.
Roberto all'epoca era estremamente puritano, e quasi totalmente privo di conoscenze sia pratiche che teoriche sull'argomento, e dunque faticava a comprendere tutto questo e tanto meno ad accettarlo, ma pur di stare vicino a lei ed essere la sua ombra e contemplare il suo viso d'angelo, era disposto a sorvolare e a distogliere lo sguardo da tutto il resto.





Sentì la mano di lei stringere la sua nel momento dell'acme, ma la sua mente era da un'altra parte.
Gli era riaffiorata nella memoria una frase latina, scritta da Marco Antonio a Cicerone, per chiedergli di non contrastare la carriera politica del figlio di Clodio.
E' una frase che fa molto riflettere, se consideriamo che alla fine i sicari di Antonio uccisero Cicerone.
Scrive Antonio: 
"Nihil enim non tua causa feci" : non c'è infatti nulla che io non abbia fatto per te.
Cicerone rispose in maniera sprezzante, e tutti sappiamo com'è andata a finire.
Perché quella reminiscenza in quel momento?
Non c'è nulla che io non sia disposto a fare per Aurora?
E se anche fosse, alla fine, conterebbe qualcosa?
Oppure tutto sarebbe terminato con le Filippiche da una parte e le liste di proscrizione dall'altra?
Roberto era fatto così, nel bel mezzo di situazioni che non riusciva a gestire, lui reagiva proteggendosi con qualche citazione, meglio se latina, o con qualche aneddoto storico: ognuno si difende come può, e lui all'epoca non conosceva altro modo.

Dopo un po', quando il piacere passò e il viso di Aurora tornò normale, in lei la preoccupazione riprese il sopravvento, aggravata da quel senso di abbandono,
A quel punto gli chiese un favore che lo fece rimanere di sasso:
<<Commenta in modo serio qualcosa che hai visto oggi, con parole che mi aiutino a concentrarmi su qualcosa di diverso, ma non mi facciano ridere, mi raccomando>>
E lui, preso alla sprovvista, improvvisò:

<<Dunque, ripensando a come la regina Vittoria è raffigurata, nel suo memoriale davanti al Palazzo, mi torna in mente un articolo riguardante la storia dell'iconografia dei re, che segue un modello millenario, per poi cambiare rapidamente e radicalmente nel Novecento, con il crollo di alcune delle più grandi monarchie e l'avvento dei mass media.




L'articolo, di cui purtroppo non ricordo l'autore, partiva dal concetto di sacralità del monarca e dal suo collegamento con la solarità e la divinità. Il monarca è il sole degli uomini.
Pensiamo ad Akhenaton e Nefertiti, che sono il tramite fra Aton e il popolo dell'antico Egitto.

Segue un'analisi dall'immagine del re Davide, "il Re Giovane", favorito da Dio, contro Saul, il re vecchio che non vuole rinunciare alla sua sovranità, e per questo è punito dal Signore.
Si analizzavano le caratteristiche di Davide così come descritto nella Bibbia, specie l'unzione con l'olio sacro, che è un ulteriore elemento di elevazione.

Il modello ellenistico dei diadochi e dei primi Cesari si fonde con quello biblico nel momento dell'ascesa al potere di Costantino, che vuole incarnare sia le virtù romano-ellenistiche, sia quelle giudaico-cristiane.

Si passa dall'imperatore divinizzato al monarca per grazia di Dio.

Poi si inserisce poi una terza componente, che potremmo chiamare "germanico-barbarica" che trova espressione nei Merovingi, con i capelli lunghi e la barba fluente.
Le loro raffigurazioni sono state eseguite molto tempo dopo la moro morte, secoli interi, a volte più di uno, per cui comunque dobbiamo tener conto di questo sfasamento temporale significativo.
Per esempio i ritratti postumi di Clodoveo, considerato il fondatore della Francia, pur essendo un personaggio semi-mitologico, su cui abbiamo pochissime fonti, mostrano che egli fu rappresentato in molti modi, prima e dopo la conversione e il battesimo.
In alcune prevale il modello del "Re Giovane", solare, come Davide e Costantino.




In altre prevale l'aspetto "germanico-barbarico", con la lunga chioma bionda e la lunga barba dorata.





Il tre modelli si fondono e si cristallizzano nei ritratti postumi di Carlo Magno, che diventa il rappresentante per eccellenza della maestà reale e imperiale, così come lo descrivono le parole pronunciate da papa Leone III, in una frase tutta espressa come augurio rivolto a lui e dunque declinata secondo il caso dativo: 

Carolo piissimo Augusto a Deo Coronato magno pacifico Imperatori Romanorum Vita et Victoria.





In questo modo Carlo, che era già Rex Francorum et Langobardorum, oltre che Patricius Romanorum et Italicorum, ossia "comandante supremo dell'esercito romano e italico", ottenne anche anche la sovranità temporale sull'antico Impero Romano d'Occidente, con la benedizione del Pontefice, ponendosi così sullo stesso piano, dell'Imperatore Basileus di Bisanzio, che all'epoca era in realtà un'imperatrice, Irene, una donna terribile: aveva detronizzato, arrestato e accecato il suo stesso figlio, che morì pochi giorni dopo. La sua unica giustificazione sta nel fatto che, essendo in corso la guerra contro gli iconoclasti, il figlio di Irene, da iconoclasta, forse avrebbe sottoposto la madre a un trattamento analogo. 
Direi che, in confronto a Irene, la regina Vittoria sia un esempio di affettuosissima maternità, per quanto considerasse i neonati "brutti come rospi"... per forza, erano figli suoi e lei non era certo una bellezza...>>

Aurora aveva ascoltato con attenzione, ma alla fine incominciò a sorridere troppo, per cui subito Roberto tacque.
Lei, riconoscente, commentò:
<<Ti piace proprio la storia. Peccato che adesso le si dia così poca importanza>>
Roberto annuì, ripensando alla promessa fatta a suo nonno Ettore, in articulo mortis, e  quella estortagli dal Visconte presso lo studio del notaio Papisca. 
Economia a Milano. "Muss es sein?" Es muss sein.
Ma il suo commento fu un altro:
<<Oggi mi sento nel cuore della Storia medievale e moderna. E sono qui grazie a te, e con te. 
Oggi la vita è bella>>
La sua adorazione per Aurora cresceva di giorno in giorno, di ora in ora, sempre.
Cosa posso fare per aiutarla? 
Ma il problema era un altro.
Lei non vuole essere aiutata, ma accettata per quello che è, costi quel che costi.
Era un dilemma. 
Ho fatto un giuramento anche a lei. Sono vincolato al rispetto della parola data.
Si diceva che i Mendoza di Castiglia avessero sempre mantenuto fede alla propria parola, anche a costo della vita.
Roberto si chiese se questo valesse anche per i Monterovere.
Si allentò la cravatta, infatti era vestito di tutto punto come richiesto dalla stessa Aurora, ma non di molto, perché comunque all'ingresso del Savoy voleva fare una bella figura, per quanto temesse di essere, se non fosse stato per quei capelli lunghi e ondulati, scambiato per un cameriere in prova o un lift, il ragazzo degli ascensori dell'età tardo vittoriana.






Pensava che quello fosse il suo unico vestito a giacca, ma Aurora aveva in serbo per lui varie sorprese, tra cui alcuni abiti completi formali e semi-formali, da giorno, da sera e da festa, che si trovavano in una delle sue valigie.
Aveva in programma alcune serate mondane, ma non gli aveva ancora detto nulla, perché, conoscendolo, sapeva che queste cose gli avrebbero creato ansia.

Nel frattempo il taxi, anzi i due taxi, stavano percorrendo il Mall, il viale alberato che collegava Buckingham Palace con Trafalgar Square.
Era un viale molto grande, con alberi secolari, e grandi marciapiedi.
Lì il traffico era limitato, almeno all'epoca, ai residenti di Westminster, ai lavoratori e ai taxi diretti verso alberghi, sempre di Westminster, purché i passeggeri mostrassero la prenotazione.
A Trafalgar Square c'era il traffico dell'ora di punta, era circa l'una del pomeriggio, per cui si tornò ad andare a rilento.
<<Manca poco>> disse Roberto.
Aurora annuì e gli sorrise.
Finalmente arrivarono al viale dello Strand e nel giro di meno di dieci minuti voltarono per l'ingresso al Savoy Hotel, che non era soltanto un edificio, ma un intero isolato, come si premurò di dire il tassista, al quale Aurora lasciò una mancia così generosa che per un momento parve sul punto di svenire dalla gioia.

Eguale trattamento ebbe l'altro tassista, che insieme al collega davanti si premurò di portare alcuni bagagli, mentre Battista, accolto alla reception come un Re, dava disposizioni al personale, che lo conosceva bene da tempo.
 Aurora consegnò a una receptionist che l'aveva riconosciuta, tutti i suoi dati e quelli di Roberto, e nel giro di pochi secondi ebbero ognuno la sua tessera magnetica per le suite prenotate.
Presero l'ascensore, perché le loro suite erano all'ultimo piano, per garantire la vista sul Tamigi.
In quella corsa forsennata, Roberto non ebbe modo di esprimere il suo stupore per il lusso eccezionale della hall e persino degli ascensori.
Finalmente, quando l'ascensore arrivò a destinazione, Aurora gli indicò la direzione, perché erano le stesse camere degli anni precedenti.
Nel giro di una frazione di secondo lei raggiunse la sua suite, fece passare la tessera magnetica e corse dentro, lasciando la porta semiaperta.
Roberto chiuse la porta e poi prese la propria tessera ed entrò nella propria suite, rimanendo senza parole per il lusso sfrenato che si trovò davanti.

Descriveremo lo sfarzo del Savoy nei capitoli successivi, con gradualità.
Ma in questo momento è più importante riportare quella che fu la reazione di Roberto.
Una parte di lui ne fu intimorita, come se sapesse già che ogni cosa bella che gli stava accadendo, l'avrebbe pagata con gli interessi in futuro.
C'era un motivo in più, per pensare questo, e lo vedremo tra poco, in conclusione di questo capitolo.
Ma, quel giorno, prevaleva comunque l'entusiasmo: fu uno dei pochi giorni della sua vita in cui poté dire con assoluta sincerità: "oggi la vita è bella".

Guardò dalla finestra il Tamigi e per lui, così amante dei fiumi, fu una grande gioia, poi appoggiò per terra zaino e valigia (che aveva insistito per portare da solo, facendo però una figura fantozziana) e infine si lasciò andare sul letto a due piazze con tanto di baldacchino.

Pochi minuti dopo, Aurora bussò alla sua porta e pareva un'altra persona: liberatasi della "corazza", la salopette, e soprattutto di due litri  (purtroppo non è un'ipertbole, lei se ne vantò come se fosse un primato olimpico) di liquido che neanche dopo 10 pinte di birra il bevitore più incallito avrebbe saputo immagazzinare e men che meno trattenere, era divenuta leggera come una farfalla e il suo sguardo era tornato seducente come al solito.





Quando Roberto la vide, notò che era rimasta con indosso solo la camicia con i volant, che su di lei sembrava la cosa più sensuale dell'universo.
Era raggiante:
<<Ci vorrà un po' per sistemare i bagagli nella mia stanza, per cui nel frattempo sto da te. Non preoccuparti di Battista, lui è qui soltanto per supportarci e difenderci, non per spiarci, e anzi, da dopo la riunione a casa tua a Cervia, mi sembra che i miei genitori siano diventati improvvisamente e senza motivo i più grandi sostenitori del libero amore>>

Roberto rise, anche se sospettava cosa ci fosse dietro all'improvvisa conversione dei Visconti.
Aurora, senza preamboli, si distese nel letto di fianco a lui, tanto che Roberto ne rimase quasi intimidito.
Lei si mise a prenderlo in giro, con affetto:
<<Non preoccuparti, Robs,  non ti faccio niente>>
Roberto allora si tranquillizzò e si mise più comodo.
Robs, che diminutivo ridicolo, ma mi mancherebbe terribilmente, se lei dovesse lasciarmi.
Aurora era così attraente da farlo rimanere senza parole, ma non ci sarebbe stato alcun rapporto sessuale propriamente detto, in quelle vacanze londinesi. 
C'era un motivo ben preciso per il quale lui sapeva che non ci sarebbe stato.
Era arrivato il momento della totale sincerità, anche riguardo a ciò che fino ad allora aveva preferito tacere:
<<Aurora, devo confidarti una cosa su di me, e forse usando terminologie anatomo-patologiche appropriate, posso comunicartela in maniera più asettica: io soffro di una condizione chiamata fimosi non serrata di media entità
Ho condiviso questo segreto soltanto con mio padre>>

Lei, sorprendentemente, capì al volo:
<<So cos'è. Anche Felix è messo così. Fa tanto lo sbruffone, ma questa cosa ha fatto sì che ancora fosse vergine anche lui e quindi non sa esattamente cosa potrebbe succedere. 
Tu pensi di sentire dolore o addirittura di rischiare un danno?>>
Lui arrossì, sentendosi sempre più ridicolo:
<<Dolore senza dubbio. Il danno potrebbe esserci e risultare tanto traumatico da richiedere un intervento immediato di circoncisione, il che non è il massimo, tenuto anche conto che siamo in vacanza a Londra>>
Lei annuì:
<<Certo, hai ragione. Affronteremo questo problema in Italia>>
Roberto divenne rosso come un pomodoro:
<<Sì, anche perché tutto questo mi ha come provocato un blocco psicologico, che mi impedisce anche... insomma... diciamo la forma più classica del peccato di Onan. 
Non so come mai, ma mi fa schifo>>
Aurora annuì, per niente sorpresa:
<<Hai una fobia. Chi meglio di me può capirti? Non ti devi vergognare. Così come tu hai avuto un grande rispetto per certe cose di me che nessun altro potrebbe capire, così io ho un grande rispetto per questa tua situazione. Non temere, non c'è nessuna fretta, abbiamo tutta la vita davanti.
Potremmo persino arrivare entrambi vergini al matrimonio, se tua madre ci tiene tanto.
Io ho comunque ho studiato anche l'aspetto psicologico di quel tuo problema, quando Felix mi ha confessato il suo, e non ci crederai, ma dietro a tutto il suo atteggiamento da bullo c'è una paura pazzesca, insomma è messo peggio di te>>
Roberto, a cui veniva un senso di nausea anche solo a parlare di certe cose, cercò di nobilitare l'argomento con discorsi storiografici e sociologici.
<<Gli Ebrei hanno ragione di far circoncidere i neonati, evitando così questo tipo di problema quando sono più grandi.
Sono sempre stati un popolo assediato e la crescita demografica doveva essere garantita e favorita in tutti i modi. 
Il seme non deve né indebolirsi, né andare disperso, da qui la punizione non solo di Onan, ma anche di Sodoma e Gomorra.
Accanto a questa eredità giudaica, i cristiani hanno posto un eguale fondamento nella filosofia greco-ellenistica, in particolare il neoplatonismo e altre correnti che predicavano il disprezzo dei piaceri sessuali al di fuori del matrimonio e anche della funzione procreativa.
Per questo i preti chiedevano: "Quante volte?", e forse lo chiedono ancora.
Il confessore di Andreotti, scherzando, lo chiede ancora e il Divo Giulio, che ce lo ha reso noto per sua stessa ammissione, risponde sempre: "Sette volte. Sì, sette volte Presidente del Consiglio"

Io purtroppo ho perso la Fede strada facendo, forse perché mio padre e mia nonna hanno idee che potrebbero essere definite eretiche, mentre mia madre ha un approccio integralista e intransigente.
E non mi ha mai nascosto il fatto che certe cose facciano schifo anche a lei>>

Aurora mostrò una grande comprensione:
<<Sono inibizioni che si possono sviluppare, così come nel mio caso ci sono state delle deviazioni.
Ne ho sempre parlato molto con Felix e poi con la mia ginecologa, e lei mi ha dato alcuni consigli, sia per me che per lui.
E si sono rivelati validi>>
Roberto si chiese fino a che livello di intimità i due cugini si fossero spinti, ma quella era una domanda che non intendeva porre.
Lei gli si avvicinò ulteriormente e gli mise le mani tra i capelli, e poi, con un tono materno, anzi molto più materno di quelli usati dalla sua vera madre persino nei tempi migliori, gli disse:
<<Stai tranquillo, ti aiuterò io. Tu farai solo ciò che ti senti di fare, senza nessuna forzatura, perché se no si rovina tutto. Se vuoi io ti farò un giuramento analogo a quello che mi hai fatto tu quella sera al cinema. 
Insomma, per quanto puro e casto tu sia, credo che in un modo o nell'altro, a diciassette anni, avrai trovato, per dirla con Freud, un modo per indirizzare la tua libido, dico bene?>>
Roberto tornò a sorridere:
<<Sì, alcuni modi. E sai la cosa comica? Uno l'ho appreso leggendo una biografia di Caterina II di Russia>>
Aurora prima rimase incredula, poi scoppiò a ridere:
<<Solo tu potevi trovare una soluzione a questo tipo problemi leggendo la biografia di una di quelle regine ninfomani>>
E in quel momento a tutti e due venne in mente la stessa cosa, e lo dissero contemporaneamente:
<<Per me anche la regina Vittoria, dietro a quella faccia sdegnata, chissà quali desideri nascondeva... e forse, dopo tanti anni di vedovanza, quando conobbe il signor Brown... chissà>>